Open Source Economy Act (OSEA per gli amici)

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Ragionavasi ordunque sull’ipotesi di proporre una legge che incentivasse l’economia Open Source, ossia quei modelli imprenditoriali non basati su copyright, brevetti e dintorni bensì sul contrario.

DISEGNO DI LEGGE

Introduzione L’Open Source è un fenomeno sociale nato in uno specifico ambito (quello della scrittura di codice informatico), ma che, negli ultimi anni, si sta proponendo come un modello economico e culturale alternativo, foriero di un modo nuovo e più equo di bilanciare gli interessi delle imprese e della collettività.

In origine con l’espressione Open Source si indicavano quei software il cui codice sorgente non viene protetto da copyright, ma, al contrario, viene reso pubblico, permettendo potenzialmente a chiunque di modificarlo e migliorarlo.Si tratta, in apparenza, di una scelta dettata da intenti filantropici, teoricamente incompatibili con le leggi di mercato e con obiettivi di profitto. E in effetti la stragrande maggioranza dei software Open Source è sviluppata da comunità senza scopo di lucro, il cui scopo principale è quello di facilitare l’accesso alla tecnologia anche a coloro che non hanno grande disponibilità economica, fornendo strumenti informatici gratuiti e alternativi a quelli proprietari.

Ad oggi, nel campo del software, l’Open Source si è imposto in moltissime realtà. È Open Source il sistema operativo GNU/Linux, utilizzato (nella sua forma “originale” o in sue derivazioni) su molti web server, su dispositivi mobili (smartphone, tablet) e su svariati dispositivi elettronici, oltre che su un numero sempre maggiore di Personal Computer.Sono Open Source molti software di uso comune (navigazione web, gestione della posta elettronica, videoscrittura di documenti di testo e presentazioni etc.). La loro affidabilità, unitamente al fatto d’essere gratuiti, ha spinto diversi enti pubblici a farne uso, con evidenti benefici sul piano del bilancio.

Come detto, la filosofia Open Source negli ultimi anni ha investito altri ambiti, oltre a quello del codice informatico.L’espressione Open Hardware, ad esempio, si riferisce a quei progetti tecnologici di cui venga resa pubblica (e facilmente accessibile, perlopiù in Rete) tutta la documentazione accessoria, affinché un utente possa essere in grado di riprodurre autonomamente il dispositivo.

I benefici che questa modalità operativa porta alla società civile sono numerosi. La possibilità diffusa di studiare, modificare e sperimentare strumenti hardware e software porta spesso ad un’evoluzione assai rapida degli stessi, con ritmi in linea (quando non addirittura superiori) a quelli riscontrabili in prodotti brevettati e commercializzati; in questo contesto assume particolare importanza la Rete, strumento mediante il quale i progetti vengono costantemente aggiornati e migliorati.

La diffusione e il costante sviluppo di tali strumenti ha contribuito poi a far nascere, in Italia come nel resto del mondo, alcuni spazi deputati alla ricerca, lo sviluppo, la didattica e l’innovazione tecnologica e sociale. Tali spazi prendono il nome di FabLab, Makerspace, Hackerspace e simili; trattasi di strutture che possono differire per ragione sociale e struttura interna, ma che sono accomunate dalla finalità di promuovere e incoraggiare l’uso della tecnologia presso il pubblico, nonché di creare innovazione per le imprese e/o di far nascere nuovi progetti imprenditoriali.Si tratta quindi di luoghi che offrono un contributo importante per lo sviluppo del territorio, soprattutto laddove tanto il settore pubblico quanto quello privato faticano -per ragioni diverse- a colmare il gap tecnologico e d’innovazione che costituisce, ad oggi, uno dei principali freni alla competitività del Paese.Alcune istituzioni della Repubblica hanno già provveduto a sostenere questi luoghi. La Regione Lazio, ad esempio, con la mozione n.289 del 28/01/2015, si è impegnata a sostenere l’avvio di nuovi FabLab sul territorio, nonché “il potenziamento dei servizi offerti da quelli già esistenti” e “la promozione (…) dei FabLab realizzati negli edifici scolastici”.

L’altra fondamentale novità degli ultimi anni, tuttavia, consiste nel fatto che la creazione di progetti Open Source (sia hardware che software) è diventata una prassi adottata anche da alcune imprese. Quello che è nato è stato definito “Open Source Business Model”, ossia un modello imprenditoriale che rinuncia alla brevettazione, rende di pubblico dominio la documentazione dei prodotti e realizza gli utili principalmente su servizi accessori (ad esempio l’assemblaggio e/o la spedizione del prodotto finito).Trattasi, evidentemente, di una pratica ancora poco diffusa, e percepita -di primo acchito- come poco remunerativa dall’imprenditoria tradizionale. Tuttavia non mancano alcuni vantaggi, per le imprese. Il principale consiste nella “esternalizzazione” a costo zero del processo di ricerca e sviluppo: rendere Open Source un prodotto e tutelarlo con licenze di tipo copyleft significa, per l’impresa, poter trarre beneficio dalle migliorie che la comunità degli utenti apporta al prodotto stesso.

Si viene così a creare un nuovo modo di concepire il rapporto tra impresa e cliente; non più un semplice passaggio di denaro in cambio di beni o servizi, ma un processo positivo e virtuoso, finalizzato al continuo miglioramento del prodotto, e nel quale l’utente può diventare (e spesso diventa) sviluppatore.L’instaurazione di tale rapporto mette l’azienda al riparo dal principale rischio legato alla rinuncia al brevetto: il plagio e la concorrenza al ribasso. L’impresa che adotta un modello di business Open Source -e che coerentemente lo porta avanti negli anni- riesce a fidelizzare pressoché subito i propri clienti, che apprezzano lo sforzo e ricambiano praticando forme di consumo critico (cioè evitando l’acquisto di mere imitazioni prodotte al ribasso). È comunque evidente che i benefici maggiori derivanti dall’adozione di modelli di business Open Source siano per la collettività. In primo luogo, si nota una più rapida e capillare diffusione della tecnologia, nonché maggiore possibilità di accesso ad essa da parte del pubblico, anche grazie agli spazi come i FabLab.Inoltre dai progetti Open Source nascono spesso dei “fork”, ossia progetti (hardware o software) che partono dalla documentazione di un altro già esistente e lo conducono verso obiettivi nuovi e diversi rispetto al “genitore”. Si possono quindi facilmente intuire le ricadute positive di ciò sul piano occupazionale.

Art.1 (Finalità)

  1. La presente legge dispone di stabilire pratiche a tutela e sostegno delle imprese che adottino un modello di business di tipo Open Source, al fine di incoraggiare la diffusione di detto modello su tutto il territorio nazionale.

Art. 2 (Definizioni)

  1. Ai fini della presente legge si intende: a) per Open Source Business Model (di seguito OSBM): tutti quei modelli di business nei quali l’impresa rende di pubblico dominio tutte le informazioni necessarie all’utente per riprodurre autonomamente il prodotto. b) per Software Libero: tutti i programmi informatici che soddisfino i requisiti indicati dalla Free Software Foundation, ossia: Libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo. Libertà di studiare il programma e modificarlo Libertà di ridistribuire copie del programma in modo da aiutare il prossimo. Libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio.

c) per Hardware Libero: tutti i progetti tecnologici che soddisfino i requisiti indicati dalla Open Source Hardware Association, ossia:

  1. Vengano rilasciati con la documentazione, inclusi i file di progettazione, modificabili e distribuibili liberamente. Se la documentazione non è fornita con il prodotto fisico, ci deve essere un modo ben pubblicizzato di ottenere tale documentazione per un ragionevole costo di riproduzione, preferibilmente il download via Internet senza spese. La documentazione deve includere i file del progetto nel formato preferito per apportare modifiche, ad esempio, il formato nativo del file di un programma CAD.
  2. La documentazione per l’hardware deve indicare chiaramente quale parte del progetto, se non tutto, è stato rilasciato sotto la licenza.
  3. Se il progetto di licenza richiede software, embedded o di altro tipo (firmware o altro), per funzionare adeguatamente e svolgere le sue funzioni essenziali, la licenza può richiedere che una delle seguenti condizioni vengano soddisfatte: a) Le interfacce sono sufficientemente documentate in modo che si possa scrivere il software open source che consente al dispositivo di funzionare correttamente e di svolgere le sue funzioni essenziali. b) Il software necessario è rilasciato sotto una licenza Open Source approvata
  4. La licenza deve permettere modifiche e lavori derivati e deve consentire loro di essere distribuiti sotto gli stessi termini della licenza del lavoro originale
  5. La licenza non può limitare alcuno dal vendere o donare la documentazione del progetto. La licenza non può richiedere diritti o altri pagamenti per tale vendita .
  6. La licenza può richiedere che i prodotti derivati forniscano l’attribuzione al concedente nel momento della distribuzione dei files, di prodotti fabbricati o altro. La licenza può richiedere che queste informazioni siano accessibili all’utente tramite il normale utilizzo del dispositivo, ma non dovrebbe specificare alcuno specifico formato di illustrazione. La licenza può richiedere che i progetti derivati adottino un nome o un numero di versione differente dall’originale
  7. La licenza non deve discriminare alcuna persona o gruppo di persone
  8. La licenza non deve impedire ad alcuno di fare uso del lavoro (compresi i prodotti hardware) in uno specifico campo di attività
  9. I diritti concessi dalla licenza devono applicarsi a tutti coloro ai quali il lavoro viene ridistribuito senza la necessità di esecuzione di una licenza supplementare per queste parti.
  10. I diritti concessi dalla licenza non devono dipendere da un particolare prodotto. Se una parte del prodotto viene estratta e usata o distribuita entro i termini della licenza, coloro a cui viene ridistribuito il lavoro hanno gli stessi diritti di quelli che hanno dato origine al prodotto
  11. La licenza non deve apportare restrizioni per altro hardware o software. Ad esempio, la licenza non può richiedere che tutti i prodotti hardware venduti con l’oggetto in licenza siano Open Source, né che si debba usare esclusivamente software Open Source esternamente al dispositivo
  12. Nessuna disposizione della licenza può essere basata su tecnologie individuali, parti o componenti specifici, stili di interfaccia o utilizzo della stessa.

d) per Opera Culturale Libera: le opere d’ingegno che soddisfino i seguenti requisiti:

  1. lasciare al licenziatario la facoltà di farne qualsiasi uso, privato o pubblico. Per le tipologie di opera dove ciò è rilevante, questa libertà deve comprendere tutti gli usi derivati (“diritti correlati”) come la rappresentazione o interpretazione dell’opera. Non deve esserci alcuna eccezione riguardante, ad esempio, considerazioni politiche o religiose.
  2. lasciare al licenziatario la libertà di esaminare l’opera e di usare la conoscenza ottenuta da essa in qualsiasi modo.
  3. lasciare al licenziatario la libertà di creare copie che possano essere vendute, scambiate o cedute gratuitamente, come parte di un’opera più grande, una raccolta, o indipendentemente. Non devono esserci limiti al quantitativo di informazione che può essere copiato. Non deve inoltre esserci alcun limite su chi possa copiare l’informazione o su dove l’informazione possa essere copiata.
  4. Lasciare al licenziatario la libertà di distribuire opere derivate: al fine di dare a chiunque la possibilità di fare miglioramenti ad un’opera, la licenza non deve limitare la libertà di distribuire una versione modificata (o, per opere fisiche, un’opera in qualche modo derivata dall’originale), indipendentemente dall’intento e scopo di tali modifiche. Ad ogni modo, alcune restrizioni possono essere applicate per proteggere queste libertà essenziali o l’attribuzione degli autori.

Art. 3 (Fondo per l’imprenditoria Open Source)

  1. È istituito presso il Ministero dello sviluppo economico il Fondo per l’Economia Open Source, per assicurare sostegno finanziario alle imprese che adottino modelli di business Open Source, ovvero che producano software libero, hardware libero od opere culturali libere.

  2. Il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi contenenti norme intese a definire le modalità di accesso al fondo di cui all’art.1 del presente articolo.

(da continuare)

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D’accordo con le definizioni… alcune un po’ lunghe, ma immagino che sia difficile ridurne la lunghezza.

Ho aggiornato il primo post, incollandoci direttamente il testo. Sulle definizioni mi pare ci sia accordo, ora si tratta di capire come tecnicamente sostenere e incentivare il tutto. La cosa che mi viene più spontanea è quella abbozzat all’Art. 3, ossia un Fondo apposito, a cui le imprese possano attingere se i prodotti sono conformi alle definizioni (cosa del resto facilmente verificabile, in caso di contestazioni). Quanto al come finanziare tale fondo, ho buttato lì l’ipotesi di un corrispondente (e auspicabilmente modico) aumento delle tasse sui brevetti e i marchi. Vorrebbe essere una cosa simbolica: chi sceglie di brevettare in pratica aiuta chi sceglie di condividere. Suggerimenti e consigli sono bene accetti.

Si, avevo letto il tuo report.

Qui però stiamo su un piano diverso: si parla di imprese, appunto, e lo scopo è invogilarle a fare come Arduino (e altri meno noti). E credo che gli unici “incoraggiamenti” convincenti siano sul piano economico (il non brevettare viene percepito come una perdita di denaro, almeno nell’immediato). Ergo, gli incentivi o prendono la forma di finanziamenti diretti (ce ne sono diversi, in Italia) o in alternativa di sgravi fiscali. Io credo per lo Stato si tratti di un investimento, più che di una spesa a fondo perduto.

Ulteriore aggiornamento: ho aggiunto l’introduzione, che esiste in tutte le proposte di legge ma che, in questo caso, assume forse un valore ancor più importante, visto che -per usare un eufemismo- è improbabile che la maggior pate dei deputati abbia una qualche conoscenza dei temi in oggetto.

Quanto agli incnetivi, già ora ne esistono parecchi (qualche sera fa ne parlava nella trasmissione “Otto e mezzo” Pagliaro, se non ricordo male ha detto che lo Stato spende una trentina di miliardi di euro l’anno, aggiungendo poi che in Europa sono scettici sulla loro efficacia, ritenuta spesso un mezzo per instaurare clientelismi politici. Meglio sarebbe -secondo l’UE- utilizzare quel denaro per ridurre il cuneo fiscale. Per quello che può valere, personalmente credo che un po’ di verità ci sia, in quest’analisi, ma in generale non si debba neanche demonizzare troppo; tutto sta nel vedere a chi e come vengono dati gli incentivi. Nello specifico, di quelli Statali se ne occupa Invitalia, agenzia di proprietà del ministero dell’Economia. Le modalità per l’accesso a finanziamenti sono stabilite da DL appositi (ad esempio qui c’è quello per l’imprenditoria giovanile).

Ultimamente ragionavo anche su un’altra ipotesi: un pool di aziende che accettano di condividere i propri brevetti. In pratica perché devo rilasciare le mie idee a tutti? L’azienda X sfrutta le mie idee ma non rilascia le sue. Come risolviamo questa disparità, in un ambiente “dominato dal brevetto”?

Si potrebbe risolvere così: chi aderisce al pool di condivisione rilascia i propri brevetti al pool (e può quindi attingere liberamente alle idee condivise dagli altri membri). Invece verso l’esterno del pool i brevetti continuano ad essere registrati.

Esistono già accordi di questo genere, ma si tratta di “cartelli” in cui le grandi aziende si concedono vicendevolmente l’utilizzo dei brevetti per evitare di sbranarsi o bloccarsi a vicenda sulla base di brevetti triviali. Si tratterebbe di riprendere il concetto in ottica di apertura invece che di oligopolio.

In altre parole sei Open con chi è Open, mentre rimani chiuso verso chi non accetta di diventare Open

PS: ferma restando l’opzione di rilasciare qualcosa come open source a livello globale.

E’ il dubbio amletico di cui si parla anche qui. E le risposte di quello che si firma “cameralibre” (che in realtà si chiama Sam, cameralibre è il nome di un progetto) sono ottime, ma ancor più semplice è quella di Lars:

My simple answer to “How can I protect my Open Source project from being ripped off?” would have been: “You can’t. If you want to make sure, that “others don’t rip off your product”, why do you want to be Open Source?” - No. You should design it in a way that it is a good thing for you if it happens."

In effetti, nel momento in cui non brevetti, devi accettare l’idea che sicuramente qualcuno prenda ciò che tuo e non rilasci ciò che è suo (conosco personalmente gente che ha fatto così). Va detto, tuttavia, che finora ci sono stati anche molti casi positivi (cioè di gente che rilascia in OS dei fork di altri progetti OS), motivo per cui i casi di OS Business Model stanno aumentando, anziché diminuire.

Per quanto possa sembrare vecchia, banale e semplice, l’unica risposta che mi viene in mente a tutt’oggi è “Con gli incentivi statali”. La cui funzione, di solito, è appunto quella di riprotare parità in un mondo (quello del c.d. libero mercato) che tutto è tranne che paritario.

Esatto. Finché la cosa resta tra aziende, non è una grossa innovazione. La differenza la fa un progetto che può essere ripreso in mano potenzialmente da chiunque.

La vedo dura da realizzare tecnicamente…

Questa cosa è giusta (e peraltro simile ad un’altra che mi è stata suggerita qui), ma andrebbe messa in una legge a parte. Qualcosa tipo “Disposizioni sull’utilizzo di strumenti informatici all’interno della P.A.”, dove si obblighi la PA a utilizzare software libero di default e ricorrano a quello proprietario solo laddove non vi siano soluzioni libere disponibili; e che, laddove siano costrette ad auto-produrre software, sia rilasciato in open source. Leggi del genere esistono già all’estero, ad esempio questa pare interessante.

L’OSEA però non è rivolto alla PA, ma alle imprese.