La valutazione delle scuole e università dovrebbe essere pubblica?

Certamente se fossi genitore, e quelle informazioni fossero pubbliche le userei eccome (Ma anche non essendo pubbliche le userei lo stesso dato che ci ho accesso lavorando al MIUR xD).

Ma ci sono studi -perdonami se non mi metto a cercare la fonte esatta… sono trovabili nella bibliografia di qualche rapporto INVALSI- che mostrano che delle classi di studenti eterogenee in termini di status socioeconomico della famiglia presenterebbero dei risultati mediamente più alti rispetto a quelli prodotti da studenti simili, ma posti in classi e contesti omogenei. Per questo, per alzare la media globale, potrebbe essere proprio interesse dello stato nascondere questi dati, in modo che i genitori premurosi non li usino per scegliere le scuole migliori per i loro figli, favorendo l’omogeneità, che a sua volta causerebbe un abbassamento della media globale.

Non sono d’accordo. La diversità introduce ricchezza, anche fra le università, e le università sono fatte di persone.

E diciamocela chiaramente, se, ad esempio, l’università di Palermo chiude domani, non è una gran perdita per il panorama accademico del paese, significa solo che un sacco di risorse saranno libere per costruire un’università funzionante da qualche altra parte in Sicilia, preferibilmente dove non diventerà l’ennesima sagra del clientelismo (che è il problema che la tiene giù, tantissimo).

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Ho detto equivalenti, non uguali. Sono d’accordo che la diversità sia un valore, ma a patto che non sia una diversità che genera disuguaglianze di fronte alle opportunità della vita. Forse “equipollenti” potrebbe essere un termine più adatto.

Mi fido di te, sei comunque piú esperto, non riuscirei a sostenere argomentazioni fornendo studi alternativi. Non credo che la classe eterogenea sia peró l’unica variabile che incide sulla qualitá del sistema scolastico, in assenza di dati oggettivi, i genitori si attrezzeranno in ogni caso per acquisire informazioni ed in quel caso, le universitá prestigiose vinceranno a tavolino. Per esempio, se Camerino riuscisse a trovare il modo di scalare queste classifiche potrebbe vantarsi di avere una qualitá superiore a quella di Bologna e in un contesto di “obscurity” le verrebbe preclusa questa possibilitá.

Certamente non è l’unica variabile, ma penso che comunque sia una variabile importante! Io non sono contrario a priori all’esistenza delle classifiche e valutazioni pubbliche, anche nell’ottica dell’esempio virtuale che mi hai fatto tu.

Però l’esistenza di queste classifiche pubbliche non dovrebbe prescindere da investimenti e metodologie efficaci per migliorare “gli ultimi”, mentre finora viene fatto l’esatto opposto: vengono premiati i primi. Finché questi investimenti e metodologie per risollevare “gli ultimi” non avranno modo di esistere in modo consistente (e la politica non sembra molto interessata a ciò perché si ha l’impressione che sarebbero investimenti “sprecati”), penso che sarebbe ancora una buona idea di tenere le classifiche segrete, a uso esclusivo dei direttori di tali istituti, che le usino come guida per automigliorarsi e capire dove sbagliano. Naturalmente anche questo presuppone che i dirigenti siano interessati al bene dell’ente per cui lavorano, e non solo alle loro tasche :disappointed_relieved:

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Quindi l’attacco, non va rivolto in direzione di nascondere i dati, ma andrebbero usati i dati per accusare lo Stato di non fare niente per diminuire il gap tra i primi e gli ultimi e alzare cosí la media della qualitá del sistema scolastico

Secondo me se provi a dire una cosa del genere dentro la ragioneria dell’Unibo rischi il linciaggio. Grazie a quella stronzata della manovra economica abbiamo un buco indecente nel bilancio.

Il problema è che l’equivalenza del titolo di studio è solo formale. Non voglio passare per elitista è innegabile che ci siano facoltà che forniscono preparazioni migliori o peggiori.

Penso che sia anche abbastanza essenziale fare un discorso sui fuorisede, che essendo la prima fonte d’introiti per la mia città, conosco abbastanza bene 1-L’unibo (attraverso l’ergo) fornisce una MAREA di borse di studio statali agli studenti “meritevoli” e/o in condizione economiche non proprio ottime. Il meritevoli è tra virgolette perchè i criteri per mantenere la borsa di studio sono davvero molto bassi (si parla di finire l’anno con metà dei CFU proposti) e condinuano a coprire chi ne ha fatto domanda, anche in caso sia fuoricorso. (per i fuori sede si parla di 5.300€/anno, niente tasse universitarie, sconti in mensa, ed alloggi in studentato). Ci sono anche tutte le borse europee che hanno a loro volta criteri molto lassisti perchè servono a mantenere vivi i corsi che l’UE considera vitali (io stesso ho sfruttato queste offerte visto che sono iscritto al corso di matematica). Ci sono poi tutte le borse di studio che vengono pagate dai privati. Più di un terzo dei dottorati vengono pagati da aziende, che finanziano l’università e lo studente, permettendogli di compiere un percorso di studi all’interno dell’università che però verrà venduto all’azienda. Si può anche fare richiesta di lavoro, dove vieni pagato 12/€ l’ora netti, per lavorare in edifici dell’università, dalla biblioteca, alla segreteria del dipartimento. A queste si aggiungono anche le borse di studio per merito assoluto. Ossia i migliori studenti dell’ateneo ricevono dei bonus economici considerevoli, e spesso addirittura hanno diritto ad alloggi gratis. Queste però sono ovviamente difficilissime da ricevere perchè richiedono una media spropositata ed una testa al di fuori della media. Il venire a dire che non si può fare il fuorisede all’unibo io la considero una cosa semplicemente falsa.

2- L’unibo ogni anno si vede tagliare i finanziamenti, per motivi di ogni genere, e sta sempre di più puntando ai privati per ottenere finanziamenti, questo perchè altrimenti deve chiudere baracca o licenziare dipendenti. Nonostante tutto questo è riuscita a creare una rete di contatto con le aziende (coesia, IBM, Tesla, e FAAC per fare qualche nome) che ha portato una ricchezza a cascata sul territorio. Per essere virtuosi non serve ricevere finanziamenti maggiori, ma permettere a chi ha le competenze giuste di coprire incarichi istituzionali, e far crollare i baronati.

3- In questi anni l’unibo ha fatto di tutto per essere più appetibile a livello nazionale, e di conseguenza i suoi punteggi sono migliori di quelli delle altre università proprio perchè è stato investito da un punto di vista didattico. Se permetti è anche giusto che una laurea presa a bologna (o a Salerno, che è un’altra università che sta facendo uguale, per fare un esempio nel sud italia) valga più di una presa ad Isernia.

I buchi del bilancio però non sono dovuti alla posizione dell’UniBo nelle classifiche anvur, ma a una politica economica che tiene sempre la ricerca e la scuola come ultima ruota del carro. Una politica scellerata che COLPISCE TUTTI indistintamente ma che fa, giustamente, incazzare a maggior ragione chi è meritevole. Il mio discorso sul circolo vizioso è da intendersi in media. Certamente esistono casi come quello che descrivi dell’UniBo che magari, nonostante tutti i meriti del mondo, non riescono a beneficiare abbastanza dei fondi che gli spetterebbero.

e formale dovrebbe rimanere, almeno nel campo del pubblico. Se un datore di lavoro privato, dovendo scegliere tra due curriculum, tiene in considerazione che il primo riporta una laurea presa nell’università A e l’altro riporta la stessa laurea presa nell’università B, ha tutto il diritto di farlo. Ma lo stesso non deve valere nel campo del pubblico, anche se ciò potrebbe comportare una minore meritocrazia! Le due lauree sono giudicate equipollenti perché, idealmente, dovrebbero esserlo, dato che fanno parte dello stesso sistema pubblico. Se lo Stato mettesse in discussione questa equipollenza è come se dichiarasse pubblicamente di aver fallito nell’aver garantito le pari opportunità e si arrendesse al fatto che esisteranno sempre università di serie A e di serie B. E se lo stato si arrendesse non ci sarebbe mai nessuna speranza di miglioramento.

Quindi quali sarebbero le soluzioni per far fronte al diverso valore “effettivo” dello stesso titolo di studio preso in due diverse università? Le possibili soluzioni potrebbero essere tre:

  1. O lo stato dovrebbe riconoscere che l’università B non eroga un titolo di studio riconosciuto con valore legale, mentre l’università A sì (soluzione che non mi trova né in accordo né in disaccordo, dipenderebbe da caso a caso)
  2. o rinuncia al valore legale in toto per tutti (e mi sembra che con questa soluzione si possa essere d’accordo solo se ci si fa portavoce di un pensiero neoliberista)
  3. oppure si mantiene il valore legale equipollente ad entrambi i titoli, ma si cercano di attuare delle politiche per aiutare B a raggiungere la qualità di A, e questa secondo me è la strada preferibile.

E ciò mi sembra che sia contemporaneamente un’opportunità e un problema serio.

In tutto il mio discorso non ho messo in discussione che quelle classifiche siano effettivamente attendibili. (Anche se è vero che i criteri scientifici per costruire quegli indicatori si basano anch’essi su presupposti in certa misura ideologici sui quali si può discutere.)

Non ho problemi a riconoscere che, nella realtà dei fatti, la stessa laurea presa all’UniBo e presa alla D’Annunzio di Pescara sia concessa a fronte di una preparazione diversa. Ma penso che sia condivisibile combattere queste diseguaglianze, non nascondendole sotto il tappeto, ma adottando delle politiche serie per contrastarle.

Inoltre non mi sembra che “non rendere pubbliche queste classifiche”, o “continuare a ritenere formalmente equipollenti le lauree” equivalga a “nascondere il problema sotto il tappeto”, a patto che tali classifiche vengano usate dagli organi decisionali per effettuare interventi atti ad alzare il livello degli ultimi.

Credo che il cardine della nostra differenza di visioni sia questo. I miei ideali sono di stampo estremamente liberare, e come tale credo che la meritocrazia sia uno dei valori più importanti della società in cui viviamo.

Il problema in italia è che non accade mai che venga presentato un progetto, e di conseguenza, solo se il progetto è davvero meritevole, vengano stanziati i fondi. Siamo tutt’ora la mangiatoia di mafie ed imprenditori senza scrupoli, se davvero non mettiamo la meritocrazia al centro siamo rovinati. Imho la soluzione migliore è semplicemente riuscire a permettere a tutti di studiare dove vogliono, con borse di studio, alloggi calmierati e strumenti affini, di fatto obbligando le varie università a convincere i vari studenti a studiare da loro. Credo che questo sia l’unico modo per impedire la creazione di baronati e mangiatoie varie.

Credo che sia importante anche capire perchè gli ultimi siano effettivamente ultimi.

Cioè credo che questa risposta risponda quasi a tutto, magari cliccare sul link e leggere? Non dico non dibattete, ma se leggeste il link dato da @solibo, forse stareste a dibattere su quello.

Peace

Va bene. Dibattiamo su quello. Ad una condizione, però: che si tenga presente che dire “importiamo il modello del Paese X” avrebbe molto più senso se il Paese X fosse simile al nostro negli fondamentali che non riguardano l’istruzione. Ora, la Finlandia ha una popolazione che è meno di 1/10 di quella italiana, un debito pubblico che sta al 61,3% del PIL (il nostro veleggia verso il 135%) e svariate altre cose.

Ma comunque. Cito dall’articolo linkato:

al­l’e­tà di set­te an­ni i bam­bi­ni fin­lan­de­si ini­zia­no la scuo­la del­l’ob­bli­go, che du­ra no­ve an­ni. A cir­ca 16 an­ni pos­so­no quindi de­ci­de­re se proseguire negli studi op­pu­re no. Se de­ci­do­no di far­lo han­no due op­zio­ni: il li­ceo, che pre­pa­ra agli stu­di ac­ca­de­mi­ci, e la scuo­la pro­fes­sio­na­le, che of­fre del­le com­pe­ten­ze in un cer­to me­stie­re e dà la pos­si­bi­li­tà di con­ti­nua­re con la scuo­la uni­ver­si­ta­ria pro­fes­sio­na­le.

Questo mi pare ottimo. Come spiegavo anche qui, c’è da superare lo stigma sociale verso gli istituti tecnici e l’avviamento al lavoro, visto e considerato che chi esce da un ITS nell’82% dei casi è occupato entro un anno dal diploma.

La scuola Finlandese può essere chiamata la scuola della domanda. Si privilegia la capacità, infatti, di fare domande a quella di dare risposte pre-confezionate. L’ascolto e l’osservazione del docente prevale sul suo intervento diretto. Si impara facendo e fino a 13 anni non ci sono voti.

Su questo non paiono essere tutti d’accordo. In particolare qui si dice che insegnano la matematica e la geometria senza fare più le dimostrazioni, in un modo che serve solo a primeggiare nei testi OCSE-PISA.

Gli in­se­gnan­ti in Fin­lan­dia ten­do­no a non da­re va­lu­ta­zio­ni ne­ga­ti­ve agli al­lie­vi. San­no che que­sto ri­schia di di­mi­nui­re la lo­ro mo­ti­va­zio­ne e in­di­ret­ta­men­te di au­men­ta­re la di­su­gua­glian­za so­cia­le.

Posso assicurarti che questa tendenza esiste anche nel mondo didattico italiano da anni, e con esiti disastrosi. Questa volontà di proteggere il bambino/adolescente dalle delusioni sta facendo danni enormi. Le delusioni fanno parte della vita. Una volta finita la scuola, là fuori c’è un mondo globalizzato e il più delle volte ostile; forse in Finlandia un po’ meno che altrove. Forse.

In Fin­lan­dia un 8 (in una sca­la da 4 a 10) si­gni­fi­ca che si è mi­glio­ra­ti, che in ba­se al­la pro­pria con­di­zio­ne di par­ten­za e al­la pro­pria si­tua­zio­ne per­so­na­le c’è sta­ta un’e­vo­lu­zio­ne po­si­ti­va. Quin­di an­che un al­lie­vo per il qua­le la ma­te­ma­ti­ca è dif­fi­ci­le, che ha dif­fi­col­tà con la let­tu­ra o con la scrit­tu­ra, ma che si ap­pli­ca e fa eser­ci­zi e stu­dia di­li­gen­te­men­te, può ar­ri­va­re ad un 8. In Fin­lan­dia, uno stu­den­te o una stu­den­tes­sa che “fal­li­sce”, è qual­cu­no che non ha fat­to tut­to ciò che era nel­le sue pos­si­bi­li­tà, non qual­cu­no i cui ri­sul­ta­ti ven­go­no mes­si a con­fron­to con del­le sta­ti­sti­che.

Anche questo mi pare pericoloso. Il confronto con gli altri non deve diventare un’ossessione, questo è chiaro, ed è vero che ognuno deve cercare di capire i propri limiti; ma le statistiche non sono il demonio.

In Fin­lan­dia ci si fi­da de­gli in­se­gnan­ti esat­ta­men­te co­me ci si fi­da di un den­ti­sta, di un me­di­co, di un av­vo­ca­to o di qual­sia­si al­tro pro­fes­sio­ni­sta

Questa frase credo sia valida anche per l’Italia: gli italiani (soprattutto ultimamente) insultano e prendono a schiaffi gli insegnanti esattamente come i medici o qualsiasi altro professionista (soprattutto gli allenatori delle squadre di calcio giovanili a cui iscrivono i propri pargoli).

Al­lo stes­so mo­do non esi­ste un’or­ga­niz­za­zio­ne che ab­bia il com­pi­to di giu­di­ca­re il la­vo­ro di un in­se­gnan­te

Beh, quello neanche da noi. Chiunque abbia anche solo tentato di introdurre un qualunque sistema di valutazione degli insegnanti è stato sbranato vivo (politicamente). E gli insegnanti sono tanti. E votano.

In conclusione: che il sistema finlandese sia tra i migliori al mondo lo dicono i dati, le classifiche internazionali e i test OCSE (al netto dei dubbi espressi sopra). Ma esportarlo in Italia (cosa del resto vagheggiata anche da M5S e Lega) mi pare infattibile, oltre che pericoloso. Mi pare chiaro il motivo per cui piace soprattutto ai genitori: niente compiti, niente voti negativi, aule belle e pulite, un clima sereno. Ed è chiaro che agli insegnanti piaccia una parte di quel modello (niente valutazioni, poca burocrazia); credo che gradirebbero molto meno la rigida selezione in ingresso (spiegata nell’articolo). Il cuore del discorso mi pare riassunto in questa frase (in questo articolo tratto dallo stesso sito):

I finlandesi hanno chiari valori di riferimento: la fiducia, il rispetto personale e per le istituzioni, la libertà, l’autonomia.

Ora, vi sembra che si possa dire lo stesso per l’Italia?

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Mi piace che hai argomentato, questo è ciò che serve, argomentare per arrivare alla migliore soluzione. Io non sono per utilizzare il modello finlandese ma, appunto come hai detto, si può valutare per adattarlo in Italia. Argomenterò in maniera approfondita più in la…

Dico solo che Io sono stato bocciato tre volte in tre scuole diverse (scientifico 1 anno, geometra 3 anno, ragioneria 3 anno), e credetemi ho visto parecchie cose e diverse persone… Ne ho tante da dire…

La prima cazzata è la scelta degli indirizzi quando si esce dalla scuola media, quella è la cosa che metterei al primo posto come cambiamento, si crea un ulteriore inutile divisione nella società che è già dilaniata dalle divisioni. (cit. io vado al classico, io vado la, io vado qua, noi siamo così, noi siamo colì, noi siamo figli di dottori, noi siamo figli di architetti ecc.)

A bientot

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Condivido quanto detto da Exekias sulla scuola Finlandese.

Inoltre vorrei far notare che le classifiche PISA mostrano che la Finlandia era prima in classifica nel 2006, staccando di molto gli altri paesi, e così diventando al centro del dibattito pubblico sulla scuola, ma anno dopo anno (o meglio, triennio dopo triennio) ha registrato risultati sempre peggiori, registrando il crollo più grande di tutti i paesi coinvolti nell’indagine PISA, perdendo oltre 40 punti di media (ma rimanendo comunque sopra la media, per il momento). Fonte: https://data.oecd.org/pisa/mathematics-performance-pisa.htm#indicator-chart https://data.oecd.org/pisa/science-performance-pisa.htm E, visto il trend, si potrebbe inferire che alla prossima rilevazione potrebbe arrivare sotto la media.

Ma lasciando da parte per un momento i test PISA… Va bene guardare fuori dall’italia per prendere ispirazione da casi virtuosi, ma importare acriticamente dei modelli stranieri dell’educazione non credo sia per nulla una buona idea, per quanto possano apparire allettanti. Si basano su un’identità culturale diversa che è specifica di un certo paese. Ad esempio, in Finlandia si studiano molto le scienze e l’arte, ma lo studio della storia, della filosofia e della letteratura è ridotto ai minimi termini: è ragionevole dato che la loro storia inizia quasi in epoca moderna. Idem Singapore. Singapore sta in vetta attualmente a tutte le classifiche PISA e, in risposta, un sacco di proposte didattiche, almeno nella matematica, sono rivolte a formare i docenti sul cosiddetto “Metodo Singapore”. Lo stesso governo francese ha prodotto un documento ufficiale dove viene avanzata la proposta di formare tutti i docenti di matematica sul “Metodo Singapore” (fonte: https://www.academia.edu/36699586/Rapport_Villani_Torossian_21_mesures_pour_enseignement_des_mathematiques) Ma a me non sembra che il cosiddetto “metodo Singapore” sia diverso dal metodo usato da tutti i docenti di matematica elementare che ho mai conosciuto in vita mia, dove al posto delle “barre” noi utilizziamo i “segmenti”, per imparare le frazioni. Insomma, secondo me quella di Singapore è una nuova bolla.

Anche su questo sono d’accordissimo. Pensa che nel modello finlandese addirittura il ragazzino ha diritto di scegliersi un piano di studi personale finite le scuole elementari, all’inizio potendo scegliere pochi corsi a scelta, ma pian piano iperspecializzandosi in quello che gli riesce meglio. <Vado meglio in matematica? Allora non studio più storia e al suo posto faccio un corso di matematica più avanzato!> Questo atteggiamento ultraliberale penso che sia pericolosissimo: innanzitutto tradisce quello che secondo me è l’obiettivo primario della Scuola, ovvero quello di formare una persona con molteplici strumenti diversi per interpretare la realtà e agire su di essa. Da adolescenti non si può intuire che lo studio del latino (ad esempio) possa davvero portare dei benefici, per questo nessuno lo sceglierebbe, e si formerebbe una generazione che non passa più questo testimone alla generazione successiva.

In secondo luogo penso sia auspicabile che tutti abbiano una base culturale comune per poter garantire un’intercomunicabilità. Secondo me sarebbero desiderabili delle scuole superiori con una base uguale per tutti, e poi con una percentuale oraria dedicata a indirizzi differenziati. Uguale per tutti NON nel senso di “obiettivi MINIMI uguali per tutti”, come si ragiona adesso, nelle indicazioni nazionali. Io vorrei degli obiettivi ALTI uguali per tutti. Gli obiettivi “minimi” non devono esistere, perché al loro raggiungimento si è tentati di adagiarsi sugli allori.

Sì in effetti è questo. Non mi prendere per un facinoroso nel sostenere questo (Il mio posto di lavoro l’ho ottenuto superando un concorso piuttosto difficile e ogni giorno lavoro facendo del mio meglio!) ma credo che la meritocrazia sia sopravvalutata. Il “merito” di una persona è deciso in base a criteri che non possono mai essere oggettivi. A decidere quali sono i criteri per stabilire chi è meritevole e chi no è sempre una classe di persone (magari non meritevoli secondo i loro stessi criteri) che mantengono l’egemonia in un dato settore, e hanno interesse nel mantenerla. In un mondo utopico tutti hanno tutto, non solo i “meritevoli”. Nel mondo reale la cosa che ci si avvicina di più è l’aiuto nei confronti di chi ha di meno. Però mi rendo conto che è un discorso molto idealista che si scontra con problemi reali di limitatezza delle risorse.

Scusate se in questo messaggio trovate qualcosa di incomprensibile. È scritto dal cellulare sul pullman e non è molto pratico xD

Scusami @solibo, non trovo il riferimento al sistema finlandese nel programma europeo del PP. https://wiki.ppeu.net/doku.php?id=programme:ceep Ti riferivi a una versione precedente?

Venendo alla pars construens, mi permetto di riproporre anche qui la lettura di questo. Segnatamente, alcuni passaggi (grassetti miei):

Piaccia o meno, e nonostante le mille riforme, persino oggi al classico si insegna non tanto greco e latino ma, soprattutto, un modello del mondo che è quello pre-scientifico, pre-moderno (…) Si insegna un modello del mondo in cui, anzitutto, conta lo status ricevuto e conta la retorica nell’arena publica, conta il saper argomentare la propria posizione e non contano i fatti bruti. Un modello del mondo in cui l’efficienza ed il cambiamento devono sempre cedere il posto alla tradizione ed in cui la logica (che, mi dispiace, è matematica) è secondaria all’opinione e, appunto, all’argomentare. Un mondo nel quale - giustificatamente al tempo, ossia tra i 700 ed i 2000 anni orsono - si riteneva di aver inteso “tutto” quello che v’era da intendere e di poter sedere tranquillamente in cima all’universo in possesso di una “saggezza” tanto antica quanto, molto spesso, cinica e disincantata. Un mondo nel quale il cambiamento continuo che l’innovazione determina entra solo di sfuggita nel corso di studi perché, alla fine, se si studiano e leggono continuamente cose di un mondo che per secoli è stato uguale a se stesso, al centro del quale c’era l’Europa nell’ombelico della quale (si fa per dire) ci stava l’Italia, si finisce (in media, sia chiaro) per pensare che non solo era cosi, è GIUSTO che sia così in secula seculorum. Amen.

la visione di cui sopra dipende certamente da molte cose (…) ma dipende anche (…) dalle materie, dai programmi, dai contenuti. (…) E se voi, usando il link alla pagina di Wikipedia che vi ho messo sopra, fate la somma delle ore dedicate a “italiano-latino-greco” (lascio fuori storia, filosofia e storia dell’arte per carità di patria) scoprite che sono la parte dominante, sono ciò che conta non solo al classico ma nei licei. E, temo sia ancora così, persino negli istituti tecnici. E nel resto delle materie, oltre alla religione, c’è anche l’educazione fisica che ora chiamano con un nome nuovo, non C++ o la contabilità nazionale! Morale: l’allievo/a medio/a acquisisce una visione del mondo ed una cultura che sono esattamente quelle del figlio delle elite borghesi italiane di 90-50 anni fa! E questo, se non sei il solito tipo nella coda destra che poi si arrangia da solo, ti segna, per sempre.

È “colpa” del classico? È “colpa” del greco e del latino? L’umanesimo non conta una cippa? Boldrin odia filosofi, poeti, romanzieri, artisti, filosofi greci e rinascimentali? No. Anzi, mi piacciono assai e li consumo a iosa. Ma sono un lusso, un grande, stupendo lusso, come il Parsifal a Vienna la sera del Giovedì Santo o la lettura ad alta voce delle poesie di Zanzotto o l’Edipo Re al Teatro Romano di Merida. Stupendi beni di consumo per le elite che se li possono permettere e che, per permetterseli, dedicano anzitutto il loro tempo a fare medicine, software, robot, opzioni e via elencando gli orrendumi costosi che questa globalizzazione merdosa ci ha imposto invece di godersi il mandolino e le bellezze del Foro … Fa fastidio dover ammettere che Cicerone e Vasari sono un lusso mentre l’informatica, la contabilità, le nozioni base di ingegneria meccanica ed elettrica sono OGGI una necessità?

Ecco, avendo io fatto il classico mi sento di sottoscrivere ogni singola parola. Quanto alle proposte concrete, l’autore elenca queste:

  • Scuola dell’obbligo uguale per tutti sino ai 16 anni. Sto parlando di scuola pubblica, visto che c’è: notoriamente sono a favore di buoni scuola e scuole gestite privatamente (non per profitto) da fondazioni/cooperative private in concorrenza fra loro, ma questo è un altro tema, non mischiamo. In altre parole: 5 anni di elementare e 5 anni di media uguali (per, diciamo, 3/4 dei contenuti) per tutti ed obbligatorie. Che insegnino il mondo in cui si vive, che include certo l’italiano ma anche l’inglese (tutte bilingue, dall’età di sei anni in avanti), la matematica, le scienze, l’informatica. Niente religione, latino, educazione fisica, filosofia, greco, storia dell’arte. Mi dispiace ma sono lussi che vanno acquisiti, se ce lo si può permettere, dopo. Geografia del mondo, matematica, scienze, inglese (cinese, tedesco, spagnolo, fate vobis), informatica, storia del mondo, economia, e, certamente, lingua e letteratura italiana - comprensibile ed apprezzabile tra i 10 ed i 16 anni, inutile fargli studiare Parini, Foscolo, Petrarca o Gadda a quell’età! Formare cittadini di questo mondo, capaci di prendere il volo, se vogliono e ne sono capaci, in questo mondo. Non in quello di quel pirla di Giovanni Gentile e del suo duce.
  • Due (non tre, due perbacco che in tutto il mondo a 18 vanno al college!) anni di formazione superiore pre-universitaria o di avviamento al lavoro. Elettiva, ovviamente, e quanto differenziata volete. Non serve fare istituti “specializzati” come ora! Basta una “scuola superiore pre-universitaria” dove vanno tutti quelli che ci vogliono andare a seconda di dove vivono o scelgono di andare (avete mai pensato al valore che si acquisisce a quell’età avendo come compagni di classe persone diverse, che studiano anche cose diverse ed hanno ambizioni diverse nella vita?) ed all’interno della quale - fatti salvi corsi di base comuni sulle materie veramente fondamentali (italiano, inglese, matematica, storia del mondo, scienze naturali, informatica) - lo studente possa prendere quello che vuole, dal sanscrito alla fisica delle particelle, se la capisce, alla danza, se la domanda è sufficiente per pagare un’insegnante, al greco, ovviamente. E, possibilmente, anche dei corsi su come si fanno le scarpe di lusso ed i semiconduttori, sempre che vi sia domanda.

Le classifiche sui percorsi scolastici in Italia hanno la caratteristica di forzare una cooptazione di classe che di per se non migliora, anzi tende a livellare verso il basso, l’evoluzione culturale di ogni nazione. Il nodo è tutto qua, ed è anche, a mio giudizio, il motivo per cui l’Italia non riesce a crescere economicamente ed è orientata verso un progressivo peggioramento economico e sociale. Perché escludere alla cultura selezionando in base ad un’appartenenza elitaria non permette l’introduzione di elementi innovativi ed evolutivi indispensabili ad ogni progresso, che che ne pensino i selezionatori italiani che, infatti, tendono a lavorare per aziende che a livello imprenditoriale hanno poca o nulla possibilità di espandersi senza un mercato ad elevato supporto statalista, come quello italiano. In teoria l’INVALSI era uno strumento nato per cercare di analizzare meglio le criticità presenti nelle scuole pubbliche e quindi intervenire con strategie maggiormente efficaci per superarle, di fatto, a mio giudizio, ha finito per risentire della ristrettezza culturale imperante che incentiva la ghettizzazione culturale escludendo ogni elemento innovativo.

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Perché dici questo? L’INVALSI non rende pubbliche le valutazioni degli istituti, disincentivando la ghettizzazione. L’INVALSI non si occupa, e non si deve occupare di intervenire con strategie per superare le criticità. Il compito istituzionale dell’INVALSI è di fornire dei dati, il più possibile oggettivi. I decisori politici li guardano e decidono cosa farci. Purtroppo spesso queste decisioni sono sbagliate.

Che poi l’INVALSI possa essere oggetto di altre critiche sui metodi di valutazione standardizzata , sul lavoro aggiuntivo indesiderabile che grava sugli insegnanti e sulle segreterie, o sul tempo tolto alla didattica, è un altro conto.

@Exekias Riguardo all’articolo di Boldrin, che confesso di aver letto riga dopo riga con l’adrenalina che saliva e il sangue sempre più amaro, non riesco a condividere praticamente nulla.

Mi dispiace perché ammiro Boldrin per le sue battaglie nel campo del diritto d’autore, ma questo articolo mi sembra delirante e odioso.

Premetto che non ho fatto il classico e, dato che difendo il liceo classico, già cade la tesi di Boldrin che sostiene che gli unici difensori del liceo classico provengano dal classico. :stuck_out_tongue:

Sostanzialmente Boldrin vorrebbe migliorare la scuola italiana abolendo ciò che funziona meglio! Alcuni indicatori pubblici sui punteggi delle varie tipologie di istituto sono qui: https://invalsi-serviziostatistico.cineca.it/documenti/ss/statistiche_apprendimenti_2018_ss/Riferimenti%20per%20Tipologia%20di%20istituto.pdf

Mi sembra assolutamente falso. Perché dovrebbe convogliare un pensiero pre-scientifico? Ricordo che la scienza è nata proprio nel contesto della democrazia greca. Le dimostrazioni e le teorie scientifiche si sono sviluppate proprio come evoluzione naturale del ben “saper argomentare portando fatti per sostenere le proprie tesi, cercando di convincere gli interlocutori”, che è una necessità che può sorgere solo in seno a una democrazia.

Ma che percezione distorta ha Boldrin del classico? Pensa forse che siano dei sofisti azzeccagarbugli che disprezzano la logica e sventolano striscioni con su scritto “viva l’arretratezza! viva il medioevo! abbasso la scienza!”? Non posso neanche argomentare contro… data la plateale falsità di questa affermazione che fa di tutta l’erba un fascio.

Ha mai aperto un libro di storia o di filosofia?

Forse perché per poter capire bene la matematica, occorre avere un’ottima padronanza del linguaggio, delle capacità argomentative e di quelle immaginative? Chiedo eh!

Usando la parola “consumo” ha subito dimostrato il suo amore per essi.

INORRIDISCO. L’arte sarebbe un lusso? Scusate se non mi cimento a contro-argomentare con un papirone, ma avrei solo parolacce da dirgli.

L’informatica, la contabilità, e l’ingegneria sono una necessità tanto quanto l’arte, la filosofia e la letteratura.

5 anni di elementari e 5 anni di medie uguali per tutti ed obbligatorie. <— ci può stare. Ma non fino a n anni. Fino alla fine del percorso. Se vieni bocciato quindici volte ci resti.

Sul niente religione sono d’accordo, sul greco si potrebbe discutere e magari spostarlo in un corso facoltativo successivo al percorso dell’ obbligo scolastico, ma tutto il resto è delirante!

Si formano cittadini del mondo proprio fornendogli strumenti intellettuali diversi per interpretare il mondo. La poesia e l’arte in generale sono strumenti estremamente efficaci per sviluppare un pensiero proprio e variegato, in aggiunta agli utilissimi strumenti della scienza. Nessuno sarebbe in grado di “prendere il volo in questo mondo” se avesse studiato esclusivamente materie scientifiche, perché non avrebbe mai modo di riflettere su temi come la libertà, l’etica, il sentimento in modo non banale. Conoscere e studiare la storia del pensiero anche su questi temi permette, appunto, di formarsi un pensiero personale non banale. Magari non tutti ci riescono a formarsi un pensiero non banale, forse neanche Boldrin, ma l’unico modo per farlo è rapportarsi con ciò che è stato pensato in passato, per trarne ispirazione o non ripeterne errori di ragionamento “naturali”.

Nel 2013 hanno avviato la sperimentazione quadriennale nei licei. Non sono mai stati pubblicati gli esiti di queste sperimentazioni rispetto ai non-quadriennali. Chissà perché?! :wink: Però continuano ancora a pubblicizzarli. Grazie, confindustria!

Lo studente non deve apprendere quello che “vuole” (e tanto meno “prendere”. Ma evidentemente in Boldrin è radicata una visione della scuola come supermercato) perché non può davvero sapere quello che vuole, dato che non conosce e non può conoscere la vastità della conoscenza umana. Per questo gli si devono fornire, preventivamente, degli orizzonti più ampi possibili “forzatamente”, in modo che dopo sia davvero libero nella sua scelta di approfondire quello che vuole.

Se io fossi stato libero di non studiare latino, da adolescente, avoglia che non l’avrei studiato! Lo schifavo! Ma guarda te che roba inutile studiare una lingua morta! Avrei certamente preferito raddoppiare il numero di ore di matematica! …E poi non mi sarei mai specializzato in storia della matematica e non sarei mai riuscito a leggere alcuni autori in lingua originale (che non esistono in traduzione) e non avrei mai fatto la tesi che ho fatto, che mi ha dato tante soddisfazioni. Certo il latino che ho fatto allo scientifico non bastava e lo avevo in gran parte dimenticato, ma senza di esso non mi sarebbe proprio venuto in mente che se lo si voleva “si poteva fare”.

Consiglio a tutti un bellissimo libro di Lucio Russo: “Perché la cultura classica, la risposta di un non classicista”

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Primo: occhio a non invertire causa ed effetto. La scuola italiana è molto elitaria: chi va al classico (e in misura minore allo scientifico), numeri alla mano, solitamente proviene da famiglie agiate. Di quelle che possono permettersi di spendere centinaia di euro al mese in ripetizioni private, all’occorrenza. Non sono pregiudizi miei: su sta roba ci ha scritto un libro Cristian Raimo (Tutti i banchi sono uguali). Secondo, più che i test INVALSI guarderei ai test OCSE-PISA, in cui i quindicenni italiani vengono messi a confronto coi loro coetani dei Paesi dell’area OCSE (e non solo). I risultati sono impietosi.

Ciò che vuol dire Boldrin (credo) è che il modello di mondo che si insegna al classico è l’antichità classica (appunto). Antica Grecia, antica Roma. E quello, innegabilmente, era un mondo pre-moderno e pre-scientifico, almeno intendendo con “moderno” l’era moderna e con “scientifico” quel metodo che viene fatto iniziare con Galileo.

A me pare che abbia semplicemente fotografato la realtà. Prendi Diego Fusaro, che è l’emblema di quest’Italia contemporanea forse più di chiunque altro: viene invitato ovunque a pontificare su tutto lo scibile umano, pur essendo Egli competente (almeno in teoria) nel suo specifico campo, che sarebbe la storia della filosofia. Lo si ritrova a discettare di economia, di uscita dall’euro e di mille altre questioni di cui Egli non solo non sa un cazzo, ma che non ritiene neanche di dover approfondire, perché è convinto che aver letto Marx e saper coniare neologismi all’istante siano armi dialettiche più che sufficienti a primeggiare nel dibattito. E per “primeggiare nel dibattito” intendo dire "strappare applausi a gente che, in media, non ne sa un cazzo come lui, ma che in compenso si impressiona molto facilmente a sentire pronunciare termini come Turboliberismo mondialista globalizzato. Ammettiamolo: il colto “vero”, nell’immaginario collettivo, è colui che ha una cultura umanistica. Un chimico o uno sviluppatore di software non verrebbe mai invitato in un talk show ad esprimere opinioni sulla politica monetaria della BCE o sulla politica estera russa. Invece pare normale che vengano chiesti pareri in proposito a uno Sgarbi qualsiasi. Il presupposto è che la cultura umanistica sia universale: chi ha fatto quel tipo di studi non è un tecnico di una specifica materia, ma una sorta di santone indiano che può pontificare su qualsiasi argomento.

Bisogna vedere cosa si intende per “necessità”. Se interpreto bene il pensiero dell’autore, credo voglia dire che nel mondo moderno l’informatica, la contabilità e l’ingegneria sono materie che 1. offrono più sbocchi lavorativi 2. sono più importanti di altre per interpretare il mondo in cui ci troviamo, nel quale oggettivamente l’informatica è molto più pervasiva della storia dell’arte.

Ma infatti mica propone di eliminare del tutto queste materie. Dice solo di insegnarle dai 10 ai 16 anni, non prima. Alle elementari sarebbe più utile concentrarsi sulle basi, tipo imparare a leggere/scrivere/far di conto, ma anche - al giorno d’oggi- rudimenti di programmazione informatica (anche solo con Scratch), lingue straniere fin dalla prima elementare…cose così. Perché ora come ora, ti giuro, alle medie vedi gente che a malapena sa leggere.

Da quello che scrive di solito direi che ne ha aperti parecchi. Soprattutto di storia.

@solibo pss… penso che stiano parlando di come ristrutturare sistemi scolastici, precendentemente ho aperto un thread a riguardo: idee cambiare paradigma del sistema scolastico nel caso l’abbia intuita giusta dunque se ci sono i presupposti propongo di trasferire il dibattito, in caso contrario autorizzo la rimozione di questo messaggio

È vero che c’è un’autoselezione mediamente pronunciata delle famiglie agiate nei licei, ed è più pronunciata per i licei classici. Ciò però non significa che tali licei siano modellati per formare gli studenti che provengono da famiglie agiate e non funzionino con altri. ANZI, sono un’ottima occasione di mobilità sociale per le famiglie meno agiate e il valore aggiunto che forniscono agli studenti meno agiati è maggiore.

Il tuo link si riferisce ai risultati del 2006 che sono stati i peggiori mai registrati, ma per fortuna il trend è positivo da una dozzina d’anni a questa parte. Fonte: International student assessment (PISA) - Reading performance (PISA) - OECD Data (impostare la visione diacronica per i vari ambiti e selezionare “italia”). Ancora non siamo delle cime, ma stiamo migliorando rispetto agli standard internazionali. E poi scusa, stiamo parlando dei licei, e in particolare i classici… che c’entra una statistica che coinvolge quindicenni che provengono da tutti i contesti possibili, compresi tecnici, professionali e paritarie?

Il perché è un errore considerare slegate la scienza “moderna” dalla filosofia e dalla scienza antica lo spiega molto bene il libro “La rivoluzione dimenticata”. Oppure anche Carlo Rovelli:

Ma quello è un coglione!

e questo deriva da una concezione Gentiliana ancora non totalmente superata. Ma la cultura scientifica e la cultura umanistica (che già è sbagliato distinguere nettamente) sono entrambe necessarie e sono da unificare il più possibile in modo tale da massimizzare sia la razionalità scientifica che una cultura a tutto tondo.

Ci sono comunque tantissimi preconcetti filosofici “inconsapevoli” anche nello stile di programmazione o nelle scelte di progettazione di un database.

Su questo sono abbastanza d’accordo, ma per imparare a leggere e scrivere è anche utile proporre dei testi che trasmettano cultura o che sviluppino riflessioni nel bambino, adatte a quell’età.

Ero provocatorio, so bene che Boldrin non è certo l’ultimo degli ignoranti! Però affermando che riguarda lo studio di < un mondo che per secoli è stato uguale a se stesso > dice una cosa evidentemente falsa e superficiale.