Si, certo, è ora di pensare alle professioni del futuro ma dovremo prima, diciamo così, inventarle no? e poi occuparci di formare le persone a quei lavori…Sarà necessario intanto chiedersi “come” si lavorerà in futuro per poi dare modo a tutti di accedere al mondo del lavoro in maniera qualificata. La cultura di base è importante ma la cultura specifica ancor di più.
Scusami ho dimenticato di scrivere la cosa forse più importante:
Il reintegro in aziende con meno di 15 dipendenti non c’era ne prima ne dopo il JobsAct. Anzi con il JobsAct invece di ricevere fra 2 e 6 mensilità, ne ricevi direttamente 6.
Secondo me su questo avrebbe dovuto combattere, ma ricordiamoci che quando si fanno le leggi devi accontentare anche l’opposizione.
Comunque il confronto di opinione rafforza i rapporti, ancora benvenuto e grazie per le pazienti risposte.
Si, certo, su questo non ho dubbi. Chi lavora in aziende con meno di 15 dipendenti è sempre con l’acqua alla gola e spesso non ha nemmeno una rappresentanza sindacale degna di questo nome a cui appoggiarsi. Sul funzionamento dei sindacati in Italia poi ci sarebbe tanto da discutere e credo sarà il caso di aprire un argomento a parte per non divagare da quello che desidero resti il punto fondamentale di questa discussione ovvero "come creare lavoro nei prossimi anni e, parallelamente, come realizzare un RdE che sostenga ogni persona nell’arco della sua vita. Riguardo il RdE leggevo l’articolo postato da qualcuno in questa conversazione riguardo la sua introduzione in via sperimentale in Finlandia. Posto in quei termini può essere funzionale ma bisogna vedere in che modo si svilupperebbe in Italia. Nel modo in cui è stato posto dal M5S ad es. faccio fatica a credere possa avere risultati di rilievo in futuro. La questione occupazionale dovrà, a mio parere, andare di pari passo con questo genere di progetti. Non possiamo adagiarci sul concetto che “tanto il lavoro manuale sarà sempre meno presente a causa dell’automazione” e pensare di risolvere ogni cosa con un RdE. Se il mondo del lavoro cambia bisogna essere pronti a cambiare (e a cambiarlo). Certo, non è facile ma bisogna cominciare da qualche parte. Mi piacerebbe che cominciassimo a proporre qualche nuova idea di professione del futuro magari sfruttando al meglio il potenziale offerto dalla rete (mi immagino ad es. un qualche tipo di telelavoro basato su economie alternative). Chi meglio dei Pirati può riuscire in questo?
Sono le aziende che creano lavoro, e una domanda del genere é molto “larga”. Non possiamo definire noi i tipi di professioni che devono nascere. Piuttosto io mi appoggerei a eventuali studi che descrivono la situazione e potremmo avviare una riflessione su quello, per capire, partendo dalla situazione attuale, in quale direzione vorremmo camminare. Per quanto riguarda il “reddito di esistenza/cittadinanza/dignitá” io non lo collegherei alla tematica del lavoro quanto piuttosto a quella del welfare.
Beh un po’ collegate lo sono: se non ho lavoro ho maggiore bisogno di welfare. Ma non voglio sottilizzare, l’idea di seguire degli studi sulla situazione la trovo percorribile. Hai qualche spunto per cominciare? Link utili ecc… Come vedi sono una persona molto pratica, eheh
Si, ma come materie sono diverse. Il lavoro serve a regolare il mondo del lavoro (scusa il gioco di parole), il welfare serve a regolare gli aiuti a chi ha bisogno.
Non é la mia materia, ma fare un ragionamento sul lavoro, senza definire i settori, i sistemi ai quali ci riferiamo (industriale, servizi, etc.) mi sembra una roba gigantesca. Se mi capitano davanti degli studi non mancheró di condividerli, ma secondo me ci conviene attaccare la materia partendo da qualcosa di piú specifico
Per questi ultimi temi consiglio vivamente l’ascolto del podcast dell’ultima puntata de I Conti della Belva (dal minuto 30). Ospite Udo Gümpel, corrispondente dalla Germania per diverse testate; ha spiegato la differenza tra il modo italiano di affrontare le crisi aziendali e il modo tedesco.
Riassunto: mentre da noi si cerca in tutti i modi di tenere in piedi aziende anche palesemente non più in grado di stare sul mercato (via sussidi pubblici), là il sostegno viene dato economicamente ai singoli individui; lo Stato ti dà un reddito per evitare che tu finisca a rovistare nei cestini, e intanto ti aiuta a riqualificarti per poterti ricollocare. Cosa importante, là -spiega Gumpel- i corsi di formazione fatti dai centri per l’impiego vengono fatti a seconda delle esigenze lato domanda: sono cioè le aziende a comunicare ai centri quali sono le figure professionali di cui hanno bisogno, ed è sulla base di queste informazioni che i centri organizzano i corsi.
La sfida, cioè, è nel passare dal sistema attuale in cui si tutela il posto di lavoro (inteso come quello specifico posto di lavoro in quella specifica azienda) ad uno in cui si tutela il lavoratore, aiutandolo a potersi riqualificare e passare da un impiego all’altro in breve tempo. Ovviamente tutto ciò non passa lontanamente per l’anticamera del cervello a Giggino o’Vicepremier, convinto che il mismatch tra domanda e offerta dipenda dall’incapacità dei centri per l’impiego, motivo per cui ha avuto questa pensata dei leggendari navigator
Grazie Exekias, il link non è più attivo ma immagino tu intendessi “I conti della belva del giorno 08/06/2019: Crisi aziendali infinite - Cercasi navigator”. Me lo ascolerò appena ho un attimo. Se altri hanno suggerimenti ne sarò ben felice. Effettivamente è un argomento piuttosto ampio quello che ho messo in piedi, me ne rendo conto, ma che proprio per questo mi è sembrato giusto intraprendere. Se poi il discorso dovesse diventare troppo vago, al limite, vedrò di suddividerlo (o se vuole farlo qualcun altro) in argomenti più speciffici.
Nel nostro modello il welfare è garantito a prescindere da quanto lavoro tu abbia o voglia avere. Poi ogni lavoro è un extra in reddito, ma mai inteso a garantire da solo la tua sussistenza.
In questo l’RdE è radicalmente diverso dalle altre proposte discusse in Italia.
Infatti la proposta del M5S non mi piaceva, era a dir poco incompleta…
Interessante la discussione su “I conti della belva”. Interessante anche il commento del conduttore che, pur elogiando il modello tedesco, specifica che comunque “le politiche ATTIVE del lavoro sono la vera risposta. Se non si fa politica attiva per il lavoro con strumenti efficaci, con domanda e offerta che funzionino, con riqualificazione e formazione per chi ne ha bisogno, le persone non saranno nemmeno invogliate a cercare lavoro e si attaccheranno a reddito di cittadinanza e/o sussidi” magari (aggiungo io) arrotondando con qualche lavoretto in nero. Ribadisco il mio concetto: creare occupazione (qualificando contemporaneamente le persone, certo) è un passo fondamentale per il futuro di questo paese.