Pubblico un piccolo estratto da uno scirtto di Murray Bookchin, contenuto nel volume:democrazia diretta,credo sia interessante perché tratta alcune questioni di cui abbiamo parlato nel forum negli ultimi giorni.
"Un potere che non sia nelle mani della gente è un potere delegato allo Stato e, inversamente, ogni potere detenuto dalla gente è un potere strappato allo Stato. Dove c’è potere non può esistere alcun vuoto istituzionale: o è nelle mani della gente o è nelle mani dello Stato. Laddove esista una cogestione del potere, tale situazione è temporanea ed estremamente precaria: presto o tardi il controllo della società e del suo destino finirà verso la base, nelle mani della gente e delle comunità, oppure verso il vertice, nelle mani dei professionisti di Stato. Solo se l’intera struttura piramidale verrà disgregata, se la gerarchia verticale verrà sostituita dall’ecocomunità orizzontale, si eclisserà il principio del dominio, sostituito dal principio di complementarietà e dalla partecipazione.È necessario, tuttavia, intendere il potere nella sua concretezza, nella sua solidità e tangibilità, e non solo a livello spirituale e psicologico. Ignorare il fatto che il potere è un fatto muscolare della vita significa scivolare in una dimensione illusoria, impalpabile, che non tiene conto della sua concreta influenza nel determinare il destino della società. Intendo dire che se la gente riconquista il potere dallo Stato è necessario deprofessionalizzare la gestione della società fin dove è possibile, cioè semplificare e rendere trasparente, chiara, accessibile e dunque gestibile dai comuni cittadini la maggior parte della cosa pubblica.(…).
Un programma che miri a restaurare, ampliato, il senso classico di «politica» e «cittadinanza» deve innanzi tutto indicare chiaramente cosa questi non sono proprio per la confusione che impregna i due termini. È opportuno ribadire che politica non è statualità e che i cittadini non sono elettori. La statualità consiste in una serie di funzioni strettamente esercitate dallo Stato: il monopolio della violenza, il controllo dell’intero apparato normativo attraverso i corpi giuridici e giudiziari, il governo della società attraverso i professionisti del corpo legislativo, dell’esercito, delle forze di polizia, dei burocrati, e i professionisti sussidiari quali avvocati, insegnanti, tecnici, ecc. La statualità assume una patina politica quando i cosiddetti partiti «politici» tentano, con vari giochi di potere, di occupare le cariche che attengono alla politica statuale e alla sua gestione. Questo genere di politica ha una specificità ai limiti della noia. Un partito politico costituisce di norma una gerarchia fortemente strutturata, provvista di un apparato che si muove dall’alto verso il basso simile a uno Stato in miniatura; in alcuni paesi, come l’ex Unione Sovietica, costituiva lo Stato stesso. Il modello sovietico di Stato inverato dal partito è semplicemente un’estensione logica, in quanto ogni patto ha radici nello Stato e non nella popolazione. Non c’è nulla di autenticamente politico in questo fenomeno; anzi, per la precisione, l’obiettivo è di frenare il corpo politico, controllarlo e manipolarlo, non esprimerne la volontà né consentire che esso stesso la esprima. In nessun senso il partito politico tradizionale proviene dal corpo politico o ne è costituito. I partiti politici sono repliche dello Stato quando sono fuori dal potere, e sinonimi dello Stato quando ne sono dentro. Si formano per mobilitare, per dirigere, per conquistare il potere e gestirlo, e sono quindi tanto inorganici quanto lo Stato stesso: un’escrescenza della società senza alcuna rispondenza al di là dei bisogni di fazione, di potere e di mobilitazione. La politica, invece, è un fenomeno organico nel senso che è l’espressione di un corpo pubblico – di una comunità, se preferite – in cui è radicata proprio come una pianta è radicata e si alimenta nella terra. L’agire politico implica un discorso razionale, la condivisione del potere, l’esercizio di una ragione pratica e il suo compimento in un’attività realmente partecipativa.(…).
I movimenti politici, nel senso autentico della parola, nascono invece dallo stesso corpo politico e i loro programmi sono in gran parte formulati non tanto dai pensatori, per quanto preziosi questi possano essere, ma dalla gente stessa che gioca un ruolo attivo nella loro formulazione e diffusione.(…) Al contrario di quanto si vuol far credere, esiste una capacità pubblica di creare proprie istituzioni politiche e proprie forme organizzative. Le insurrezioni popolari del ventesimo secolo in Russia, Germania, Spagna e, più tardi, in Ungheria hanno reso evidente una diffusa auto-organizzazione delle popolazioni in consigli (alcuni dei quali collegati in congressi regionali e nazionali), in assemblee popolari e in municipalità autonome, spesso senza la guida di alcun partito. Il concetto, così comune lungo tutto lo spettro politico, che un partito strutturato per linee gerarchiche e con una forte direzione sia indispensabile per il cambiamento politico è, nei fatti, smentito dall’esperienza. Roberto Michels, nonostante il pregiudizio sulle capacità delle masse (nel suo La sociologia del partito politico nella democrazia moderna) e la predilezione per i leader carismatici, offre una spiegazione convincente sugli effetti inerziali dei partiti politici tradizionali nelle fasi di trasformazione sociale accelerata. Essi tendono a prendere il sopravvento sulle istituzioni create dal basso e in ultima analisi le rimodellano secondo criteri statuali."