Contrasto alle diseguaglianze: un approccio libertario

Spesso in passato si parlato della diseguaglianza e dei suoi possibili rimedi. In generale, è un tema caro (in Italia come all’estero) dei partiti di sinistra, che solitamente indicano come soluzione l’adozione di politiche “redistributive” (tipicamente patrimoniali o riforme fiscali maggiormente progressive) che presuppongono più interventismo statale.

Un approccio radicalmente diverso è descritto in questo articolo. Incollo solo le parti a mio avviso più importanti (grassetti miei):

Il fatto che qualcuno sia più ricco di me non mi urta né peggiora la mia situazione. L’economia non è una torta, per cui se qualcuno prende la fetta grande a qualcun altro tocca la più piccola. È una torta che cresce dinamicamente, e che potenzialmente arricchisce tutti. (…) il vero problema della disuguaglianza nella nostra società sta nelle sue origini e nelle conseguenze. La diseguaglianza è già un male quando è il risultato di un furto. Il privilegio la rende ancora peggio. (…) Ma l’attuale mondo economico è gravido di innumerevoli privilegi. Incentivi e barriere commerciali canalizzano il profitto verso aziende ben introdotte a spese dei consumatori. Le norme sulle professioni servono a creare e proteggere cartelli di professionisti, che così possono gonfiare le tariffe, e questo avviene soprattutto in servizi di importanza vitale come la sanità. La proprietà intellettuale, creata artificialmente dallo stato, dà a qualcuno la licenza di dire ad altri cosa possono o non possono fare con quello che hanno comprato, concentra la ricchezza in poche mani e ingabbia l’informazione. Ci sono poi gli appalti affidati dallo stato senza gara che, soprattutto in settori opachi come le forniture militari, gonfiano enormemente i profitti. Vediamo infine come grandi banche e megaindustrie, come la General Motors, siano protette dalle conseguenze delle loro scelte sbagliate e salvate con denaro pubblico.

Ora, l’autore parla degli USA, ma mi pare quasi superfluo dire tutti questi discorsi su privilegi elargiti su base clientelare potrebbero essere non solo applicati, ma moltiplicati per N volte al contesto italiano (l’autore si lamenta di General Motors? Sapesse di Alitalia…).

Il nostro Paese è un crogiuolo di trattamenti speciali riservati a determinate categorie e gruppi di interesse, di solito a scapito dell’interesse generale. Si va dai proprietari di stabilimenti balneari agli splafonatori di quote latte, per citare solo casi più oggettivi: ma la lista sarebbe lunghissima.

Il tutto per non parlare delle mille caste sparse nel Paese: il recente scandalo dei concorsi truccati all’Università (con tanto di maxi-retata) è solo l’ultimo di una triste e interminabile serie.

Eppure, nonostante tutto ciò sia noto all’opinione pubblica, quando si parla di contrasto alle diseguaglianze la ricetta è sempre la stessa: anziché promuovere la mobilità sociale contrastando posizioni privilegiate e trattamenti di riguardo, si prende conserva tutto così com’è, limitandosi una tantum a rastrellare un po’ di ricchezza privata e a distribuirla verso il basso in forme varie.

Tutto ciò non nasce per caso. E’ (secondo me) la combinazione di 2 tratti tipici della mentalità italiana: il pauperismo conseguenza del moralismo cattolico e l’avversione verso la mobilità sociale stessa (cosa del resto logica, in un Paese in cui molti hanno privilegi da difendere, per piccoli che siano).

Il pauperismo lo si vede nella generalizzata invidia contro il ricco e il VIP, qualunque sia. Gianni Morandi anni fa subì una shitstorm sui social per essersi fotografato mentre andava al supermercato di domenica: non l’avesse mai fatto! “Non pensi a chi è costretto a lavorarci, in quei supermercati! VERGOGNIAAA!!1!”. Idem per la moglie di Bonolis che fece la foto sul jet privato.

L’avversione alla mobilità sociale forse è meno evidente, ma secondo me esiste eccome. Dopotutto, soprattutto in certe zone d’Italia, vige ancora ancora una concezione della società molto gerarchica, quasi un sistema da caste indiane: il pierino del dottore è destinato a diventare anch’egli dottore (indipendentemente dai meriti personali), mentre chi nasce strunz ha da rimané strunz. E questo per non parlare delle donne.

La soluzione che molti ritengono “naturale” è quindi che lo Stato mantenga lo status quo, salvo ogni tanto “risarcire” i poveri con elargizioni più o meno di massa.

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Qui ci sono due discorsi diversi, però. I concorsi pubblici centralizzati per i posti all’università sono una cosa molto italiana. In buona parte del mondo quei posti non sono assegnati per titoli ed esami, ma quasi per cooptazione a chi ha già lavorato con gli stessi membri del dipartimento o si è distinto nel loro campo di ricerca. Insomma, c’è, molta più autonomia e responsabilità nelle assunzioni.

@Exekias per me i tuoi interventi sono sempre da chapeau. Ma la soluzione c’è e non la vedo, oppure il tuo vuole essere semplicemente un pensiero/punto di vista su questo tema?

Sentirsi sudditi, sottoscrivo. Ma aggiungo anche un terzo elemento che non è da meno: l’ignoranza dei propri diritti. A mio giudizio è la radicata convinzione d’impotenza dell’italiano medio che lo porta a preferire un comportamento vittimistico ed autoescludente.

Non puoi risolvere un problema così complesso adottando la semplice ricetta ultra liberista del “via lacci e lacciuoli” ed eliminando privilegi e rendite di posizione, almeno non solo. Non è possibile affrontare il contrasto alle disuguaglianze senza porsi il problema della redistribuzione e di una politica fiscale che incida maggiormente sui redditi alti. Negli Stati Uniti liberisti, dove persino la sanità pubblica è un tabu da sfatare, il divario tra ricchi e poveri è aumentato in questi decenni di politiche liberiste. Quindi è vero che ìi privilegi e le rendite di posizione sono un ostacolo alla creazione della ricchezza e ad una sua migliore ridistribuzione, ma senza una politica fiscale che sposti ricchezza dai più ricchi ai meno ricchi come fai?

La ratio delle tasse in generale è già questa. E personalmente mica chiedo la flat tax, a me va benissimo anche aumentare le aliquote per i più ricchi. Il punto è un altro, e cioè che se questa diventa l’unica opzione sul tavolo, i problemi non li risolvi. Bisognerebbe prima mettere le persone nella condizione di arricchirsi da sole (cioè senza dover allungare tangenti, leccare il culo o affidarsi al camorrista di zona), e dopo, se tutto ciò “non funziona”, operare redistribuzione forzose dall’alto. Tra l’altro, bisognerebbe anche capire se per noi esiste una soglia accettabile di diseguaglianze. In linea generale, è accettabile che qualcuno sia più ricco di qualcun altro? Se sì, di quanto? 1:10? 1:100? Ecco, per me il problema non si pone in questi termini. Se Tizio ha il doppio di Caio, ma questa condizione è figlia di rendite di posizione/privilegi o è il risultato di attività economiche che fanno danni come la grandine a livello socio-ambientale, allora è “troppo” anche il doppio. Viceversa, se Tizio ha 10 volte la ricchezza di Caio ma l’ha ottenuta con attività “buone” (tipo rimuovendo C02 dall’atmosfera) o che non fanno male a nessuno (tipo giocare bene al pallone), non vedo dove sia il problema.

La soluzione sarebbe una serie di riforme che includano (in ordine sparso) l’abolizione delle licenze (con rimborso a chi le ha pagate), revisione delle leggi su copyright e brevetti, smetterla di usare soldi pubblici per tenere in piedi aziende fallite (e usare invece quei soldi per formare il singolo lavoratore, cosicché possa ricollocarsi nel mercato del lavoro in aziende che abbiano un minimo di speranza di vita), ridurre drasticamente le tax expenditures per abbassare il cuneo fiscale a tutti, eccetera eccetera eccetera.

A tal proposito, è uscito questo libro. Spero di trovare il tempo di leggerlo.

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Ti ringrazio della chiarezza con cui esponi le tue idee ed anche per il suggerimento sul libro.

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Dato che la situazione dell’ineguaglianza è la più grave nella storia dell’umanità non abbiamo il lusso di selezionare se regolamentare misure preventive o post-factum. Dobbiamo fare entrambi, ed al più presto. Ciò abbiamo teorizzato nei lunghi dibattiti sul reddito d’esistenza. I tuoi spunti sono spot-on (azzeccati) ovviamente.

Direi che possiamo iniziare da questa proposta per sviluppare il programma elettorale delle prossime politiche