E se lo Stato acquistasse i brevetti (anziché espropriarli come propone il programma)?

Perché viviamo in uno stato di diritto e perciò la magistratura garantisce una giusta compensazione, almeno ci prova. Perciò può essere un esito molto favorevole per un scienziato che ha le idee ma non la competenza a farsi il marketing. Dato che lo Stato regola il mercato, il mercato non può garantire giustizia quando ci sta di mezzo lo Stato.

Semplicemente i brevetti verrebbero registrati all’estero.

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Di conseguenza avviene quel che avviene: che quando gli stati percepiscono la necessità di ignorare i brevetti, lo fanno. Forse è peggio, se i magistrati non vengono consultati.

Uno delle ingiustizie che vi sono ad oggi nel mondo della ricerca è quello per cui ad arricchirsi non sono i ricercatori, spesso sottopagati, ma l’azienda che ha finanziato il progetto. Sono relativamente pochi ormai gli scienziati (inventori), che producono brevetti (invenzioni) lavorando soli od in piccole equipe. L’iniziativa del singolo in tanti ambienti , vuoi per il costo delle apparecchiatura, vuoi per le difficoltà intrinseche, vuoi per le tempistiche, sono di fatto inesistenti.

Nel sistema odierno ,quindi, lo stato non acquisterebbe il brevetto da un piccolo gruppo di brillanti menti , indecisi o meno sul futuro della loro creatura, ma da giganti del business delle scienze…già oggi questa strada è percorribile , ma essendo economica per lo stato , non lo è ,per complementarietà , per i produttori

Il ricorso all’esproprio quindi è legittimo e sano e ad oggi è l’unica arma a disposizione contro lo strangolamento del mercato; In un ottica generale ,però, la miglior strada da percorrere sarebbe quella di creare un mercato mondiale soggetto alle medesime normative, relazionando la durata dei brevetti, al quantitativo di utile prodotto.; Vi faccio un esempio in campo medico, dove sono più competente: Coloro che investissero nella ricerca ed elaborassero terapie contro la SLA , malattia rara, avrebbero si pochi utili , ma godrebbero di brevetti a lunga durata, ; colore che invece investissero nella ricerca contro il diabete, con un bacino gigantesco ed in aumento di pazienti, godrebbero invece sì di vertiginosi guadagni, ma licenze a breve scadenza

Nel contempo io credo in una sana convivenza fra realtà pubbliche e private: all’interno dei centri di ricerca universitari ( ad oggi ancora in molti campi una eccellenza) lo stato potrebbe decidere di premiare le singole equipe che ottengano risultati con forti bonus economici , in concorrenza con il privato che invece , a risultato ottenuto, tende a premiare l’azionariato. Si innescherebbero così circoli virtuosi ed un fiorire del progresso: si farebbe di nuovo un po di strada alla ricerca libera, che non ha scadenze, che indaga per conoscere e non per vendere.

Vero è che a oggi un mercato sano regolato da enti mondiali sembra un utopia, ma ricordiamo che già a Ginevra con il CERN si è assistito ad un interessantissima e spontanea “continetantalizzazione” della ricerca che ha dato risultati eccellenti , senza soffocare il mondo “privato”. Questi risultati sono frutto degli sforzi collettivi dell’Europa in termine di risorse ed in termini di menti;

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Brevetti e copyright con tetto di profitto: non puoi guadagnare all’infinito dalla tua proprietà intellettuale, perché essa diventa bene comune dell’umanità. Arrivato all’equa compensazione del lavoro svolto, il bene diventa proprietà dell’umanità.

Istituti scientifici statali possono accelerare il raggiungimento del tetto mettendo soldi sui progetti più interessanti.

Chi fissa il tetto? immagino una commissione dove siano rappresentati gli interessi del lavoratore/inventore, gli interessi dei cittadini/utenti, gli interessi dello Stato/finanziatore.