Bandi pubblici su misura: how to fix them?

La vicenda dei baroni universitari fiorentini (quelli che dovevano scomparire grazie alla riforma Gelimini) ha mostrato -una volta di più- quanto siano geniali i nostri commoventi compatrioti quando si tratta di tirarlo nel baogigi al prossimo: anziché truccare i concorsi, si truccano direttamente i bandi, “cucendoli” su misura per il candidato Tizio o Caio. Come si spiega qui, è una prassi diffusa nelle Università, ma non solo. Suggerisco questo articolo. e quest’altro

Ora, la domanda è: c’è un modo per impedire “by design” (come direbbe Briganzia) questa roba? Istintivamente, mi verrebbe da dire standardizziamo i criteri con cui si assumono le persone nei vari ruoli, in modo da limitare la “creatività” di chi fa bandi su misura (pare che Romeo -quello della Raggi- si definisse “prototipatore”). Poi, come si diceva anche altrove, anonimizziamo il più possibile: la commissione valuta solo test scritti anonimi, i nomi dei membri della commissione devono rimanere segreti etc.

Resto vago… ma ho saputo di un concorso pubblico, con pochi partecipanti, per una università (posto pubblico a tempo indeterminato) apparentemente chiunque poteva darlo, però gli argomenti trattati erano strettamente legati ad un corso di quella stessa università. Praticamente si può ipotizzare che qualcuno/a sia stato informato che ci sarebbe stato questo concorso, quindi di farsi bene il corso e le probabilità di riuscita, nonché la scarsissima concorrenza, di fatto ti fanno aggiudicare il posto.

Probabilmente, un correttivo è specificare i titoli che servono per poter vincere il concorso, questi titoli (lauree, corsi, ecc.) devono essere bastanti. Non dovrebbe essere ammessa la richiesta dei temi x, y e z, che di fatto si apprendono con un corso (magari nato un paio di anni fa e destinato a cambiare o chiudere), senza che il titolo derivante da quel corso non è posto come requisito.

Inoltre, eventuali titoli o corsi devono essere legati a conoscenze e figure professionali che hanno una certa stabilità temporale, non possono essere richieste che quasi coincidono con il CV di una certa persona che già lavora in ambito pubblico (per migliorarsi la posizione, succede anche questo) o titoli che esistono da troppo poco tempo o che spariranno troppo presto.

Non è facile purtroppo definire delle regole robuste per i cavilli, sicuramente c’è troppa libertà di “configurazione” su misura.

Forse un’idea più efficace è avere dipendenti pubblici impegnati a razionalizzare e migliorare l’esistente. Questi stabiliscono quali posti servono o non servono per le università, i centri per l’impiego, se le funzioni svolte vanno bene, se serve altro (nuovi posti), ecc. Stabilito questo, tutte altre persone avranno il compito di realizzare i concorsi pubblici o decidere gli spostamenti dei dipendenti. La valutazione dei concorsi verrebbe fatta da tutt’altre persone ancora.

Magari così, il problema del concorso su misura è molto più difficile da realizzare.

Servirebbe anche un altro gruppo differente che raccoglie feedback da studenti ed assiste in prima persona a lezioni, visiona materiali, classi, ecc. e valuta uno spostamento per certi insegnanti o tecnici o al limite anche un licenziamento. Insomma, passato il concorso le cose devono continuare a funzionare, qualcosa di simile agli assistenti sociali che intervengono quando le famiglie sono disastrate, succede anche nei posti pubblici di “andare in malora” o diventare il posto inutile, chi interviene? Serve assolutamente qualcuno.

Purtroppo, i dipendenti per far funzionare le cose costano e la gestione del denaro pubblico è un pianto, qui mi fermo altrimenti mi guasto l’umore.

Il problema è un altro… Siamo l’unico paese che assume ricercatori universitari per concorso.

Si risolve facilmente: dai autorità ai capi dei gruppi di ricerca di assumere chi gli pare, ma assumendosene la piena responsabilità.

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Questa è un’obiezione che hanno fatto in molti (non solo in questo ambito eh). Nei paesi anglosassoni in effetti funziona così. Ma bisogna guardarsi negli occhi e dirci francamente una cosa: pensiamo davvero (come Paese intendo) di poter assomigliare ai Paesi anglosassoni? Personalmente credo di no. E’ la mentalità che è diversa: ce lo spiegò Banfield già nel '58, e altri dopo di lui:

Il familista amorale, quando riveste una carica pubblica, accetterà buste e favori, se riesce a farlo senza avere noie, ma in ogni caso, che egli lo faccia o no, la società di familisti amorali non ha dubbi sulla sua disonestà.

Si sa come funziona: te mi voti, io ti assumo. E nessuno si scandalizza più di tanto perché c’è un’assuefazione generale a questo sistema (nota che la denuncia a Firenze è partita da uno di origini inglesi, a cui -non a caso- è stato raccomandato di smetterla di “fare l’inglese” e di adeguarsi ai costumi italici). Ergo, questa specie di spoil system all’amatriciana finirebbe col diventare la solita, tragicomica farsa a cui siamo abituati. Se c’è una cosa di cui sono convinto, è che togliere potere alla gente e trasferirlo alle macchine sia l’unica strada percorribile.

Eh, ma non è uno spoil system. Non c’è bottino. Tu hai potere e responsabilità, e se il gruppo va male la paghi personalmente. Ora la questione è trovare metriche adeguate.

Nell’ambito della ricerca è difficile dire quando e se ed entro quanto tempo una cosa sia “andata male”, c’è anche la ricerca che sfocia in fallimenti e pure i fallimenti sono importanti per i posteri. Non saprei come far valere e pesare questa responsabilità, io preferirei lavorare su criteri più limpidi e imparziali di assunzione.

Ma il problema non sono i fallimenti della ricerca, il problema sono i fallimenti del gruppo.

I criteri limpidi e imparziali sono pericolosi, in quel campo hai bisogno di elasticità: adottare le stesse regole epr cose molto diverse non è sensato.

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Sottoscrivo al 100% questa affermazione.Il problema è l’uomo.

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Ti sei risposto da solo: come lo stabilisci -e soprattutto chi lo stabilisce -se “il gruppo va male”? Male rispetto a cosa?

Male rispetto agli altri gruppi. Trovare la metrica è difficile, ma questo problema esiste anche se vuoi fare i concorsi.

Vedendo certi punteggi, ora il quadro è più chiaro. Praticamente dei pochi passati: 1 per via dei suoi titoli ha preso quasi il massimo dei punti (circa 30), gli altri, come punteggio titoli, hanno preso quasi zero. Difficile non pensare che quel concorso sia stato fatto su misura per quel tipo/a…

questo è uno dei problemi principali dei concorsi come delle gare d’appalto, ovvero vengono costruiti su precisi e mirati profili per favorire questo o quello. Per questo è necessario standardizzare e automatizzare i processi che portano alla scrittura dei bandi.

ma un conto sono gare d’appalto e concorsi con 500 posti, un altro è un gruppo di ricerca che assume due-tre persone l’anno al massimo — ne esce distrutto.

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l’idea dell’assunzione senza concorso in alcuni casi (come ad esempio nella ricerca) potrebbe funzionare ma dovresti assicurare una valutazione imparziale del risultato del lavoro svolto. Su questo come pensi di fare?

È un vaso di Pandora gigantesco. Non lo so. Ma non è un problema che eviti facendo concorsi: devi comunque decidere quali sono le metriche.

Non alle macchine. All’intelligenza collettiva. Che problema ci sarebbe a fare i concorsi in democrazia liquida?

il problema è che ci sono migliaia di concorsi l’anno, non riesco ad immaginare le persone dedicare ogni giorno ore del proprio tempo per stabilire chi debba essere assunto nella biblioteca della propria città, nella vigilanza urbana o alla cattedra di linguaggi speciali del politecnico di Torino, a meno che non siano fortemente “interessati” alla cosa. La democrazia liquida (a mio parere) dovrebbe invece aiutare a prendere le decisioni politiche, la scelta dei requisiti e della caratteristiche che le candidature dovrebbero rispettare e lasciare la loro implementazione alle macchine e agli algoritmi.

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Mmm, let’s see…

Primo, che un esercito di italiani medi -sovvenzionati dal RdE, nella tua società ideale- passerebbe giornate a casa a mettere bocca su tutto lo scibile umano. Idealmente infatti il modus operandi (o algoritmo, se preferisci) che dovrebbero seguire sarebbe il seguente:

Ma purtroppo molti di essi seguono quest’altro

Secondo, perché in una situazione del genere (cioè di uno Stato pensato per permettere a Homer Simpson di dire la sua su tutto) esploderebbe una corsa ai collezionisti di deleghe. Molti comincerebbero a comprarsi le deleghe di altri (che sarebbero ben lieti di venderle, così come oggi vendono al camorrista di turno il proprio voto per 50€ il proprio voto). E quando questi super-delegati acquisissero abbastanza potere (tipo in World of Warcraft) comincerebbero a far pesare questa loro importanza per ottenere a loro volta favori e simili.