In futuro, quando qualche studioso traccerà la storia dell’idea di aterritorialismo o di governi post-territoriali, farà probabilmente riferimento a questo saggio, oltre al classico testo di De Puydt sulla Panarchia e agli scritti e alle attività di quella mente geniale che è John Zube. Cantoni Virtuali presenta l’inizio dell’idea di aterritorialismo (la fine della sovranità centralistica e monopolistica dello stato) nella maniera più chiara possibile. Se si legge questo saggio, è difficile non essere convinti dalla proposta, a meno di non appartenere all’elite dominante (o di sperare di farne parte prima o poi). Se la politica fosse una attività scientifica, l’esperimento dei Cantoni Virtuali sarebbe stato effettuato molto tempo fa. Invece, essendo la politica il regno delle formule magiche, delle fedi irrazionali e degli interventi disastrosi, è solo con il superamento della politica e del suo pesante carico di idiozie che sarà possibile sperimentare e mettere in atto forme alternative di organizzazione sociale.
Il problema della struttura
Come apparirebbe la costituzione di una nazione libera? Tentando di rispondere a questa domanda pensiamo subito in termini di una Carta dei Diritti, di limitazioni al potere del governo, e così via. E qualsiasi costituzione degna di essere introdotta includerebbe questi aspetti. Ma se una costituzione deve essere qualcosa di più di un elenco di pii desideri, deve anche specificare la struttura politica necessaria ad assicurare che queste libertà non siano erose o ignorate. Si consideri la Costituzione della vecchia Unione Sovietica, che garantiva ogni sorta di libertà altisonanti per i propri cittadini - ma che in pratica si è rivelata essere un insieme di vuote promesse, dal momento che la sua interpretazione e attuazione rimanevano nelle mani di uno stato centrale monolitico e assoluto.
Delineare una costituzione è un esercizio di economia della scelta pubblica; i politici reagiscono agli incentivi, e per questo la struttura di incentivi politici deve essere disegnata in modo tale che coloro che rivestono posizioni di comando non possano approfittare di una crescita del potere statale.
Questo era l’intento di coloro che redassero la Costituzione degli Stati Uniti d’America quando misero in atto il sistema federale. Si voleva che ogni ramo del governo fosse geloso degli altri rami, e quindi avesse interesse a controllarne l’espansione. Al tempo stesso, l’ampia base di coloro che erano rappresentati doveva assicurare che nessun interesse particolare riuscisse a manipolare il governo.
Come abbiamo da tempo imparato a nostre spese, l’esperimento si è dimostrato fallimentare. Madison e i suoi colleghi non poterono prevedere il processo di reciproco scambio di favori attraverso il quale i rami del governo e gli interessi particolari (“le fazioni”) che avrebbero dovuto controllarsi di continuo a vicenda hanno invece fatto spazio alle reciproche cupidigie in cambio di reciproche concessioni. Eppure qualcuno vide in anticipo il pericolo; un poeta anti-federalista, lamentando la recente ratifica della Costituzione, scrisse: In five short years, of freedom weary grown, We quit our plain republics for a throne; Congress and President full proof shall bring A mere disguise for Parliament and King.
In cinque brevi anni, logorando la libertà Lasciammo la repubblica per abbracciare sua maestà; Il Congresso e il Presidente la prova arrecheranno che del Parlamento e del Re la copia diverranno. E così l’agile confederazione divenne un Leviatano imperiale enorme.
Decentralizzare!
Thomas Jefferson formulò molte passaggi interessanti sui diritti naturali dell’essere umano. Ma quando gli fu chiesto di esprimere in sintesi la sua filosofia politica, egli replicò che poteva essere contenuta in una affermazione: “Dividi le regioni in sezioni.” In altre parole: decentralizza, decentralizza, decentralizza!
Esistono parecchi vantaggi che derivano da una decentralizzazione politica intesa come limiti strutturali al potere del governo. Immaginiamo un paese delle dimensioni degli Stati Uniti con solo cinque stati. Adesso immaginiamo lo stesso paese con 500 stati. A parità di condizioni, la seconda situazione ha molte più probabilità di essere favorevole alla libertà che non la prima. Quanto più piccola è l’unità politica, tanto maggiore è l’influenza che può avere ogni singolo cittadino in politica, diminuendo in tal modo il vantaggio che i gruppi di pressione organizzati hanno nei confronti del pubblico in generale. Inoltre, crescendo il numero di giurisdizioni politiche alternative in rapporto alle persone, l’opzione di fuoriuscita da una di esse da parte del cittadino assume un peso notevole. La libertà di abbandonare uno stato è molto ridotta se esistono solo pochi altri stati dove andare; ma, con un numero elevato di stati, la probabilità di trovare una destinazione soddisfacente cresce di molto.
In aggiunta a ciò, la concorrenza tra gli stati può servire da freno al potere dello stato, dal momento che se uno stato diventa troppo oppressivo i cittadini possono votare la sfiducia andandosene. Inoltre, la decentralizzazione attenua l’impatto degli errori del governo. Se un singolo governo centralizzato decide di attuare un qualche piano mal congegnato, tutti ne soffrono. Ma con molti stati che attuano politiche differenti, un provvedimento cattivo può essere evitato mentre una misura positiva può essere copiata. (Anche in questo caso la concorrenza può servire come un processo di scoperta).
La struttura federale degli Stati Uniti, per quanto imperfetta, può ben spiegare perché tale paese non è scivolato così rapidamente nel socialismo statalista come i paesi Europei – questo perché i cittadini di ogni stato americano godevano della libertà di movimento su tutto il territorio federale mentre questo non era il caso nella maggior parte degli stati europei. (Cinquanta stati è certamente meglio che un solo stato - sebbene questa situazione si discosti parecchio dalla concezione Jeffersoniana che sei miglia quadrate fosse la dimensione ottimale per una unità politica all’interno di una repubblica). E il sistema Svizzero dei cantoni, che è ancora più decentralizzato, ha senza dubbio giocato un ruolo simile nel preservare la libertà di cui godono gli Svizzeri. (Il libro di Frances Kendall e Leon Louw, After Apartheid, ha aiutato a porre all’attenzione dei gruppi libertari l’utilità di un sistema basato sui cantoni per i paesi lacerati da conflitti etnici; ma l’attrazione di tale modello non si limita a questi casi).
Case mobili e paesaggi vuoti
La costituzione di una nazione libera, quindi, dovrebbe essere caratterizzata molto probabilmente da un decentramento radicale della struttura di potere, in linea con il sistema cantonale. Ma si potrebbero apportare dei miglioramenti al sistema Svizzero? Io penso di sì.
L’esistenza di una effettiva concorrenza tra giurisdizioni politiche è inversamente proporzionale ai costi di passaggio da una giurisdizione all’altra. Il Massachusetts è in competizione giurisdizionale con lo stato confinante del New Hampshire, ma la competizione è di gran lunga minore nei confronti di uno stato lontano come l’Alaska, dal momento che il costo di rifiutare le politiche dello stato in cui si abita trasferendosi sotto un’altra giurisdizione è, nel secondo caso, molto più elevato. (Lo stesso è vero a livello internazionale; non ci sono segreti riguardo al perché i rifugiati Cubani e Haitiani cercano di arrivare a Miami piuttosto che a Ginevra). E anche quando la giurisdizione alternativa è vicina, i costi di trasferimento non sono proprio irrisori. Staccarsi da una località e forse anche dai propri cari per andare a vivere in un altro stato può essere un fatto costoso in termini sia finanziari che emotivi.
Il costo elevato del trasferimento risulta dal fatto che le giurisdizioni politiche corrispondono a regioni geografiche, e la ricollocazione geografica non è sempre possibile. E tuttavia un sistema decentralizzato serve come un freno più effettivo alla crescita del potere statale in quanto riduce i costi di trasferimento verso un’altra giurisdizione vicina. Per questo, appare desiderabile scindere la giurisdizione politica dalla localizzazione geografica.
David Friedman presenta un ipotetico esempio: “Immagina come sarebbe il nostro mondo se i costi di trasferimento da un paese all’altro fossero zero. Tutti vivono in una casa su ruote e parlano la stessa lingua. Un bel giorno il presidente della Francia annuncia che, a causa di contrasti con i paesi vicini, nuove tasse a favore dell’esercito saranno introdotte e l’arruolamento in massa inizierà in tempi brevi. Il mattino seguente il presidente della Francia si trova a presiedere un territorio pacifico ma privo di popolazione, avendo tutti fatto i bagagli ad eccezione del presidente, di tre generali e ventisette corrispondenti di guerra.” (The Machinery of Freedom, seconda edizione, p. 123).
Se le persone potessero passare da una giurisdizione all’altra senza muoversi di località, avremmo l’equivalente funzionale di quello che David Friedman immagina. La concorrenza tra le giurisdizioni sarebbe più alta, e la quota di interferenza da parte dello stato che le persone tollererebbero sarebbe più bassa rispetto ad un sistema politico in cui la giurisdizione e la localizzazione geografica sono collegati.
Il Caso dell’Islanda
Ci sono alcuni precedenti storici di questa idea. Per prendere un esempio famoso, la libera Comunità Islandese (930-1262) operava attraverso il sistema della “Cosa” [Thing]. Una “Cosa” era una corte o assemblea. (La parola inglese “thing” aveva all’origine anche questo significato; quando Amleto dice: “The play’s the thing wherein I’ll catch the conscience of the King” (“La rappresentazione è la cosa attraverso cui catturerò la coscienza del re”) il gioco di parole ha effetto perché al tempo di Shakespeare la parola “thing” (cosa) iniziava ad avere il significato moderno, ma conservava ancora le connotazioni precedenti di procedimento giudiziario teso a stabilire la colpevolezza o l’innocenza.) L’assemblea legislativa nazionale, con il concomitante apparato nazionale di giustizia, era chiamato la Cosa-Complessiva (the All-Thing); al di sotto di essa vi erano quattro Cose-Quarte (Quarter-Things) in corrispondenza delle quattro regioni geografiche dell’Islanda. Ma a questo punto il legame tra geografia e giurisdizione finiva.
Sotto ogni Cosa-Quarta vi erano tre o quattro Quartine (Varthings) e assegnate a ciascuna di esse vi erano tre Corti (Things). Gli abitanti di un Quarto erano liberi di scegliere di far parte di qualsiasi delle nove o dodici Corti che erano collegate (attraverso le Quartine) alla loro Regione (la Quarter-Thing).
L’appartenenza ad una Corte (Thing) determinava chi fosse il tuo Godhi o capo; un Godhi proteggeva i suoi Soggetti (Thingmen) contro le minacce locali, nominava i giudici reclutati all’interno della Cosa per amministrare la giustizia, e rappresentava i suoi Soggetti nell’Assemblea nazionale. In cambio, i Soggetti del Godhi pagavano contributi e adempivano vari favori. Un Soggetto poteva trasferire la propria appartenenza da una Corte all’altra semplicemente facendo una dichiarazione pubblica di fronte ad un testimone. Dal momento che il costo di trasferimento della propria fedeltà ad un altro Capo era di molto inferiore al caso in cui le Corti fossero state entità puramente territoriali, la concorrenza tra Capi mise un freno alla possibilità che ciascun Capo opprimesse i suoi Soggetti troppo severamente o domandasse eccessivi favori o tributi! Questo sistema decentralizzato sembra essere stato abbastanza efficace. La libera Comunità Islandese alla fine cadde preda della centralizzazione, ma ci vollero trecento anni perché ciò avvenisse; per gli Stati Uniti d’America ce ne sono voluti molti meno.
(Per maggiori informazioni sul sistema Islandico si veda Jesse Byock, Medieval Iceland, William Miller, Bloodtaking and Peacemaking, e David Friedman “Private Creation and Enforcement of Law: A Historical Case” (Journal of Legal Studies n°8, 1979). Per una rassegna storica di sistemi similari si veda Bruce Benson, Enterprise of Law, e i saggi bibliografici di Tom Bell e Albert Loan in Humane Studies Review, vol. 7, no. 1, 1991/92.)
I Cantoni Virtuali
Il caso dell’Islanda ha rappresentato un modello popolare tra i libertari favorevoli al libero mercato. Ma è importante rendersi conto che offre validi insegnamenti anche a coloro che si interessano di governabilità. All’interno dell’inquadramento di uno stato, lo scindere la giurisdizione dalla localizzazione geografica non costituisce una opzione a livello nazionale; ma rimane una scelta del tutto possibile a livello locale. Come una nazione può essere divisa in molti cantoni geograficamente distinti ai fini del governo locale e della rappresentanza nazionale, così potrebbe anche essere divisa in unità politiche omogenee che non avrebbero significato territoriale. Questi potrebbero essere chiamati “cantoni virtuali”.
Due funzioni dei Cantoni Virtuali
Alla pari delle Assemblee Islandesi (Icelandic Things) i cantoni virtuali hanno due funzioni: quella di rappresentazione a livello nazionale e quella di governo a livello locale (il termine “locale” è utilizzato nel senso di struttura e non ha connotazioni geografiche).
Nel primo caso, ogni cantone virtuale invia un rappresentante al Parlamento nazionale. I cittadini sarebbero sempre liberi di aderire ad un altro cantone, senza per questo dover cambiare di residenza; sarebbe come vivere a New York e, al tempo stesso, scegliere di essere rappresentati da un senatore dell’Arizona. Sarebbe anche consigliabile una clausola della costituzione che consenta a qualsiasi gruppo di cittadini al di sopra di un certo numero di formare un nuovo cantone. (L’assenza di questo aspetto cruciale si dimostrò una omissione grave all’interno del sistema islandese: dal momento che i Godhordh, o seggi parlamentari, erano beni commerciabili, divenne alla fine possibile per un ristretto numero di famiglie (che avevano ottenuto la loro ricchezza attraverso la riscossione di tasse che, a differenza delle quote che andavano ai Godhi (Capi), non erano legate a qualsiasi funzione di responsabilità - risultato della conversione coatta dell’Islanda al Cristianesimo) comperare questi seggi e monopolizzare il Parlamento. La costituzione Islandese non prevedeva la formazione di nuovi Godhordh per contrastare questa minaccia.)
A livello “locale” ogni cantone virtuale adotterebbe le proprie leggi e si occuperebbe della loro attuazione. I cittadini sarebbero soggetti alle leggi del Parlamento nazionale e a quelle del proprio cantone, ma non a quelle di altri cantoni. Un compito essenziale del governo nazionale sarebbe quello di regolare i rapporti tra cantoni, formulando linee guida per la risoluzione di controversie tra membri dei diversi cantoni, risolvendo conflitti tra leggi di differenti cantoni, e così via. Ma all’interno del quadro nazionale, esisterebbe libera concorrenza tra i cantoni virtuali.
Questa concorrenza arrecherebbe molti benefici. La minaccia di perdere “clienti” spingerebbe le tasse e lo spreco di denaro pubblico molto al di sotto dei livelli attuali esistenti in regime di monopolio. La presenza di alternative ridurrebbe anche l’incidenza dell’oppressione governativa collegando la tassazione con la responsabilità. (Immaginate ad esempio quanto rapidamente il Dipartimento di Polizia di Los Angeles avrebbe perso i suoi clienti dopo il pestaggio di Rodney King se agenzie rivali di protezione esistenti nella zona fossero entrate in concorrenza presso il pubblico.)
Un sistema di cantoni virtuali è anche molto più giusto di un sistema di semplice maggioranza. In base alla regola della maggioranza, se il 51% della popolazione è a favore della legge X e il 49% è per la legge Y, allora la legge X è imposta a tutti, inclusa la minoranza dissenziente. Detto altrimenti, la regola della maggioranza crea degli effetti esterni negativi per la minoranza. Un sistema di cantoni virtuali contribuirebbe a internalizzare queste esternalità: la minoranza opposta alla legge X non deve necessariamente esserne soggetta, ma può invece aderire a un cantone virtuale che ha adottato la legge Y. Coloro che hanno la maggioranza non possono arruolare a forza la minoranza di modo che appoggi i suoi progetti (o viceversa), ma deve sopportare direttamente su di sé l’intero costo del progetto.
I cantoni virtuali consentono anche di porre sotto controllo i capoccia locali meglio dei sistemi decentralizzati. In un sistema territoriale, coloro che sono in una data regione geografica possono trovare che votare la sfiducia andandosene a vivere in un’altra regione potrebbe essere estremamente costoso, e devono quindi sopportare qualsiasi misura il governo locale decida di imporre; la possibilità di cambiare cantone senza cambiare di residenza offre l’equivalente funzionale di votare contro un governo senza dover andare in un altro paese, e questo a un prezzo molto più basso. In generale, i cantoni virtuali fornirebbero controlli e contrappesi molto più effettivi di quelli offerti dai tre rami del governo (esecutivo, legislativo, giudiziario) nel sistema federale, proprio a causa delle possibilità di competizione (di cui non v’è traccia nel sistema federale) che permette di aderire ad un altro cantone o di formarne di nuovi.
Il sistema dei cantoni virtuali risolve anche problemi di informazione: tenderanno i cantoni a suddividersi in base a frontiere geografiche oppure no? cambieranno essi notevolmente quanto a dimensioni? quanti cantoni ci sarebbero alla fine? La concorrenza aiuterebbe a determinare la soluzione ottimale che risponde ai bisogni dei cittadini.
Il Governo Nazionale
Il governo nazionale ha un ruolo essenziale da svolgere nel coordinare le politiche dei vari cantoni. E, nonostante ciò, i suoi poteri devono essere rigorosamente ridotti, altrimenti l’intero obiettivo del decentramento non sarà realizzato. Se il governo nazionale, piuttosto che i cantoni, è il luogo principale dove si prendono le decisioni, allora la concorrenza tra giurisdizioni diventa priva di valore, e i cantoni degenererebbero in raggruppamenti di interessi particolari in gara per conquistarsi il potere centrale. Per questo i poteri nazionali devono essere più severamente limitati (non già attraverso buone intenzioni scritte su carta, ma strutturalmente) dei poteri dei cantoni, in modo da indirizzare le eventuali controversie verso il basso, a livello cantonale (e quindi verso il mercato concorrenziale).
Ci sono molti modi per realizzare ciò: limiti severi all’esercizio del potere, super-maggioranze come condizione per la presa di decisioni, un potere esecutivo pluralistico, ecc. Un suggerimento promettente, avanzato da Robert Heinlein nel suo racconto The Moon is A Harsh Mistress, sarebbe quello di un Parlamento composto da due Camere: una Camera in cui si richiedono i due terzi dei voti per far passare una legge, un’altra in cui è sufficiente un terzo dei voti per cancellare una legge. Sarebbe soprattutto utile che la prima fosse composta di rappresentanti dei cantoni (assicurando così la massima partecipazione dei vari gruppi di interesse al processo legislativo) e l’altra da rappresentanti eletti dal popolo (attuando in tal modo il principio sostenuto da Isabel Paterson in The God of the Machine, che ogni regime politico stabile deve garantire un canale ufficiale perché le masse esercitino il diritto di veto).
Un governo centrale debole e cantoni virtuali floridi potrebbe essere il modo per unire il meglio dell’anarchia e di un governo limitato.
Roderick T. Long