Perché quella sulla Proprietà Intellettuale resta la madre di ogni battaglia

Poiché anche su questo Forum c’è chi sostiene che quella sulla proprietà intellettuale (copyright & brevetti) sia una battaglia da considerarsi ormai secondaria rispetto ad altre questioni (tecnocontrollo & dintorni), vi comunico che esiste un libro intitolato “Abolire la proprietà intellettuale” (che come al solito è una traduzione storpiata -e in questo caso fuorviante- dell’originale, che è Against intellectual monopoly), di Michele Boldrin e David K. Levine. Su ilpost.it hanno pubblicato l’introduzione, vd. allegato qui sotto in pdf.

abolire la proprietà intellettuale.pdf (65.9 KB)

Il libro completo in inglese invece sta qui.

Il libro è ormai vecchio di 10 anni, ma ha il grande pregio di smontare i principali luoghi comuni su brevetti e copyright: che senza di essi non ci sarebbe l’arte e l’innovazione tecnologica, perché non si potrebbe far soldi vendendo idee. Il libro procede dimostrando -Storia alla mano- che anche quando la PI non esiteva l’umanità creava arte e progresso ugualmente, e che anche senza il monopolio intellettuale (di cui “proprietà intellettuale” sarebbe un eufemismo) si può comunque campare e far soldi.

Qualche citazione dall’introduzione.

Esistono tre tipi generici di proprietà intellettuale riconosciuti nella maggioranza dei sistemi legali: brevetti, copyright (diritto d’autore) e marchi. I marchi hanno una natura diversa da quella dei brevetti e del copyright: servono per identificare i fornitori di beni, servizi o idee. Copiare – che sarebbe una violazione del copyright – è piuttosto diverso dal mentire sulla propria identità, che sarebbe una violazione del marchio. Non conosciamo nessuna buona ragione per permettere ai partecipanti al mercato di rubare le identità di altri o farsi passare per persone che non sono. Al contrario, sono evidenti i vantaggi economici nel permettere che i partecipanti al mercato si identifichino volontariamente e in modo veritiero.Mentre possiamo chiederci se sia indispensabile assegnare a Intel il monopolio sull’uso della parola inside, in generale c’è poca discussione economica sul valore del marchio. Brevetti e copyright, le due forme di proprietà intellettuale sulle quali ci concentriamo, sono invece argomento di dibattito e disaccordo. Si differenziano in molti aspetti, a cominciare dal tipo di copertura che forniscono: i brevetti si applicano a specifiche realizzazioni di idee (sebbene, negli Stati Uniti, in anni recenti l’enfasi sulla particolarità della realizzazione che viene brevettata sia alquanto diminuita); i brevetti non durano per sempre: vanno dai quattordici ai venti anni con, negli Stati Uniti, un’estensione a venticinque per i farmaci. Variazioni a questi termini, specifiche da paese a paese, si applicano poi ad alcune particolari tipologie di invenzioni.

Altro passo:

Nella legge in materia di copyright, quando applicata al creatore, questo diritto è frequentemente chiamato «diritto di prima vendita». Ciò nonostante, esso si estende anche ai diritti legittimi di altri di vendere le loro copie, purché legalmente acquisite: il copyright non impedisce la vendita di libri usati. Ciò che è opinabile, e viene da noi messo in discussione, è il secondo diritto, che autorizza il proprietario del copyright a usare la proprietà intellettuale per controllare l’utilizzo del prodotto legalmente acquisito anche dopo che la vendita sia avvenuta. Questo diritto genera un monopolio, supportato dall’obbligo del governo di intervenire contro individui o organizzazioni che utilizzino l’idea in modi proibiti dal detentore del brevetto o del copyright.

Come la PI c’entra con gli altri temi “core” del Partito Pirata

  1. La questione del tecno-controllo è fortemente legata alla PI. Non a caso la pdl Obcrypto ha tra i punti principali l’uso di software Open Source. Niente brevetti, niente copyright sul software = tecnocontrollo molto più difficile
  2. La famosa questione delle diseguaglianze. Secondo Guy Standing

oggi il 31% dei profitti aziendali occidentali (erano il 17% nel 1999) proviene da industrie che sfruttano le rendite da scarsità artificiali come i brevetti, i copyright e i marchi commerciali, conseguenza di un regime di trattati neoliberisti imposto negli anni novanta. La Apple, ad esempio, ricava il 40% lordo dei profitti dell’iPhone da brevetti, copyright e marchi. Due terzi della ricerca farmaceutica è finanziata con le tasse, mentre i brevetti aumentano il prezzo annuale dei farmaci americani di 140 miliardi di dollari.

  1. I colossi della Gig Economy. Lo ha spiegato Trebor Scholz che i vari Uber & Co. riescono a imporsi grazie alla PI sui software e sui db. Ergo, anche in quel caso, senza PI ci sarebbero molti meno monopoli e molta più concorrenza. Il che, a mio avviso, premierebbe le imprese locali e ridurrebbe il potere di quelle transnazionali
  2. Noi (cioè il Partito Pirata) siamo per la Piena Automazione, giusto? Vogliamo che le macchine ci rubino certi lavori, righ? Ecco, anche in questo ambito la PI è fondamentale. I software e l’hardware open source possono rappresentare la linea di confine tra scenari da sogno e scenari da incubo (vd. l’ultimo articolo che ho scritto sul blog).
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L’intreccio dei problemi politici che ci portano ai grandi guai complessivi è complicato e sicuramente ci sta di mezzo anche il copyright… ma per un manifesto non vorrei passare il tempo a spiegare il ruolo del copyright in tale intreccio ma piuttosto di dare una panoramica del casino… alla fine il problema a monte di ogni scelta politica che ci piacerebbe implementare è il modo come l’umanità dovrebbe tornare ad essere a capo della propria governance.

A prescindere delle cose che vorremmo fare per rimettere apposto l’esistenza umana sul pianeta Terra… cosa dobbiamo fare per attivare una governance ragionevole che non nega il pericolo di crollo di un ponte autostradale per comodità demagogica?

si ma infatti mica parlavo del manifesto, era in generale.

Deportare gli italiani in Svezia e viceversa?