Ravvivo questa discussione con 2 capitoli (brevi per essere capitoli, lunghetti come post) di un saggio divulgativo che sto scrivendo (sarà Creative Commons). Sono dedicati (specialmente il secondo capitolo nel successivo post), al finanziamento del reddito di esistenza: sostengo che è fattibile, anche all’interno dell’eurozona e che non c’è altra strada valida da prendere (conclusione a cui sono giunto dopo averlo paradossalmente scartato).
Coprire la soglia di povertà assoluta
Ci sono numerose modalità per garantire un reddito che copra la soglia di povertà assoluta [1] e per tutelare i livelli di reddito dei lavoratori. Qui sostengo una precisa impostazione che ritengo l’unica veramente valida. Tale impostazione è tra quelle finanziariamente più impegnative, ma vedremo nel prossimo capitolo che è possibile finanziarla senza introdurre nuove imposte e senza tagli alla spesa pubblica. Prima di esporre la concreta proposta, sono necessarie alcune premesse e alcuni dati.
[1] La povertà assoluta è quando una persona dispone di un reddito insufficiente per far fronte alle spese necessarie per fornirsi dei beni primari.
Quantificare la soglia di povertà assoluta
La soglia di povertà assoluta varia individualmente da circa 300 a circa 900 €. Il motivo di questa forte variabilità dipende dalle condizioni in cui si trova un individuo: se vive in una grande o una piccola città, se è da solo o in un nucleo famigliare più o meno numeroso e anche dalla sua età [2]. Teniamo presente che essendo il reddito mediano netto di 2.100 € [3], tutelare i redditi netti al di sotto di questo valore non può sconvolgere il quadro finanziario (es. inflazione), piuttosto sono operazioni che aiuterebbero le vendite delle aziende e la ridistribuzione della ricchezza.
[2] È possibile leggere questi valori su una tabella dettagliata [ http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_SOGLIAPOVA ] pubblicata dall’ISTAT. Prestare attenzione alla scelta della tipologia famigliare e dell’anno di riferimento.
[3] È possibile approfondire su un articolo de La Repubblica, Bankitalia, la metà delle famiglie vive con meno di 2.100 euro al mese [ http://www.repubblica.it/economia/2015/12/03/news/bankitalia_ricchezza-128709666/ ].
Indicare i giusti livelli di reddito
Occorre distinguere diversi livelli minimi di reddito: soglia di povertà, lavoro a tempo parziale (4 ore al giorno) e lavoro a tempo pieno (8 ore al giorno). La distinzione che verrà fatta è apprezzabilmente precisa, anche se ai fini pratici è giusto indicativa. Infatti, ci sono lavori di 4, 6, 8 o 10 ore, ci sono lavori stagionali, si può distribuire diversamente il carico di lavoro nell’arco di una settimana, ci sono orari notturni, ecc. Una buona idea è introdurre una tutela di pagamento minimo orario, diurno e notturno, per venire incontro ai variegati orari di lavoro, ma adesso è sufficiente stabilire delle situazioni tipiche di riferimento per dare un’idea di una retribuzione corretta. I valori si devono considerare al netto di ogni imposta, dunque non sono lordi.
Tipologia lavoro . . . . Sud Italia . . . Centro Italia . . . . Nord Italia
Soglia di povertà . . . 280-600 € . . . . 330-800 € . . . . 350-820 €
Tempo parziale . . . . . +400 € . . . . . . . +450 € . . . . . . +450 €
Tempo pieno . . . . . . . +800 € . . . . . . . +900 € . . . . . . +900 €
La soglia di povertà va calcolata per ciascuno sulla base della residenza, della grandezza della città, del numero dei componenti famigliari, dell’età e aggiornata anno per anno [Notasi come questi dati sono noti alle autorità, i calcoli sono automatizzabili e non richiedono intervento burocratico, n.d.lynX]. Lo stipendio indicato nel lavoro a tempo parziale va inteso come risparmio netto da sommare alla propria soglia di povertà, ugualmente il risparmio netto concesso dal tempo pieno va sommato sempre alla soglia di povertà. In questo modo, si può garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni primari (esclusa l’abitazione, dato che si può sempre rimanere nel nucleo famigliare di origine) e garantire un motivante risparmio mensile quando si lavora, evitando che si lavori solo per sopravvivere, dato che sarebbe una condizione simile alla schiavitù.
Il pagamento più alto possibile in tabella, per un lavoro a tempo pieno, è 1.720 €, ben al di sotto del reddito mediano di 2.100 €. Probabilmente è anche possibile tutelare un risparmio netto di 450-500 € per il parziale, che raddoppia nel caso del tempo pieno. Però, sono passi che vanno compiuti con cautela e non è necessario fornire ora valori esatti. Il fatto di rimanere al di sotto di 2.100 € consente di tutelare un lavoro generico, dato che i lavori qualificati o con mansioni più onerose (per esempio, con orario notturno o con maggiori responsabilità) devono essere pagati maggiormente, avvicinandoci o eguagliando o superando la soglia di 2.100 €. È importante che le tutele degli stipendi non innalzino generalmente troppo gli stipendi, perché salirebbero anche i prezzi, perdendo il vantaggio di stipendi più alti.
Poter vivere con un lavoro a tempo parziale
Il tempo parziale deve permettere di vivere bene e autonomamente, altrimenti si sarà obbligati a cercare un lavoro a tempo pieno. Il motivo è che ci sono individui che sentono la necessità di avere più tempo per riflettere o più tempo per attività fuori dal mercato o più tempo per la politica locale o più tempo per la famiglia o per se stessi. Tutti spazi attualmente piuttosto soffocati, con spiacevoli risvolti sociali. Lo straordinario progresso tecnico e tecnologico realizzato nell’arco di un secolo, alla ricerca di maggior comodità, funzionalità, efficienza e velocità, dovrebbe riflettersi anche su un aumento del tempo libero. Invece, il mercato ha instaurato una dinamica che penalizza molto il tempo libero, perché massimizza la necessità di un lavoro a tempo pieno rispetto ad uno a tempo parziale.
Questa penalizzazione del tempo parziale dipende dalla necessità di dover “coprire” la soglia di povertà. Un lavoratore difficilmente può accettare un lavoro che non gli consenta di vivere autonamente e risparmiare (pur non mancando casi di questo tipo). Rendere possibile ciò richiede indicativamente sui 1.250 € al mese. Se un’azienda assumesse due lavoratori a tempo parziale, li dovrebbe pagare per un totale di 2.500 € al mese, invece, un lavoro a tempo pieno può essere pagato indicativamente sui 1.700 €. Perché l’azienza dovrebbe spendere 800 € di più pagando due lavoratori a tempo parziale? Ovviamente non lo fa, a meno che, non ha dei ruoli da dedicare specificatamente a parti limitate della giornata e che consistono in mansioni particolarmente impegnative.
La proposta che presento risolve il problema dell’autonomia finanziaria in un modo estremamente ottimizzato e risolve il dilemma della mancata equivalenza di costo da parte dell’azienda tra un lavoro a tempo pieno e due parziali.
Come attuare il reddito di esistenza
Per risolvere il sopra esposto dilemma è necessario un intervento sul sistema finanziario che tolga la competenza di soddisfare la soglia di povertà alle aziende e la affidi allo Stato. Praticamente occorre separare il reddito di esistenza (quello che copre la soglia di povertà) dal reddito del lavoro, quest’ultimo concepito come un premio e proporzionale alle ore di lavoro svolto. La proporzionalità è fondamentale per distribuire più liberamente e precisamente il carico di lavoro nella società e risolvere verosimilmente anche il problema della disoccupazione.
Il reddito di esistenza lo intendo erogato a tutti i maggiorenni, sia lavoratori che in cerca di lavoro, e cumulabile con il reddito del lavoro. Attualmente il costo dell’esistenza per i disoccupati è principalmente affidato al nucleo famigliare (genitori e parenti). Inoltre, le aziende non hanno l’obbligo di rispettare un reddito minimo, ma si lascia agli andamenti del mercato stabilire le possibilità di retribuzione. Praticamente lo Stato dovrebbe iniziare ad erogare questo reddito mensile, le aziende di conseguenza potrebbero pagare meno i lavoratori e si dovrebbe introdurre una tutela di pagamento minimo orario, specificando qualche distinzione tra orari diurni e notturni ed anche in relazione ad alcune categorie di lavoro.
Perché escludere altre soluzioni?
Voglio esporre i motivi per cui altre soluzioni non sono valide come questa. Consideriamo la forma finanziariamente più leggera, ovvero il sussidio di disoccupazione [4]. Se il disoccupato trova lavoro, viene poi pagato interamente dall’azienda. Però, questo lascerebbe la forte prevalenza verso i lavori a tempo pieno, perché, come già visto, all’azienda conviene assumere a tempo pieno in proporzione ai costi. Invece, è importantissimo distribuire il carico di lavoro tra i cittadini, quindi non si può rinunciare ad una soluzione che crei una reale libertà per l’azienda di scomporre un lavoro a tempo pieno in due a tempo parziale. Il sussidio di disoccupazione questo problema non lo risolve affatto, resta del tutto “estraneo” a tale problema.
[4] Il sussidio di disoccupazione dovrebbe essere un reddito fornito dallo Stato per coprire la soglia di povertà assoluta. Tale sussidio andrebbe erogato dal momento in cui un cittadino maggiorenne si registra in un Centro per l’Impiego e non dal momento in cui perde il primo lavoro, né come una percentuale che con i mesi scende fino ad esaurirsi. Attualmente ci sono forti restrizioni nel modo in cui viene erogato.
Un altro motivo per cui l’azienda non dovrebbe includere il reddito di esistenza nello stipendio (dunque tale reddito andrebbe affidato allo Stato), è che, per ottimizzare i soldi, bisogna considerare la diversa soglia di povertà di ciascuno e all’azienda converrebbe assumere persone che vivono in famiglie più numerose, rispetto alle persone che vivono da sole. Infatti, queste ultime vanno pagate maggiormente per coprire la loro più alta soglia di povertà. Per ovviare a questo problema, si potrebbe considerare solo la soglia di povertà di chi vive da solo (condizione più dispendiosa), ma sarebbe una disottimizzazione della richiesta complessiva di soldi, con maggior carico sulle aziende, che facilmente si sposterebbero in altre nazioni per non soffrire del costo dei lavoratori. Inoltre, si riproporrebbe il fatto che un tempo pieno è più conveniente di due tempi parziali. Praticamente è un passo improponibile e la soluzione praticabile resta che il reddito di esistenza sia competenza dello Stato sia per chi lavora che per chi è disoccupato.
Esiste anche la possibilità di un reddito minimo garantito, con ciò si intende una soglia da rispettare attraverso un sussidio di disoccupazione per chi è in cerca di lavoro; mentre, per chi ha trovato lavoro, si lascia che l’azienda paghi come può. Nella misura in cui il pagamento dell’azienda non porta il lavoratore al reddito minimo garantito, allora interviene nuovamente lo Stato per colmare la differenza mancante. Il grave difetto di questa proposta è che le aziende faranno “pesare” il più possibile sullo Stato lo stipendio che il lavoratore deve ricevere. Inoltre, ammesso che le aziende paghino correttamente ed il più possibile il lavoratore, non si risolve la situazione per cui il lavoro a tempo pieno resta preferibile per le aziende rispetto a quello parziale [Per non parlare dell’enorme problema burocratico/corrompibile, n.d.lynX].
In vista di una distribuzione del carico di lavoro e di una soluzione al problema della disoccupazione, è immancabile creare un equilibrio tra due paradossali e note tendenze: disoccupazione e tempo pieno più gli extra, talvolta non pagati. L’unica soluzione realmente valida, anche se finanziariamente impegnativa ma fattibile, è il reddito di esistenza.