Ma se...come Partito Pirata proponessimo un diverso percorso di politica economica?

"Rifiutate di accedere a una carriera solo perché vi assicura una pensione. La migliore pensione è il possesso di un cervello in piena attività che vi permetta di continuare a pensare ‘usque ad finem’, ‘fino alla fine’.“
Rita Levi-Montalcini

L’Europa è un continente dove gli adulti sono superiori ai nuovi nati, e questi adulti sono in larga misura “anziani” o tendenti all’invecchiamento. L’Italia ha il primato in invecchiamento della popolazione. Eppure le politiche economiche che adottiamo sono totalmente distanti dal contesto presente e futuro…ed, anzi, sono fondate sull’illusoria pretesa d’invertire il corso della storia e tornare ad una condizione esistente secoli fa, quando le politiche nazionali vincenti erano quelle che investivano prioritariamente sul rinnovamento generazionale. Non ci sfiora nemmeno l’idea che, invece, ci sta suggerendo da tempo il contesto attuale, ovvero che il futuro sarà soprattutto un mondo popolato di longevi. Non mi dilungo uleriormente in considerazioni su questo mio ultimo assunto, anche perché esistono molti articoli e saggi che affrontano questo argomento. Stanotte ho iniziato a leggerne uno che mi sta entusiasmando al punto da avermi fatto balenare in testa questa proposta folle…ma il futuro è folle. E se, per aumentare la produttività, investissimo negli “anziani”? Esempio pratico: invece di espellerli dal lavoro sfruttassimo la loro esperienza in quella che viene definita “formazione permanente” e non solo? Se anche la stessa “formazione permanente” cambiasse totalmente aspetto, proprio in virtù del fatto che si sta investendo sull’invecchiamento della popolazione, invece che sul ricambio generazionale, quindi creando le condizioni non di maggiore specializzazione nell’ambito lavorativo (che sarebbe invece implementata dall’esperienza diretta) bensì dall’aumentare le condizioni di criticità evolvente? Spiego meglio questo mio ultimo assunto: l’idea “giovanilistica” poggia sull’assunto che la mente di un giovane è maggiormente predisposta ad adattarsi a nuove sfide ed a trovare nuove soluzioni. Questa capacità viene legata all’età, ma in realtà l’efficenza mentale nel contesto attuale non è per nulla legata all’età quanto, piuttosto ad una maggiore capacità di problem solving sfruttando una varietà maggiore di elementi cognitivi in modo da sperimentare collegamenti nuovi più efficaci. Per esempio, se la metà dell’orario di lavoro fosse spesa, invece che cercare un iperspecializzazione maggiore sul settore dove si lavora, nello sperimentarsi laorativamente in un contesto lavorativo totalmente differente per permettere al cervello di uscire dalla propria “zona confort”, ampiandola in modo da arricchirla di elementi differenti che permettano una maggiore produttività proprio nel settore dove si lavora? Non so se sono riuscita a spiegarmi…in realtà la mia è un’idea ancora in embrione però mi piace l’idea di sfruttare questo ambiente, così ricco di competenze e voglia di fare, per provare ad immaginare approcci politici differenti dal solito…

Questa è una splendida obiezione! :smile:

Credo però che si scontri con un problema statistico: gli anziani, seppure tanti, sono spesso affetti da malattie che ne limitano l’azione. Gli strumenti tecnologici potrebbero certo facilitarne alcuni aspetti dell’attività, ma non possono sostituirsi ad un corpo sano ed in salute.

La mente dell’anziano è statisticamente più “rigida” di quella del giovane. Ed è anche fisiologico: l’anziano ha più esperienze su cui far leva, il giovane è costretto ad arrangiarsi con il poco che sa. Di conseguenza il giovane è costretto a mantenere una mente creativa, l’anziano deve scegliere di dedicare energie a tale scopo per conseguire lo stesso risultato.

Dunque non credo che la produzione economica sia l’ambito migliore in cui valorizzare le peculiarità di quella fase della vita. Credo che pretendere di estendere l’attività lavorativa sia controproducente non solo per i giovani ma per gli anziani stessi.

Detto questo, sono assolutamente d’accordo con il senso di questa proposta:

Quasi due decadi fa, ho lavorato per un anno come segretario e responsabile dei sistemi informativi in un Centro Servizi per il Volontariato. Ricordo che riflettendo con il mio capo di allora Alessandro Prandi (un grande che è stato anche direttore di un giornale e oggi è Garante dei Detenuti per il carcere nella mia città), scherzavo che il volontariato dovrebbe essere obbligatorio.

La iperspecializzazione, tipica degli insetti più che degli umani, è una delle tante esternalità del Capitalismo. Serve per massimizzare i profitti e minimizzare i costi. Ed in vario modo.

Anzitutto permette di destabilizzare i lavoratori, che sapendo fare una sola cosa sono più fragili e ricattabili. Permette di comporre più facilmente la forza lavoro, perché ogni persona sa svolgere un solo compito. Le risorse umane diventano come lego, o come ingredienti di una ricetta. Un elettricista vale l’altro. Un medico vale l’altro. Un programmatore vale l’altro… e così via.

Come puoi immaginare, io sarei assolutamente favorevole a dimezzare per legge l’orario di lavoro e mantenere invariato il salario annuale (quanto meno quelli più bassi). Ma questo comporta una rinuncia alla massimizzazione del profitto da parte delle aziende.

Questo produrrebbe certamente un invecchiamento più sano, e dunque minori costi di sanità pubblica ed una longevità più piacevole. Ma non solo, porterebbe le persone ad avere più tempo per altro, come la famiglia (fra cui bambini ed anziani), la Politica e la Cultura.

Tutte cose che, nel computo del profitto aziendale e del prodotto interno lordo, sono irrilevanti. Per questo siamo condizionati a sacrificarli al feticcio del profitto altrui. :wink:

Tempo fa riflettevo sul fatto che nel caso di lavori tecnici come il mio (essenzialmente da tastiera), il picco di produttivitá non é legato alla forma fisica, ma alla forma mentale. Cioé se un programmatore (o qualunque lavoro con le stesse caratteristiche) con esperienza ventennale, non si é fossilizzato ma ha continuato a studiare un pochettino per tutti i ventanni la sua materia, ed é riuscito a tenersi sull’onda, non ce n’é per nessuno. La sua produttivitá potrebbe essere anche 10 volte superiore ad un junior, cioé potrebbe fare in un mese quello che un junior fa in un anno. Non saprei se questa é una cosa buona, ma é qualcosa che sta succedendo. Forse bisognerebbe valutarne le conseguenze.

Non so se é lo stesso concetto, ma nel mio settore é molto comune che ti studi le cose nuove e anche il nuovo modo di fare vecchi mestieri o di mixare competenze che una volta erano separate e ora si stanno unendo. Ma questa é una cosa che credo sia compito delle aziende, lo Stato non potrebbe chiedergli di consegnare 4 ore di lavoro al giorno per studio. E comunque molte aziende permettono ai loro dipendenti di usare le ore di lavoro per studiare. Penso che ormai avvenga anche in Italia, qualcuno puó dare feedback su questa cosa?

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La vita lunga sarà solo alla mano dei ricchi che si sono rinchiusi in paradisi protetti mentre le genti normali fanno a botte per quello che il pianeta in surriscaldamento ancora offre, e muoiono a miliardi prima di raggiungere l’anzianità… l’Europa in questo avrà solo la scelta fra lasciare entrare tutta la povertà che ha creato, o di esercitarsi allo sterminio della gente che ha derubato nei previ secoli. Così come stanno le cose, non credo proprio che saremo noi ad usufruire delle scoperte scientifiche di lunga vita.

Se consideriamo anche come in soli 40 anni il capitalismo è riuscito a derubare il medio ceto delle sue ricchezze, non penso che nei prossimi decenni ce le restituirà. I soldi sono finiti in mano a <100 str**zi e da li per ora non si spostano.

La priorità politica del mondo odierno è di fermare l’estrazione di CO2 dal suolo, dato che abbiamo solo 9 anni prima che il clima inizia a torcersi su se stesso in una spirale autodistruttiva fuori dal controllo del genere umano. Ma i meccanismi del capitalismo sono tutti dalla parte dell’autodistruzione.

Dipende.

In Italia succede che ti venga concesso tempo per studiare ciò che ti serve per soddisfare un cliente acquisito. Un minimo di formazione viene garantita ai junior (talvolta me ne occupo in prima persona), ma solo finalizzata a renderli produttivi in fretta.

Per le aziende è sempre solo una questione di costi / ricavi. Ricordo un mio vecchio capo, anni fa, che mi disse qualcosa del tipo: “oltre ad essere un costo, farti studiare per me è un rischio, perché poi te ne vai da un concorrente e mi porti via i clienti”. Per contro in Italia (ma a dire il vero, li ho incontrati SOLO in Italia) ci sono anche ingegneri software che rifiutano l’idea di formazione: pretendono di imparare facendo (e che gli altri facciano lo stesso).

Tanto poi tocca ad altri (e a me) gestire il debito tecnologico che loro lasciano esplodere senza nemmeno esserne consapevoli.

non è proprio così, anzi statisticamente (ho fatto nottata quindi non ho energia per cercarti le statistiche in merito di cui, però, è pieno il web) le patologie dell’età anziana insorgono subito dopo il pensionamento. Fino a che una persona mantiene un’attività lavorativa - ovviamente non sto parlando di lavori usuranti - ci si ammala con più difficoltà e le patologie croniche restano più facilmente sotto controllo

[quote=“Shamar, post:2, topic:2801”] La mente dell’anziano è statisticamente più “rigida” di quella del giovane. [/quote] Anche su questo non sono d’accordo: la rigidità mentale (ovviamente non in condizioni patologiche tipo demenza o altro) è una conseguenza della mancanza di stimoli intellettivi e fisici, non dell’età. Ecco perché il lavoro non dovrebbe mai essere svolto in un unico ambito ma in ambiti diversi da loro, per metterere il cervello in una condizione di allenamento continuo nella soluzione di criticità alla quale non siamo abituati. Non sto parlando di volontariato obbligatorio, che tra l’altro è un ossimoro, ma di lavoro diversificato, quindi l’orario di lavoro è per metà nell’ambito lavorativo dove sei specializzato e per metà in un ambito lavorativo differente dove scambi la tua specializzazione ad altri acquisendo la specialiddazione degli altri. In realtà la mia idea è duplice: da una parte cominciare ad organizzare il lavoro degli adulti, che sono in fase d’invecchiamento, in questa maniera, metà orario dove sono stati assunti e metà orario in servizi o aziende limitrofe a “scambiare competenze”, mentre adesso, ed in maniera urgente, invece di attivare politiche di pensionamento anticipato chiedere la riattivazione dei pensionati affiancandola ai neo assunti in cambio, chessò, di servizi dedicati (mezzi di trasporto gratuiti, per esempio).

Infatti è così, e non solo sui cosiddetti lavori di concetto. L’esperienza sopperisce a molti aspetti di ridotta produttività soprattutto in presenza dell’attuale tecnologia che minimizza molti tempi di esecuzione. Inoltre si tende a pensare soprattutto a lavori in un ambito amministrativo- burocratico, mentre invece in un mondo longevo saranno soprattutto lavori legati a servizi (assistenziali, ludici, legati al benessere ecc) i lavori che avranno maggiore produttività. Trovo veramente assurdo che perfino la pubblicità più banale sia impostata per una popolazione giovane quando in realtà la maggior parte della popolazione è o sta andando verso la longevità.

[quote=“lynX, post:4, topic:2801”] La vita lunga sarà solo alla mano dei ricchi che si sono rinchiusi in paradisi protetti mentre le genti normali fanno a botte per quello che il pianeta in surriscaldamento ancora offre, e muoiono a miliardi prima di raggiungere l’anzianità… [/quote] Questo non è più così da decenni. Ti dirò, per quanto riguarda l’Italia addirittura da quando studiavo all’università (quindi quasi una trentina di anni fa). Infatti proprio in Università feci una ricerca statistica non ricordo se proprio per l’esame di statistica o di Igiene Pubblica, sulla mortalità Italiana rispetto ai nuovi nati. E già all’epoca c’era la curva demografica in cui il ricambio generazionale era in difetto per i nuovi nati. L’unica differenza tra ricchi e poveri è in come s’invecchia: i poveri invecchiano male. Ed invecchiano male perché, da adulti, sono seguiti male dai servizi. La prevenzione sanitaria in Italia esiste solo per i bambini: diminuisce parecchio durante l’adolescenza per arrivare ad annullarsi in età adulta. Anche in questo siamo rimasti alla mentalità ed alle politiche che andavano bene secoli fa, quando concepivamo la sanità come un ombrello sotto la quale proteggere le nuove generazioni per assicurarci il “bastone della vecchiaia”.

[quote=“lynX, post:4, topic:2801”]non credo proprio che saremo noi ad usufruire delle scoperte scientifiche di lunga vita.[/quote] lo stiamo già facendo e da tempo. Non scambiare un buon invecchiamento con il forzato giovanilismo dei ricchi, con i ripetuti lifting, botulini e compagnia bella. Non è quella la salute. La salute è condurre una vita sana tenendo sotto controllo le patologie anche legate all’invecchiamento e mantenendo la mente attiva. E questo aspetto è alla portata di tutti, “se” ci fosse una buona cultura alla prevenzione in età adulta.

[quote=“lynX, post:4, topic:2801”] Ma i meccanismi del capitalismo sono tutti dalla parte dell’autodistruzione. [/quote] e dunque che si sbattiamo a fare in politica ed in un Partito Pirata? Tanto stiamo correndo verso l’autodistruzione…9 anni passano in frettissima, tanto vale goderceli a fare altro invece che discutere e fare proposte politiche per concretizzare nuovi percorsi per l’umanità! :wink: :stuck_out_tongue_winking_eye:

Scusa non ho resistito :smile:

Ricordati che devi morire (youtube link)

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Hai ragione in quanto dici in risposta a me, solo che io commentavo in prospettiva di un pianeta fra 50 anni quando la produzione alimentare è in crisi tra mezzo pianeta desertificato, oceani avvelenati e la popolazione raddoppiata…

Una cosa è morire. Un’altra è rendersi conto che siamo la generazione responsabile per un olocausto mondiale che non troverà più fine. Un crimine contro l’umanità più grave di qualsiasi cosa antecedente.

Se quando puoi riesci a trovare le statistiche cui fai riferimento, mi piacerebbe mostrarle a mia moglie (medico di medicina generale) che ha molti anziani fra i propri pazienti. Potrebbe aiutarci ad interpretarle.

Ti posso comunque confermare già adesso che gli anziani in pensione hanno più tempo per dedicarsi a curare le proprie malattie rispetto a coloro che lavorano. Ma questo non depone a favore dell’allungamento dell’età lavorativa.

Lo so, infatti io scherzavo già 20 anni fa. :smile: Ma come al solito, scherzavo solo a metà.

Ciò che proponi è di ridurre l’efficienza produttiva delle aziende per produrre un vantaggio di lungo periodo per la società.

Io sono d’accordo nell’obiettivo, ma credo che l’efficienza che dobbiamo essere disposti sacrificare è molto di più. E dobbiamo trarne più vantaggio sociale della sola (pur utile) maggiore flessibilità mentale degli anziani.

Se invece di stabilire complesse relazioni fra aziende diverse che per caso si trovano nello stesso territorio, dimezziamo a 20 ore settimanali il lavoro massimo che ciascun lavoratore può compiere, liberiamo 20 ore settimanali che possiamo imporre vengano usate a vantaggio della società. Piena libertà al cittadino di stabilire come impiegarle, purché vengano impiegate a vantaggio della comunità.

Il volontariato è un ottima palestra per sviluppare competenze generali e variegate, il tuo obiettivo. Ma è anche un ottimo mezzo per stabilire relazioni profonde e durature (non sai quante coppie ho visto nascere nelle associazioni di volontariato che seguivo! :wink:). Ed è un sistema di tutela sociale fuori dalle logiche oppressive del Capitalismo.

Per questo, forse, una sorta di volontariato obbligatorio potrebbe costituire una soluzione ai problemi di cui parli e contemporaneamente aprire a risolverne molti altri.

produttività…ma davvero pensi che ci sia una simmetria tra ore lavorate e produttività? Io temo proprio che questa simmetria sia una credenza totalmente italiana, ed infatti in italia non è che ne intendiamo molto di produttività. Ti dirò anzi che c’è un aumento di produttività quando riesci a produrre gli stessi beni in minor tempo e questo lo puoi fare in due modi: immettendo tecnologia e…aumentando la professionalità. La professionalità non è solo competenza, la professionalità è…non mi viene la parola: capacità di esplorazione, ideazione, creazione. Quando sei competente tu costruisci una casetta con i 4/5 cubetti che hai in mano. E dopo un po’ che lo fai diventi velocissimo, ok? Ma metti che poi, invece di metterti a costruire casette per 8 ore tutti i giorni tu ti metti a costruire casette per 4 ore al giorno e le restanti 4 ore ti mettono a lavorare in un ristorante. Che non c’entra nulla ed all’inizio sei imbranatissimo. Poi però cominci a pensare che invece che cubetti hai a che fare con alimenti più o meno geometrici e tiri fuori dalla tua competenza nel fare casette inserendolo nel modo di comporre gli alimenti. E questo ti permette, quando torni a fare casette, d’immaginare casette dalla forma più immediata risparmiando tempo e materiale di costruzione. Dimezzando l’orario ha raddoppiato la produttività in entrambi i posti in cui lavori…perché è così che lavora il cervello umano. E se hai una moglie medico lei te lo confermerà: il cervello umano lavora organizzando stimoli in maniera originale. Si atrofizza quando si fossilizza a fare sempre la stessa cosa, quando ha pochi stimoli, quando è in un contesto ripetitivo e troppo conosciuto. Ma questo in gran parte all’estero l’hanno ben capito, infatti da tempo si discute sull’utilità di misurare la produttività attraverso l’orario di lavoro.

un po’ di materiale sulla quale riflettere: Dal lavoro al pensionamento Andare in pensione fa male alla salute La sindrome del pensionamento (Retirement Syndrome)

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Are you serious? Vogliamo ridurre ulteriormente l’efficienza produttiva delle aziende italiane (che tra i tanti problemi è uno dei più gravi)? E pensiamo pure che ciò produca “un vantaggio di lungo periodo per la società”?

Primo, mi pare profondamente illiberale (e sì, lo so che qualcuno ora commenterà con “Appunto! Bene!”). Secondo, e più importante: se imponi un tetto massimo di ore lavorative a settimana, c’è il problema di arrivare a fine mese. Questo scenario sta in piedi solo in presenza dell’ UBI (beh, poi ci sarebbe la soluzione “alla M5S”, cioè imporre un salario minimo orario tale che con 20 ore ci si può campare. Purtroppo là fuori esiste la Realtà, in base alla quale se l’azienda non ha abbastanza lavoro semplicemente non può assumere personale e pagarlo quel minimo).

Si avrebbe cioè uno scenario in cui lo Stato impone:

-alle aziende di utilizzare i lavoratori in modo dichiaratamente non ottimizzato e un orario massimo di lavoro -(probabilmente) anche un salario minimo -agli individui un massimo di ore lavorative -ai medesimi individui di utilizzare altre 20 ore settimanali per fare questo “volontariato obbligatorio”, con l’unica scelta che è quella di dove farlo. Che è più o meno come sequestrare uno e dirgli “Ti obbligo a sposarti, ma ti lascio scegliere quali tra queste 4 donne con baffi e monociglio puoi prendere in moglie”. Wow.

Ecco, credo che questa overdose di dirigismo statale ci si possa anche risparmiare. Farebbe danni come la grandine

Tutto ciò è forse possibile, almeno in teoria. Ma imporlo per legge? No, grazie. Che siano le singole aziende, se lo ritengono utile, ad adottare questa stategia. Se davvero i benefici economici esistono, diventerà una prassi abituale in breve tempo.

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mai parlato di imporlo per legge @Exekias ed, anzi, difficilmente leggerai da me di leggi impositive, a meno che non si stia parlando di salvaguardare le persone in condizioni di estrema fragilità. La mia proposta riguardava proprio un radicale cambiamento di un approccio politico ed economico all’attuale contesto della situazione. Investire nella longevità della popolazione significa includerla prepotentemente nel percorso produttivo, invece che escluderla. E questo è ovvio che non può essere fatto obbligando nessuno ma incentivando massicciamente questo percorso invece di immettere continuamente leggi anacronisticamente contrarie all’oggettiva realtà della popolazione. Che poi…riflettendo sulla riduzione di orario o sul salario minimo (che personalmente non mi convince per nulla, anzi ti dirò: io sarei favorevole ad un idea di salario commisurato…discorso lungo), in realtà io non sto per nulla parlando di ridurre l’orario di lavoro ma di differenziarlo da un luogo produttivo ad un altro luogo produttivo. @Shamar ha parlato di “volontariato obbligatorio” , cosa che a me non ha mai sfiorato proprio perché un atteggiamento volontaristico limiterebbe enormemente la portata positiva rappresentata dalla proposta di cambiare contesto. In orario l’imprenditore non ne può ricevere un danno perché sarebbe uno scambio (quelle 4 ore che i lavoratori vanno a lavorare da un altra parte sono sostituite da 4 ore di nuova forza lavoro. E’ uno scambio paritario non è che il lavoro si ferma perché hai mandarto la gente a far del vonolntariato…)

Anzitutto il volontariato non è affatto come il matrimonio: non comporta alcun vincolo di fedeltà e (di solito) non comporta il concepimento e l’educazione di bambini.

Quanto alla produttività il problema è che questa si misura su una singola dimensione: il profitto privato. Tutto ciò che non lo aumenta è uno spreco di risorse. Tutto ciò che ne rallenta l’aumento (o, Dio non voglia, lo diminuisce) è un problema da rimuovere o risolvere. Le esternalità sono inevitabili: i danni per gli individui, per la collettività, per l’ecosistema (e tutti i costi di salute pubblica e di infrastruttura connessi) non entrano nel computo della produttività.

Poche aziende al mondo possono competere con la produttività di una società che prende in carico rifiuti tossici industriali e li sotterra sotto le fondamenta di una scuola o di un ospedale. O un’azienda che produce videogiochi d’azzardo che causano dipendenza a ragazzi. La Thyssen Krupp che lascia bruciare i propri dipendenti senza estintori non è una anomalia, ma la logica conseguenza dell’applicazione di un modello semplice: massimizzare il profitto, minimizzare i costi, scaricare i rischi sugli altri (e sì, un processo e persino il carcere a vita è un rischio molto minore di finire bruciati vivi in una acciaieria). La stessa cosa di Uber, che lancia un’auto di 5 tonnellate su una strada aperta al pubblico per provare un simulatore inadeguato massimizzando il comfort dei passeggeri senza tenere conto dei rischi per la vita di chi si trova su quella strada.

Il problema naturalmente non è il profitto (né la produttività), ma la sua massimizzazione.

Il punto è: come possiamo permettere un profitto senza permettere la sua massimizzazione?

La proposta di @sarabiemme propone di incentivare il lavoro della terza e quarta età e di adottare pratiche lavorative inefficienti per aumentare la produttività di quella fase della vita. Onestamente credo che, senza una imposizione legislativa, un’incentivazione in questo senso non potrà mai competere con l’incentivo del mercato a massimizzare il profitto. Ma in effetti Sara non ha specificato quali incentivi abbia in mente: non posso escludere che funzionino senza conoscerli.

L’idea di abbassare la produttività aziendale mi sembra l’unica parte innovativa della sua proposta, perché l’idea di far lavorare gli anziani fin tanto che si reggono in piedi è vecchia di decenni ed ha trovato favore e larga applicazione nei governi italiani degli ultimi 30 anni.

Per questo mi ha ricordato la mia vecchia battuta.

Di fatto, il volontariato obbligatorio può essere ridefinito vita sociale obbligatoria. Decenni di egemonia culturale statunitense ha reso il concetto di dovere sociale un tabù: l’obbligo sociale e politico è visto come oppressione. Nessuno osserva che, invece, l’imposizione degli obblighi nei confronti del datore di lavoro non viene mai tacciato di dirigismo. Perché? :wink:

Sì questo mi è chiaro, il problema è che la tua proposta, non è abbastanza radicale da produrre un cambiamento stabile.

In effetti, come ho detto, non posso dire se un sistema di incentivi non può funzionare senza conoscere esattamente di quali incentivi stiamo parlando.

Potresti spiegare più precisamente cosa hai in mente?

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Veramente è anche su questo punto che cercavo un confronto… riassumo la mia posizione per renderla più chiara:

  1. La popolazione mondiale, soprattutto Europea e soprattutto Italiana, sta orientandosi ad una maggioranza di persone adulte orientate alla longevità. L’associazione internazionale di gerontologia ha decretato che il 65 anni attuali corrispondono ai 40 anni di un paio di decenni fa.
  2. le politiche economiche mondiali, soprattutto Italiane, sono anagronisticamente impostate nell’incentivazione di un mondo e di una popolazione che non esiste più da almeno un secolo: ovvero una popolazione impostata al rinnovamento ed all’espansione. Per ogni decesso 2 nuovi nati. Si muore molto di meno (per fortuna), si vive molto più a lungo ed in buona salute (ari-per fortuna), e c’è meno immissione di bambini nati a casaccio, nel senso che i pochi che nascono hanno in gran parte la garanzia di essere ben curati ed accuditi fino alla maggiore età. Che senso ha impostare politiche economiche, sanitarie e sociali che si poggiano totalmente sul ricambio generazionale espansivo quando l’attuale ed il futuro è longevo ed a bassa natalita?
  3. La proposta che avevo in mente non è quella, malamente semplificata da @Shamar dello “sfruttamento dei vecchi” ma di un cambiamento radicale delle politiche lavorative per cui: - il ritmo del lavoro deve sfruttare - quello si - l’evoluzione tecnologica per ridurre i contesti di alienazione lavorativa a fronte di contesti più simolanti dove la maggiore competenza dei longevi sia un elemento di maggiore produttività - l’organizzazione del lavoro dovrebbe essere improntato sull’attuale e futura popolazione dei lavoratori e non su una fallace speranza giovanilistica (si veda a tal proposito quello che sta producendo il famigerato “Quota 100” in Sanità, dove si cerca di rimpiazzare migliaia di competenze altamente professionalizzate ma considerate “vecchie” e quindi espulse dal mondo produttivo con gente non specializzata e priva di esperienza ma “giovane”. quanto è antiquato un ragionamento simile che associa all’età anagrafica una maggiore produttività come se servissero muscoli guizzanti e corpi atletici per combattere la guerra o arare i campi? - la produttività attuale e futura non è più legata, come in passato, ad una maggiore produzione di cose che può essere garantita dalle macchine, ma da una elevata professionalizzazione del lavoratore, che si ottiene immergendo i contesti lavorativi in ambienti altamente stimolanti nel “problem solving”.
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provo a dare un contributo, visto che reputo la tematica interessante.

nell’ottica di tramutare un’idea in un qualcosa di tangibile, vedo purtroppo di difficile applicazione quello di dividere l’orario di un lavoratore, prevedendo diverse mansioni (vedo problematiche più che altro riguardo i contratti e le assicurazioni).
ma pensare a qualche forma di incentivo (visto che non si vuole parlare di obblighi) per dividere in fasce temporali (flessibili) la propria attività all’interno dell’azienda, a scaglioni anch’essi flessibili in base all’esperienza?

provo a fare qualche esempio per far capire cosa intendo (spero).
il giovane ha sì più energie, ma potrebbe avere difficoltà ad affrontare determinate problematiche; potrebbe trarre giovamento dall’avere una percentuale del proprio tempo (20%, sparo una cifra) dedicata alla formazione (sia interna sia esterna).
col passare del tempo, lo stesso lavoratore (grazie alla propria esperienza) potrebbe passare allo scaglione successivo, che potrebbe prevedere una percentuale maggiore (40%?) del proprio tempo da dedicare alla formazione, ma questa volta divisa a metà tra apprendimento e insegnamento/affiancamento verso i colleghi.
infine, l’ultimo scaglione, quello vicino all’età del pensionamento, dove il lavoratore ha molta esperienza e potrebbe essere uno spreco farlo lavorare in modo ripetitivo. si tenta perciò di fare il doppio lavoro di stimolo vs esperienza dedicando ancora più tempo (60%?) alla formazione, con poco tempo dedicato alla formazione personale (occorre passare il messaggio che non si smette mai d’imparare) e la restante parte in insegnamento verso i colleghi.

in questo modo si darebbe spazio un po’ a tutti, valorizzando competenze, conoscenze ed esigenze di ogni fascia d’età.
il passaggio tra uno scaglione e l’altro potrebbe essere terreno di dialogo tra datore di lavoro e lavoratore, nulla sarebbe fisso e incontrattabile.

questo è ciò a cui ho pensato dopo aver letto questa posizione.
può essere inerente o fuorviante?

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