PoW. E se fondassimo una rivista?

Scusate se insisto ma secondo me, visto che la testata c’è va usata e sfruttata anche per autofinanziamento. Il punto è che lo scopo principale non può essere quello di fare informazione generalista perché se vogliamo cambiare il modello di democrazia attuale occorre informare i lettori su come e perché farlo seguendo il nostro modello e non quello di altri. Non si può fare qualcosa di già fatto ne è pensabile prestare il fianco al “nemico”.

No io no assolutamente. Al limite creerei una seconda testata generalista…

1 Mi Piace

Finora mi sembra che non ci siano pareri negativi o fortemente critici in merito a questa proposta. Vi chiedo, se ci avvicinassimo gradualmente, per metterci alla prova, e partissimo con una webzine con l’intento di pubblicare 3 o 4 numeri all’anno, tanto per cominciare? Possiamo provare con un numero zero? Abbiamo realmente la necessità di diventare una testata giornalistica o utilizzarne una esistene (il che prevede anche un direttore responsabile ecc)? Quali vantaggi ci darebbe rispetto ad un tradizionale sito web non registrato come testata giornalisitca? La facciamo in lingua inglese per poterla far circolare anche all’estero e ribadire il focus sull’unione europea? Oppure la indirizziamo soprattutto al territorio italiano? Che ne pensate dell’idea di farne una rivista tematica, e affrontare e approfondire di volta in volta un argomento? E infine, se non vogliamo farne un giornale di partito, abbiamo una idea di come comporre la redazione e di come organizzarne il lavoro? C’è un modello di business dietro o è puro lavoro volontario di persone che lavorano per la rivista di “area” pirata?

1 Mi Piace

Se vuoi far crescere la cultura pirata in Italia, direi che deve essere in italiano.

1 Mi Piace

scusami @briganzia però non ho capito, è stato aperto un altro post… Sono due cose diverse?

Assolutamente this, per me non si può e non si deve tornare indietro, inglese E italiano dovrebbe essere la norma, altrimenti non ha senso dichiararsi europeisti se poi si sceglie volontariamente di discriminare milioni e milioni di nostri compatrioti (perché è l’Europa e non l’Italia che mi piace vedere come unica patria) per il semplice fatto che non parlano italiano.

1 Mi Piace

questo però introduce un nuovo requisito: i traduttori. Se ne abbiamo in canna io appoggerei anche l’idea della lingua inglese, in caso contrario però non vorrei che diventasse un ostacolo invalicabile. Che ne dite?

Se c’é qualcuno che si vuole prendere questa briga mi sta bene, ma normalmente un traduttore professionista, per motivi che non sto qui a spiegare, traduce sempre verso la sua lingua madre.

Peró penso anche che se chi vuole scrivere, non sa farlo in inglese, allora é meglio farlo in italiano. Piú che ai principi, io guarderei a quale pubblico si rivolge la rivista, e quali competenze possiamo trasmettere in questa rivista.

1 Mi Piace

Niente traduttori. Scrittura nativa in inglese o niente. (che già sarà un lavoraccio per gli editor)

1 Mi Piace

Assolutamente niente traduzioni: si scrive solo in inglese o non si scrive.

sarei d’accordo, ma, ripeto, non è che questo ci porta a non avere un numero sufficiente di materiale pubblicabile? perché se questi requisiti diventano un blocco alla pubblicazione allora non ha molto senso. Diciamo allora che facciamo un tentativo con la sola lingua inglese, ci diamo una deadline per l’emissione del numero zero (che potrebbe essere entro dicembre di quest’anno, calcolando che ci sono anche lavori tecnici e grafici da compiere) e ci mettiamo alla prova?

Quindi l’obiettivo é rivolgersi ad un pubblico che sa leggere l’inglese? Non stiamo tagliando fuori troppe persone?

1 Mi Piace

dipende qual è il target che ci scegliamo. Se vogliamo puntare ad un dibattito a livello europeo, cosa che mi sembra particolarmente interessante dopo l’esperienza del CEEP, dobbiamo parlare inglese.

Non sono d’accordo: non si tratta di tagliare fuori chi non sa l’inglese, ma piuttosto al contrario di rivolgersi a chi sa (almeno) l’inglese.

Credo che tra i 60809 elettori non ce ne sia manco uno che non sa l’inglese (eventuali parenti cooptati a forza esclusi). Chi ha liberamente scelto di votare pirata e potrà eventualmente votare pirata conosce sicuramente l’inglese.

Basta inseguire sempre gli ultimi della classe.

Per me nonostante dal punto di vista estetico sia una cosa quasi tristanzuola se si parla di una webzine che esce 3/4 volte l’anno si dovrebbe fare lo sforzo del bilinguismo. Io parlo un inglese avanzato ma assolutamente non perfetto e non me la sentirei mai, da amante viscerale della parola, di scrivere anche solo “pio” in una lingua che non sento al 300% mia. A questo ci aggiungo che moltissimi italiani hanno una conoscenza che definirei intermedia a voler esser buoni dell’inglese, ergo a meno che non si sentano obbligati da un fortissimo interesse (che attualmente il partito pirata credo non susciti) se possono evitano testi in inglese, o se li approcciano lo fanno per capirne rapidamente il senso generale. Entrambi i casi per me cozzano con l’idea di una rivista pirata non superficiale. Detto questo mi rendo conto della problematicità pratica ed economica di trovare un traduttore ergo se monolingua deve essere assolutamente inglese per quanto mi riguarda.

1 Mi Piace

il problema grande è il lessico. Ma se volete farla in italiano va bene comunque. Anche se volete farla mista. Ma bilingue no.

1 Mi Piace

Grazie per l’attenzione… Sono due cose diverse o sono le stesse idee? Rivista esterna al partito o interna?

Vedo che qui non si sta facendo grandi progressi a mettersi d’accordo su alcuna cosa… sullo scopo, sulla forma, sulla lingua…

Riprendendo il thread chiedo, c’è qualcuno che smanetta con InDesign, QuarkXpress, iPublisher o altri software di impaginazione che vorrebbe candidarsi a grafico per la rivista? L’obiettivo sarebbe quello di produrre il numero zero (astenersi battute) per la riunione coi pirati europei di ottobre / novembre Forza, meno chiacchiere e più politica, qui vi voglio

3 Mi Piace