Manuali per studenti copyleft

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Pagare il lavoro, liberare il sapere

Gli editori adirati contro il file-sharing degli studenti della Sapienza (che non possono pagare centinaia di euro per i libri), hanno protestato con il rettore per fermare questo tremendo crimine. Il 6 aprile ci sarà un’assemblea dove però più che rivendicare il diritto al filesharing, si vorrebbero definire proposte concrete per risolvere il problema dell’accesso ai libri.

Evento facebook → 6 APRILE ASSEMBLEA! Prezzi dei libri alle stelle: dov'è il diritto allo studio?

Vi scrivo qui alcune mie idee, e vorrei avere vostri consigli. Se avete letture o altre esperienze già esistenti da condividere ve ne sarei grato.

Io credo che l’accesso alla cultura debba essere un diritto, e credo che tutti gli esseri umani debbano avere accesso al sapere (e non tutto è uguale: un conto è un manuale universitario e un conto è un filmetto su batman; il primo aiuta vite umane, il secondo al massimo mi distrae per un’ora). Il mio ideale sarebbe rilasciare manuali in Creative Commons, gratis.

Il problema è pagare il lavoro, altro diritto fondamentale da proteggere assolutamente. Mentre sogniamo una società con reddito d’esistenza (dove la gratuità del lavoro interellettuale potrebbe divenire sostenibile), dobbiamo immaginare soluzioni di compromesso, e assicurarsi che i lavoratori vengano pagati. Faccio due proposte, con varianti.

##Pagare i libri con copyright agli studenti Una proposta minima, a corto raggio, è che l’università garantisca l’accesso ai libri ai suoi studenti, pagando l’editore/autore: un po come le riviste digitalizzate a cui gli studenti hanno accesso. Questo può essere fatto in vari modi:

  1. aumentando di molto i libri in biblioteca
  2. dando buoni libro in base alla fascia isee degli studenti

Ciò non risolve però il problema sostanziale, cioè l’accesso per tutti al sapere (le università povere non si possono permettere già di pagare le riviste, ancor meno i manuali), e il problema di chi decide quali manuali saranno coperti e quali no (alto rischio che entrino in gioco relazioni di potere e amicizia più che il valore culturale del libro). Inoltre ci può essere un problema di costi: pagare un libro di 100€ a 1000 studenti costa 100mila€ Ma è una proposta semplice.

##Liberare i libri dal copyright, tramite associazioni comittenti Altra proposta più complessa, che mi piacerebbe elaborare con voi, è quella di creare associazioni culturali (composte da studenti e studiosi di una data disciplina, che diventano una specie di “società committenti di lettori”) che decidono quali opere ex-novo commissionare (es. manuali). Oppure potrebbero anche acquistare i diritti di opere esistenti e liberarli in creative commons. Si possono finanziare con:

  1. soldi pubblici (es. dell’Università)
  2. crowdfunding e prevendite

Il finanziamento deve essere vincolato, cioè alla condizione che il libro prodotto venga pubblicato in creative commons.

Se i finanziamenti non bastassero si potrebbe creare una licenza di copyright vincolata temporalmente a un dato guadagno: finché l’opera non fa ricavare x soldi (da concordare all’inizio con il committente) rimane sotto copyright. Una volta però conseguito l’equo compenso per i lavoratori il copyright cade e diventa creative commons. Qua ci vorrebbero dei giuristi mi sa…

Un esempio Già adesso queste società committenti potrebbero fare qualcosa con i pochi strumenti a disposizione. La Sapienza finanzia già con qualche migliaio di euro le iniziative culturali studentesche. Molte classi di studenti producono le “sbobinature”, cioè trascrizioni delle registrazioni dei corsi, con tanto di immagini, che diventano dei libri. Con i soldi dell’università, più le sbobinature migliori come base, si potrebbe pagare un professore/ricercatore per rivedere il lavoro e uno studente di arti grafiche per impaginarlo. E così hai delle buone dispense in creative commons, accessibile per tutta l’umanità, che potranno essere aggiornate negli anni, eventualmente con piccoli finanziamenti ulteriori.

Che ne pensate?

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Sostengo che la conoscenza e la cultura deve diventare di pubblico dominio e portare avanti progetti in cui il materiale scolastico e universitario diventa progressivamente “creative commons” è un obiettivo da portare avanti. Esistono manuali di matematica ottimi e lezioni online molto buone, ma c’è tantissimo da fare o quasi tutto per molte materie. Il principio etico dietro questa scelta è che bisogna ragionare in termini di specie umana. Le persone singolarmente muoiono e le nuove generazioni è vantaggioso che abbiano accesso a conoscenze e istruzione, non solo per essere inserite nel mercato come lavoratori, ma per sentirsi partecipi di una cultura che ama la vita e desidera esseri umani felici e consapevoli. Nulla vieta che si possa avere una visione del mondo piú misera, ma spero che prevarrà l’apertura d’animo.

Riguardo i finanziamenti per le scuole e le università pubbliche, lo Stato può finanziare squadre di insegnanti, studenti il cui lavoro viene poi ricontrollato da inseganti, grafici ed altre figure necessarie per creare materiale di pubblico dominio, dai libri alle videolezioni. Naturalmente avremmo bisogno della sovranità monetaria e di rivedere la politica economica per permetterci maggiori libertà di finanziamento. Inoltre, gli iscritti alle università potrebbero dare un contributo fisso, per coprire parzialmente i costi di acquisto dei libri e soprattutto per la realizzazione di questi progetti liberi per la didattica.

Un’altra possibilità è istituire un’imposta per l’istruzione che sarà direttamente proporzionale al proprio reddito annuale (i poveri contribuiscono meno e i ricchi di piú). Consideriamo che ogni imposta deve prendere meno dai poveri e di piú ai ricchi perché ha la funzione di ridistribuire la ricchezza a beneficio dei servizi strategici della società (appunto scuola, ospedali, infrastrutture per internet, ecc.).

Accanirsi contro il file sharing è una mossa ottusa, miope e soprattutto inutile.

Chiaramente è quello che preferirei. Tuttavia la prima opzione (“lo Stato acquista opere sotto copyright per darle al pubblico”) è la via classica (le biblioteche fanno esattamente questo). Tuttavia è tollerato finché non vengono intaccati seriamente i profitti: finché si tratta di poche copie cartacee nessun problema (e comprare tante copie cartacee sarebbe comunque molto oneroso, seppur comunque conveniente alla fine dei conti perché l’usato si trasmetterebbe agli utenti successivi risparmiando copie), mentre se si acquista la copia in pdf ovviamente l’editore pretende laute somme (come se si comprasse per tuti i 95mila studenti della Sapienza) e comunque di eliminare il diritto di accesso universale (possono accedere solo gli iscritti all’università, che costa, e non tutti gli esseri umani: proprio perché la copia cartacea pone ostacoli materiali che rendevano l’accesso universale solo “fittizio”).

La notizia è che anche per le università ricche gli abbonamenti alle riviste in pdf stanno diventando troppo costosi. Figuriamoci per i libri.

In realtà tutto ciò già c’è: le tasse universitarie per gli iscritti (abbastanza proporzionate al reddito, anche se con scarsa progressività) e le tasse generaliste per tutti i cittadini. Certo si potrebbe evidenziare la quota di tasse date per questa finalità, per trasparenza (magari vincolando a una percentuale minima che il cda universitario deve assegnare).

Comunque il problema è che allo stato attuale la maggior parte del materiale universitario che ci interessa è sotto copyright e ha prezzi folli. È importante cominciare a investire nella produzione di manuali copyleft, ma è un investimento per il futuro. Intanto per i libri sotto copyright, che servono adesso ma a cui molti studenti non possono accedere, che si fa?

Sí fa quello che si fa adesso, vengono comprati da chi può permetterseli e sappiamo che accadrà anche un inevitabile fenomeno di fotocopie di libri e file sharing… Di certo non si può mettere lo Stato a comprare cose costosissime dagli editori per tutti gli studenti, sarebbe un parassitaggio delle risorse pubbliche. Quanto prima occorre materiale di pubblico dominio e di qualità, qui però serve qualche lungimirante progetto politico, altrimenti il volontariato non potrà soddisfare tutte le materie…

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Segnalo OilProject, a dispetto del nome è un progetto italiano. È una piattaforma per creare e studiare ogni tema dall’ambito scolastico a quello universitario. Tutto il materiale è rilasciato sotto licenza Creative Commons e la collaborazione con insegnanti e ricercatori offre un controllo sulla qualità e la correttezza del materiale. Lo Stato potrebbe avviare una collaborazione con un progetto simile e farlo crescere.

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Grazie Silvan. Però devo dire che non mi entusiasma. È tutto in creative commons (come wikipedia) e gli autori sono gente qualunque (come wikipedia), però la piattaforma non permette agli utenti la collaborazione, di modificare all’interno i contenuti e di migliorarlo… a questo punto non era meglio stare su wikipedia?

Comunque quello a cui vorremmo lavorare noi è garantire l’accesso per gli studenti a materiale di una qualità tale da poterlo utilizzare per preparare gli esami universitari.

Insomma vogliamo che i manuali da 100€ necessari per gli esami siano accessibili.

Il progetto Wikibooks era nato con questa finalitá. L’ideale sarebbe che gente di buona volontà si metta a scrivere manuali liberi, usando quelli gjá editi come fonti. A quel punto le Universitá dovrebbero “solo” valutarne l’attendibilitá caso per caso e permettere che vengano usati come materiale d’esame. Meglio sarebbe se il tutto avvenisse con la collaborazione del corpo docente. Personalmente é da tempo che sto cercando di proporre iniziative in tal senso, ma per ora senza successo. Se ad esempio Link-coordinamento studenti universitari lanciasse una campagna su questo tema secondo me qualcosa si smuoverebbe

Vorrei che cercassimo di coniugare queste due necessità:

  • pagare il lavoro
  • libero accesso al sapere

Ciò vuol dire che qualcuno ci deve essere a pagare, ma che il costo

  1. Non è proibitivo (e quindi viene “socializzato”, ovvero istituzioni pubbliche lo finanziano grazie a tasse generaliste)
  2. Non è gravato in eterno dal costo dei profitti (o meglio dell’avidità di chi detiene il copyright) ma solo dai costi del lavoro: una volta pagati questi costi non c’è più nulla da pagare.

Di fatti già lo Stato e noi privati (in quanto lettori) spendiamo molti soldi per accedere ad opere protette da copyright. Solo che le opere non diventeranno mai nostre, ma sempre si dovrà pagare per leggerle (almeno finché non scade il copyright, cioè fuori tempo utile). Invece vorrei che ogni soldo speso per un’opera di qualità (per cui il lavoratore è necessariamente pagato) serva a “socializzarne” i diritti, cioè trasferirli da un privato alla comunità umana (creative commons).

Il volontarismo ha fatto molto (vedi wikipedia) e ancora servirà molto, ma non può fare tutto. Dobbiamo trovare un’alternativa concreta al mercato imprigionato dal copyright (cioè dal profitto di pochi, a danno dei diritti dei lettori e spesso anche dei lavoratori).

Abbiamo contatti con l’associazione http://www.creativecommons.it/ ? Tra l’altro nel sito ho trovato il libro in CC di questo professore di Roma 3 che mi sembra persona interessante, Vincenzo Zeno-Zencovich

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Per coniugare retribuzione e libero accesso al sapere le strade sono molte. L’universitá potrebbe avviare progetti specifici in questo senso, ad es. Assumendo gente pagata appositamente per fare ció che dicevo sopra. Oppure servizio civile presso Wikimedia foundation…cose cosí

Sembra che non ci sia questa possibilità, non so perché la tengono un po’ nascosta, comunque una volta che sei iscritto, puoi andare su questo link: teach.

Sei tenuto a dire se sei uno studente o un professore e a quale facoltà stai insegnando. Il controllo della qualità è maggiore rispetto a Wikibooks o Wikipedia. Comunque tutti possono collaborare, potremmo creare qualche corso relativamente all’uso consapevole e sicuro del computer e di Internet. Io rischio di dedicarmi a troppe cose, ma non mi dispiaceva farlo, anzi.

Solo lo Stato può intervenire per finanziare questi progetti e non mi risulta che ci siano simili intenti. Se esistesse un reddito di esistenza, uno potrebbe scegliere di dedicarsi a questi progetti di volontariato (indirettamente pagati con tale reddito base) collaborando con il Comune o la regione o un coordinamento nazionale. Bisogna ripensare l’economia, il reddito e il lavoro, altrimenti resta solo il volontariato senza sostegno alla sopravvivenza delle persone.

Ok, ma in attesa di un mondo migliore, “nell’immediato” per ottenere qualcosa occorre -secondo me- il coinvolgimento di almeno questi soggetti:

  1. L’Unione degli Studenti
  2. Il gruppo Open Access della Crui
  3. (eventualmente) la Wikimedia Foundation, e nello specifico i responsabili dei progetti Wikiversità e (in misura minore, forse) Wikibooks.

Da un coordinamento di queste realtà potrebbe nascere un progetto serio. Magari come PP si potrebbe provare a organizzare un evento?

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