Su lavoro, disoccupazione, costo della vita e altre sciocchezze

Il lavoro manuale ormai è sempre più appannaggio dell’automazione e dei paesi più poveri. L’unico lavoro che dá prospettiva nel lungo periodo è quello legato a competenze specializzate. Quindi la formazione iniziale, ma anche la formazione continua è l’unica che dà prospettiva per avere il lavoro e per mantenerlo dopo

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L’oggettività non e mai stata un forte — neanche a sinistra, ma ora che il populismo sta prendendo il sopravvento in tutta la politica, sta diventando un’urgenza di non permettere alle formazioni progressive di fiondarsi sui superficialismi tipici della destra, che con le armi della destra non possono vincere.

Mi pesa in particolare che anche nell’ambiente dei nostri temi core ci sono certe tradizioni politiche che ormai non sono più oggettivamente utili ma infestano i programmi politici… la neutralità della rete, i sermoni sulla conoscenza, addirittura l’IPv6… come se queste ricette vecchie di vent’anni fa fossero ancora adeguate a risolvere i problemi odierni, il più incombente la falsificazione di esiti elettorali con i metodi stile Cambridge Analytica.

E questo non è un modello che scala per l’intera società umana. Piuttosto crea maggiore divario tra ricchi e poveri.

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Mi hai fatto tornare in mente che tempo fa ragionavo con un amico sul tema democrazia. Il ragionamento era che la democrazia si fonda sull’idea (come in economia) che il cittadino sia razionale e al momento del voto faccia la scelta piú conveniente, per lui, per la sua comunitá. Questo ragionamento ha due lacune, la prima é che le informazioni devono essere veritiere. Cioé é corretta una votazione che avviene in un contesto dove chi vota fonda la sua decisione su informazioni false? La seconda é che ci sono ormai prove lampanti che é possibile influenzare la scelta dell’elettorato tramite meccanismi simili a quelli usati per influenzare gli acquisti.

Credo che sia essenziale in questo caso citare il buon Guzzanti

E’ anche vero che prima nulla era considerabile giusta causa, né il furto interno all’azienda, né quello che facevi al di fuori, né la violenza privata contro i colleghi.

E’ utopistico cercare di creare un mondo in cui tutti siano competenti?

Nessun pippone, anzi, così si entra nel vivo del dibattito. Bene. Ora tu mi dici "“Il giustificato motivo oggettivo" e “Giusta causa” non sono diversi, cambiano le parole ma alla fine il significato è lo stesso… Non è che puoi essere licenziato come se non fosse niente…” Non è proprio così: Ciò che distingue il licenziamento per giusta causa da quello per giustificato motivo risiede nella gravità del fatto che lo giustifica. Nei casi di GC la condotta posta in essere dal dipendente è talmente grave da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto durante il periodo di preavviso. Nel secondo caso il datore di lavoro può addurre una motivazione non necessariamente grave (quindi anche inventandosela ad hoc) e licenziare il lavoratore dandogli una semplice comunicazione di preavviso, il quale potrà anche fare causa al datore e magari vincerla ma intanto verrà licenziato senza aver fatto cose gravi (sottratto denaro ecc…). Ma il punto fondamentale è che dopo questo DL non è più possibile avere il reintegro in Azienda ma solo un indennizzo. Questa è la cosa grave! Cosa mi importa di avere 2.5/6 mensilità quando ho perso la mia fonte di sostentamento? Quei soldi me li brucerò in poco tempo se resto disoccupato. Se poi ti succede non a 20/30 anni ma a 50, un nuovo lavoro non lo trovi più tanto facilmente. Il discorso del + o - 15 dipendenti è corretto ma non era quello a cui mi riferivo. Spero di essere stato un po’ più chiaro ed esaustivo. Non dico che il Jobs Act abbia affossato tutto ma di certo e la puntata finale di una serie di “operazioni” dei vari governi che, pezzo a pezzo, hanno corroso diritti conquistati anni e anni addietro. Da quando il governo Craxi abolì la Scala Mobile che serviva ad adeguare, seppur parzialmente, gli stipendi al costo della vita è stato tutto un susseguirsi di decreti peggiorativi e che non hanno portato certo maggiore occupazione. I numeri del Jobs Act possono anche essere in positivo ma, proprio per i motivi di cui sopra, parliamo di contratti dove il potere che viene dato ai datori di lavoro (licenziare rischiando solo un indennizzo è sempre più economico che ritrovarsi il lavoratore in Azienda e continuare a pagarlo in futuro) è più alto di quelli stipulati in passato. Io almeno la vedo così. Mi fa cmq piacere aver stimolato te ed altre persone ad una sana e aperta discussione. Risponderò anche alle altre considerazioni nel pomeriggio. Mia moglie mi reclama…eheh

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Non lo è, appunto. Per questo le leggi elettorali provano ad assicurarsi di ciò. Se la verità non è più vera, le elezioni non sono più free and fair.

La seconda é che ci sono ormai prove lampanti che é possibile influenzare la scelta dell’elettorato tramite meccanismi simili a quelli usati per influenzare gli acquisti.

E secondo me lasciare che ciò avvenga e anticostituzionale o perlomeno illegale.

Si. Non tiene conto della realtà scientificamente comprovata… psicologia, sociologia… perciò è un modo benintenzionato di avviarsi verso l’inferno.

Quali siano i problemi del mondo del lavoro in Italia è da lustri che le associazioni di categoria lo ripetono, invano.

Dal punto di vista delle imprese, i problemi principali sono il cuneo fiscale e la difficoltà nel trovare lavoartori “skillati” (per usare un termine orrendo ma ormai di moda). Sul primo problema, va segnalato che durante il Governo Renzi le decontribuzioni (qui una spiegazione di come funzionavano) hanno funzionato, fintanto che sono durate. Da più parti è stato suggerito di provare a renderle permanenti, anziché a tempo (in quel caso tre anni); ed è stato anche suggerito da dove prendere i soldi per farlo, senza sfasciare i conti pubblici e fare ulteriore deficit: nella selva di agevolazioni fiscali note come tax expenditures. Solo che questa è la classica manovra non appariscente e non flokloristica, i cui effetti si vedono solo dopo un po’ di tempo; e in un Paese in perenne campagna elettorale, e in cui la gente vuole tutto e subito, chi governa preferisce Quota 100 o reddito di gigginanza.

Altro annoso problema è quello del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, secondo molti causato dalla pressoché totale disconnessione della scuola dal mondo reale (si veda questo articolo in proposito). In estrema sintesi, le imprese cercano ingegneri e trovano filosofi e gente laureata in scienze dell’educazione. Anche perché, come ha spiegato Boldrin svariate volte, l’impostazione della scuola superiore italiana, nonostante anni e anni di ripetute e incomplete riforme, è ancora fortemente classicista e d’ispirazione gentiliana. QUI per approfondire.

Parte di questo problema è anche nella mentalità della gente: la laurea continua ad essere vista come uno status symbol, nonostante esistano altre tipologie di istituti che vantano percentuali molto più rosee di iscritti occupati entro 1 anno dal conseguimento del titolo.

Mi riferisco in particolare agli ITS (in gergo burocratico “formazione terziaria professionalizzante”), a proposito dei quali su Fq Millennium di settembre 2018 c’era un illuminante articolo a firma di Chiara Brusini. In quell’articolo si spiega che:

  • solo lo 0,6% di ragazzi sceglie di frequentare un ITS dopo le superiori
  • la percentuale di occupati a un anno dal diploma è dell’82%.

Perché, dunque, così poca gente sceglie di andarci? La prima e ovvia ragione è che gli ITS in Italia sono pochi (solo 98 in tutto il Paese). Ma ci sono anche ragioni culturali. La giornalista fa notare che gli ITS sono ispirati alle Fachhohschulen tedesche; solo che là chi ne esce viene chiamato “Meister”, mentre da noi uscire da un istituto tecnico è da sfigati.

Aggiungo io che in Italia si tende a vedere come sterco del diavolo tutto ciò in cui entrano i privati. Giuridicamente gli ITS sono fondazioni, e spesso tra i soggetti fondatori di esse ci sono imprese. Ma imprese del calibro di Barilla o Ferrero. Dulcis in fundo, qui il 30% del tempo viene dedicato a tirocini in azienda. Altro che alternanza scuola lavoro.

Queste, a mio modesto avviso (ma soprattutto ad avviso di chi da anni ripete inascoltato questi concetti, con molta più autorevolezza del sottoscritto) sono le cause fondamentali della situazione occupazionale in Italia (in sintesi estrema: costo e qualità del lavoratore). Non gli unici, chiaramente: c’è la struttura produttiva del Paese, fatta perlopiù da imprese piccole/medie che operano in settori a bassa innovazione tecnologica (turismo, gastronomia). Di tutto ciò, però, i partiti che si sono alternati alla guida dell’Italia negli ultimi anni non si sono mai voluti occupare, con la parziale (e insufficiente nei mezzi e nei modi) eccezione del governo Renzi. Tutta l’attenzione si è concentrata sul tema “articolo 18 sì-no”, come se la licenziabilità del lavoratore fosse l’unica variabile in gioco.

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Questo dipende dal modello di società che scegli. Se per te il welfare va delegato alle aziende, in modello americano, allora ha senso costringerle a non licenziare. Ma il welfare è una funzione dello stato, che non deve imporre alle aziende procedure inefficienti per ottenere obiettivi che otterrebbe più facilmente da solo.

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La considerazione è esatta. Il problema infatti non lo vedo nella fattibilità in termini numerici ma in termini di potere. Al potere oligarchico fa comodo che le persone debbano sbattersi tutto il giorno per lavorare. Toglimi 8 ore per lavorare,una o due per andare su e giù dal lavoro, qualche altro impegno, mangiare, fare la spesa ecc. Aggiungi che 7 ore me le dovrò anche dormire e cosa mi rimane per poter discutere in questo forum? Un paio di mezzore al giorno se va bene. Al potere è comodo tenerci schiavi del reddito. Per questo vedo la lotta molto difficile. Non per questo bisogna arrendersi però eh? (mi riferivo al commento di LynX sulla fattibilità del Reddito di Esistenza)

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Si, certo, è ora di pensare alle professioni del futuro ma dovremo prima, diciamo così, inventarle no? e poi occuparci di formare le persone a quei lavori…Sarà necessario intanto chiedersi “come” si lavorerà in futuro per poi dare modo a tutti di accedere al mondo del lavoro in maniera qualificata. La cultura di base è importante ma la cultura specifica ancor di più.

Scusami ho dimenticato di scrivere la cosa forse più importante:

Il reintegro in aziende con meno di 15 dipendenti non c’era ne prima ne dopo il JobsAct. Anzi con il JobsAct invece di ricevere fra 2 e 6 mensilità, ne ricevi direttamente 6.

Secondo me su questo avrebbe dovuto combattere, ma ricordiamoci che quando si fanno le leggi devi accontentare anche l’opposizione.

Comunque il confronto di opinione rafforza i rapporti, ancora benvenuto e grazie per le pazienti risposte.

Si, certo, su questo non ho dubbi. Chi lavora in aziende con meno di 15 dipendenti è sempre con l’acqua alla gola e spesso non ha nemmeno una rappresentanza sindacale degna di questo nome a cui appoggiarsi. Sul funzionamento dei sindacati in Italia poi ci sarebbe tanto da discutere e credo sarà il caso di aprire un argomento a parte per non divagare da quello che desidero resti il punto fondamentale di questa discussione ovvero "come creare lavoro nei prossimi anni e, parallelamente, come realizzare un RdE che sostenga ogni persona nell’arco della sua vita. Riguardo il RdE leggevo l’articolo postato da qualcuno in questa conversazione riguardo la sua introduzione in via sperimentale in Finlandia. Posto in quei termini può essere funzionale ma bisogna vedere in che modo si svilupperebbe in Italia. Nel modo in cui è stato posto dal M5S ad es. faccio fatica a credere possa avere risultati di rilievo in futuro. La questione occupazionale dovrà, a mio parere, andare di pari passo con questo genere di progetti. Non possiamo adagiarci sul concetto che “tanto il lavoro manuale sarà sempre meno presente a causa dell’automazione” e pensare di risolvere ogni cosa con un RdE. Se il mondo del lavoro cambia bisogna essere pronti a cambiare (e a cambiarlo). Certo, non è facile ma bisogna cominciare da qualche parte. Mi piacerebbe che cominciassimo a proporre qualche nuova idea di professione del futuro magari sfruttando al meglio il potenziale offerto dalla rete (mi immagino ad es. un qualche tipo di telelavoro basato su economie alternative). Chi meglio dei Pirati può riuscire in questo?

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Sono le aziende che creano lavoro, e una domanda del genere é molto “larga”. Non possiamo definire noi i tipi di professioni che devono nascere. Piuttosto io mi appoggerei a eventuali studi che descrivono la situazione e potremmo avviare una riflessione su quello, per capire, partendo dalla situazione attuale, in quale direzione vorremmo camminare. Per quanto riguarda il “reddito di esistenza/cittadinanza/dignitá” io non lo collegherei alla tematica del lavoro quanto piuttosto a quella del welfare.

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Beh un po’ collegate lo sono: se non ho lavoro ho maggiore bisogno di welfare. Ma non voglio sottilizzare, l’idea di seguire degli studi sulla situazione la trovo percorribile. Hai qualche spunto per cominciare? Link utili ecc… Come vedi sono una persona molto pratica, eheh

Si, ma come materie sono diverse. Il lavoro serve a regolare il mondo del lavoro (scusa il gioco di parole), il welfare serve a regolare gli aiuti a chi ha bisogno.

Non é la mia materia, ma fare un ragionamento sul lavoro, senza definire i settori, i sistemi ai quali ci riferiamo (industriale, servizi, etc.) mi sembra una roba gigantesca. Se mi capitano davanti degli studi non mancheró di condividerli, ma secondo me ci conviene attaccare la materia partendo da qualcosa di piú specifico

Per questi ultimi temi consiglio vivamente l’ascolto del podcast dell’ultima puntata de I Conti della Belva (dal minuto 30). Ospite Udo Gümpel, corrispondente dalla Germania per diverse testate; ha spiegato la differenza tra il modo italiano di affrontare le crisi aziendali e il modo tedesco.

Riassunto: mentre da noi si cerca in tutti i modi di tenere in piedi aziende anche palesemente non più in grado di stare sul mercato (via sussidi pubblici), là il sostegno viene dato economicamente ai singoli individui; lo Stato ti dà un reddito per evitare che tu finisca a rovistare nei cestini, e intanto ti aiuta a riqualificarti per poterti ricollocare. Cosa importante, là -spiega Gumpel- i corsi di formazione fatti dai centri per l’impiego vengono fatti a seconda delle esigenze lato domanda: sono cioè le aziende a comunicare ai centri quali sono le figure professionali di cui hanno bisogno, ed è sulla base di queste informazioni che i centri organizzano i corsi.

La sfida, cioè, è nel passare dal sistema attuale in cui si tutela il posto di lavoro (inteso come quello specifico posto di lavoro in quella specifica azienda) ad uno in cui si tutela il lavoratore, aiutandolo a potersi riqualificare e passare da un impiego all’altro in breve tempo. Ovviamente tutto ciò non passa lontanamente per l’anticamera del cervello a Giggino o’Vicepremier, convinto che il mismatch tra domanda e offerta dipenda dall’incapacità dei centri per l’impiego, motivo per cui ha avuto questa pensata dei leggendari navigator

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Grazie Exekias, il link non è più attivo ma immagino tu intendessi “I conti della belva del giorno 08/06/2019: Crisi aziendali infinite - Cercasi navigator”. Me lo ascolerò appena ho un attimo. Se altri hanno suggerimenti ne sarò ben felice. Effettivamente è un argomento piuttosto ampio quello che ho messo in piedi, me ne rendo conto, ma che proprio per questo mi è sembrato giusto intraprendere. Se poi il discorso dovesse diventare troppo vago, al limite, vedrò di suddividerlo (o se vuole farlo qualcun altro) in argomenti più speciffici.

Nel nostro modello il welfare è garantito a prescindere da quanto lavoro tu abbia o voglia avere. Poi ogni lavoro è un extra in reddito, ma mai inteso a garantire da solo la tua sussistenza.

In questo l’RdE è radicalmente diverso dalle altre proposte discusse in Italia.

Infatti la proposta del M5S non mi piaceva, era a dir poco incompleta…

Interessante la discussione su “I conti della belva”. Interessante anche il commento del conduttore che, pur elogiando il modello tedesco, specifica che comunque “le politiche ATTIVE del lavoro sono la vera risposta. Se non si fa politica attiva per il lavoro con strumenti efficaci, con domanda e offerta che funzionino, con riqualificazione e formazione per chi ne ha bisogno, le persone non saranno nemmeno invogliate a cercare lavoro e si attaccheranno a reddito di cittadinanza e/o sussidi” magari (aggiungo io) arrotondando con qualche lavoretto in nero. Ribadisco il mio concetto: creare occupazione (qualificando contemporaneamente le persone, certo) è un passo fondamentale per il futuro di questo paese.