La valutazione delle scuole e università dovrebbe essere pubblica?

Talvolta le mie convinzioni sulla auspicabilità della condivisione più totale dei dati delle ricerche, nell’ottica degli open data, e più in generale sulla desiderabilità di una società dove tutta la conoscenza è condivisa si scontrano con una realtà che mi fa avere dei ripensamenti: la resa pubblica delle classifiche e di indicatori che misurino la “qualità” di istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.

Le classifiche delle università pubblicate dall’agenzia di rating ANVUR, ad esempio, penso che siano dannose, perché incentivano le diseguaglianze anziché combatterle. Chi proviene da famiglie con status socioeconomico più elevato, infatti, conoscendo queste classifiche, verrà indirizzato verso le “migliori”, mentre chi non può permettersi di andare a studiare fuori sede resterà confinato alle “peggiori”, pur essendo tutte pubbliche e che, quindi, dovrebbero essere potenzialmente equivalenti. Inoltre le università ricevono fondi anche in base alla loro posizione nelle classifiche, innescando così dei circoli viziosi che rendono le università “virtuose” (del nord) sempre più ricche e le università in basso nelle classifiche (del sud) sempre più carenti. I privati spesso usano queste classifiche per valutare la bontà della laurea di chi si propone per un lavoro, fregandosene dell’equivalenza formale del titolo di studio. Quel che penso che sia ancora più grave è che, anche nel settore pubblico, ci sono in continuazione proposte per sostituire l’equivalenza legale del titolo di studio conseguito in università pubbliche con un punteggio determinato dalla posizione nelle classifiche dell’università in cui ci si è laureati. Queste proposte vengono incredibilmente non solo dalla Lega e dal centro destra, ma sono sorte anche dall’ala radicale e renziana del PD. Queste classifiche pubbliche incidono molto anche sulla ricerca scientifica in un modo indesiderabile, ma questo argomento è talmente vasto che rischierebbe di mandare fuori tema questo post.

Per la scuola, invece, l’INVALSI adotta delle strategie diverse. Ogni istituto, anno per anno, ha sì il suo punteggio insieme a vari indicatori, rapportato alle altre scuole, ma essi non vengono resi pubblici e la loro consultazione è riservata esclusivamente al dirigente scolastico. L’idea è che quegli indicatori non dovrebbero essere usati per redigere una classifica pubblica delle scuole, ma solo per fornire al dirigente degli strumenti e delle informazioni in più per decidere se le politiche scolastiche che ha adottato fino a quel momento sono state efficaci o meno, allo scopo di aumentare la qualità della didattica. In questo modo si dovrebbe evitare che si formino delle scuole “bene” e delle scuole “ghetto”. Ma ahimé, le migliori intenzioni spesso si scontrano con la realtà, e questi indicatori, spesso e volentieri, vengono usati dai dirigenti per farsi pubblicità rendendoli pubblici (per la propria scuola) nel caso che essi mostrino una situazione virtuosa, e invece nascondendoli nel caso mostrino delle criticità.

C’è chi spinge affinché anche per la scuola le classifiche siano pubbliche, come quelle dell’università.

Sebbene io sia, solitamente, per l’Open Data più totale, penso che in casi come questi la divulgazione al pubblico di questi dati possa favorire l’acuirsi delle diseguaglianze sociali ed essere pertanto indesiderabile.

Voi che pensate in proposito?

Non conosco il sistema scolastico. Peró penso che tenere segreti i dati non risolve il problema. Dal punto di vista dello Stato immagino che il problema sia quello di creare stimoli per alzare la qualitá del sistema scolastico, dal punto di vista del cittadino il problema é assicurare al proprio figlio la migliore educazione possibile. Quindi penso che sia diritto del genitore accedere a tutte le informazioni che lo possono aiutare a fare la scelta migliore.

Se il problema che si pone lo Stato é di alzare la qualitá media del sistema scolastico, non ci si dovrebbe chiedere chi é che sta davanti, ma chi resta indietro, io, andrei a guardare l’ultimo in classifica e cercherei di capire perché é ultimo e attiverei tutti i meccanismi necessari per rimuovere il distacco rispetto al primo. E re-itererei (si puó dire?) questo approccio all’infinito. In questo modo la qualitá media dovrebbe crescere e il distacco tra le scuole diminuire.

Io non so bene come rispondere, se non che il nostro modello scolastico andrebbe eradicato: non solo perché tutti i tentativi di riformarlo (a partire dagli anni '90) hanno ogni singola volta peggiorato le cose, ma proprio perché ormai lo scollamento tra la società e la scuola è abissale.

A me piace (e il programma elettorale europeo pirata lo cita) il modello finlandese. Molto.

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@ale Il fatto è che lo Stato non dovrebbe fornire delle “offerte” da far scegliere a dei clienti. È sbagliato che il genitore debba essere messo nelle condizioni di fare la “scelta migliore” perché la scelta migliore non dovrebbe esistere: dovrebbero essere tutte equivalenti, in un mondo ideale.

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Questo non risolve il problema del genitore, che per essere un buon genitore, deve alzare al massimo la probabilitá di suo figlio per riuscire nella vita.

Il fatto che usi il condizionale la dice lunga e porta il genitore a rovinare la vita del figlio comportandosi come se quel qualcosa che non dovrebbe esistere non esistesse. Invece esiste e chi ci fa i conti si troverá davanti agli altri.

Non é il genitore che deve comportarsi come se quella cosa non esistesse é lo Stato che deve dimostrare che le scuole sono equivalenti. Nel momento in cui lo Stato produrrá scuole equivalenti sono certo che il genitore útilizzerá altri parametri nella scelta, come ad esempio i costi.

Personalmente non ritengo che il modello italiano in generale sia inadeguato. Certamente può (e deve) essere migliorato, democraticizzato e ci si possono fare investimenti importanti sopra, ma sostanzialmente penso che sia uno dei modelli più solidi del mondo. Infatti nonostante mille riforme di stampo liberista che hanno fatto un danno dopo l’altro, rendendo la scuola sempre più simile ad un’erogatrice di servizi più che a un’istituzione, noi siamo ancora in grado di preparare delle persone con un’istruzione molto valida. Il modello finlandese non mi piace per niente, credo sia stata una specie di “bolla” di cui ancora non abbiamo visto bene gli effetti, ma magari avremo modo di parlarne in un altro post più in tema :slight_smile:

Nota: Quando vuoi spostare una roba su un altro argomento, a destra del post ti appare: “rispondi come argomento collegato”.

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Certamente se fossi genitore, e quelle informazioni fossero pubbliche le userei eccome (Ma anche non essendo pubbliche le userei lo stesso dato che ci ho accesso lavorando al MIUR xD).

Ma ci sono studi -perdonami se non mi metto a cercare la fonte esatta… sono trovabili nella bibliografia di qualche rapporto INVALSI- che mostrano che delle classi di studenti eterogenee in termini di status socioeconomico della famiglia presenterebbero dei risultati mediamente più alti rispetto a quelli prodotti da studenti simili, ma posti in classi e contesti omogenei. Per questo, per alzare la media globale, potrebbe essere proprio interesse dello stato nascondere questi dati, in modo che i genitori premurosi non li usino per scegliere le scuole migliori per i loro figli, favorendo l’omogeneità, che a sua volta causerebbe un abbassamento della media globale.

Non sono d’accordo. La diversità introduce ricchezza, anche fra le università, e le università sono fatte di persone.

E diciamocela chiaramente, se, ad esempio, l’università di Palermo chiude domani, non è una gran perdita per il panorama accademico del paese, significa solo che un sacco di risorse saranno libere per costruire un’università funzionante da qualche altra parte in Sicilia, preferibilmente dove non diventerà l’ennesima sagra del clientelismo (che è il problema che la tiene giù, tantissimo).

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Ho detto equivalenti, non uguali. Sono d’accordo che la diversità sia un valore, ma a patto che non sia una diversità che genera disuguaglianze di fronte alle opportunità della vita. Forse “equipollenti” potrebbe essere un termine più adatto.

Mi fido di te, sei comunque piú esperto, non riuscirei a sostenere argomentazioni fornendo studi alternativi. Non credo che la classe eterogenea sia peró l’unica variabile che incide sulla qualitá del sistema scolastico, in assenza di dati oggettivi, i genitori si attrezzeranno in ogni caso per acquisire informazioni ed in quel caso, le universitá prestigiose vinceranno a tavolino. Per esempio, se Camerino riuscisse a trovare il modo di scalare queste classifiche potrebbe vantarsi di avere una qualitá superiore a quella di Bologna e in un contesto di “obscurity” le verrebbe preclusa questa possibilitá.

Certamente non è l’unica variabile, ma penso che comunque sia una variabile importante! Io non sono contrario a priori all’esistenza delle classifiche e valutazioni pubbliche, anche nell’ottica dell’esempio virtuale che mi hai fatto tu.

Però l’esistenza di queste classifiche pubbliche non dovrebbe prescindere da investimenti e metodologie efficaci per migliorare “gli ultimi”, mentre finora viene fatto l’esatto opposto: vengono premiati i primi. Finché questi investimenti e metodologie per risollevare “gli ultimi” non avranno modo di esistere in modo consistente (e la politica non sembra molto interessata a ciò perché si ha l’impressione che sarebbero investimenti “sprecati”), penso che sarebbe ancora una buona idea di tenere le classifiche segrete, a uso esclusivo dei direttori di tali istituti, che le usino come guida per automigliorarsi e capire dove sbagliano. Naturalmente anche questo presuppone che i dirigenti siano interessati al bene dell’ente per cui lavorano, e non solo alle loro tasche :disappointed_relieved:

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Quindi l’attacco, non va rivolto in direzione di nascondere i dati, ma andrebbero usati i dati per accusare lo Stato di non fare niente per diminuire il gap tra i primi e gli ultimi e alzare cosí la media della qualitá del sistema scolastico

Secondo me se provi a dire una cosa del genere dentro la ragioneria dell’Unibo rischi il linciaggio. Grazie a quella stronzata della manovra economica abbiamo un buco indecente nel bilancio.

Il problema è che l’equivalenza del titolo di studio è solo formale. Non voglio passare per elitista è innegabile che ci siano facoltà che forniscono preparazioni migliori o peggiori.

Penso che sia anche abbastanza essenziale fare un discorso sui fuorisede, che essendo la prima fonte d’introiti per la mia città, conosco abbastanza bene 1-L’unibo (attraverso l’ergo) fornisce una MAREA di borse di studio statali agli studenti “meritevoli” e/o in condizione economiche non proprio ottime. Il meritevoli è tra virgolette perchè i criteri per mantenere la borsa di studio sono davvero molto bassi (si parla di finire l’anno con metà dei CFU proposti) e condinuano a coprire chi ne ha fatto domanda, anche in caso sia fuoricorso. (per i fuori sede si parla di 5.300€/anno, niente tasse universitarie, sconti in mensa, ed alloggi in studentato). Ci sono anche tutte le borse europee che hanno a loro volta criteri molto lassisti perchè servono a mantenere vivi i corsi che l’UE considera vitali (io stesso ho sfruttato queste offerte visto che sono iscritto al corso di matematica). Ci sono poi tutte le borse di studio che vengono pagate dai privati. Più di un terzo dei dottorati vengono pagati da aziende, che finanziano l’università e lo studente, permettendogli di compiere un percorso di studi all’interno dell’università che però verrà venduto all’azienda. Si può anche fare richiesta di lavoro, dove vieni pagato 12/€ l’ora netti, per lavorare in edifici dell’università, dalla biblioteca, alla segreteria del dipartimento. A queste si aggiungono anche le borse di studio per merito assoluto. Ossia i migliori studenti dell’ateneo ricevono dei bonus economici considerevoli, e spesso addirittura hanno diritto ad alloggi gratis. Queste però sono ovviamente difficilissime da ricevere perchè richiedono una media spropositata ed una testa al di fuori della media. Il venire a dire che non si può fare il fuorisede all’unibo io la considero una cosa semplicemente falsa.

2- L’unibo ogni anno si vede tagliare i finanziamenti, per motivi di ogni genere, e sta sempre di più puntando ai privati per ottenere finanziamenti, questo perchè altrimenti deve chiudere baracca o licenziare dipendenti. Nonostante tutto questo è riuscita a creare una rete di contatto con le aziende (coesia, IBM, Tesla, e FAAC per fare qualche nome) che ha portato una ricchezza a cascata sul territorio. Per essere virtuosi non serve ricevere finanziamenti maggiori, ma permettere a chi ha le competenze giuste di coprire incarichi istituzionali, e far crollare i baronati.

3- In questi anni l’unibo ha fatto di tutto per essere più appetibile a livello nazionale, e di conseguenza i suoi punteggi sono migliori di quelli delle altre università proprio perchè è stato investito da un punto di vista didattico. Se permetti è anche giusto che una laurea presa a bologna (o a Salerno, che è un’altra università che sta facendo uguale, per fare un esempio nel sud italia) valga più di una presa ad Isernia.

I buchi del bilancio però non sono dovuti alla posizione dell’UniBo nelle classifiche anvur, ma a una politica economica che tiene sempre la ricerca e la scuola come ultima ruota del carro. Una politica scellerata che COLPISCE TUTTI indistintamente ma che fa, giustamente, incazzare a maggior ragione chi è meritevole. Il mio discorso sul circolo vizioso è da intendersi in media. Certamente esistono casi come quello che descrivi dell’UniBo che magari, nonostante tutti i meriti del mondo, non riescono a beneficiare abbastanza dei fondi che gli spetterebbero.

e formale dovrebbe rimanere, almeno nel campo del pubblico. Se un datore di lavoro privato, dovendo scegliere tra due curriculum, tiene in considerazione che il primo riporta una laurea presa nell’università A e l’altro riporta la stessa laurea presa nell’università B, ha tutto il diritto di farlo. Ma lo stesso non deve valere nel campo del pubblico, anche se ciò potrebbe comportare una minore meritocrazia! Le due lauree sono giudicate equipollenti perché, idealmente, dovrebbero esserlo, dato che fanno parte dello stesso sistema pubblico. Se lo Stato mettesse in discussione questa equipollenza è come se dichiarasse pubblicamente di aver fallito nell’aver garantito le pari opportunità e si arrendesse al fatto che esisteranno sempre università di serie A e di serie B. E se lo stato si arrendesse non ci sarebbe mai nessuna speranza di miglioramento.

Quindi quali sarebbero le soluzioni per far fronte al diverso valore “effettivo” dello stesso titolo di studio preso in due diverse università? Le possibili soluzioni potrebbero essere tre:

  1. O lo stato dovrebbe riconoscere che l’università B non eroga un titolo di studio riconosciuto con valore legale, mentre l’università A sì (soluzione che non mi trova né in accordo né in disaccordo, dipenderebbe da caso a caso)
  2. o rinuncia al valore legale in toto per tutti (e mi sembra che con questa soluzione si possa essere d’accordo solo se ci si fa portavoce di un pensiero neoliberista)
  3. oppure si mantiene il valore legale equipollente ad entrambi i titoli, ma si cercano di attuare delle politiche per aiutare B a raggiungere la qualità di A, e questa secondo me è la strada preferibile.

E ciò mi sembra che sia contemporaneamente un’opportunità e un problema serio.

In tutto il mio discorso non ho messo in discussione che quelle classifiche siano effettivamente attendibili. (Anche se è vero che i criteri scientifici per costruire quegli indicatori si basano anch’essi su presupposti in certa misura ideologici sui quali si può discutere.)

Non ho problemi a riconoscere che, nella realtà dei fatti, la stessa laurea presa all’UniBo e presa alla D’Annunzio di Pescara sia concessa a fronte di una preparazione diversa. Ma penso che sia condivisibile combattere queste diseguaglianze, non nascondendole sotto il tappeto, ma adottando delle politiche serie per contrastarle.

Inoltre non mi sembra che “non rendere pubbliche queste classifiche”, o “continuare a ritenere formalmente equipollenti le lauree” equivalga a “nascondere il problema sotto il tappeto”, a patto che tali classifiche vengano usate dagli organi decisionali per effettuare interventi atti ad alzare il livello degli ultimi.

Credo che il cardine della nostra differenza di visioni sia questo. I miei ideali sono di stampo estremamente liberare, e come tale credo che la meritocrazia sia uno dei valori più importanti della società in cui viviamo.

Il problema in italia è che non accade mai che venga presentato un progetto, e di conseguenza, solo se il progetto è davvero meritevole, vengano stanziati i fondi. Siamo tutt’ora la mangiatoia di mafie ed imprenditori senza scrupoli, se davvero non mettiamo la meritocrazia al centro siamo rovinati. Imho la soluzione migliore è semplicemente riuscire a permettere a tutti di studiare dove vogliono, con borse di studio, alloggi calmierati e strumenti affini, di fatto obbligando le varie università a convincere i vari studenti a studiare da loro. Credo che questo sia l’unico modo per impedire la creazione di baronati e mangiatoie varie.

Credo che sia importante anche capire perchè gli ultimi siano effettivamente ultimi.

Cioè credo che questa risposta risponda quasi a tutto, magari cliccare sul link e leggere? Non dico non dibattete, ma se leggeste il link dato da @solibo, forse stareste a dibattere su quello.

Peace

Va bene. Dibattiamo su quello. Ad una condizione, però: che si tenga presente che dire “importiamo il modello del Paese X” avrebbe molto più senso se il Paese X fosse simile al nostro negli fondamentali che non riguardano l’istruzione. Ora, la Finlandia ha una popolazione che è meno di 1/10 di quella italiana, un debito pubblico che sta al 61,3% del PIL (il nostro veleggia verso il 135%) e svariate altre cose.

Ma comunque. Cito dall’articolo linkato:

al­l’e­tà di set­te an­ni i bam­bi­ni fin­lan­de­si ini­zia­no la scuo­la del­l’ob­bli­go, che du­ra no­ve an­ni. A cir­ca 16 an­ni pos­so­no quindi de­ci­de­re se proseguire negli studi op­pu­re no. Se de­ci­do­no di far­lo han­no due op­zio­ni: il li­ceo, che pre­pa­ra agli stu­di ac­ca­de­mi­ci, e la scuo­la pro­fes­sio­na­le, che of­fre del­le com­pe­ten­ze in un cer­to me­stie­re e dà la pos­si­bi­li­tà di con­ti­nua­re con la scuo­la uni­ver­si­ta­ria pro­fes­sio­na­le.

Questo mi pare ottimo. Come spiegavo anche qui, c’è da superare lo stigma sociale verso gli istituti tecnici e l’avviamento al lavoro, visto e considerato che chi esce da un ITS nell’82% dei casi è occupato entro un anno dal diploma.

La scuola Finlandese può essere chiamata la scuola della domanda. Si privilegia la capacità, infatti, di fare domande a quella di dare risposte pre-confezionate. L’ascolto e l’osservazione del docente prevale sul suo intervento diretto. Si impara facendo e fino a 13 anni non ci sono voti.

Su questo non paiono essere tutti d’accordo. In particolare qui si dice che insegnano la matematica e la geometria senza fare più le dimostrazioni, in un modo che serve solo a primeggiare nei testi OCSE-PISA.

Gli in­se­gnan­ti in Fin­lan­dia ten­do­no a non da­re va­lu­ta­zio­ni ne­ga­ti­ve agli al­lie­vi. San­no che que­sto ri­schia di di­mi­nui­re la lo­ro mo­ti­va­zio­ne e in­di­ret­ta­men­te di au­men­ta­re la di­su­gua­glian­za so­cia­le.

Posso assicurarti che questa tendenza esiste anche nel mondo didattico italiano da anni, e con esiti disastrosi. Questa volontà di proteggere il bambino/adolescente dalle delusioni sta facendo danni enormi. Le delusioni fanno parte della vita. Una volta finita la scuola, là fuori c’è un mondo globalizzato e il più delle volte ostile; forse in Finlandia un po’ meno che altrove. Forse.

In Fin­lan­dia un 8 (in una sca­la da 4 a 10) si­gni­fi­ca che si è mi­glio­ra­ti, che in ba­se al­la pro­pria con­di­zio­ne di par­ten­za e al­la pro­pria si­tua­zio­ne per­so­na­le c’è sta­ta un’e­vo­lu­zio­ne po­si­ti­va. Quin­di an­che un al­lie­vo per il qua­le la ma­te­ma­ti­ca è dif­fi­ci­le, che ha dif­fi­col­tà con la let­tu­ra o con la scrit­tu­ra, ma che si ap­pli­ca e fa eser­ci­zi e stu­dia di­li­gen­te­men­te, può ar­ri­va­re ad un 8. In Fin­lan­dia, uno stu­den­te o una stu­den­tes­sa che “fal­li­sce”, è qual­cu­no che non ha fat­to tut­to ciò che era nel­le sue pos­si­bi­li­tà, non qual­cu­no i cui ri­sul­ta­ti ven­go­no mes­si a con­fron­to con del­le sta­ti­sti­che.

Anche questo mi pare pericoloso. Il confronto con gli altri non deve diventare un’ossessione, questo è chiaro, ed è vero che ognuno deve cercare di capire i propri limiti; ma le statistiche non sono il demonio.

In Fin­lan­dia ci si fi­da de­gli in­se­gnan­ti esat­ta­men­te co­me ci si fi­da di un den­ti­sta, di un me­di­co, di un av­vo­ca­to o di qual­sia­si al­tro pro­fes­sio­ni­sta

Questa frase credo sia valida anche per l’Italia: gli italiani (soprattutto ultimamente) insultano e prendono a schiaffi gli insegnanti esattamente come i medici o qualsiasi altro professionista (soprattutto gli allenatori delle squadre di calcio giovanili a cui iscrivono i propri pargoli).

Al­lo stes­so mo­do non esi­ste un’or­ga­niz­za­zio­ne che ab­bia il com­pi­to di giu­di­ca­re il la­vo­ro di un in­se­gnan­te

Beh, quello neanche da noi. Chiunque abbia anche solo tentato di introdurre un qualunque sistema di valutazione degli insegnanti è stato sbranato vivo (politicamente). E gli insegnanti sono tanti. E votano.

In conclusione: che il sistema finlandese sia tra i migliori al mondo lo dicono i dati, le classifiche internazionali e i test OCSE (al netto dei dubbi espressi sopra). Ma esportarlo in Italia (cosa del resto vagheggiata anche da M5S e Lega) mi pare infattibile, oltre che pericoloso. Mi pare chiaro il motivo per cui piace soprattutto ai genitori: niente compiti, niente voti negativi, aule belle e pulite, un clima sereno. Ed è chiaro che agli insegnanti piaccia una parte di quel modello (niente valutazioni, poca burocrazia); credo che gradirebbero molto meno la rigida selezione in ingresso (spiegata nell’articolo). Il cuore del discorso mi pare riassunto in questa frase (in questo articolo tratto dallo stesso sito):

I finlandesi hanno chiari valori di riferimento: la fiducia, il rispetto personale e per le istituzioni, la libertà, l’autonomia.

Ora, vi sembra che si possa dire lo stesso per l’Italia?

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Mi piace che hai argomentato, questo è ciò che serve, argomentare per arrivare alla migliore soluzione. Io non sono per utilizzare il modello finlandese ma, appunto come hai detto, si può valutare per adattarlo in Italia. Argomenterò in maniera approfondita più in la…

Dico solo che Io sono stato bocciato tre volte in tre scuole diverse (scientifico 1 anno, geometra 3 anno, ragioneria 3 anno), e credetemi ho visto parecchie cose e diverse persone… Ne ho tante da dire…

La prima cazzata è la scelta degli indirizzi quando si esce dalla scuola media, quella è la cosa che metterei al primo posto come cambiamento, si crea un ulteriore inutile divisione nella società che è già dilaniata dalle divisioni. (cit. io vado al classico, io vado la, io vado qua, noi siamo così, noi siamo colì, noi siamo figli di dottori, noi siamo figli di architetti ecc.)

A bientot

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Condivido quanto detto da Exekias sulla scuola Finlandese.

Inoltre vorrei far notare che le classifiche PISA mostrano che la Finlandia era prima in classifica nel 2006, staccando di molto gli altri paesi, e così diventando al centro del dibattito pubblico sulla scuola, ma anno dopo anno (o meglio, triennio dopo triennio) ha registrato risultati sempre peggiori, registrando il crollo più grande di tutti i paesi coinvolti nell’indagine PISA, perdendo oltre 40 punti di media (ma rimanendo comunque sopra la media, per il momento). Fonte: https://data.oecd.org/pisa/mathematics-performance-pisa.htm#indicator-chart https://data.oecd.org/pisa/science-performance-pisa.htm E, visto il trend, si potrebbe inferire che alla prossima rilevazione potrebbe arrivare sotto la media.

Ma lasciando da parte per un momento i test PISA… Va bene guardare fuori dall’italia per prendere ispirazione da casi virtuosi, ma importare acriticamente dei modelli stranieri dell’educazione non credo sia per nulla una buona idea, per quanto possano apparire allettanti. Si basano su un’identità culturale diversa che è specifica di un certo paese. Ad esempio, in Finlandia si studiano molto le scienze e l’arte, ma lo studio della storia, della filosofia e della letteratura è ridotto ai minimi termini: è ragionevole dato che la loro storia inizia quasi in epoca moderna. Idem Singapore. Singapore sta in vetta attualmente a tutte le classifiche PISA e, in risposta, un sacco di proposte didattiche, almeno nella matematica, sono rivolte a formare i docenti sul cosiddetto “Metodo Singapore”. Lo stesso governo francese ha prodotto un documento ufficiale dove viene avanzata la proposta di formare tutti i docenti di matematica sul “Metodo Singapore” (fonte: https://www.academia.edu/36699586/Rapport_Villani_Torossian_21_mesures_pour_enseignement_des_mathematiques) Ma a me non sembra che il cosiddetto “metodo Singapore” sia diverso dal metodo usato da tutti i docenti di matematica elementare che ho mai conosciuto in vita mia, dove al posto delle “barre” noi utilizziamo i “segmenti”, per imparare le frazioni. Insomma, secondo me quella di Singapore è una nuova bolla.

Anche su questo sono d’accordissimo. Pensa che nel modello finlandese addirittura il ragazzino ha diritto di scegliersi un piano di studi personale finite le scuole elementari, all’inizio potendo scegliere pochi corsi a scelta, ma pian piano iperspecializzandosi in quello che gli riesce meglio. <Vado meglio in matematica? Allora non studio più storia e al suo posto faccio un corso di matematica più avanzato!> Questo atteggiamento ultraliberale penso che sia pericolosissimo: innanzitutto tradisce quello che secondo me è l’obiettivo primario della Scuola, ovvero quello di formare una persona con molteplici strumenti diversi per interpretare la realtà e agire su di essa. Da adolescenti non si può intuire che lo studio del latino (ad esempio) possa davvero portare dei benefici, per questo nessuno lo sceglierebbe, e si formerebbe una generazione che non passa più questo testimone alla generazione successiva.

In secondo luogo penso sia auspicabile che tutti abbiano una base culturale comune per poter garantire un’intercomunicabilità. Secondo me sarebbero desiderabili delle scuole superiori con una base uguale per tutti, e poi con una percentuale oraria dedicata a indirizzi differenziati. Uguale per tutti NON nel senso di “obiettivi MINIMI uguali per tutti”, come si ragiona adesso, nelle indicazioni nazionali. Io vorrei degli obiettivi ALTI uguali per tutti. Gli obiettivi “minimi” non devono esistere, perché al loro raggiungimento si è tentati di adagiarsi sugli allori.

Sì in effetti è questo. Non mi prendere per un facinoroso nel sostenere questo (Il mio posto di lavoro l’ho ottenuto superando un concorso piuttosto difficile e ogni giorno lavoro facendo del mio meglio!) ma credo che la meritocrazia sia sopravvalutata. Il “merito” di una persona è deciso in base a criteri che non possono mai essere oggettivi. A decidere quali sono i criteri per stabilire chi è meritevole e chi no è sempre una classe di persone (magari non meritevoli secondo i loro stessi criteri) che mantengono l’egemonia in un dato settore, e hanno interesse nel mantenerla. In un mondo utopico tutti hanno tutto, non solo i “meritevoli”. Nel mondo reale la cosa che ci si avvicina di più è l’aiuto nei confronti di chi ha di meno. Però mi rendo conto che è un discorso molto idealista che si scontra con problemi reali di limitatezza delle risorse.

Scusate se in questo messaggio trovate qualcosa di incomprensibile. È scritto dal cellulare sul pullman e non è molto pratico xD