Posizione sulla direttiva Bolkenstein

Giorni fa il Parlamento ha rinviato per l’ennesima volta l’entrata in vigore della famigerata direttiva Bolkenstein.

Per chi non sapesse cos’è:

Come di consueto, la classe politica italica non ha esitato a coprirsi di ridicolo, conscia del fatto che l’opinione pubblica ha memoria cortissima e un livello d’istruzione ancor più misero, ergo le si può raccontare qualsiasi cosa, come nella distopia orwelliana in cui gli oratori dal palco cambiavano il nemico anche a comizio in corso senza che nessuno se ne accorgesse. Da notare che la Bolkenstein l’ha ratificata nel 2010 il governo Berlusconi, quello che ancor oggi pontifica di rivoluzioni liberali. Va da sè che l’unica ragione di questa “svolta” è che fra poco si vota, e d’innanzi alla scheda ogni ideologia e principio decade.

Ad ogni modo: personalmente credo che il punto critico sia quello in grassetto:

Il principio del paese d’origine riguarda principalmente aspetti legali quali diplomi, regolamenti, necessità di autorizzazioni particolari. Ne è quasi del tutto escluso il diritto del lavoro, che è già regolamentato dalla direttiva 96/71/CE (relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi). Sono dunque escluse dal principio del paese d’origine tutte le tutele fondamentali dei diritti dei lavoratori, compreso il salario minimo, salute, igiene, sicurezza, diritti delle gestanti e puerpere, diritti di bambini e giovani, parità di trattamento tra uomo e donna, ferie retribuite. Resterebbero soggetti al principio del paese di origine il diritto di sciopero, le condizioni di assunzione e di licenziamento, gli oneri previdenziali.

Di per sè mi andrebbe anche bene la libera circolazione dei servizi e la riduzione della burocrazia, ma a patto che si uniformino appunto anche le altre norme.

La Bolkestein è anche quella che permette di aprire supermercati dovunque e cancellare i piccoli negozi al dettaglio, impoverendo i nostri centri storici.