Ho trovato un documento molto interessante – accidentaccio alla barriera linguistica – http://www.jarass.com/Steuer/A/Steuermaßnahmen.pdf – una proposta per una legislazione tributaria tale da ricalibrare i guadagni delle corporations a confronto con lavoratori e cittadini. Nonostante non tratta di RdE contiene molti spunti simili a quelli che abbiamo discusso qui, ma articolati con le statistiche e i dati alla mano. Con un catalogo del genere la via per la riorganizzazione delle finanze per realizzare il RdE (mi rifiuto di usare il termine “finanziamento” in quanto completamente inadeguato) è a ⅞ camminata…
Ravvivo questa discussione con 2 capitoli (brevi per essere capitoli, lunghetti come post) di un saggio divulgativo che sto scrivendo (sarà Creative Commons). Sono dedicati (specialmente il secondo capitolo nel successivo post), al finanziamento del reddito di esistenza: sostengo che è fattibile, anche all’interno dell’eurozona e che non c’è altra strada valida da prendere (conclusione a cui sono giunto dopo averlo paradossalmente scartato).
Coprire la soglia di povertà assoluta
Ci sono numerose modalità per garantire un reddito che copra la soglia di povertà assoluta [1] e per tutelare i livelli di reddito dei lavoratori. Qui sostengo una precisa impostazione che ritengo l’unica veramente valida. Tale impostazione è tra quelle finanziariamente più impegnative, ma vedremo nel prossimo capitolo che è possibile finanziarla senza introdurre nuove imposte e senza tagli alla spesa pubblica. Prima di esporre la concreta proposta, sono necessarie alcune premesse e alcuni dati.
[1] La povertà assoluta è quando una persona dispone di un reddito insufficiente per far fronte alle spese necessarie per fornirsi dei beni primari.
Quantificare la soglia di povertà assoluta
La soglia di povertà assoluta varia individualmente da circa 300 a circa 900 €. Il motivo di questa forte variabilità dipende dalle condizioni in cui si trova un individuo: se vive in una grande o una piccola città, se è da solo o in un nucleo famigliare più o meno numeroso e anche dalla sua età [2]. Teniamo presente che essendo il reddito mediano netto di 2.100 € [3], tutelare i redditi netti al di sotto di questo valore non può sconvolgere il quadro finanziario (es. inflazione), piuttosto sono operazioni che aiuterebbero le vendite delle aziende e la ridistribuzione della ricchezza.
[2] È possibile leggere questi valori su una tabella dettagliata [ http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_SOGLIAPOVA ] pubblicata dall’ISTAT. Prestare attenzione alla scelta della tipologia famigliare e dell’anno di riferimento.
[3] È possibile approfondire su un articolo de La Repubblica, Bankitalia, la metà delle famiglie vive con meno di 2.100 euro al mese [ http://www.repubblica.it/economia/2015/12/03/news/bankitalia_ricchezza-128709666/ ].
Indicare i giusti livelli di reddito
Occorre distinguere diversi livelli minimi di reddito: soglia di povertà, lavoro a tempo parziale (4 ore al giorno) e lavoro a tempo pieno (8 ore al giorno). La distinzione che verrà fatta è apprezzabilmente precisa, anche se ai fini pratici è giusto indicativa. Infatti, ci sono lavori di 4, 6, 8 o 10 ore, ci sono lavori stagionali, si può distribuire diversamente il carico di lavoro nell’arco di una settimana, ci sono orari notturni, ecc. Una buona idea è introdurre una tutela di pagamento minimo orario, diurno e notturno, per venire incontro ai variegati orari di lavoro, ma adesso è sufficiente stabilire delle situazioni tipiche di riferimento per dare un’idea di una retribuzione corretta. I valori si devono considerare al netto di ogni imposta, dunque non sono lordi.
Tipologia lavoro . . . . Sud Italia . . . Centro Italia . . . . Nord Italia Soglia di povertà . . . 280-600 € . . . . 330-800 € . . . . 350-820 € Tempo parziale . . . . . +400 € . . . . . . . +450 € . . . . . . +450 € Tempo pieno . . . . . . . +800 € . . . . . . . +900 € . . . . . . +900 €
La soglia di povertà va calcolata per ciascuno sulla base della residenza, della grandezza della città, del numero dei componenti famigliari, dell’età e aggiornata anno per anno [Notasi come questi dati sono noti alle autorità, i calcoli sono automatizzabili e non richiedono intervento burocratico, n.d.lynX]. Lo stipendio indicato nel lavoro a tempo parziale va inteso come risparmio netto da sommare alla propria soglia di povertà, ugualmente il risparmio netto concesso dal tempo pieno va sommato sempre alla soglia di povertà. In questo modo, si può garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni primari (esclusa l’abitazione, dato che si può sempre rimanere nel nucleo famigliare di origine) e garantire un motivante risparmio mensile quando si lavora, evitando che si lavori solo per sopravvivere, dato che sarebbe una condizione simile alla schiavitù.
Il pagamento più alto possibile in tabella, per un lavoro a tempo pieno, è 1.720 €, ben al di sotto del reddito mediano di 2.100 €. Probabilmente è anche possibile tutelare un risparmio netto di 450-500 € per il parziale, che raddoppia nel caso del tempo pieno. Però, sono passi che vanno compiuti con cautela e non è necessario fornire ora valori esatti. Il fatto di rimanere al di sotto di 2.100 € consente di tutelare un lavoro generico, dato che i lavori qualificati o con mansioni più onerose (per esempio, con orario notturno o con maggiori responsabilità) devono essere pagati maggiormente, avvicinandoci o eguagliando o superando la soglia di 2.100 €. È importante che le tutele degli stipendi non innalzino generalmente troppo gli stipendi, perché salirebbero anche i prezzi, perdendo il vantaggio di stipendi più alti.
Poter vivere con un lavoro a tempo parziale
Il tempo parziale deve permettere di vivere bene e autonomamente, altrimenti si sarà obbligati a cercare un lavoro a tempo pieno. Il motivo è che ci sono individui che sentono la necessità di avere più tempo per riflettere o più tempo per attività fuori dal mercato o più tempo per la politica locale o più tempo per la famiglia o per se stessi. Tutti spazi attualmente piuttosto soffocati, con spiacevoli risvolti sociali. Lo straordinario progresso tecnico e tecnologico realizzato nell’arco di un secolo, alla ricerca di maggior comodità, funzionalità, efficienza e velocità, dovrebbe riflettersi anche su un aumento del tempo libero. Invece, il mercato ha instaurato una dinamica che penalizza molto il tempo libero, perché massimizza la necessità di un lavoro a tempo pieno rispetto ad uno a tempo parziale.
Questa penalizzazione del tempo parziale dipende dalla necessità di dover “coprire” la soglia di povertà. Un lavoratore difficilmente può accettare un lavoro che non gli consenta di vivere autonamente e risparmiare (pur non mancando casi di questo tipo). Rendere possibile ciò richiede indicativamente sui 1.250 € al mese. Se un’azienda assumesse due lavoratori a tempo parziale, li dovrebbe pagare per un totale di 2.500 € al mese, invece, un lavoro a tempo pieno può essere pagato indicativamente sui 1.700 €. Perché l’azienza dovrebbe spendere 800 € di più pagando due lavoratori a tempo parziale? Ovviamente non lo fa, a meno che, non ha dei ruoli da dedicare specificatamente a parti limitate della giornata e che consistono in mansioni particolarmente impegnative.
La proposta che presento risolve il problema dell’autonomia finanziaria in un modo estremamente ottimizzato e risolve il dilemma della mancata equivalenza di costo da parte dell’azienda tra un lavoro a tempo pieno e due parziali.
Come attuare il reddito di esistenza
Per risolvere il sopra esposto dilemma è necessario un intervento sul sistema finanziario che tolga la competenza di soddisfare la soglia di povertà alle aziende e la affidi allo Stato. Praticamente occorre separare il reddito di esistenza (quello che copre la soglia di povertà) dal reddito del lavoro, quest’ultimo concepito come un premio e proporzionale alle ore di lavoro svolto. La proporzionalità è fondamentale per distribuire più liberamente e precisamente il carico di lavoro nella società e risolvere verosimilmente anche il problema della disoccupazione.
Il reddito di esistenza lo intendo erogato a tutti i maggiorenni, sia lavoratori che in cerca di lavoro, e cumulabile con il reddito del lavoro. Attualmente il costo dell’esistenza per i disoccupati è principalmente affidato al nucleo famigliare (genitori e parenti). Inoltre, le aziende non hanno l’obbligo di rispettare un reddito minimo, ma si lascia agli andamenti del mercato stabilire le possibilità di retribuzione. Praticamente lo Stato dovrebbe iniziare ad erogare questo reddito mensile, le aziende di conseguenza potrebbero pagare meno i lavoratori e si dovrebbe introdurre una tutela di pagamento minimo orario, specificando qualche distinzione tra orari diurni e notturni ed anche in relazione ad alcune categorie di lavoro.
Perché escludere altre soluzioni?
Voglio esporre i motivi per cui altre soluzioni non sono valide come questa. Consideriamo la forma finanziariamente più leggera, ovvero il sussidio di disoccupazione [4]. Se il disoccupato trova lavoro, viene poi pagato interamente dall’azienda. Però, questo lascerebbe la forte prevalenza verso i lavori a tempo pieno, perché, come già visto, all’azienda conviene assumere a tempo pieno in proporzione ai costi. Invece, è importantissimo distribuire il carico di lavoro tra i cittadini, quindi non si può rinunciare ad una soluzione che crei una reale libertà per l’azienda di scomporre un lavoro a tempo pieno in due a tempo parziale. Il sussidio di disoccupazione questo problema non lo risolve affatto, resta del tutto “estraneo” a tale problema.
[4] Il sussidio di disoccupazione dovrebbe essere un reddito fornito dallo Stato per coprire la soglia di povertà assoluta. Tale sussidio andrebbe erogato dal momento in cui un cittadino maggiorenne si registra in un Centro per l’Impiego e non dal momento in cui perde il primo lavoro, né come una percentuale che con i mesi scende fino ad esaurirsi. Attualmente ci sono forti restrizioni nel modo in cui viene erogato.
Un altro motivo per cui l’azienda non dovrebbe includere il reddito di esistenza nello stipendio (dunque tale reddito andrebbe affidato allo Stato), è che, per ottimizzare i soldi, bisogna considerare la diversa soglia di povertà di ciascuno e all’azienda converrebbe assumere persone che vivono in famiglie più numerose, rispetto alle persone che vivono da sole. Infatti, queste ultime vanno pagate maggiormente per coprire la loro più alta soglia di povertà. Per ovviare a questo problema, si potrebbe considerare solo la soglia di povertà di chi vive da solo (condizione più dispendiosa), ma sarebbe una disottimizzazione della richiesta complessiva di soldi, con maggior carico sulle aziende, che facilmente si sposterebbero in altre nazioni per non soffrire del costo dei lavoratori. Inoltre, si riproporrebbe il fatto che un tempo pieno è più conveniente di due tempi parziali. Praticamente è un passo improponibile e la soluzione praticabile resta che il reddito di esistenza sia competenza dello Stato sia per chi lavora che per chi è disoccupato.
Esiste anche la possibilità di un reddito minimo garantito, con ciò si intende una soglia da rispettare attraverso un sussidio di disoccupazione per chi è in cerca di lavoro; mentre, per chi ha trovato lavoro, si lascia che l’azienda paghi come può. Nella misura in cui il pagamento dell’azienda non porta il lavoratore al reddito minimo garantito, allora interviene nuovamente lo Stato per colmare la differenza mancante. Il grave difetto di questa proposta è che le aziende faranno “pesare” il più possibile sullo Stato lo stipendio che il lavoratore deve ricevere. Inoltre, ammesso che le aziende paghino correttamente ed il più possibile il lavoratore, non si risolve la situazione per cui il lavoro a tempo pieno resta preferibile per le aziende rispetto a quello parziale [Per non parlare dell’enorme problema burocratico/corrompibile, n.d.lynX].
In vista di una distribuzione del carico di lavoro e di una soluzione al problema della disoccupazione, è immancabile creare un equilibrio tra due paradossali e note tendenze: disoccupazione e tempo pieno più gli extra, talvolta non pagati. L’unica soluzione realmente valida, anche se finanziariamente impegnativa ma fattibile, è il reddito di esistenza.
Se siamo convinti che il reddito di esistenza sia la soluzione giusta, se non addirittura l’unica realmente efficace. Rimane da affrontare il problema del suo finanziamento. Tale reddito richiede un finanziamento stimato di 275 miliardi di euro l’anno [1]. Però, questa cifra si sovrappone con diversi attuali finanziamenti, quindi di fatto è più bassa. Per esempio, si sovrappone in parte con i sussidi di disoccupazione; con parte del finanziamento di chi è in cassa integrazione; con parte delle pensioni di vecchiaia o invalidità; c’è parziale sovrapposizione anche con gli stipendi dei dipendenti pubblici ed altre sovrapposizioni. Ora le vedremo in dettaglio, insieme ad altre fonti di finanziamento.
[1] Questa cifra è stata stimata considerando il numero di famiglie con 1 componente (7.910.000), con 2 (7.910.000), con 3 (5.116.000), con 4 (4.051.000), con 5 (1.088.000), con 6 o più componenti (303.000) nell’anno 2015 (Dati ISTAT [ http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_SOGLIAPOVA ]; usato, come soglia di povertà, il valore medio tra grandezza comuni e territorio) e scegliendo un costo tipico del reddito di esistenza individuale, nelle relative condizioni, rispettivamente di 703 €, 490 €, 400 €, 354 €, 346 €, 332 € mensili. Inoltre, bisogna escludere i minorenni ai quali non viene dato il reddito di esistenza. Nel 2015 da 0 a 17 anni erano 10.096.165 (Dati ISTAT [ http://dati.istat.it/ ] > Popolazione e famiglie > Popolazione residente al 1° gennaio) e si è considerato un costo medio di 377 € per minorenne in una famiglia di 3-4 componenti. Il valore che si ottiene, per quanto approssimato, ma apprezzabilmente preciso, è di 274.951.725.540 €, arrotondando per eccesso 275 miliardi di euro l’anno.
IVA e IRPEF. In primo luogo, bisogna considerare che il reddito di esistenza, data la sua bassa entità, verrà speso interamente. Se una famiglia è benestante e continua a sostenere i costi dei figli, è attendibile che quei soldi verranno comunque spesi in svariati altri modi. Questo significa che c’è un ritorno fiscale dovuto all’IVA. I beni di prima necessità hanno l’IVA al 4% e spesso al 10% [2], considerando che non mancheranno anche acquisti con IVA al 22%, possiamo tener conto di un ritorno fiscale del 10%. Inoltre, il 90% di guadagno che finisce alle aziende, per la spesa di tale reddito, possiamo considerare che il 33% [3] di esso ritorna allo Stato tramite l’IRPEF. Quindi 10% + 29,7% porta quasi al 40% di copertura del reddito di esistenza dovuto al semplice fatto di essere introdotto.
[2] Potete consultare l’elenco delle aliquote IVA [ http://business.laleggepertutti.it/5702_le-aliquote-iva-per-ogni-prodotto ] applicate alle varie tipologie di prodotto.
[3] Considero il 33% di incidenza fiscale facendo una media tra il 2° e il 3° scaglione di aliquota IRPEF. Maggiori informazioni su PMI.it [ http://www.pmi.it/impresa/contabilita-e-fisco/articolo/52519/irpef-scaglioni-e-aliquote.html ]
Ammortizzatori sociali. Riguardo agli ammortizzatori sociali (sussidi di disoccupazione, mobilità, cassa integrazione), lo Stato spende 9,35 miliardi, più altri 8,62 miliardi che sono finanziati dall’INPS [4]. Siccome molte di queste spese possono essere superiori al reddito di esistenza, non possiamo avere una copertura del 6,5%, ma inferiore e potremmo stimare al ribasso almeno un 3%.
[4] L’INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale) è un ente la cui principale funzione consiste nel tenere un fondo finanziato tramite imposte fiscali, chiamate comunemente contributi, obbligatori per tutti i lavoratori sia autonomi che dipendenti (pubblici o privati). In alternativa, la legge permette di avere una propria cassa previdenziale autonoma. Questo fondo serve per pagare le pensioni o altre forme di assistenza al reddito. L’INPS è sottoposto alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Quindi, anche se l’INPS non rientra propriamente nella spesa pubblica è, di fatto, un’estensione dello Stato ed è comunque finanziato da un gettito fiscale.
Pensioni e invalidità. Riguardo le pensioni, nel 2015 [5] per finanziarle sono stati necessari 196,8 miliardi di euro sostenuti tramite la spesa pubblica e l’INPS (ovvero tramite i contributi dei lavoratori). Stando all’infografica sulle pensioni del 2014 [ http://www.istat.it/it/files/2013/05/infografica_pensioni_2014.pdf ] dell’ISTAT (attualmente non sono stati pubblicati dettagli sulle pensioni del 2015, ma la differenza è trascurabile ai fini di questo scritto), il 39,75% dei pensionati riceve una pensione netta inferiore a 770 € [6] che quasi coincide con la soglia massima sotto la quale interviene il reddito di esistenza. Quindi la sovrapposizione sarà inferiore al 39,75%, ma si sovrapporrà con la maggior parte di questa percentuale, possiamo considerare una sovrapposizione del 29% (quasi tre quarti della percentuale precedente). Arrotondando per difetto risulta che il 20% del reddito di esistenza sarebbe già finanziato dalla spesa complessiva per le pensioni.
[5] I dati sono pubblicati dal CISL Brescia [ http://www.cislbrescia.it/2016/03/30/inps-18-milioni-di-pensionati-per-196-miliardi-di-spesa/ ]; si possono leggere anche i dati del 2014 pubblicati dall’ISTAT [ http://www.istat.it/it/archivio/175630 ], ma si deve considerare che questi ultimi si riferiscono alle pensioni lorde (per conoscere l’incidenza sulla spesa pubblica vanno diminuite di circa il 25%, tale percentuale è una media tra il 1° e il 2° scaglione IRPEF che si applica sulle pensioni).
[6] Si presti attenzione ai 1.000 € indicati sull’infografica [ http://www.istat.it/it/files/2013/05/infografica_pensioni_2014.pdf ] precedente, dato che sono lordi e vanno ridotti del 23% per conoscere i soldi effettivamente percepiti dal pensionato, stando alla 1° aliquota IRPEF.
Stipendi statali. Venendo agli stipendi dei dipendenti statali, nel 2015 sono stati spesi 161,7 miliardi di euro [7]. Stando a un dato del 2013, il reddito medio annuale di un impiegato statale era 34.505 € [8], cioè 2.875 € al mese. Questo stipendio medio risulta piuttosto alto perché si includono gli stipendi di magistrati, prefetti e altre cariche altamente qualificate. Considerando 1/7 di questo stipendio medio mensile, cioè il 14,3% otteniamo 411 € che è verosimilmente la parte di reddito di esistenza che spetterebbe a tutti questi dipendenti, ovviamente in media e considerando in prevalenza famiglie con pochi componenti. Quindi, altri 23,1 miliardi di euro sarebbero sovrapposti ai finanziamenti già esistenti e questo porta ad una copertura dell’8,4% del reddito di esistenza.
[7] Dati presentati da Etica PA [ http://www.eticapa.it/eticapa/category/politica-e-pa/costi-della-pa/ ] la cui fonte è l’ISTAT.
[8] I dati sono riportati su un articolo de Il Fatto Quotidiano [ http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/04/stipendi-pubblica-amministrazione-magistrati-al-top-i-piu-poveri-sono-gli-insegnanti/2093459/ ].
8x1000. Lo Stato consente di destinare l’8x1000 delle imposte sul reddito (IRPEF) alle confessioni religiose. Considerando che chi lo desidera potrebbe donare attivamente una quota alla propria confessione religiosa e considerando che il 54% delle persone non esprime una preferenza, ma l’80% dei soldi va alla Chiesa Cattolica secondo un sistema non proporzionale e quindi ingiusto nelle ripartizioni [9], potremmo abolire l’8x1000 e destinarlo al reddito di esistenza che è un sostengo alla povertà. Pertanto, non cambierebbe il supposto (dato che attualmente è controverso [10]) valore etico di questi soldi. La cifra nel 2015 è stata 1,24 miliardi [11] di euro e può coprire lo 0,45% del reddito di esistenza. Un valore basso, ma è sempre un contributo.
[9] Tali percentuali si riferiscono al 2012 (dettagli pubblicati dal Ministero Economia e Finanze nel 2016) ed è possibile leggerli in forma grafica sul sito OcchioPerMille [ https://www.occhiopermille.it/#howitworks ] di iniziativa dell’UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti).
[10] Si consideri che la Corte dei Conti, organo dello Stato che vigila sulle entrate e le spese pubbliche, ha dichiarato che l’8x1000 non è trasparente e favorisce chi può permettersi una campagna pubblicitaria come la Chiesa Cattolica, verso la quale si sono rilevate anche numerose schede non conformi alla volontà del contribuente. Notizia pubblicata da Il Fatto Quotidiano [ http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/02/otto-per-mille-corte-dei-conti-accusa-poco-trasparente-e-favorisce-la-chiesa/2181055/ ]
[11] La cifra è stata pubblicata su un articolo de Il Fatto Quotidiano [ http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/10/8-per-mille-per-la-chiesa-introiti-calo-ma-resta-prima-con-un-miliardo/1862231/ ]
Il reddito di esistenza è attendibilmente finanziabile per il 39,7% + 3% + 20% + 8,4% + 0,45%, ovvero quasi per il 72% senza nessuna nuova imposta e senza alcun taglio alla spesa pubblica. Il rimanente è relativamente facile da completare. Infatti, dobbiamo ancora considerare il lavoro in nero.
Lavoro in nero. Le imposte fiscali evase con le sole attività legali in nero (dunque sono escluse le attività illegali) sono stimate per 270 miliardi di euro [12]. Questa singola importante “voce” potrebbe da sola coprire il 98% del reddito di esistenza. Però, è molto difficile recuperare tutto il nero, ma considerando che il 72% è già coperto, basta recuperare il 28% delle attività in nero che sommandole al 72% di copertura precedente arriveremmo al 100% del finanziamento del reddito di esistenza. Certamente occorre recuperare il nero mentre si aiutano le piccole e medie imprese e i liberi professionisti, piuttosto che aumentare la severità in una condizione di squilbrio e ingiustizia finanziaria complessiva. Lo stesso reddito di esistenza sarebbe un primo sincero aiuto, segno di solidarietà finanziaria [Faccio riferimento ai ragionamenti esposti precedentemente in questo thread per i quali il lavoro in nero non conviene se il lavoro non ha più il ruolo di finanziare la sussistenza, perciò il rientro di una alta percentuale di lavoro in nero è probabile già nei primi anni di implementazione del RdE. n.d.lynX].
[12] Dato presentato da International Business Time [ http://it.ibtimes.com/evasione-fiscale-italia-e-ue-percentuali-dati-e-numeri-da-incubo-1435808 ] e preso dall’istituto di ricerca Eurispes.
Interessi sul debito pubblico. Considerando una prospettiva a medio o lungo termine, in cui si recupera la sovranità monetaria e si smette di finanziarci a debito, potremmo arrivare a saldare i debiti in corso. Bisognerebbe valutare anche la possibilità legale di ridimensionare gli attuali interessi. Nel 2015 gli interessi sul debito pubblico hanno inciso di 68,44 miliardi di euro [13], se non ci fosse il debito, visto che potremmo finanziare la spesa pubblica a interessi zero tramite una Banca Centrale statale, avremmo a disposizione un’altra copertura di quasi il 25% del reddito di esistenza.
[13] Notifica dell’indebitamento netto pubblicata nel 2016, riferito all’anno 2015 dall’ISTAT [ http://www.istat.it/it/files/2016/04/Notifica_21_04_2006.it_.pdf?title=Notifica+indebitamento+netto+e+debito+Ap+-+21%2Fapr%2F2016+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf ].
Siamo arrivati ad una teorica potenziale copertura massima del reddito di esistenza per il 195% (quasi il doppio). Inoltre, si potrebbe legalizzare la prostituzione, attualmente oggetto delle attività criminali e che riceverebbe quanto meno delle tutele, oltre a generare un nuovo gettito fiscale. Potremmo introdurre un limite al reddito massimo per persona fisica, oltre il quale i soldi vengono presi con le imposte o ridistribuiti tra i lavoratori o investiti per migliorare l’azienda; introdurre un tetto alle pensioni; razionalizzare l’amministrazione pubblica; questi sarebbero tutti nuovi gettiti fiscali per lo Stato o soldi ottimizzati. Quindi il problema del reddito di esistenza non è finanziario ma politico, si tratta di volerlo o non volerlo, e volerlo significherebbe risolvere, almeno in Italia, il problema della povertà e della disoccupazione.
potremmo fare dei banchetti per promuovere il reddito di esistenza. potrebbe servire anche a trovare nuovi iscritti
Premetto che apprezzo lo sforzo di andare a spulciare siti e documenti ufficiali e, sulla base di quelli, formulare ipotesi. Qui però temo che stabilire da dove prendere i soldi per un’operazione colossale come questa sia qualcosa di un po’troppo complicata per comuni mortali" (cioè gente extra-parlamentare). Rendiamoci conto che una normale finanziaria è ritenuta molto impegnativa se si smuovono 20 o 30 miliardi: qui si parla di riformulare completamente la spesa pubblica di un Paese con 60 milioni di abitanti. Nella fattispecie, non si può semplicemente vedere “quanto spendiamo per X” e dire “bene, sposto questa spesa nel(l’ipotetico) Fondo per il RdE” (soprattutto le pensioni, vd. sotto). Queste ad esempio sono solo alcune delle perplessità che mi suscita l’analisi:
1) Il problema delle stime
Tutti i calcoli e le previsioni che stiamo facendo si basano sugli attuali conti dello Stato. Che però sono tali in assenza di un RdE: è difficile fare previsioni su cosa accadrà se si introducesse il RdE. Tempo fa ci fu un sondaggio sul grado di soddisfazione delle persone rispetto al proprio lavoro: ora non sono a casa e non posso navigare come vorrei (questi post li scrivo offline e li incollo al volo), ma la percentuale di gente insoddisfatta del proprio lavoro era altina. Mettetevi nei panni di chi lavora in un call-center, o nel porta a porta, o in uno di quegli innumerevoli lavoretti di ***** di oggi: che pensate che accadrebbe, se dall’oggi al domani queste persone potessero campare senza recarsi più al lavoro? Semplicemente, smetterebbero di andarci. Il che non vuol dire necessariamente che staranno a grattarsi la pancia, ma quand’anche si mettessero in massa a fare tutti volontariato ci sono due problemi:
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sullo stipendio percepito quando erano lavoratori pagavano un po’di tasse, mentre il RdE a quanto ho capito è esentasse (giusto?). Ergo, le entrate fiscali diminuirebbero
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le aziende sarebbero costrette a loro volta a chiudere, delocalizzare o -in alternativa- a pagare stipendi finalmente dignitosi. Ovviamente sceglieranno la seconda opzione. Ergo, ancora meno entrate.
- Come scongiurare il caos?
Conseguenza del punto 1: come garantire che i settori di vitale importanza continuino ad operare regolarmente? Pensiamo alla sanità, all’istruzione, ai Vigili del fuoco: il buon senso mi dice che la maggior parte di queste persone continuerebbe comunque ad operare, per senso civico. Ma come essere certi che molti -anche qui: quelli che non amano il proprio mestiere- non smetterebbero di lavorare, lasciando in sotto-organico le istituzioni? Li si obbliga per legge?
3) Le pensioni
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E se uno non lavora mai? Attualmente c’è il contributivo per tutti. Cioè fra qualche anno tutti quattrini dell’INPS non saranno dell’INPS, ma dei lavoratori che li hanno versati nel corso degli anni. [Per decenni l’Italia ha avuto un sistema pensionistico -il retributivo- che consentiva di andare in pensione dopo un certo periodo (con celeberrimi scandali annessi, come i famosi 14 anni, 6 mesi e un giorno), indipendentemente da quanto si era versato, e lo Stato prendeva dalla fiscalità generale i soldi per pagare le pensioni. C’è gente che ha lavorato 20 anni ed è stata in pensione 40 (in Toscana chiamano “doppiaggio” questa cosa, cioè lo stare in pensione il doppio degli anni in cui s’è lavorato). Poteva funzionare con tassi di occupazione giovanile elevati -le tasse dei giovani pagano le pensioni ai vecchi- ma ovviamente se la disoccupazione s’impenna il meccanismo si blocca. Da cui l’esigenza del contributivo]. Ora, supponiamo che, in regime di RdE, uno dall’età di 18 anni fin quando crepa non lavori manco un giorno come dipendente (anche qui, come sopra: non vuol dire che stia tutta la vita a grattarsi la pancia), quindi non versa mai nulla di contributi. Chi gliela paga la “pensione”? Mi direte: nessuno, perché le pensioni vengono sostituite dal RdE. Riformulo: chi glielo paga il RdE?
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Ai pensionati odierni quanto gli diamo? Altro problemino: dalla tua proposta vorresti prendere i 161 mld e rotti dell’INPS e farli confluire nel fondo per il RdE, cioè quelle cifre che hai scritto. Domanda: a un pensionato odierno che, sulla base dei contributi che ha versato, dovrebbe avere -ad es.- a 2700€/mese, quanto gli diamo? E perché mai dovrebbe accettare una qualunque cifra la di sotto di quella che gli spetterebbe di diritto? (ripeto: sono soldi che LUI/LEI ha versato. [Lasciate stare le pensioni d’oro, parliamo di casi “normali”]. Peraltro, è noto che i diritti acquisiti sono intoccabili (guardate che fine hanno fatto tutti i tentativi di intervenire sulle pensioni d’oro: ricorso, vittoria, fine).
- La lotta all’evasione
A parte il fatto che le stime sull’evasione fiscale in Italia sono svariate, e in genere si parla di 120 mld (non di 270), recuperare il 28% è utopia allo stato puro. Negli ultimi anni sono stati recuperati circa una dozzina di miliardi l’anno, pari -supponendo 120mld/anno) al 10%.
5) Il debito
“Ridimensionare gli attuali interessi sul debito” è una cosa che non si può fare unilateralmente. Bisogna vedere se il creditore è d’accordo. Non siamo l’Islanda. E comunque, “ridimensionare” può voler dire che anziché 68 ne pagheremmo…che so, 50? 40? Di certo non zero. Peraltro: quando un Stato decide non pagare il debito tecnicamente si dice che “va in default”. Se non ne paga una parte si chiama “default parziale”.
6) Questione "tempo parziale vs. tempo libero"
Anche qui, il problema non è la tipologia di lavoro, ma lo stipendio percepito (e ovviamente il rapporto tra questo e il costo della vita). Nelle città turistiche ci sono attività che lavorano solo 3 o 4 mesi l’anno (es. stabilimenti balneari), ma guadagnano abbastanza da camparci tutto il resto dell’anno. Il lavoro a tempo parziale può dipendere da esigenze delle aziende o del lavoratore, o di entrambi.
“Le aziende non hanno l’obbligo di rispettare un reddito minimo, ma si lascia agli andamenti del mercato stabilire le possibilità di retribuzione”. Questo scenario è irrealistico per due motivi:
- Già ora, nel mondo, è il mercato a stabilire le possibilità di retribuzione. La conseguenza è che le aziende delocalizzano e vanno ad aprire dove la manodopera costa meno, esasperando una lotta tra poveri, una costante gara a chi si prostituisce di più. L’unico freno a tutto ciò è il fatto che se la gente è così povera da non potersi permettere di comprare i prodotti che l’azienda produce, alla fine il circuito scoppia. Che è quello che sta accadendo. Ma nello scenario proposto, la gente riceve il RdE (es. 900€/mese) anche se non lavora. Ergo, se io azienda voglio convincere uno a lavorare per me, devo offrirgli uno stipendio superiore (parecchio superiore) a 900€/mese (altrimenti chi me lo fa fare di lavorare per la Apple a 100€/mese? Se devo lavorare gratis lo faccio per Emergency, piuttosto). Ora, se davvero la robotizzazione andrà in porto come tuti dicono, potrebbe non essere un problema, visto che nelle fabbriche non ci sarebbero più lavoratori umani nelle catene di montaggio, ma quasi solo manager -cioè gente di per sé pagata molto-. Ma solo a patto di tassare moltissimissimo l’azienda stessa e il presidente e i top manager (perché ricordiamoci che le tasse di tutti questi devono andare a coprire il RdE dei propri clienti). E a quel punto, ovviamente, l’azienda (super robottizzata) piazzerà la sede fiscale in qualche Panama e amen.
Ci sono un paio di paragrafi dedicati (nel capitolo ancora successivo al saggio che sto scrivendo) al problema del lavoro facoltativo o obbligatorio. Li riporto:
Il lavoro può essere comunque obbligatorio
Di fronte all’ipotesi di un reddito di esistenza, spesso si è intimoriti all’idea che la gente possa smettere di lavorare. Presentata questa proposta, l’obbligo di lavorare o meno è tranquillamente aperto a diverse scelte. Innanzitutto, l’obbligo sarebbe ridimensionato ad un lavoro a tempo parziale; inoltre, i Centri per l’Impiego potrebbero fissare un numero massimo di rifiuti di offerte di lavoro, dopo i quali si perde il reddito di esistenza (il quale viene riacquisito necessariamente se si inizia a lavorare) oppure viene erogato solo quando si lavora (la forma più restrittiva possibile). Quindi il reddito di esistenza può esistere con o senza obbligo di lavoro; pertando tale questione non la si può presentare come un argomento contro il reddito di esistenza.
Bisogna anche considerare che il reddito di esistenza copre la soglia di povertà, quindi sono soldi che quasi certamente vengono tutti spesi. Non permettono un risparmio. Tantissimi giovani che vivono in famiglia riceverebbero 300-400 € al mese: è difficile credere che nessuno o la maggior parte non sia motivata a trovare nemmeno un lavoro a tempo parziale. Inoltre, non lavorare sarebbe una scelta di relativa povertà: vivere in famiglia (dato che lavorando a tempo pieno, invece, un affitto o un mutuo si possono pagare), rinunciare ai viaggi, non permettersi passioni costose, ecc. In altre parole, vivere solo con il reddito di esistenza sarebbe una scelta molto simile a quella di un frate.
Il lavoro facoltativo avvantaggia l’economia del dono
Detto ciò, è interessante valutare la prospettiva di lasciare il lavoro facoltativo. Ci sono delle persone con una vocazione simile a quella dei frati, che non essendo motivate dal denaro e non essendo attratte dai beni e dai servizi che il mercato offre, potrebbero dedicarsi ampiamente all’economia del dono. Magari i Centri per l’Impiego potrebbero potenziare la coordinazione del volontariato per progetti come la produzione di materiale didattico; la pulizia dei parchi; un aiuto per gli anziani; il rilevamento delle condizioni dei terreni locali (presenza di rifiuti, alberi malati, raccolta di campioni da far analizzare…); lo sviluppo o il test di software open source; la scelta di fare la casalinga o il casalingo, indispensabile per una famiglia con figli; inviare persone in incognito a controllare piazze, locali, scontrini battuti, segnando illegalità che si desidera monitorare; e molti altri lavori che sono socialmente utili, ma non prevedono vendite e quindi quasi mai sono finanziati.
È importante che tale volontariato resti libero, perché i controlli o i criteri burocratici sarebbero molto più snervanti ed onerosi che lasciare le persone libere di dedicarsi a ciò che ritengono utile, con i loro ritmi soggettivi, così che non perdano la voglia o l’energia di proseguire. L’ambito di questo volontariato sarebbe fortemente scoraggiato per il minimo reddito di cui si potrà disporre, ma resterebbe una scelta possibile. Ad ogni modo, se per precauzione si vuole iniziare con l’obbligo del lavoro e la possibilità di perdere il reddito di esistenza, si può sempre iniziare con tale cauto approccio.
Questa argomentazione è fondamentalmente vaga, se c’è un buon motivo per non fare un’operazione, sentiremo un esperto e verrà fuori qualche problema preciso e magari l’affronteremo. Però, limitarsi a dire che è “roba per esperti” quando sappiamo quanto la corruzione pieghi gli esperti a proprio vantaggio, rischia di diventare una condotta in cui ci si inchina ai potenti, perché solo loro possono capirci qualcosa. Non accetto una cosa del genere, piuttosto sostengo la prospettiva che almeno una percentuale bassa di cittadini deve essere capace di capire certi aspetti importanti della finanza dello Stato: avere aspettative e monitorarle un minimo.
Con un RdE, come ho detto, c’è una spesa per gente ora povera o con redditi ristretti ed avremmo un ritorno del 40% del RdE allo Stato. Riguardo il timore di non lavorare ti ho risposto con i paragrafi precedenti: lasciamo inizialmente il lavoro obbligatorio. Però è fondamentale che l’RdE sia dato dallo Stato così che l’azienda possa avere maggior equivalenza tra lavoro parziale e a tempo pieno, così da distribuire il carico di lavoro e mitigare la disoccupazione stessa (semmai avremmo ancora più gettito fiscale riducendo molto la disoccupazione).
Tutti i ragionamenti che seguono sulle pensioni ed altre conseguenze dei non lavoratori mantenuti dal RdE saltano (non sono più validi) se lasciamo obbligatorio trovare un lavoro almeno a tempo parziale.
Riguardo il pagamento delle aziende verso il lavoratore sarebbe comunque basso, parliamo di 500-550 € (come impegno finanziario tasse comprese verso il lavoratore) al mese per chi è a tempo parziale e 1000-1100 € al mese a tempo pieno. Fondamentalmente la situazione resta invariata (riguardo la perdita di competizione eventualmente dovuta ad un aumento del costo del lavoro che non ci sarebbe).
Altri problemi @Exekias ?
Beh, con il vincolo della ricerca di un impiego é giá un’altra cosa, e francamente mi pare piú fattibile. In pratica é simile allla proposta pentastellata del Reddito di cittadinanza, che si perde rifiutando 3 offerte di lavoro (con la differenza che i 5 stelle lo darebbero solo a chi campa da solo; alle persone a carico nulla. Il che spiega come mai la loro stima é di circa 15mld€/anno). Ponevo la questione perché in genere, quando si parla di RdE, lo si intende come traduzione di quello che in inglese si chiama Unconditional Basic Income, laddove l’aggettivo “incondizionato” sottolinea appunto che lo Stato te lo eroga a prescindere da tutto (etá, nucleo familiare, zona di residenza e anche ricerca di lavoro). Ripeto, a me personalmente pare giá un po’meglio, ma qui qualcuno ti dirá che se metti i vincoli allora scatta la corruzione (il che puó anche essere vero, ma é un po’ drastico come ragionamento: sarebbe come dire “legalezziamo le soste selvagge perché se dai il potere ai vigili urbani di fare le multe sicuramente ci faranno corrompere”). Quanto alle pensioni, il problema rimarrá sempre: se la gente non riesce a versare i contributi, in vecchiaia fará una vita “da frate”, col solo RdE e i pasti caldi della Caritas.
Se una persona lavora in nero viene pagata pochissimo nella mia impostazione, solo mettendoti in regola puoi ricevere il RdE, perché (con il lavoro obbligatorio) il RdE lo ricevi se dimostri che stai lavorando. Inoltre dovendo comunque l’azienda pagarti almeno 500-550 € (tempo parziale) non li butta i soldi per fare un favore a qualcuno (serve un impegno doppio: Stato + azienda).
Potrebbe rimanere il problema nel caso di un secondo lavoro in nero… Purtroppo, non si può rimediare a tutto, ma questa non è una ragione per rimanere nella brutta situazione in cui ci troviamo. Il sistema perfetto forse non esisterà mai, ma dobbiamo provare a migliorare.
C’è anche da dire che obbligare tutti ad usare solo moneta elettronica porterebbe a zero il lavoro in nero e ridurrebbe tanto le attività illegali perché ogni passaggio di denaro viene registrato. Adottando soluzioni parallele (mi spiace per la privacy) una soluzione rafforza l’altra.
C’è anche da dire che il reddito minimo del M5S interviene solo se sei sotto un certo reddito e cercano di farlo pesare il più possibile alle aziende il costo dei lavoratori. Io invece sostengo che questo aspetto va necessariamente cambiato perché dobbiamo creare equivalenza tra 2 lavori a tempo parziale ed 1 a tempo pieno o comunque aumentere le ferie all’anno per i lavoratori che magari lavoreranno meno mesi l’anno. Insomma OCCORRE distribuire il carico di lavoro (le ore di lavoro) altrimenti la disoccupazione non si risolve e poi ci si stressa tanto. L’unico modo è scomporre il reddito che serve per vivere dal guadagno con cui ti premia il lavoro (aumenta anche la trasparenza e il senso dei vari pagamenti), il primo devo darlo lo Stato, il secondo le aziende.
Se neanche ci proviamo non credo arriveremo lontano. In tutti questi anni di dibattito sul BGE/RdE non ho visto dati così concreti. Manco da parte dagli esperti dichiarati.
Appunto per questo nessun politico oserà mai portarla avanti se non ha il supporto della popolazione. È il tipo di visione politica che tipicamente si porta appresso un cambiamento generazionale ed introduce una nuova forza politica, visto che nemmeno il M5S comprende questa roba.
Un forte cambiamento riguardo agli stipendi per i lavori cretini. Svariati business model che magari non funzionano più mentre altri spuntano dal nulla come funghi. Una esplosione di valore etico nel lavoro… vale la pena vivere qualche scombussolamento del mercato.
Si, l’idea di tassare il lavoro è stata cretina a mio avviso. Le tasse vanno raccolte dove si formano i guadagni, non dove si lavora. Percio’ sulle materie grezze, sui danni ambientali e alla salute, sui trasferimenti, sulle ricchezze accumulate…
Se il lavoro in nero non conviene in quanto paga poco ma ti mette in conflitto con la legge, recuperare il 28% è solo l’inizio.
Se veramente è soddisfatto a vivere tutta una vita con una mera garanzia di esistenza ma ben pochi momenti di lusso… l’economia se lo può permettere. Attualmente l’economia è portata avanti più dalle tecnologie che dalla manodopera, perciò se la metà della popolazione non lavora, non è detto che non si riesca a fare funzionare l’economia. È una questione di volontà a riprendersi i guadagni che attualmente stanno andando in tasche buie o all’estero.
Da un punto di vista costituzionale c’è molto da dubitare sulla legittimità del debito artificialmente costituito da un sistema economico fallacio, perciò il dubbio che ho a riguardo non è per le cifre astratte e surreali che può comportare ma più sui rischi di guerra che gli illeggittimi creditori potrebbero farci, strumentalizzando chissà quali nazioni. Alla fine è la stessa questione del TTIP, siamo ancora in grado di legiferare da sovrani o siamo nazioni sudditi di chissachi?
Il default è una nozione applicabile solo se il resto del mondo insiste a mantenere in piedi l’apparato economico artificiale nel quale viviamo. Quello con le 63 persone e i trattati tipo TTIP. Non è detto che fra dieci o venti anni il mondo sarà ancora schiavo di tale sistema economico ma piuttosto in condizioni di guerra mondiale.
La nuova situazione di mercato abbasserebbe i prezzi dei servizi turistici, IMHO.
Togliendo alle aziende il compito di garantire la sussistenza abbiamo disinnescato esattamente questa miccia. Il costo del lavoro in una nazione RdE è il più basso di tutti. Perciò la politica deve compensare introducendo altri tipi di tasse per le aziende, quelle ambientali per esempio.
Ah ma allora c’è un errore fondamentale di comprensione da parte tua. Il RdE viene erogato COMUNQUE per questo se l’azienda ti paga 200€ sono 200€ che hai IN PIÙ. Questo il significato della parola “cumulativo”.
Ma il mercato dove vuole vendere i suoi prodotti è qui, e le condizioni con le quali può vendere i suoi prodotti dipendono dalla nostra legislazione. Perciò che abbia i suoi robot in Italia o in Panama gli crea solamente uno svantaggio: quello di dovere trasportare i prodotti oltre-oceano dove aspettano le tasse al heavy fuel oil.
No, perchè l’aumento di burocrazia a gestire se hai fatto ricerca o meno si mangia quel poco di tasse che puoi estrarre dal lavoro umano.
Viviamo in un mondo dove ormai la maggior parte dei posti di lavoro e nei servizi. I servizi avranno uno scombussolamento etico dei redditi: il giornalismo pagherà di meno, la pulizia delle latrine di più. Nulla di quei lavori è effettivamente importante per il surplus economico della nazione – è solamente un prendere e dare tra le persone. Per il surplus contano esportazioni, importazioni, produzione di oggetti… cioè quelle cose che propongo di tassare.
Non è la stessa cosa… non conviene darsi alla corruzione per qualche decina di euro, ed entrare in negoziato con un cittadino rischiando che in realtà è un magistrato undercover. La corruzione in ambito RMG invece è un problema serio: Significa che un burocrate deve accordarsi con una persona della quale conosce gran parte dello status finanziario e lavorativo (nessuna brutta sorpresa), lo fa una volta e gli apporta un incremento costante e consistente allo stipendio e la persona che ne ha lo svantaggio è alle dipendenze e non può facilmente rischiare di rifiutarsi o rivolgersi alla magistratura.
Ma se non hai ancora compreso come funziona il RdE forse sarebbe meglio se ricapitoli l’intera proposta nella tua mente prima di continuare questo dibattito. Stai ragionando ancora troppo in termini di tradizionale sistema economico a tassazione del lavoro. Un’architettura che ritengo fondamentalmente sbagliata a prescindere, specialmente nell’era della tecnologia.
Smettila subito di chiamarlo RdE se stai pensando ad un sistema condizionato. Sono convinto che l’economia non ha bisogno di apparati burocratici e atteggiamenti autoritari nei confronti dei cittadini per garantirne la sussistenza esistenziale. Se tu pensi di dovere retrocedere in un modello RMG chiamalo tale. Il PP intanto ha scelto più di una volta un modello incondizionato, perciò dovresti anche spostarti in categoria Ruminazione.
Almeno in questo siamo d’accordo. Con il RdE si instaurebbe automaticamente che molte persone non avrebbero voglia di lavorare 6 giorni su 7 se basta un lavoro di 2 giorni a settimana per permettersi cose e andare in vacanza.
Se erogare il reddito avviene anche mentre si cerca lavoro, allora c’è il problema della verifica di qualcosa di non facile definizione; ma usando la misura più restrittiva, ovvero erogandolo solo mentre si lavora… c’è il problema dei liberi professionisti che potrebbero lavorare poco o per finta e prendersi il reddito… però si potrebbe chiedere una certa entità minima di ingressi (vendite) da parte loro per considerarli lavoratori. Comunque, la burocrazia aumenta.
Nella mia proposta il lavoro viene ancora tassato, l’IRPEF ho supposto rimane tale e quale. Non possiamo cambiare troppe cose tutte di colpo, perché davvero diventa un “salto nel vuoto” che probabilmente socialmente non sarebbe appoggiato e quindi predicheremmo inutilmente. Occorre fare un passo alla volta.
Possiamo riservare il termine reddito di esistenza a quel reddito che viene erogato solo per il fatto di esistere, quindi senza condizioni. Se invece vogliamo aggiungere la condizione del lavoro obbligatorio, allora possiamo chiamarlo reddito di sopravvivenza, ovvero quella parte di reddito che ti serve per sopravvivere e che si sommerà al reddito di premio derivante dal lavoro. Così rispettiamo le terminologie e possiamo parlare dell’obbligo o meno di lavorare.
Mi fa piacere, anche io vorrei dare fiducia alla società attraverso un modello incondizionato, però è legittimo ipotizzare una soluzione di fallback in caso il RdE non viene accolto (in Svizzera per esempio hanno fatto un referendum e non è passato), in tal caso, avremmo il reddito di sopravvivenza erogato dallo Stato e separato da quello del lavoro, quanto meno per facilitare l’esistenza dei lavori a tempo parziale e la distribuzione del lavoro stesso.
Comunque se è volontà del PP portare avanti il RdE quella è la via principale che sostengo (indipendentemente dal PP) e la valutazione di un’alternativa direi che è legittima (magari districandola da questa discussione e ponendola in ruminazione).
Questo è un dato stabilito, non approssimativo: basta osservare l’apparato regolativo e l’implementazione di Hartz IV e i suoi odiati “job center” – oppure studiarsi la critica dei Piraten al Hartz IV per capire quanto la burocrazia non solo aumenta, ma diventa di un invasivo fascistoide insopportabile.
Non escludo che continui ad avere un ruolo, ma che bisogna liberarsi dall’accanimento culturale a ragionare in quei termini. Alcune settimane fa postai una proposta tedesca proveniente da ambiti socialdemocratici… anche quella proposta riduce il peso tributario sul lavoro, se non sbaglio.
Cioè dell’obbligo di creare una burocrazia corrompibile ed invasiva.
… per potere criticare meglio tali soluzioni di “fallback” …
Il linguaggio più utilizzato è: Reddito di Esistenza INCONDIZIONATO Reddito Minimo Riconosciuto CONDIZIONATO
Il Reddito d’Esistenza non esiste da nessuna parte mentre esiste da molte arti il Reddito Minimo Riconosciuto, in molte forme differenti
In Argentina nel periodo più nero venne implementato un programma per il “”"“lavoro di esistenza”"" http://memmt.info/site/programma-jefes-argentino/
E’ importante distinguere fra ciò che è bello e ciò che è realizzabile. Oggi a causa dell’elevata tassazione e dell’elevato costo del lavoro le aziende fuggono dall’Italia
Ho fatto ben presente che la tassazione non l’aumento, anzi una volta finanziato il 100% del RdE, c’è margine per abbassare l’imposizione fiscale. Nuove imposte si possono mettere ma strategiche, dove il denaro è davvero molto e non si tratta di piccole e medie imprese in sofferenza.
A parte che non se ne vanno dall’Italia solo le aziende in difficoltà ma anche quelle che guadagnano (FCA, gruppo Agnelli, …)non ho capito questo punto: Inoltre, il 90% di guadagno che finisce alle aziende, per la spesa di tale reddito, possiamo considerare che il 33% [3] di esso ritorna allo Stato tramite l’IRPEF… Mi sembra che in questo calcolo (se ho capito bene) ci siano due tipi di errore: A) L’IRPEF Viene pagata sui guadagni e non sui ricavi e qui si fa. mi sembra. l’ipotesi che tutti i ricavi siano guadagni per qualcuno. Se compro al supermercato i limoni dell’Argentina pago l’IVA + il margine del supermercato. Analogamente se compro la maglietta made in China.
B) Il calcolo viene fatto sull’importo complessivo, ma se poi riduci questo importo nei passi successivi anche il valore su cui calcolare si riduce.
Hai ragione, ho trascurato il fatto che l’azienda paga altre cose con il 90% del RdE speso (anche se però non espandendo l’attività commerciale dovrebbero essere sempre le stesse queste spese), poi ci saranno gli stipendi alle persone fisiche, di cui magari il proprietario guadagna di più (i dipendenti vengono sempre pagari allo stesso modo) e solo quel guadagno che arriva alle persone fisiche riceve l’IRPEF, questo può togliere una copertura abbastanza importante del RdE. Grazie della segnalazione, bisogna vederci chiaro. Però, dovrebbe esserci margine per cavarsela comunque.
Capite bene che sono dinamiche non semplici, ce l’ho messa tutta per analizzarle al meglio. Comunque i programmi all’inizio hanno un certo numero di bug e poi questi si riducono sempre più, finché è sempre più raro trovare un nuovo bug. Dovremmo applicare un approccio di questo tipo.
Allora. Quello che é stato proposto in Svizzera era di dare 2500 franchi al mese a testa, una cifra che evidentemente copre ben piú della mera sussistenza (sarebbe un po’come i 1000€ mensili da noi). Qui invece si parla di un reddito che copra la soglia di povertá, per cui, che vi piaccia o meno, state parlando di un reddito minimo. Cioé di una cosa che effettivamente esiste in svariati Paesi nel mondo, seppur in diverse “declinazioni” da u Paese all’altro, e le differenze tra l’uno e l’altro riguardano a chi si eroga e a quali condizioni. Di solito si evita di erogarlo a chi non ne ha bisogno, cioé i benestanti. Qui invece si propone di darlo anche a un Totti o un Bonolis per una questione di principio, riservandosi peró di tassarli quasi al 100% (almeno, questo é ció che ha scritto lynx sulle vecchie discussioni, quelle che ha linkato). Uno scenario che farebbe incazzare sia i ricchi che i poveri; i poveri, perché farebbero notare che quei (diciamo) 300€mensili dati a Totti potrebbero essere adoprati in cose assai piú utili; i ricchi, per il semplice fatto chea nessuno piace essere tassato “troppo”, e onestamente finora di proposte credibili su come evitare l’esodo all’estero dei benestanti non ne ho sentite (perché piazzare la sede nei paradisi fiscali conviene eccome, é surreale doverlo spiegare: la quantitá di denaro che risparmi é infinitamente superiore alle spese di trasporto etc. Poi certo, uno Stato puó anche mettere dei super-dazi contro i prodotti di una azienda X perché si sa che é stronza, ma vaglielo a spiegare alla gente che non puó piú comprarsi l’iPhone perché lo Stato glielo fa costare 3000€. Andranno a comprarlo in Svizzera, probabilmente).
No, nel mondo finora esistono solo modelli condizionati. Gli esperimenti in India e altrove hanno però dimostrato che quelli incondizionati possono essere più efficaci.
No, la capacità di evitare burocrazia e corruzione significa che un reddito incondizionato può essere molto più economico di uno che richiede un grande apparato organizzativo. Un Totti ed un Bonolis hanno da pagare imposte talmente alte che il reddito di esistenza che gli viene erogato come essere umano in Italia non gli cambia più molto. In pratica, nonostante l’assenza di burocrazia, i ricchi sul RdE ci pagano sopra mentre i poveri hanno una garanzia di sussistenza minima anche se fallisce il negozio o la banca scappa con i risparmi. Nessuno deve avere motivo di suicidarsi per ragioni economiche.
Se i poveri hanno intenzione di farsi manipolare dalle falsità demagogiche, cioè l’idea che il RdE ai ricchi sia un vantaggio per i ricchi, allora si. Altrimenti qui si parla solo di ricalibrare l’economia per evitare un crash ed eventuali guerre civili o mondiali, perciò anche i ricchi farebbero meglio a considerare di contribuire la loro parte piuttosto di ritrovarsi in pericolo di vita e libertà.
Se ignori l’introduzione delle leggi che ti impediscono di trasferire tali somme fuori dalla RdE-zona. E se invece stai pensando al contrabbando di denaro cartaceo, ecco che fa una differenza se non esistono più le banconote >50€. Anzi, se il Taler fosse omnipresente, forse il denaro anonimo non-digitale veramente non sarebbe più necessario. E allora dimmi come diavolo vuoi fare contrabbando dei soldi che hai guadagnato vendendo la Nutella, e inoltre non mi hai spiegato come non avrebbe alcun impatto la sugar tax oppure le tasse sulla produzione anti-ecologica di scarpe ed indumenti.
Non ha senso sovvenzionare prodotti alle spese dell’ambiente. Se il prezzo reale, cioè incluse le externalities, di un iPhone è di 3000€ siamo degli scellerati incoscienti disrispettosi delle future generazioni se negli ultimi anni lo abbiamo venduto a meno.
Sei sicuro che la Svizzera non ha rispetto per l’ambiente e perciò rifiuterebbe uno sviluppo nella stessa direzione. Sei sicuro che bisognerebbe per forza ricorrere a misure protezionistiche per fermare il contrabbando?
se uno non ha voglia di lavorare si prende lo stesso il reddito di esistenza a vita?