Articolo: «Non c’è libertà senza dissenso Troppa tecnologia può uccidere il pensiero scomodo» (Carlo Fusi su Il Dubbio intervista Giulio Giorello)

L’appannamento, se non addirittura la scomparsa del senso critico. E’ questo il pericolo che Giulio Giorello - filosofo, accademico ed epistemologo come lo definiscono le enciclopedie digitali - o più semplicemente ( ma significativamente) un pensatore che ama giocare il gioco della scienza - vede nell’uso incontrollato delle nuove tecnologie informatiche e digitali. Non è la Tecnica che sopravanza, annullandolo, l’Uomo. Ad essere minacciata è la coscienza critica, la capacità di dispiegare le sfumature del pensiero, il ventaglio delle opinioni possibili e dei diversi approcci alla comprensione della realtà.

«E’ evidente - esordisce - che ogni grande mutamento tecnologico comporta conquiste e al tempo stesso determina delle perdite. Un principio che si applica anche allo sviluppo recente delle tecnologie informatiche, di quello dei computer e del potenziamento e velocizzazione delle capacità di calcolo. A prima vista uno potrebbe dire: siamo fortunati, oggi ricorrendo all’apparato “macchine”, possiamo risolvere tanti problemi che un tempo l’uomo non avrebbe potuto trattare. In questo senso siamo alle prese con l’opportunità di un indiscutibile vantaggio.

Sto aspettando il però, professore…

Beh diciamo che nonostante le frontiere che si aprono alcuni temono che lo sviluppo delle nuove tecnologie comporti, come è stato sottolineato, una diminuzione del nostro senso critico. E’ un problema che sussiste. Lo dico in maniera molto semplice: ok all’utilizzo di tecnologie che ci permettono comunicazioni molto rapide; il punto è che queste tecnologie talvolta vengono utilizzate soltanto con coloro che la pensano come noi.

E questo è un limite, senza dubbio.

Se infatti c’è stata una ragione per cui la cultura europea è stata così importante e significativa essa non va cercata nel fatto che gli europei sono più intelligenti di altre popolazioni bensì perché l’Europa, anche con fatica, si è abituata a far proliferare opinioni divergenti ed ha lasciato spazio al dissenso assai più di altre società. Sotto questo profilo, la varietà dei modi di considerare il mondo, nel senso più ampio del termine, è stata la specificità fondamentale che ha decretato il successo della cultura europea.

Ma in che maniera avverrebbe questa perdita del senso critico da parte delle persone? In altri termini: che colpa hanno le macchine se sopravanzano le capacità dell’uomo di approcciare i problemi?

Ci arrivo. Intanto dobbiamo essere consapevoli che il rischio che corriamo è quello che ho esposto. La perdita del senso critico, o almeno la sua attenuazione, dipende da molti fattori che interagiscono. In primo luogo esiste una tendenza diciamo così “demografica” ad andare a cercare rapporti solo con quelli che hanno le nostre stesse idee ed invece allontanare ogni forma di pensiero “scomodo”. Un atteggiamento che mi sembra assai diffuso.

In secondo luogo bisogna tener conto che attraverso questa tipologia di forme di comunicazione che, ripeto, hanno elementi indiscutibilmente positivi, si schiude la possibilità di controllo e pressione dei gusti individuali. Il che inevitabilmente spalanca praterie a meccanismi che indirizzano verso un maggiore conformismo. E’ su questi punti che a mio parere bisogna essere molto attenti. Perché il maggiore conformismo alla fine rischia di spegnere il piacere di pensare diversamente rispetto alla costellazione delle opinioni più comuni e più diffuse.

Molto chiaro. Provo a ridefinirla così: ormai Internet ha plasmato il nostro modo di vivere e comunicare e i Social ne sono l’espressione più piena. Siamo sottoposti alla dittatura suadente degli algoritmi: sanno tutto di noi e noi niente di loro. Dove ci porterà questa condizione?

Sono d’accordo. L’algoritmo sa molto di noi mentre sappiamo su noi stessi molte meno cose di lui. Emergono svariate posizioni nel mondo scientifico e filosofico che criticano questa situazione. Le condivido ma al tempo stesso ritengo che faranno molta fatica ad emergere, a diventare patrimonio comune. Proprio perché si pongono in posizione diversa - e magari opposta - ri- spetto al conformismo di cui parlavo prima. Recentemente è stato pubblicato da Donzelli un libro di Michele Mezza, a cui ho scritto alcune pagine di prefazione, intitolato Algoritmi di libertà.

Un bel titolo, certo. Però la domanda è semplice: è possibile? E’ possibile pensare ad algoritmi di quel genere?

Sì o no, professore?

Io penso di sì. Ma penso anche che sia molto difficile. Il che non è certo una buona ragione per interrompere lo sviluppo tecnologico nella direzione di cui stiamo parlando. Per capirci, faccio mia una vecchia battuta di Baruch Spinoza, il quale nella parte finale della sua Etica dice: «Le cose eccellenti sono tanto difficili quanto rare».

Di conseguenza non esiste una buona ragione per non impegnarsi in imprese che richiedono grande impegno, mettendo in conto però che lo sforzo necessario sarà grande. E non tutti sono disposti a muoversi in una direzione così complicata. Perché la posizione critica è complicata, scomoda. Che può anche portare a dissapori non solo nella vita intellettuale ma anche in quella pratica, nell’esistenza quotidiana. Mantenere una posizione critica è difficile: così va letta l’affermazione di Spinoza. Una difficoltà del genere dovrebbe essere vissuta come una sorta di sfida, un qualcosa che ci tenti intellettualmente. Ed anche emotivamente.

Emotivamente, dice? In che senso? La Tecnica può provocare emozioni? E chi le controlla?

Io penso che non dobbiamo avere paura delle emozioni. Alcune di esse contribuiscono a rendere più interessante la nostra vita. Il nostro atteggiamento ideale non può essere improntato solo all’esaltazione dell’intelligenza. Bisogna tener conto allo stesso modo “dei nostri migliori affetti”, sentimenti che accompagnano l’intelligenza.

Professore, la critica che viene rivolta a chi paventa i pericoli della tecnologia è di assumere atteggiamenti antimodernisti. Condivide?

Credo che a questa domanda debba rispondere la coscienza di ciascuno a seconda dei propri interessi, delle proprie emozioni, delle proprie ragionevoli speranze. Dico ragionevoli. Non penso cioè a speranze di cambiare del tutto l’ambiente in cui viviamo. Anche perché questo ambiente non l’abbiamo scelto noi: ci siamo caduti dentro. E’ un punto importante che non va dimenticato. Per quanto siano forti alcune nostre scelte, c’è sempre qualcosa più forte di noi. Anche qui ci soccorre Spinoza: l’essere umano si ritrova più forte nella società degli altri uomini che in uno stato di natura, dove agisce da solo.

La ragione sta nella forza che può avere una comunità umana, ma questa non può essere costruita cancellando le differenze o eliminando il piacere di dissentire.

Si tratta di trovare un equilibrio tra quella che è la nostra tendenza a sentirci più protetti all’interno di una comunità e l’affermazione delle nostre individualità specifiche. Ossia di ciò che ci rende più felici nell’esprimere noi stessi. La difficoltà di ottenere questo equilibrio sta nel rischio che da un lato si cada nel conformismo e nell’altro in un esercizio di superbia.

Non è una questione che si possa risolvere con una formula. Si può risolvere invece lavorando in mezzo a tante difficoltà e perciò con un altro rischio di sbagliare. Io ammiro potentemente una serie di tecnologie di cui ci serviamo nella nostra vita quotidiana, ma appunto vale se ce ne serviamo, non se siamo costretti a soggiacervi.

Insomma c’è un senso di indipendenza personale, di autonomia, che va difeso e salvaguardato. E’ davvero così difficile, professore?

Le racconto un episodio. Sere fa ero a Crema ad un convegno di filosofia. Ad un certo punto mi hanno fatto vedere una serie di pensieri scritti su foglietti da ragazzi portatori di handicap di vario tipo, fisico o intellettivo. Una frase mi ha colpito: “La vera felicità per noi è la libertà”. E’ una lezione importante: per me è da qui che dobbiamo partire. Senza dover immaginare un’etica uguale per tutti. Altrimenti finiamo come quel professore, democratico e progressista, che per dimostrare queste sue qualità entra in classe e dice ai suoi allievi: disobbeditemi. Se lo fanno, ubbidiscono. Se non lo fanno, contravvengono all’ordine. E’ una di quelle classiche antinomie che costellano la nostra vita quotidiana e ce le ritroviamo anche laddove meno ce le aspetteremmo.

Ecco, professore, a proposito di antinomie. Ci sono tentativi di usare le nuove tecnologie, in particolare la Rete, per costruire meccanismi di raccolta del consenso che sostituiscano gli strumenti classici della democrazia delegata. E’ un’opportunità o un pericolo?

Senz’altro un pericolo. Una società basata su simili sistemi sarebbe una falsa democrazia. Non dimentichiamoci che la conquista di libertà democratiche, in Europa come nel resto del mondo, è stata lunga, faticosa, sanguinosa. Gli Usa sono nati da una rivoluzione, da una guerra di indipendenza dall’Inghilterra. Il consenso va benissimo ma va costruito attraverso il dissenso, questo il punto.

Quella democrazia lì, imperniata e dominata dalla Rete, più che un sogno mi appare un incubo. E agli incubi bisogna sapersi ribellare. Lo so che è difficile, perché quando ci si ribella a qualcosa si vive una lacerazione. Però io ritengo che dobbiamo rivolgerci con coraggio nei riguardi di questo tipo di lacerazioni e non averne paura.

Perché la paura fa paura, vero professore?

Diciamo che la paura è un pessimo materiale da costruzione.

«NON DOBBIAMO AVERE PAURA DELLE EMOZIONI, PERCHÉ RENDONO PIÙ INTERESSANTE LA NOSTRA VITA.

BISOGNA TENER CONTO ALLO STESSO MODO “DEI NOSTRI MIGLIORI AFFETTI”, SENTIMENTI CHE ACCOMPAGNANO L’INTELLIGENZA»

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Vorrei dire che non sono d’accordo con una singola parola di quanto detto da Giulio Giorello, però credo che non sarebbe abbastanza per esprimere il mio dissenso.

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A cosa servono le persone che esprimono opinioni su cose che non hanno pienamente compreso? [redatto dato che la mia rabbia contro questo post manipolativo non ha nulla a che fare con il professore in questione]. La democrazia delegata si chiama “rappresentativa” ma non lo è. Per quanto sia stata una faticosa battaglia conquistarla è proprio essa a portarci sull’orlo del baratro. Un pianeta sacrificato alla corruzione dei pochi nei confronti dei tanti. Una società umana ingarbugliata nella più grande ingiustizia della sua storia, vastamente peggiore di quella ai tempi delle monarchie. Il palazzo è in fiamme e gli unici che hanno strumenti dimostratamente meno peggiori e più rappresentativi della democrazia auto-proclamata “rappresentativa” non vengono nemmeno ascoltati, perché ovviamente questo personaggio certi documenti non li ha mai letti.

Sono i vecchi come lui e coloro che pensano come lui che ci stanno portando allo sfascio collettivo. Se entro nove anni non abbiamo ribaltato il modo come consumiamo il pianeta, se non ci fermiamo a produrre CO2 e metano radicalmente, arriveremo al punto che il cambiamento climatico entra nella spirale di autosurriscaldamento, togliendo al genere umano ogni possibilità di salvarsi.

Democrazia diretta e rappresentativa sono i due metodi di governance dimostratamente incapaci. Cambiare paradigma è la nostra unica speranza, e dato che i documenti scientifici sono più dalla parte della democrazia liquida che dalla parte degli altri due schemi, perché stiamo ancora a perdere tempo con vecchi opinionati che sputano opinioni prima di avere competenza?

No, il mito delle filter bubbles è un problemino intellettualuccio. Il problema vero è che abbiamo dato a poche società californiane il potere di manipolare ogni nostro pensiero, e non comprendiamo come ciò sia possibile.

si è abituata a far proliferare opinioni divergenti ed ha lasciato spazio al dissenso assai più di altre società.

Il fatto che al computer si litiga lo hanno determinato i sociologi già nel 1984. Il problema vero è che alcuni soggetti hanno il potere di manovrare milioni, forse presto miliardi di menti a pensare quello che loro vogliono che pensino. Ad essere convinti di cose completamente idiote, come di dubitare che l’autodistruzione climatica stia avvenendo ed è a distanza di soli 9 anni da oggi.

che colpa hanno le macchine se sopravanzano le capacità dell’uomo di approcciare i problemi?

Sbagliata già la domanda. Le macchine permettono a delle persone di controllare le menti. Non sono le macchine stesse a fare le cattive.

In primo luogo esiste una tendenza diciamo così “demografica” ad andare a cercare rapporti solo con quelli che hanno le nostre stesse idee ed invece allontanare ogni forma di pensiero “scomodo”. Un atteggiamento che mi sembra assai diffuso.

Lo noto ogni giorno in questo partito. Abbiamo tutti le idee spiccicatamente uguali. Bwahahahah.

L’algoritmo sa molto di noi mentre sappiamo su noi stessi molte meno cose di lui.

E l’algoritmo appartiene a qualcuno. Non è mica open source ed eseguito sul proprio cellulare.

Algoritmi di libertà. Un bel titolo, certo. Però la domanda è semplice: è possibile? E’ possibile pensare ad algoritmi di quel genere?

Si. Informati, cristo. La nostra proposta di legge ObCrypto vieta gli algoritmi proprietari abusivi e rende necessari gli algoritmi free software, eseguiti sotto al controllo dell’utente stesso. Si potrebbe benissimo avere tutto un mondo informatico tecnicamente incapace di commettere questi abusi.

Se questi sono gli esperti in materia, come saranno le opinioni della gente che ci capisce ancora di meno?

Uhm… per uno che vuole fare un partito razionalista scientifico dare del cretino a Giorello è una mossa interessante e particolarmente azzeccata.

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Non importa. Fatto sta che il mio post provvede a 10 buone ragioni concrete e razional-scientifiche come mai lui non solo si sbaglia, ma è anche troppo comodo per informarsi. Ora tu rispondi solo alla conclusione ma metti da parte tutte le ragioni che la apportano? Sei off-topic. Sei tu che non contribuisci in modo razionale. Fai solo polemica. Your Signal-to-Noise Ratio is very very low.

Io non credo ci sia bisogno di rispondere ad ogni cosa. Prendo atto delle tue risposte ma non ho alcun motivo per rispondere a mia volta. Il mio pensiero non è così tanto importante su questo. Ho letto con gran piacere quello che ha scritto il prof. Giorello, è un monito che ritengo importante ed è uno strumento che può prendere chi vuole leggere la realtà e molto in tema con alcune questioni che riguardano questo partito.

Cioè in pratica rifiuti il confronto sui dati concreti ma ti piace buttare benzina sul fuoco che hai acceso, mettendo in dubbio tutta una serie di cose che il partito ha scelto e lo ha fatto con tutte le buone ragioni che rifiuti di discutere. Il tuo comportamento è dannoso per questo partito dato che non sei disposto ad approfondire ed ammettere i tuoi errori. Da ex-caporedattore di una rivista Linux vorresti godere di un bonus di credibilità che non necessita misurazione nei fatti? Se rifiuti il dibattito vero ma ti presenti solo quando hai della propaganda da buttare in forum, si potrebbe dedurre che è così.

Fondatore e direttore non caporedattore, sai nel campo dell’editoria, o dovunque si faccia un vero lavoro, ci si tiene ai gradi conquistati con la fatica.

Ma no non ho intenzione di discutere con te.

Tu hai dato con grande scioltezza del cretino al professor Giorello, come posso io pensare minimamente di affrontare una discussione con uno che si sente così superiore ad uno dei più grandi filosofi e epistemiologi del nostro tempo. Per di più uno che non lesina di darmi del «Pagliaccio» quando scrivo. D’altro canto non è che si vince niente a questo gioco del forum.

Ho un incontro da preparare, un convegno da completare. Un’assemblea da organizzare.. Un intervento da completare. Il tutto nelle prossime due settimane. Ora se permetti torno a usare il mio tempo per la mia vita. Bye bye.

Si infatti non azzardarti più a buttare la tua propaganda in forum per poi rifiutare di rispondere a domande e solide critiche a riguardo. Non stai rispondendo nel merito ad altri, e non lo fai a me. Finché fai così, piuttosto di ammettere tra le varie cose che non avevi capito come funziona la non-violenza, non sei un pirata bensì un carrierista.

Lince, era un articolo con un’intervista ad uno dei più grandi filosofi italiani. Se pensi che sul forum debbano esserci solo le tue elucubrazioni abbiamo un problema.

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Se metti articoli che ti fanno comodo e poi non sei disponibile ad affrontarne la critica, abbiamo un problema bis. Perché allora saresti uno spammer…

Non è necessario criticare tutto. Si può anche solo leggere. È l’idea delle rassegne stampa sai… Il mondo è bello perché è vario, anche se non entra perfettamente all’interno della nostra visione. E comunque stai tranquillo, ti lascio campo libero. Credo che chiunque possa tranquillamente farsi un’idea propria senza necessariamente che io gli dica cosa pensare. Non ho alcuna volontà di avere ragione su di te. Leggo Giorello e leggo te, e mi faccio una mia idea.

Stai dicendo che sei opposto all’analisi e a favore dell’indottrinamento?? Chi le cose le legge e le fa leggere ma non lavora a comprenderle, a vederci i pregi e i difetti, non sta facendo un lavoro di integrazione in un pensiero comune del partito… sta solo creando confusione… o addirittura favorendo manipolazione.

necessariamente che io gli dica cosa pensare

Stai rifiutando il concetto di dibattito razionale e piuttosto teorizzando che qualsiasi ragionamento espresso sarebbe di per se una manipolazione, non un passo a comprendere più a fondo?

Io invece ritengo il compito primario di questo forum di capire cosa stiamo postando e di trarne un guadagno in saggezza… e la prospettiva di ogni lettore è utile… e se c’è qualcosa da debunkare, è importante farlo… non lasciare che delle baggianate restino li a confondere le menti di chi non è preparato a riconoscere le false informazioni. O in questo caso le false deduzioni da assenza di sufficiente conoscenza.

Non eravamo il partito a favore della conoscenza? Non è conoscenza se le cose si buttano solo lì, senza approfondimento. Senza predisposizione al fact-checking. Rifiutando addirittura di rispondere alle critiche.

C’è chi dice… don’t feed the troll, ma io sono troppo buono.

Credo che ciascuno abbia diritto a pensare prima di parlare. A me capita così di solito. E quindi sto pensando. Intensamente. Mi sembra anche di averti già detto che ho un po’ di cose da fare che ritengo più importanti di stare qui a parlare con uno che al più continua a citare se stesso e mi considera un pagliaccio e ritiene che uno dei maggiori studiosi della conoscenza come Giorello sia un “cretino”. Sinceramente non so cosa potrei mai aggiungere di sensato a questa discussione.

Bhe è possibilissimo che in questo particolare caso sia un #aggettivoLynxiano# anche perche esiste l’Argumentum ab auctoritate ! Che invaliderebbe dialetticamente la tua motivazione a dubitare di lynx solo perche non rispetta la visione di una presunta autorità;

C’è chi dice… “don’t feed the troll” perché nonostante i documenti e gli studi gli siano stati presentati varie volte, secondo le quali è un dato scientifico che “don’t feed the troll” non funziona e ha risultati opposti, non solo insiste a considerarlo un metodo applicabile, oltre a non sentirsi in colpa nell’uso di tale frase per trasmettere un insulto. E poi parla di non-violenza senza averne capito un accidente.

Abbiamo un forum pieno di gente che si orienta ai valori hacker, ma poi ti presentano le presunte autorità — persone che magari decenni prima hanno svolto dei lavori meritevoli e in contesti completamente diversi, completamente estranei alla loro competenza, ora esigono di essere ascoltati come papi. O diciamo che nella cultura italiana sono abituati di essere ascoltati in quel modo e non criticati per l’incompetenza. Io non insulto gente se non dopo avere ampiamente dimostrato la loro incompetenza. Attualmente ho dimostrato che @exedre non sa di cosa parla quando sbandiera la non-violenza e ho dimostrato che il professore Giorello non sa di cosa parla quando è terrorizzato dall’idea di esercitare democrazia in via digitale, o almeno dubito abbia inteso liquid feedback come @exedre vorrebbe farci credere, e inoltre dubita della possibilità di fare algoritmi di software libero, che significa semplicemente che a forza di stare a guardare lo sviluppo delle cloud si è perso la capacità di immaginare un mondo ragionevole. Certo, si può sempre ridurre tutta la dovuta critica alle parole “pagliaccio” e “cretino”, come se in questo modo si avesse affrontato il discorso. In realtà si sta solo aggiungendo noise.

Macosadiav… :flushed:

Mi piacerebbe considerare questo dialogo per quello che è, ossia: l’ntervista che un giornalista (con una forte avversione per Rousseau e le manipolazioni dei social) ha rivolto a un’epistemologo (autorevole e dotato di competenze umanistiche e scientifiche ma con una scarsa conoscenza di tutti le implicazioni tecniche).

Mi piacerebbe se potessimo semplicemente prendere atto che l’autorevolezza (vera o presunta) dei due interlocutori può comunque condizionare l’attuale dibattito (pur limitatamente all’autorevolezza che può offrire un giornale fondato da… Sansonetti).

Mi piacerebbe, @lynX se evitassi di dare del cretino a un intellettuale che ha offerto spunti molto interessanti alla filosofia attuale, una persona che tutto è tranne che cretina e il cui difetto principale, credo sia il fatto di essere il peggior barzellettiere del nostro tempo http://www.radioradicale.it/scheda/545297?p=0&s=355 ?

Già…

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Io volevo postare questo (lei è la fidanzata di Musk, ed ha scritto questa canzone dedicandogliela) come risposta ma avevo paura di far degenerare troppo la discussione. Siccome è degenerata da sola credo lo farò comunque

Imho il problema è che semplicemente si torna al discorso che facevamo nel mio post di presentazione. Questa è gente che parla ignorando i fenomeni che descrive, anche perchè chiedere ad un epistemiologico di parlare di tecnologia è come chiedere a me di parlare di Filologia greca.

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Quindi abbiamo imparato che quando ci viene in mente una buona idea, bisogna tirarla fuori subito! :slight_smile: :smile:

Capisco e credo che possa valere per Giorello, ma non sono così certo… sarà perché ho studiato troppa filologia greca ma credo che oggi fare epistemologia senza conoscere a fondo le nuove tecnologie dell’informazione, sarebbe come fare filologia greca senza conoscere le dinamiche che la stampa ha determinato per la trasmissione dei testi classici (eh… vuoi mettere la poesia di un copista che trascrive in silenzio e leeentaaameeenteee? mica queste diavolerie moderne fatte in serie!)…

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Però scusate, capisco le differenze generazionali, il fatto che un certo linguaggio non sia facilmente accessibile a tutti, che anche alcuni concetti non lo siano, ma qui stiamo parlando di gente comunque con i contro-coglioni, non degli spettatori di “Amici” (con tutto il rispetto #maancheno, sempre politicamente parlando).

Le cose complesse sono complesse e le menti superiori sono superiori: negarlo fa un po’ tenerezza e se c’è qualcosa che mi ha sempre dato un enorme fastidio è la tendenza a rallentare il più veloce invece che far correre il più lento un po’ di più.

Ergo: se vogliamo colmare il divario (non solo generazionale ma anche e soprattutto culturale), cerchiamo di spingere di più e meglio da basso, perché anche se il letame è un ottimo fertilizzante, sempre di merda stiamo parlando.

Concludendo: può darsi che sembri che questa gente ignori i fenomeni di cui parla, ma è molto più probabile che si ignori o non si capisca quello di cui questa gente sta parlando, perché ci mancano le basi, l’applicazione e una cinquantina di anni sulle spalle.

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