Fattibilità del reddito di esistenza

Effettivamente il RdE, a seguito di questi confronti, ritengo sia piú sicuro e funzionale, se il problema è solo il finanziamento, quello si risolve, 45 o anche 50 miliardi di euro sono una cifra impegnativa, ma non impossibile. Inoltre, forse ho ecceduto con la quantificazione del reddito base, magari è un po’ piú contenuto; ed ancora il finanziamento è in parte già coperto da semplici spostamenti di destinazione.

  • Gli impiegati statali sono finanziati con 85 miliardi di euro. Siccome le aziende potrebbero pagare meno i lavoratori (che tanto arriverebbero ad accumulare stipendi in linea o poco maggiori di quelli attuali), anche lo Stato può pagare meno i suoi dipendenti, in realtà, il risultato è che non cambia sostanzialmente nulla ai dipendenti statali. Gli 85 miliardi di euro, in parte finanziano anche i 45 miliardi. Essendo i dipendenti pubblici 3,2 milioni, 3 miliardi e qualcosa sono già coperti (i valori sono indicativi).

  • Inoltre, se ci sono posti superpagati (credo siano pochi, il normale dipendente statale è accettabilmente pagato con diritti che non tutti hanno, ma quei pochi sono un’esagerazione inconcepibile). Quindi un tetto massimo agli stipendi e alle pensioni, aiuterebbe a ricavere altri soldi. Purtroppo ora non so quanti, penso pochi per l’obiettivo, ma eticamente la politica non può diventare un’occasione di super lusso, è meglio che faccia l’effetto opposto: è una dedizione verso la società, se uno vuol guadagnare deve rivolgersi al mercato, no ai “posti di comando” :pensive:

  • I soldi coinvolti in pensioni, sussidi e simili, verrebbero inclusi nel RdE, anche questo è solo uno spostamento di denaro. Ora non saprei quantificare.

  • Una patrimoniale del 2,5 o 3‰ (per mille) porterebbe 21-25 miliardi di euro, la ricchezza va ridistribuita; se poi i ricchissimi vogliono andare via dall’Italia perché questo sarebbe un affronto inaccettabile, se ne vadano… (tanto non spendono nell’economia reale e il meccanismo condizionante dei finanziatori va soppiantato con un recupero della sovranità monetaria). Il problema è che temo abbiano piú potere e possibilità di minaccia anche se stanno apparentemente in silenzio… Il governo dei bruti.

  • Siamo arrivati a 80-90 miliardi di costi di interesse sul debito pubblico, se dannazione avessimo usato denaro pubblico a interessi zero e non ci fossimo infilati questo tragico “cappio” (bisogna vedere nei decenni passati come ha lavorato la corruzione per arrivare a tutto questo…), il RdE poteva essere già tranquillamente finanziato solo con questa voce. Purtroppo, liberarsi del debito è un percorso che non consente di arrivare subito a destinazione, ma va affrontato con tappe e compromessi…

  • Le spese militari sono di 29,2 miliardi, capisco la difesa interna, ma sarà possibile dirottare qualcosa dagli armamenti ai diritti civili? Direi che è doveroso e logico: andiamo ad affiancare USA, Russia o altri in “attacchi di difesa” e cosa stiamo difendendo? Un sistema finanziario che lascia senza scrupoli ampia parte della popolazione sotto la soglia di povertà? un sistema che sta collassando perché rifiuta di ridistribuire la ricchezza e rifiuta il miglioramento degli stipendi perché deve mantenere prezzi bassi e competitivi? Se difendiamo questo, la rabbia verso l’occidente diventa comprensibile nelle cause, anche se non nei mezzi.

Inoltre, non è detto che dobbiamo finanziarlo tutto subito il RdE, se lo finanziamo del 50%, sarebbe già un aiuto importante, con buon impatto sull’economia reale. In relazione ai miglioramenti, potremo progressivamente arrivare al 100%.

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non mi sono spiegato bene, i 20 euro erano una cifra a caso che ho sparato io per dire che se non abbiamo sufficienti risorse finiremo per erogare cifre risibili in maniera universale e incondizionata. Mi dispiace se ho creato confusione con questo esempio pradossale. Io sono d’accordo con te sul senso di un reddito di esistenza universale e incondizionato, e anche Fumagalli lo era a suo tempo, ma se per ottenerlo taglio il welfare, allora devo assicurarmi di fornire un reddito in grado di compensare i tagli sul welfare, cioè il gioco deve valere la candela.

La differenza tra i due modelli è che nel RdE non ci sono perdite, perciò non importa quanto la somma può sembrare astronomica – finchè resta sempre all’interno dell’economia del paese non esiste alcuna perdita, solo un aumento di giustizia economica.

Ma anche il RMG visto così non significherebbe perdite, i soldi sono quelli che provengono dalla fiscalità e comunque si tratta di una redistribuzione di reddito, altrimenti chi ce li da i soldi? Le banche? Ma quello che vorrei farti notare è la trappola logica in cui cadi. Tu dici “il RdE è possibile riorganizzando l’economia in senso più democratico”. In questo modo parti però dalla soluzione e non dal problema che a questo punto diventa: come riorganizziamo una economia in senso democratico? Sarà sufficiente chiedere un RdE? Se pensi che comunque sia importante chiederlo bisognerebbe spingersi oltre e dire: se riorganizziamo la società così e cosà (segue descrizione) potremo erogare ad ogni cittadino xK euro al mese, indipendentemente dal fatto che lavori o meno.

Ehm…temo manchi una moltiplicazione x12. A meno che tu non voglia dare 1000€ l’anno, s’intende.

ma infatti i calcoli non reggono a meno di non accogliere il paradigma di Lynx secondo il quale non esisterebbe un problema di disponibilità dentro l’economia nazionale. Non sono un economista ma questo significherebbe soltanto una cosa: far decollare l’inflazione, stampare moneta, immettere nel circuito circa 500 miliardi di euro l’anno per erogare il reddito. In un paese che ha uno dei debiti pubblici più alti al mondo non so proprio cosa implicherebbe.

Invece, perché non proviamo a ragionare sulle monete complementari? O su circuiti virtuosi di baratto magari abbinati alle monete complementari e/o criptovalute?

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Ops! Una piccola dimenticanza e un grande problema, dunque servono 540 miliardi di euro. E se ricorressimo ad una tattica piú radicale: lo Stato fa privatizzare tutto il possibile, le imposte che chiede vanno quasi unicamente a finanziare un RdE e il ruolo principale dello Stato diventa quello di controllare e normare aziende e settore privato.

Con la sovranità monetaria si possono emettere soldi, però salgono i prezzi nella misura in cui sale il reddito medio e la svalutazione della moneta dipende dall’import-export verso l’economia di un’altra valuta. La MMT ha fiducia nel far circolare denaro, io temo sottovaluti che quando i risparmi iniziano ad essere utilizzati, aumentando molto la disponibilità di denaro, salgono ulteriormente i prezzi e poi devono ricorre alle imposte, che loro usano per ripristinare un “benefico effetto di scarsità della moneta” (non per finanziare qualcosa); però, secondo me, cambiano le espressioni ma ci si avvicina alle necessità della situazione attuale. Senza contare che il mercato globale con prezzi bassi, vincola le mosse che possono fare singoli Paesi.

Se vuoi una soluzione tutta nuova che ne dici dell’economia basata sulle risorse ideata da Jacque Fresco (ingegnere sociale)? Cercai di sviluppare quell’idea per capire come renderla praticamente attualizzabile: https://ambienteumano.wordpress.com/2014/11/20/economia-basata-sulle-risorse/

Un fatto fondamentale è che il denaro viene sostituito con liste di prenotazione e con l’impegno a rendere abbondante tutto il possibile (abbondante significa senza la necessità che si debbano prenotare le cose, in altre parole gratuito).

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La legislazione che corregge i contratti per gli stipendi potrebbe essere altrettanto applicabile. La scelta più ovvia in questo caso mi pare sarebbe di ridurre gli stipendi di quella esatta somma che tali persone in futuro percepiscono come reddito a priori. Invece di 2000€ al mese fai 1000€ RdE + 1000€ stipendio.

Bisogna dettagliare… chi ha passato una vita ad investire in una pensione di prima scelta non dovrebbe ritrovarsi allo stesso livello di chi tutta la vita non ha contribuito nulla. Anche qui ci vuole una buona formula matematica per ricalcolare le cifre. Il RdE non è inteso a togliere al medio ed alto ceto ma solamente agli straricchi – quelli che possiedono cifre assurde non per propria qualificazione ma per natura del sistema economico. Vedi Ferrero per esempio.

Qui invece mi pare che ci vuole un modo per impedire la fuga di capitale… dopotutto scappano con denari che non gli appartengono ma hanno semplicemente ottenuto a causa di lacune nel sistema economico.

Più rendiamo palese l’esistenza del governo dei bruti, più c’è speranza di salvare la popolazione e l’economia. Alla fine ci guadagnano anche loro a far ripartire il paese – come dice sempre il plutocrate Hanauer. Penso che anche per loro la cosa più importante è che l’accetta della giustizia li colpisca equamente – se tutti devono dare indietro la metà della loro “proprietà” non ci perdono molta qualità di vita ma il paese torna a funzionare e l’obiettivo di una economia sostenibile dal punto di vista climatico diventa realistico.

I governi del mondo sono indebitati esattamente con quella casta di straricchi. È un debito eticamente fittizio e loro stessi sono colpevoli di avere portato i governi su questa traiettoria politica (attraverso Reagan, Thatcher…). Per i politici è stato opportunisticamente pratico prendere soldi in prestito e lasciare che governi seguenti si occupino delle conseguenze.

Perciò ho proposto di escludere un tale evento per definizione. Se il RdE non riesce a finanziare l’esistenza diventa illegale e si corregge. Con la ridistribuzione si può correggere sempre perchè i denari da qualche parte sempre stanno e il legislatore per definizione sempre il diritto ha di ridisporre di loro, perciò se i legislatori per un tot di tempo hanno cazzeggiato con finanziamenti sbagliati come l’aumento dell’IVA, giungono (magari un decennio dopo) alla condizione che inevitabilmente devono finanziare il RdE con la tassa alla proprietà. Certo preferisco fare il RdE con i paletti messi bene, ma se lo si introduce nella costituzione come intendono fare gli svizzeri si ha una sicurezza ulteriore che in qualche modo si arriva alla ridistribuzione anche se i politici al potere non fossimo noi.

Per me di dare il potere alla burocrazia di distribuire il RMG in modi ingiusti, tra bustarelle e lavori in nero, costituisce una forma di perdita in quanto l’obiettivo di garantire l’esistenza a tutti non viene raggiunto mentre il RdE matematicamente inevitabilmente lo raggiunge.

L’Italia da decenni funziona bene come economia nonostante l’alto grado di ingiustizia attraverso la corruzione, ma è ora di ridurre questa pratica piuttosto di aumentarla visto che l’esportazione del Made in Italy è in crisi e i drammatici dislivelli tra ricchi e poveri appesantiscono la convivenza e l’abilità di riavviare l’economia.

Appunto no. Mi pare che in alto ho spiegato come il reddito non è un dato idoneo per la tassazione. Non dobbiamo tassare il lavoro umano, piuttosto tasserei i fattori economici che accrescono le ricchezze sistemiche. In vari paesi del cd. terzo mondo hanno già spostato l’economia dalla tassazione dei redditi alla tassazione della proprietà – proprio perchè non c’era altro modo per risolvere il problema della corruzione. Direi buffo che in Italia al massimo si parla di una “patrimoniale” occasionale, come se l’Italia fosse meno corrotta.

Intanto addirittura al NY Times c’è chi si chiede se è il momento di formalizzare la ridistribuzione dall’alto piuttosto di lasciare ai Zuckerberg e Gates del momento di prendere per il sedere la popolazione… perciò i ragionamenti sul RdE che ci facciamo non sono neanche più radicali oramai…

Vedi la proposta in Economia sostenibile per l'ambiente e umanamente solidale – non contiene già molti spunti?

Esattamente questo mi pare sia il RdE, no?

Le cd. “scienze economiche” e il pensiero mainstream ha fatto in modo che molti ragionano nei termini creati e manipolati da chi ci prende per il culo. Io invece la risposta la vedo qui:

Se ricorriamo ad una patrimoniale del 8% avremmo un’entrata di ben oltre 500 miliardi di euro. La questione è sul come fare in modo che siano gli straricchi sistemici a pagare indietro la loro proprietà fittizia piuttosto che i semplici benestanti. Presumo che una semplice patrimoniale di queste dimensioni avrebbe effetti collaterali negativi perciò preferisco ottenere risultati strutturalmente equivalenti ma incentivanti all’economia sostenibile… attraverso le tasse ecologiche (che vanno a colpire le corporations più lucrative e perciò gli introiti degli straricchi sistemici). In pratica ancora non so quale misura sia strategicamente la migliore, ma vedo molti strumenti legislativi a disposizione dai quali scegliere. L’unica che sicuramente è sbagliata è di tassare il lavoro umano, e l’economia presente è, come vedi dalle statistiche in alto, fondata sulla tassazione dei lavoratori – e lì sta il nocciolo del problema.

Le criptovalute non-statali sono lo strumento ideale per gli straricchi per evadere la tassazione del governo, cioè per fare in modo che quei denari che eticamente non gli appartengono effettivamente scompaiono dalla circolazione a discapito della popolazione. Perciò non so se a lungo termine ci sia alcuna alternativa al combatterle ed eliminare i paradisi fiscali che permettono di usurfruirne.

Perciò si torna alla moneta primaria – lì bisogna tornare alla sovranità, presumo. Ma lo si può fare con l’eurozona intera. Ci vuole un vero governo europeo che faccia vera politica economica per i cittadini europei, non per i mercati azionari.

La privatizzazione ti da dei denari in mano una sola volta, e da li in poi ha semplicemente ulteriori obblighi verso privati – probabilmente pure di nazionalità estera. Per gli straricchi è ideale: possono finalmente liberarsi dei denari eccessivi che gli hai pagato come interessi ai loro “prestiti” e lentamente possiedono mezzo pianeta. 85 persone possiedono mezzo pianeta infatti. Perciò verrà il giorno che finisce la politica della privatizzazione ed inizia la politica dell’espropriazione da chi ingiustamente ha acquistato strutture di appartenenza alla collettività. È un po’ come in Italia non si può acquistare un immobile senza fare i conti con gli eredi del venditore. I politici di oggi vendono valori che non gli appartengono e per i quali non è vero che abbiano il mandato di farlo in quanto dovrebbe decidere la corte suprema quando il sovrano può delegare tale potere ad un politico e quando semplicemente non lo può fare. Perciò non è detto che le privatizzazioni già avvenute come gli aeroporti greci siano legalmente accettabili.

L’Italia è un paese che non necessita molta importazione mentre l’esportazione facilitata riavvierebbe il Made in Italy che negli anni 70/80 si basava sul fatto che l’Italia era una economia inflazionata con le lire deboli, non l’euro forte.

Dipende da come scriviamo la legislazione di correzione degli stipendi se sale il reddito medio. Possiamo anche decidere di abbassarlo.

Per questo la possibilità di ridurre il prezzo del lavoro umano grazie al RdE da ai legislatori un potere tutto nuovo per competere sul mercato globale e costringere le altre economie ad introdurre di loro volta un RdE. In pratica è simile a quanto la Germania è riuscita ad ottenere col Hartz IV, solo che col RdE lo si fa in modo etico e senza perdite alla corruzione. La Germania ci sta già costringendo a prendere delle misure, e il RMG sarebbe la misura sbagliata da prendere.

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Ho letto che raramente sono state introdotte patrimoniali superiori all’1%, spesso (e andando incontro a non poca resistenza) si parla di patrimoniali in millesimi e occasionali, ma anche se se ne parla, alla fine quasi mai si attua nulla. Questo riguarda le patrimoniali sui conti, sui soldi posseduti.

Anche imposte sulla casa sono di fatto delle patrimoniali, però metterla sulla prima casa è veramente un “prendere ai poveri per risolvere i conti con i ricchissimi”, deve essere quanto meno proporzionale a ciò che si possiede o forse ancora meglio incidere un po’ di piú (non troppo) su chi possiede oltre una soglia davvero esagerata, ed essere meno incisivo sotto quella soglia.

Purtroppo, bisognerebbe essere al potere e fare un passo dopo l’altro (progressivamente) con gli strumenti a disposizione (leggi, imposte, progetti…) e con esperti di economia di diverse linee di pensiero, per agire. Non poter formulare un piano dettagliato a lungo termine è un’altra cosa che mi ha un po’ fermato sulla proposta che volevo fare.

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Se garantiamo l’esistenza solo a chi ha una casa di proprietà (o ce l’ha il nucleo famigliare), non consideriamo un affitto o un’automobile, perché se ci si sposta con queste necessità è il lavoro che deve permettere il loro pagamento. Visto che i costi si erano alzati molto e visto che l’obbiettivo è garantire l’esistenza (cumulativa col reddito da lavoro), non serve che lo Stato si fa carico di ulteriori spese, quando con meno l’esistenza già la garantisce.

Dunque usando la sola soglia dell’ISTAT di povertà (600 € al mese) servirebbero sui 320 miliardi di euro. Conto solo i maggiorenni (se fino alla maggiore età è la famiglia che deve sostenere i costi è meglio, altrimenti c’è il rischio di far figli per ricevere bonus o un’eccessiva riproduzione). Inoltre, se inizialmente si riescono a dare anche solo 200 € con l’obiettivo di salire progressivamente, mano a mano che si risolvono altri problemi, andrebbe ugualmente bene e aiuterebbe sia l’economia interna che i nuclei famigliari.

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Non servono patrimoniali, non servono nuovi fondi, nuove tasse, nuovi trovati. Quello che c’è già basta e avanza. Ciò che serve è solo migliore organizzazione, razionalizzazione e poi maggiore libertà agli individui. Libertà vera, non quella finta che ci troviamo addosso ora.

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Una patrimoniale usa la ricchezza che c’è già e la distribuisce meglio (visto che il mercato è necessariamente legato a squilibri che vanno sanati, in qualche modo, con l’intervento dello Stato), si tratta di una sorta di “razionalizzazione”.

Dire che serve “libertà vera” non aiuta, è troppo generico per significare qualcosa. Per esempio, un reddito di esistenza rende liberi dal lavoro-sfruttamento accettato solo per necessità; uno spazio per l’economia del dono rende liberi quelle persone dal carattere molto cooperativo che faticano e si dispiacciono nel dovere entrare nel mercato che è un contesto molto competitivo e chiuso (accordi di segretezza, rivalità…).

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Il New Deal di FDR fece pagare l’80% a Rockefeller. Al tempo si poteva ancora fare sugli introiti e lo fece di sorpresa… in questo modo portò l’America fuori dalla depressione, ma i potenti non gliela perdonarono. Da allora non ci è più stato alcun atto di ridistribuzione negli USA.

Stiamo di nuovo alle porte di una depressione e ci vorranno misure drastiche, ma ci sono molte opzioni sul come realizzarle. 8% di patrimoniale è l’opzione più drastica – ma comunque molto meglio che di perdere tutto in una guerra civile. Partendo da quella prospettiva drastica si può discutere di misure che ridistribuiscono in modo più fine e studiato: le tasse sulle materie prime, le tasse a favore dell’ambiente e della salute.

Vogliamo orientarci agli straricchi, quelli che di case ne possiedono migliaia, non una.

Per ora potrebbe essere utile formulare una prima bozza visto che non ci sono abbastanza persone che ragionano in questi termini, se perfino il Fumagalli ci ha piantato in asso per una evaluazione a mio avviso sbagliata.

Esatto. Non ci devono importare i dettagli di come la gente vive e certamente non dobbiamo incentivare tecnologie non sostenibili a livello ambientale. Può darsi che alcune persone dovranno cambiare casa se perdono il lavoro e non hanno provveduto, può darsi che se delle persone insistono ad abitare in un luogo sperduto al quale non si arriva che con la macchina si prenderanno in considerazione dei casi speciali o piuttosto si garantirà un servizio di acquisti alimentari che raggiunge qualsiasi luogo del territorio nazionale. In qualche modo si risolve, ma non incentivando l’auto per ogni cittadino.

Il legislatore può influenzare lo sviluppo della popolazione con questi parametri. Per l’Italia penserei a qualcosa tipo mezzo RdE.

Forse una buona idea, forse una malvagia idea. Non so se il mercato del lavoro apprezzerebbe uno scombussolamento graduale ma annuale piuttosto di un aggiustamento e basta.

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Adesso l’ora delle riforme graduali è finita: non solo il tempo è scaduto, ma non va più di moda. Tutto e subito: RdE, incondizionato, bambini compresi, da subito almeno a 1k euro al mese.

Ovviamente al netto della bomba che ha tirato @briganzia sullo spazio fiscale zero :blush: riportando un articolo del fatto. Se salta il banco, festa grande :sunny:

L’epico Pistono ne ha sfornato un’altro… bello compatto il TEDxTalk in materia UBI… https://www.youtube.com/watch?v=A2aBKnr3Ep4 – inoltre ho trovato un suo TEDxTalk precedente del 2012: “Robots Will Steal Your Job, but That’s OK” https://www.youtube.com/watch?v=kYIfeZcXA9U.mp4

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Secondo i sostenitori dell’UBI, questo è di fatto il Welfare tradizionale (istruzione e sanità gratuita, piani per case popolari etc. Sul vitto non saprei). Però dicono che è un sistema che genera inefficienza e corruzione (cosa verissima in Italia, decisamente meno altrove, a riprova -secondo me- che di per sé è piuttosto la presenza o la mancanza di senso civico diffuso a determinare il progresso di una Nazione).

C’è da dire che finora di test ne sono stati fatti solo alcuni; quello in India è durato 18 mesi. Il primo vero “big test” comincia ora (vd.articolo sul ns. blog). In linea generale, personalmente credo che questo mdello di UBI (cioè quello che fa GiveDirectly) vada benissimo per rimuovere la povertà nei Paesi del terzo mondo;

  • primo, perché è anche tecnicamente fattibile, dato che il tasso di cambio è favorevole (in India l’ammontare mensile era l’equivalente di 25$, in Kenya saranno 33$; e lì con quelle cifre cicampi),

  • secondo, perché è un modo per bypassare governi, corporations, banche etc. (ma soprattutto i governi, che spesso in questi Paesi sono più corrotti perfino di quello italiano). Finora, invece, quasi tutti i piani per “aiutarli a casa loro” prevedono il coinvolgimento diretto dei governi.

  • terzo, perché togliendo l’assillo di dover sopravvivere, le persone sono meno disposte a farsi ricattare dai suddetti governi, ma anche dalle multinazionali occidentali (che forse potrebbero perfino diminuire, se non proprio smettere, di delocalizzare).

Però nei paesi occidentali resta l’enorme problema di come finanziarlo, e soprattutto di come farlo accettare alla popolazione (perché nei paesi anglosassoni e protestanti non è così facile far accettare l’idea che il lavoro non sia più il centro etico e morale della vita).

Per quanto riguarda il finanziamento, come dicevo altrove, la vera sfida sarebbe trovare una qualche soluzione tecnologica che elimini alla base il problema del finanziamento. Una sorta di Credito di base (anziché “reddito”), dato in una valuta digitale complementare e spendibile soltanto per certi beni (alimentari, d’alloggio etc.). Non credo sia fantascienza. Esiste questo progetto all’estero, e In Sardegna hanno inventato il Sardex, che è un circuito di credito commerciale che funziona con princìpi molto simili. Non so se in questo discorso la Blockchain possa giocare un ruolo, qui sei te l’esperto :smile:

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Ho trovato un documento molto interessante – accidentaccio alla barriera linguistica – http://www.jarass.com/Steuer/A/Steuermaßnahmen.pdf – una proposta per una legislazione tributaria tale da ricalibrare i guadagni delle corporations a confronto con lavoratori e cittadini. Nonostante non tratta di RdE contiene molti spunti simili a quelli che abbiamo discusso qui, ma articolati con le statistiche e i dati alla mano. Con un catalogo del genere la via per la riorganizzazione delle finanze per realizzare il RdE (mi rifiuto di usare il termine “finanziamento” in quanto completamente inadeguato) è a ⅞ camminata…

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Ravvivo questa discussione con 2 capitoli (brevi per essere capitoli, lunghetti come post) di un saggio divulgativo che sto scrivendo (sarà Creative Commons). Sono dedicati (specialmente il secondo capitolo nel successivo post), al finanziamento del reddito di esistenza: sostengo che è fattibile, anche all’interno dell’eurozona e che non c’è altra strada valida da prendere (conclusione a cui sono giunto dopo averlo paradossalmente scartato).

Coprire la soglia di povertà assoluta

Ci sono numerose modalità per garantire un reddito che copra la soglia di povertà assoluta [1] e per tutelare i livelli di reddito dei lavoratori. Qui sostengo una precisa impostazione che ritengo l’unica veramente valida. Tale impostazione è tra quelle finanziariamente più impegnative, ma vedremo nel prossimo capitolo che è possibile finanziarla senza introdurre nuove imposte e senza tagli alla spesa pubblica. Prima di esporre la concreta proposta, sono necessarie alcune premesse e alcuni dati.

[1] La povertà assoluta è quando una persona dispone di un reddito insufficiente per far fronte alle spese necessarie per fornirsi dei beni primari.

Quantificare la soglia di povertà assoluta

La soglia di povertà assoluta varia individualmente da circa 300 a circa 900 €. Il motivo di questa forte variabilità dipende dalle condizioni in cui si trova un individuo: se vive in una grande o una piccola città, se è da solo o in un nucleo famigliare più o meno numeroso e anche dalla sua età [2]. Teniamo presente che essendo il reddito mediano netto di 2.100 € [3], tutelare i redditi netti al di sotto di questo valore non può sconvolgere il quadro finanziario (es. inflazione), piuttosto sono operazioni che aiuterebbero le vendite delle aziende e la ridistribuzione della ricchezza.

[2] È possibile leggere questi valori su una tabella dettagliata [ http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_SOGLIAPOVA ] pubblicata dall’ISTAT. Prestare attenzione alla scelta della tipologia famigliare e dell’anno di riferimento.

[3] È possibile approfondire su un articolo de La Repubblica, Bankitalia, la metà delle famiglie vive con meno di 2.100 euro al mese [ http://www.repubblica.it/economia/2015/12/03/news/bankitalia_ricchezza-128709666/ ].

Indicare i giusti livelli di reddito

Occorre distinguere diversi livelli minimi di reddito: soglia di povertà, lavoro a tempo parziale (4 ore al giorno) e lavoro a tempo pieno (8 ore al giorno). La distinzione che verrà fatta è apprezzabilmente precisa, anche se ai fini pratici è giusto indicativa. Infatti, ci sono lavori di 4, 6, 8 o 10 ore, ci sono lavori stagionali, si può distribuire diversamente il carico di lavoro nell’arco di una settimana, ci sono orari notturni, ecc. Una buona idea è introdurre una tutela di pagamento minimo orario, diurno e notturno, per venire incontro ai variegati orari di lavoro, ma adesso è sufficiente stabilire delle situazioni tipiche di riferimento per dare un’idea di una retribuzione corretta. I valori si devono considerare al netto di ogni imposta, dunque non sono lordi.

Tipologia lavoro . . . . Sud Italia . . . Centro Italia . . . . Nord Italia Soglia di povertà . . . 280-600 € . . . . 330-800 € . . . . 350-820 € Tempo parziale . . . . . +400 € . . . . . . . +450 € . . . . . . +450 € Tempo pieno . . . . . . . +800 € . . . . . . . +900 € . . . . . . +900 €

La soglia di povertà va calcolata per ciascuno sulla base della residenza, della grandezza della città, del numero dei componenti famigliari, dell’età e aggiornata anno per anno [Notasi come questi dati sono noti alle autorità, i calcoli sono automatizzabili e non richiedono intervento burocratico, n.d.lynX]. Lo stipendio indicato nel lavoro a tempo parziale va inteso come risparmio netto da sommare alla propria soglia di povertà, ugualmente il risparmio netto concesso dal tempo pieno va sommato sempre alla soglia di povertà. In questo modo, si può garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni primari (esclusa l’abitazione, dato che si può sempre rimanere nel nucleo famigliare di origine) e garantire un motivante risparmio mensile quando si lavora, evitando che si lavori solo per sopravvivere, dato che sarebbe una condizione simile alla schiavitù.

Il pagamento più alto possibile in tabella, per un lavoro a tempo pieno, è 1.720 €, ben al di sotto del reddito mediano di 2.100 €. Probabilmente è anche possibile tutelare un risparmio netto di 450-500 € per il parziale, che raddoppia nel caso del tempo pieno. Però, sono passi che vanno compiuti con cautela e non è necessario fornire ora valori esatti. Il fatto di rimanere al di sotto di 2.100 € consente di tutelare un lavoro generico, dato che i lavori qualificati o con mansioni più onerose (per esempio, con orario notturno o con maggiori responsabilità) devono essere pagati maggiormente, avvicinandoci o eguagliando o superando la soglia di 2.100 €. È importante che le tutele degli stipendi non innalzino generalmente troppo gli stipendi, perché salirebbero anche i prezzi, perdendo il vantaggio di stipendi più alti.

Poter vivere con un lavoro a tempo parziale

Il tempo parziale deve permettere di vivere bene e autonomamente, altrimenti si sarà obbligati a cercare un lavoro a tempo pieno. Il motivo è che ci sono individui che sentono la necessità di avere più tempo per riflettere o più tempo per attività fuori dal mercato o più tempo per la politica locale o più tempo per la famiglia o per se stessi. Tutti spazi attualmente piuttosto soffocati, con spiacevoli risvolti sociali. Lo straordinario progresso tecnico e tecnologico realizzato nell’arco di un secolo, alla ricerca di maggior comodità, funzionalità, efficienza e velocità, dovrebbe riflettersi anche su un aumento del tempo libero. Invece, il mercato ha instaurato una dinamica che penalizza molto il tempo libero, perché massimizza la necessità di un lavoro a tempo pieno rispetto ad uno a tempo parziale.

Questa penalizzazione del tempo parziale dipende dalla necessità di dover “coprire” la soglia di povertà. Un lavoratore difficilmente può accettare un lavoro che non gli consenta di vivere autonamente e risparmiare (pur non mancando casi di questo tipo). Rendere possibile ciò richiede indicativamente sui 1.250 € al mese. Se un’azienda assumesse due lavoratori a tempo parziale, li dovrebbe pagare per un totale di 2.500 € al mese, invece, un lavoro a tempo pieno può essere pagato indicativamente sui 1.700 €. Perché l’azienza dovrebbe spendere 800 € di più pagando due lavoratori a tempo parziale? Ovviamente non lo fa, a meno che, non ha dei ruoli da dedicare specificatamente a parti limitate della giornata e che consistono in mansioni particolarmente impegnative.

La proposta che presento risolve il problema dell’autonomia finanziaria in un modo estremamente ottimizzato e risolve il dilemma della mancata equivalenza di costo da parte dell’azienda tra un lavoro a tempo pieno e due parziali.

Come attuare il reddito di esistenza

Per risolvere il sopra esposto dilemma è necessario un intervento sul sistema finanziario che tolga la competenza di soddisfare la soglia di povertà alle aziende e la affidi allo Stato. Praticamente occorre separare il reddito di esistenza (quello che copre la soglia di povertà) dal reddito del lavoro, quest’ultimo concepito come un premio e proporzionale alle ore di lavoro svolto. La proporzionalità è fondamentale per distribuire più liberamente e precisamente il carico di lavoro nella società e risolvere verosimilmente anche il problema della disoccupazione.

Il reddito di esistenza lo intendo erogato a tutti i maggiorenni, sia lavoratori che in cerca di lavoro, e cumulabile con il reddito del lavoro. Attualmente il costo dell’esistenza per i disoccupati è principalmente affidato al nucleo famigliare (genitori e parenti). Inoltre, le aziende non hanno l’obbligo di rispettare un reddito minimo, ma si lascia agli andamenti del mercato stabilire le possibilità di retribuzione. Praticamente lo Stato dovrebbe iniziare ad erogare questo reddito mensile, le aziende di conseguenza potrebbero pagare meno i lavoratori e si dovrebbe introdurre una tutela di pagamento minimo orario, specificando qualche distinzione tra orari diurni e notturni ed anche in relazione ad alcune categorie di lavoro.

Perché escludere altre soluzioni?

Voglio esporre i motivi per cui altre soluzioni non sono valide come questa. Consideriamo la forma finanziariamente più leggera, ovvero il sussidio di disoccupazione [4]. Se il disoccupato trova lavoro, viene poi pagato interamente dall’azienda. Però, questo lascerebbe la forte prevalenza verso i lavori a tempo pieno, perché, come già visto, all’azienda conviene assumere a tempo pieno in proporzione ai costi. Invece, è importantissimo distribuire il carico di lavoro tra i cittadini, quindi non si può rinunciare ad una soluzione che crei una reale libertà per l’azienda di scomporre un lavoro a tempo pieno in due a tempo parziale. Il sussidio di disoccupazione questo problema non lo risolve affatto, resta del tutto “estraneo” a tale problema.

[4] Il sussidio di disoccupazione dovrebbe essere un reddito fornito dallo Stato per coprire la soglia di povertà assoluta. Tale sussidio andrebbe erogato dal momento in cui un cittadino maggiorenne si registra in un Centro per l’Impiego e non dal momento in cui perde il primo lavoro, né come una percentuale che con i mesi scende fino ad esaurirsi. Attualmente ci sono forti restrizioni nel modo in cui viene erogato.

Un altro motivo per cui l’azienda non dovrebbe includere il reddito di esistenza nello stipendio (dunque tale reddito andrebbe affidato allo Stato), è che, per ottimizzare i soldi, bisogna considerare la diversa soglia di povertà di ciascuno e all’azienda converrebbe assumere persone che vivono in famiglie più numerose, rispetto alle persone che vivono da sole. Infatti, queste ultime vanno pagate maggiormente per coprire la loro più alta soglia di povertà. Per ovviare a questo problema, si potrebbe considerare solo la soglia di povertà di chi vive da solo (condizione più dispendiosa), ma sarebbe una disottimizzazione della richiesta complessiva di soldi, con maggior carico sulle aziende, che facilmente si sposterebbero in altre nazioni per non soffrire del costo dei lavoratori. Inoltre, si riproporrebbe il fatto che un tempo pieno è più conveniente di due tempi parziali. Praticamente è un passo improponibile e la soluzione praticabile resta che il reddito di esistenza sia competenza dello Stato sia per chi lavora che per chi è disoccupato.

Esiste anche la possibilità di un reddito minimo garantito, con ciò si intende una soglia da rispettare attraverso un sussidio di disoccupazione per chi è in cerca di lavoro; mentre, per chi ha trovato lavoro, si lascia che l’azienda paghi come può. Nella misura in cui il pagamento dell’azienda non porta il lavoratore al reddito minimo garantito, allora interviene nuovamente lo Stato per colmare la differenza mancante. Il grave difetto di questa proposta è che le aziende faranno “pesare” il più possibile sullo Stato lo stipendio che il lavoratore deve ricevere. Inoltre, ammesso che le aziende paghino correttamente ed il più possibile il lavoratore, non si risolve la situazione per cui il lavoro a tempo pieno resta preferibile per le aziende rispetto a quello parziale [Per non parlare dell’enorme problema burocratico/corrompibile, n.d.lynX].

In vista di una distribuzione del carico di lavoro e di una soluzione al problema della disoccupazione, è immancabile creare un equilibrio tra due paradossali e note tendenze: disoccupazione e tempo pieno più gli extra, talvolta non pagati. L’unica soluzione realmente valida, anche se finanziariamente impegnativa ma fattibile, è il reddito di esistenza.

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Se siamo convinti che il reddito di esistenza sia la soluzione giusta, se non addirittura l’unica realmente efficace. Rimane da affrontare il problema del suo finanziamento. Tale reddito richiede un finanziamento stimato di 275 miliardi di euro l’anno [1]. Però, questa cifra si sovrappone con diversi attuali finanziamenti, quindi di fatto è più bassa. Per esempio, si sovrappone in parte con i sussidi di disoccupazione; con parte del finanziamento di chi è in cassa integrazione; con parte delle pensioni di vecchiaia o invalidità; c’è parziale sovrapposizione anche con gli stipendi dei dipendenti pubblici ed altre sovrapposizioni. Ora le vedremo in dettaglio, insieme ad altre fonti di finanziamento.

[1] Questa cifra è stata stimata considerando il numero di famiglie con 1 componente (7.910.000), con 2 (7.910.000), con 3 (5.116.000), con 4 (4.051.000), con 5 (1.088.000), con 6 o più componenti (303.000) nell’anno 2015 (Dati ISTAT [ http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_SOGLIAPOVA ]; usato, come soglia di povertà, il valore medio tra grandezza comuni e territorio) e scegliendo un costo tipico del reddito di esistenza individuale, nelle relative condizioni, rispettivamente di 703 €, 490 €, 400 €, 354 €, 346 €, 332 € mensili. Inoltre, bisogna escludere i minorenni ai quali non viene dato il reddito di esistenza. Nel 2015 da 0 a 17 anni erano 10.096.165 (Dati ISTAT [ http://dati.istat.it/ ] > Popolazione e famiglie > Popolazione residente al 1° gennaio) e si è considerato un costo medio di 377 € per minorenne in una famiglia di 3-4 componenti. Il valore che si ottiene, per quanto approssimato, ma apprezzabilmente preciso, è di 274.951.725.540 €, arrotondando per eccesso 275 miliardi di euro l’anno.

IVA e IRPEF. In primo luogo, bisogna considerare che il reddito di esistenza, data la sua bassa entità, verrà speso interamente. Se una famiglia è benestante e continua a sostenere i costi dei figli, è attendibile che quei soldi verranno comunque spesi in svariati altri modi. Questo significa che c’è un ritorno fiscale dovuto all’IVA. I beni di prima necessità hanno l’IVA al 4% e spesso al 10% [2], considerando che non mancheranno anche acquisti con IVA al 22%, possiamo tener conto di un ritorno fiscale del 10%. Inoltre, il 90% di guadagno che finisce alle aziende, per la spesa di tale reddito, possiamo considerare che il 33% [3] di esso ritorna allo Stato tramite l’IRPEF. Quindi 10% + 29,7% porta quasi al 40% di copertura del reddito di esistenza dovuto al semplice fatto di essere introdotto.

[2] Potete consultare l’elenco delle aliquote IVA [ http://business.laleggepertutti.it/5702_le-aliquote-iva-per-ogni-prodotto ] applicate alle varie tipologie di prodotto.

[3] Considero il 33% di incidenza fiscale facendo una media tra il 2° e il 3° scaglione di aliquota IRPEF. Maggiori informazioni su PMI.it [ http://www.pmi.it/impresa/contabilita-e-fisco/articolo/52519/irpef-scaglioni-e-aliquote.html ]

Ammortizzatori sociali. Riguardo agli ammortizzatori sociali (sussidi di disoccupazione, mobilità, cassa integrazione), lo Stato spende 9,35 miliardi, più altri 8,62 miliardi che sono finanziati dall’INPS [4]. Siccome molte di queste spese possono essere superiori al reddito di esistenza, non possiamo avere una copertura del 6,5%, ma inferiore e potremmo stimare al ribasso almeno un 3%.

[4] L’INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale) è un ente la cui principale funzione consiste nel tenere un fondo finanziato tramite imposte fiscali, chiamate comunemente contributi, obbligatori per tutti i lavoratori sia autonomi che dipendenti (pubblici o privati). In alternativa, la legge permette di avere una propria cassa previdenziale autonoma. Questo fondo serve per pagare le pensioni o altre forme di assistenza al reddito. L’INPS è sottoposto alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Quindi, anche se l’INPS non rientra propriamente nella spesa pubblica è, di fatto, un’estensione dello Stato ed è comunque finanziato da un gettito fiscale.

Pensioni e invalidità. Riguardo le pensioni, nel 2015 [5] per finanziarle sono stati necessari 196,8 miliardi di euro sostenuti tramite la spesa pubblica e l’INPS (ovvero tramite i contributi dei lavoratori). Stando all’infografica sulle pensioni del 2014 [ http://www.istat.it/it/files/2013/05/infografica_pensioni_2014.pdf ] dell’ISTAT (attualmente non sono stati pubblicati dettagli sulle pensioni del 2015, ma la differenza è trascurabile ai fini di questo scritto), il 39,75% dei pensionati riceve una pensione netta inferiore a 770 € [6] che quasi coincide con la soglia massima sotto la quale interviene il reddito di esistenza. Quindi la sovrapposizione sarà inferiore al 39,75%, ma si sovrapporrà con la maggior parte di questa percentuale, possiamo considerare una sovrapposizione del 29% (quasi tre quarti della percentuale precedente). Arrotondando per difetto risulta che il 20% del reddito di esistenza sarebbe già finanziato dalla spesa complessiva per le pensioni.

[5] I dati sono pubblicati dal CISL Brescia [ http://www.cislbrescia.it/2016/03/30/inps-18-milioni-di-pensionati-per-196-miliardi-di-spesa/ ]; si possono leggere anche i dati del 2014 pubblicati dall’ISTAT [ http://www.istat.it/it/archivio/175630 ], ma si deve considerare che questi ultimi si riferiscono alle pensioni lorde (per conoscere l’incidenza sulla spesa pubblica vanno diminuite di circa il 25%, tale percentuale è una media tra il 1° e il 2° scaglione IRPEF che si applica sulle pensioni).

[6] Si presti attenzione ai 1.000 € indicati sull’infografica [ http://www.istat.it/it/files/2013/05/infografica_pensioni_2014.pdf ] precedente, dato che sono lordi e vanno ridotti del 23% per conoscere i soldi effettivamente percepiti dal pensionato, stando alla 1° aliquota IRPEF.

Stipendi statali. Venendo agli stipendi dei dipendenti statali, nel 2015 sono stati spesi 161,7 miliardi di euro [7]. Stando a un dato del 2013, il reddito medio annuale di un impiegato statale era 34.505 € [8], cioè 2.875 € al mese. Questo stipendio medio risulta piuttosto alto perché si includono gli stipendi di magistrati, prefetti e altre cariche altamente qualificate. Considerando 1/7 di questo stipendio medio mensile, cioè il 14,3% otteniamo 411 € che è verosimilmente la parte di reddito di esistenza che spetterebbe a tutti questi dipendenti, ovviamente in media e considerando in prevalenza famiglie con pochi componenti. Quindi, altri 23,1 miliardi di euro sarebbero sovrapposti ai finanziamenti già esistenti e questo porta ad una copertura dell’8,4% del reddito di esistenza.

[7] Dati presentati da Etica PA [ http://www.eticapa.it/eticapa/category/politica-e-pa/costi-della-pa/ ] la cui fonte è l’ISTAT.

[8] I dati sono riportati su un articolo de Il Fatto Quotidiano [ http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/04/stipendi-pubblica-amministrazione-magistrati-al-top-i-piu-poveri-sono-gli-insegnanti/2093459/ ].

8x1000. Lo Stato consente di destinare l’8x1000 delle imposte sul reddito (IRPEF) alle confessioni religiose. Considerando che chi lo desidera potrebbe donare attivamente una quota alla propria confessione religiosa e considerando che il 54% delle persone non esprime una preferenza, ma l’80% dei soldi va alla Chiesa Cattolica secondo un sistema non proporzionale e quindi ingiusto nelle ripartizioni [9], potremmo abolire l’8x1000 e destinarlo al reddito di esistenza che è un sostengo alla povertà. Pertanto, non cambierebbe il supposto (dato che attualmente è controverso [10]) valore etico di questi soldi. La cifra nel 2015 è stata 1,24 miliardi [11] di euro e può coprire lo 0,45% del reddito di esistenza. Un valore basso, ma è sempre un contributo.

[9] Tali percentuali si riferiscono al 2012 (dettagli pubblicati dal Ministero Economia e Finanze nel 2016) ed è possibile leggerli in forma grafica sul sito OcchioPerMille [ https://www.occhiopermille.it/#howitworks ] di iniziativa dell’UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti).

[10] Si consideri che la Corte dei Conti, organo dello Stato che vigila sulle entrate e le spese pubbliche, ha dichiarato che l’8x1000 non è trasparente e favorisce chi può permettersi una campagna pubblicitaria come la Chiesa Cattolica, verso la quale si sono rilevate anche numerose schede non conformi alla volontà del contribuente. Notizia pubblicata da Il Fatto Quotidiano [ http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/02/otto-per-mille-corte-dei-conti-accusa-poco-trasparente-e-favorisce-la-chiesa/2181055/ ]

[11] La cifra è stata pubblicata su un articolo de Il Fatto Quotidiano [ http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/10/8-per-mille-per-la-chiesa-introiti-calo-ma-resta-prima-con-un-miliardo/1862231/ ]

Il reddito di esistenza è attendibilmente finanziabile per il 39,7% + 3% + 20% + 8,4% + 0,45%, ovvero quasi per il 72% senza nessuna nuova imposta e senza alcun taglio alla spesa pubblica. Il rimanente è relativamente facile da completare. Infatti, dobbiamo ancora considerare il lavoro in nero.

Lavoro in nero. Le imposte fiscali evase con le sole attività legali in nero (dunque sono escluse le attività illegali) sono stimate per 270 miliardi di euro [12]. Questa singola importante “voce” potrebbe da sola coprire il 98% del reddito di esistenza. Però, è molto difficile recuperare tutto il nero, ma considerando che il 72% è già coperto, basta recuperare il 28% delle attività in nero che sommandole al 72% di copertura precedente arriveremmo al 100% del finanziamento del reddito di esistenza. Certamente occorre recuperare il nero mentre si aiutano le piccole e medie imprese e i liberi professionisti, piuttosto che aumentare la severità in una condizione di squilbrio e ingiustizia finanziaria complessiva. Lo stesso reddito di esistenza sarebbe un primo sincero aiuto, segno di solidarietà finanziaria [Faccio riferimento ai ragionamenti esposti precedentemente in questo thread per i quali il lavoro in nero non conviene se il lavoro non ha più il ruolo di finanziare la sussistenza, perciò il rientro di una alta percentuale di lavoro in nero è probabile già nei primi anni di implementazione del RdE. n.d.lynX].

[12] Dato presentato da International Business Time [ http://it.ibtimes.com/evasione-fiscale-italia-e-ue-percentuali-dati-e-numeri-da-incubo-1435808 ] e preso dall’istituto di ricerca Eurispes.

Interessi sul debito pubblico. Considerando una prospettiva a medio o lungo termine, in cui si recupera la sovranità monetaria e si smette di finanziarci a debito, potremmo arrivare a saldare i debiti in corso. Bisognerebbe valutare anche la possibilità legale di ridimensionare gli attuali interessi. Nel 2015 gli interessi sul debito pubblico hanno inciso di 68,44 miliardi di euro [13], se non ci fosse il debito, visto che potremmo finanziare la spesa pubblica a interessi zero tramite una Banca Centrale statale, avremmo a disposizione un’altra copertura di quasi il 25% del reddito di esistenza.

[13] Notifica dell’indebitamento netto pubblicata nel 2016, riferito all’anno 2015 dall’ISTAT [ http://www.istat.it/it/files/2016/04/Notifica_21_04_2006.it_.pdf?title=Notifica+indebitamento+netto+e+debito+Ap+-+21%2Fapr%2F2016+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf ].

Siamo arrivati ad una teorica potenziale copertura massima del reddito di esistenza per il 195% (quasi il doppio). Inoltre, si potrebbe legalizzare la prostituzione, attualmente oggetto delle attività criminali e che riceverebbe quanto meno delle tutele, oltre a generare un nuovo gettito fiscale. Potremmo introdurre un limite al reddito massimo per persona fisica, oltre il quale i soldi vengono presi con le imposte o ridistribuiti tra i lavoratori o investiti per migliorare l’azienda; introdurre un tetto alle pensioni; razionalizzare l’amministrazione pubblica; questi sarebbero tutti nuovi gettiti fiscali per lo Stato o soldi ottimizzati. Quindi il problema del reddito di esistenza non è finanziario ma politico, si tratta di volerlo o non volerlo, e volerlo significherebbe risolvere, almeno in Italia, il problema della povertà e della disoccupazione.

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potremmo fare dei banchetti per promuovere il reddito di esistenza. potrebbe servire anche a trovare nuovi iscritti

Premetto che apprezzo lo sforzo di andare a spulciare siti e documenti ufficiali e, sulla base di quelli, formulare ipotesi. Qui però temo che stabilire da dove prendere i soldi per un’operazione colossale come questa sia qualcosa di un po’troppo complicata per comuni mortali" (cioè gente extra-parlamentare). Rendiamoci conto che una normale finanziaria è ritenuta molto impegnativa se si smuovono 20 o 30 miliardi: qui si parla di riformulare completamente la spesa pubblica di un Paese con 60 milioni di abitanti. Nella fattispecie, non si può semplicemente vedere “quanto spendiamo per X” e dire “bene, sposto questa spesa nel(l’ipotetico) Fondo per il RdE” (soprattutto le pensioni, vd. sotto). Queste ad esempio sono solo alcune delle perplessità che mi suscita l’analisi:

1) Il problema delle stime

Tutti i calcoli e le previsioni che stiamo facendo si basano sugli attuali conti dello Stato. Che però sono tali in assenza di un RdE: è difficile fare previsioni su cosa accadrà se si introducesse il RdE. Tempo fa ci fu un sondaggio sul grado di soddisfazione delle persone rispetto al proprio lavoro: ora non sono a casa e non posso navigare come vorrei (questi post li scrivo offline e li incollo al volo), ma la percentuale di gente insoddisfatta del proprio lavoro era altina. Mettetevi nei panni di chi lavora in un call-center, o nel porta a porta, o in uno di quegli innumerevoli lavoretti di ***** di oggi: che pensate che accadrebbe, se dall’oggi al domani queste persone potessero campare senza recarsi più al lavoro? Semplicemente, smetterebbero di andarci. Il che non vuol dire necessariamente che staranno a grattarsi la pancia, ma quand’anche si mettessero in massa a fare tutti volontariato ci sono due problemi:

  1. sullo stipendio percepito quando erano lavoratori pagavano un po’di tasse, mentre il RdE a quanto ho capito è esentasse (giusto?). Ergo, le entrate fiscali diminuirebbero

  2. le aziende sarebbero costrette a loro volta a chiudere, delocalizzare o -in alternativa- a pagare stipendi finalmente dignitosi. Ovviamente sceglieranno la seconda opzione. Ergo, ancora meno entrate.

    1. Come scongiurare il caos?

Conseguenza del punto 1: come garantire che i settori di vitale importanza continuino ad operare regolarmente? Pensiamo alla sanità, all’istruzione, ai Vigili del fuoco: il buon senso mi dice che la maggior parte di queste persone continuerebbe comunque ad operare, per senso civico. Ma come essere certi che molti -anche qui: quelli che non amano il proprio mestiere- non smetterebbero di lavorare, lasciando in sotto-organico le istituzioni? Li si obbliga per legge?

3) Le pensioni
  1. E se uno non lavora mai? Attualmente c’è il contributivo per tutti. Cioè fra qualche anno tutti quattrini dell’INPS non saranno dell’INPS, ma dei lavoratori che li hanno versati nel corso degli anni. [Per decenni l’Italia ha avuto un sistema pensionistico -il retributivo- che consentiva di andare in pensione dopo un certo periodo (con celeberrimi scandali annessi, come i famosi 14 anni, 6 mesi e un giorno), indipendentemente da quanto si era versato, e lo Stato prendeva dalla fiscalità generale i soldi per pagare le pensioni. C’è gente che ha lavorato 20 anni ed è stata in pensione 40 (in Toscana chiamano “doppiaggio” questa cosa, cioè lo stare in pensione il doppio degli anni in cui s’è lavorato). Poteva funzionare con tassi di occupazione giovanile elevati -le tasse dei giovani pagano le pensioni ai vecchi- ma ovviamente se la disoccupazione s’impenna il meccanismo si blocca. Da cui l’esigenza del contributivo]. Ora, supponiamo che, in regime di RdE, uno dall’età di 18 anni fin quando crepa non lavori manco un giorno come dipendente (anche qui, come sopra: non vuol dire che stia tutta la vita a grattarsi la pancia), quindi non versa mai nulla di contributi. Chi gliela paga la “pensione”? Mi direte: nessuno, perché le pensioni vengono sostituite dal RdE. Riformulo: chi glielo paga il RdE?

  2. Ai pensionati odierni quanto gli diamo? Altro problemino: dalla tua proposta vorresti prendere i 161 mld e rotti dell’INPS e farli confluire nel fondo per il RdE, cioè quelle cifre che hai scritto. Domanda: a un pensionato odierno che, sulla base dei contributi che ha versato, dovrebbe avere -ad es.- a 2700€/mese, quanto gli diamo? E perché mai dovrebbe accettare una qualunque cifra la di sotto di quella che gli spetterebbe di diritto? (ripeto: sono soldi che LUI/LEI ha versato. [Lasciate stare le pensioni d’oro, parliamo di casi “normali”]. Peraltro, è noto che i diritti acquisiti sono intoccabili (guardate che fine hanno fatto tutti i tentativi di intervenire sulle pensioni d’oro: ricorso, vittoria, fine).

    1. La lotta all’evasione

A parte il fatto che le stime sull’evasione fiscale in Italia sono svariate, e in genere si parla di 120 mld (non di 270), recuperare il 28% è utopia allo stato puro. Negli ultimi anni sono stati recuperati circa una dozzina di miliardi l’anno, pari -supponendo 120mld/anno) al 10%.

5) Il debito

“Ridimensionare gli attuali interessi sul debito” è una cosa che non si può fare unilateralmente. Bisogna vedere se il creditore è d’accordo. Non siamo l’Islanda. E comunque, “ridimensionare” può voler dire che anziché 68 ne pagheremmo…che so, 50? 40? Di certo non zero. Peraltro: quando un Stato decide non pagare il debito tecnicamente si dice che “va in default”. Se non ne paga una parte si chiama “default parziale”.

6) Questione "tempo parziale vs. tempo libero"

Anche qui, il problema non è la tipologia di lavoro, ma lo stipendio percepito (e ovviamente il rapporto tra questo e il costo della vita). Nelle città turistiche ci sono attività che lavorano solo 3 o 4 mesi l’anno (es. stabilimenti balneari), ma guadagnano abbastanza da camparci tutto il resto dell’anno. Il lavoro a tempo parziale può dipendere da esigenze delle aziende o del lavoratore, o di entrambi.

“Le aziende non hanno l’obbligo di rispettare un reddito minimo, ma si lascia agli andamenti del mercato stabilire le possibilità di retribuzione”. Questo scenario è irrealistico per due motivi:

  1. Già ora, nel mondo, è il mercato a stabilire le possibilità di retribuzione. La conseguenza è che le aziende delocalizzano e vanno ad aprire dove la manodopera costa meno, esasperando una lotta tra poveri, una costante gara a chi si prostituisce di più. L’unico freno a tutto ciò è il fatto che se la gente è così povera da non potersi permettere di comprare i prodotti che l’azienda produce, alla fine il circuito scoppia. Che è quello che sta accadendo. Ma nello scenario proposto, la gente riceve il RdE (es. 900€/mese) anche se non lavora. Ergo, se io azienda voglio convincere uno a lavorare per me, devo offrirgli uno stipendio superiore (parecchio superiore) a 900€/mese (altrimenti chi me lo fa fare di lavorare per la Apple a 100€/mese? Se devo lavorare gratis lo faccio per Emergency, piuttosto). Ora, se davvero la robotizzazione andrà in porto come tuti dicono, potrebbe non essere un problema, visto che nelle fabbriche non ci sarebbero più lavoratori umani nelle catene di montaggio, ma quasi solo manager -cioè gente di per sé pagata molto-. Ma solo a patto di tassare moltissimissimo l’azienda stessa e il presidente e i top manager (perché ricordiamoci che le tasse di tutti questi devono andare a coprire il RdE dei propri clienti). E a quel punto, ovviamente, l’azienda (super robottizzata) piazzerà la sede fiscale in qualche Panama e amen.
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Ci sono un paio di paragrafi dedicati (nel capitolo ancora successivo al saggio che sto scrivendo) al problema del lavoro facoltativo o obbligatorio. Li riporto:

Il lavoro può essere comunque obbligatorio

Di fronte all’ipotesi di un reddito di esistenza, spesso si è intimoriti all’idea che la gente possa smettere di lavorare. Presentata questa proposta, l’obbligo di lavorare o meno è tranquillamente aperto a diverse scelte. Innanzitutto, l’obbligo sarebbe ridimensionato ad un lavoro a tempo parziale; inoltre, i Centri per l’Impiego potrebbero fissare un numero massimo di rifiuti di offerte di lavoro, dopo i quali si perde il reddito di esistenza (il quale viene riacquisito necessariamente se si inizia a lavorare) oppure viene erogato solo quando si lavora (la forma più restrittiva possibile). Quindi il reddito di esistenza può esistere con o senza obbligo di lavoro; pertando tale questione non la si può presentare come un argomento contro il reddito di esistenza.

Bisogna anche considerare che il reddito di esistenza copre la soglia di povertà, quindi sono soldi che quasi certamente vengono tutti spesi. Non permettono un risparmio. Tantissimi giovani che vivono in famiglia riceverebbero 300-400 € al mese: è difficile credere che nessuno o la maggior parte non sia motivata a trovare nemmeno un lavoro a tempo parziale. Inoltre, non lavorare sarebbe una scelta di relativa povertà: vivere in famiglia (dato che lavorando a tempo pieno, invece, un affitto o un mutuo si possono pagare), rinunciare ai viaggi, non permettersi passioni costose, ecc. In altre parole, vivere solo con il reddito di esistenza sarebbe una scelta molto simile a quella di un frate.

Il lavoro facoltativo avvantaggia l’economia del dono

Detto ciò, è interessante valutare la prospettiva di lasciare il lavoro facoltativo. Ci sono delle persone con una vocazione simile a quella dei frati, che non essendo motivate dal denaro e non essendo attratte dai beni e dai servizi che il mercato offre, potrebbero dedicarsi ampiamente all’economia del dono. Magari i Centri per l’Impiego potrebbero potenziare la coordinazione del volontariato per progetti come la produzione di materiale didattico; la pulizia dei parchi; un aiuto per gli anziani; il rilevamento delle condizioni dei terreni locali (presenza di rifiuti, alberi malati, raccolta di campioni da far analizzare…); lo sviluppo o il test di software open source; la scelta di fare la casalinga o il casalingo, indispensabile per una famiglia con figli; inviare persone in incognito a controllare piazze, locali, scontrini battuti, segnando illegalità che si desidera monitorare; e molti altri lavori che sono socialmente utili, ma non prevedono vendite e quindi quasi mai sono finanziati.

È importante che tale volontariato resti libero, perché i controlli o i criteri burocratici sarebbero molto più snervanti ed onerosi che lasciare le persone libere di dedicarsi a ciò che ritengono utile, con i loro ritmi soggettivi, così che non perdano la voglia o l’energia di proseguire. L’ambito di questo volontariato sarebbe fortemente scoraggiato per il minimo reddito di cui si potrà disporre, ma resterebbe una scelta possibile. Ad ogni modo, se per precauzione si vuole iniziare con l’obbligo del lavoro e la possibilità di perdere il reddito di esistenza, si può sempre iniziare con tale cauto approccio.

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