Sono inciampato in questa intervista con Julian Assange del Maggio 2013 (versione originale):
Beppe Grillo usa Internet non solo come un megafono per raggiungere l’opinione pubblica, ma anche per prendere decisioni politiche e per capire cosa vogliono i cittadini. Lei come guarda a questi tentativi di usare Internet e piattaforme digitali, come ad esempio “Liquid Feedback”, in modo da consultare la Rete e prendere decisioni?
«In modo piuttosto scettico [sorride con garbo ndr]. Io non credo che sia necessario dare alla gente quello che la gente pensa di volere in termini specifici. Le persone vogliono essere trattate in modo giusto, vogliono che gli esseri umani a cui sono legate siano trattati con compassione e rispetto e che le decisioni che le riguardano siano prese in modo intelligente e non come risultato della stupidità o della corruzione. Sebbene io sia convinto che la democrazia diretta sia molto importante per controllare gli eccessi dei leader politici, credo che le persone siano impegnate a vivere le proprie vite e non dovremmo aspettarci che si impegnino nelle questioni specifiche della politica o nell’avere a che fare con le burocrazie e gli affari esteri. Vogliono delegare queste funzioni a persone di cui si possono fidare, esattamente come quando si nomina un avvocato per andare in tribunale. Non si va in tribunale da soli, si nomina un avvocato di cui ci possa fidare e che sia competente e capace. E così in modo analogo in politica».
Solo che non funziona e l’unico antidoto al problema che abbiamo trovato è appunto la democrazia liquida. L’errore che Julian commette qui è di pensare che sia uno strumento per tutti.
Quindi lei è molto scettico su queste piattaforme per la democrazia diretta…
«Ho visto il Partito pirata di Berlino: le interazioni tra le piattaforme e le dinamiche politiche e sociali sono state un disastro totale. Il movimento di Beppe Grillo ha qualcosa di veramente importante che il Partito pirata di Berlino non ha: ha Beppe Grillo».
Non so come abbia visto il PP di Berlino, al massimo avrà sentito l’opinione di qualche amico. In ogni caso LQFB non era parte del problema, era parte della soluzione che i più potenti nel partito sono riusciti a rimuovere dallo strumentario effettivo, forse per aumentare il proprio potere, o forse semplicemente perchè LQFB l’hanno inventato a Berlino e perciò ci voleva qualcosa che fosse più baverese.
Il conseguente tentativo di trasformare il PP in un partito tradizionale è fallito ignorando le necessità strutturali per trattare gli effetti sociali. Sbagliata perciò la deduzione riguardo alla necessità di avere un leader, oltretutto di un Grillo che possiede il movimento a colpi di copyright.
La leadership, intende dire. Quindi lei crede ancora in un processo in cui le scelte siano centralizzate?
«Io credo che le persone debbano assumersi la responsabilità delle loro azioni. La leadership non è solo data dal leader che ha una qualche visione del futuro e che è capace si mettere le cose insieme. La leadership ruota intorno al fatto che, se le cose vanno male, chi è che deve assumersene la responsabilità? Se il partito è strutturato in modo tale che nessuno è responsabile dei fallimenti, allora, ovviamente, ci saranno fallimenti ogni volta».
La vecchia scusa per difendere la democrazia rappresentativa: la questione della responsabilità, mentre sappiamo che in politica chi è eletto fa come gli pare e al peggio non viene rieletto.
Nonostante ciò mi domando se abbiamo fatto abbastanza per modellare la responsabilità nel nostro apparato strutturale. Abbiamo eletto un Gruppo di Coordinamento? Lo responsabilizziamo della realizzazione o mancata realizzazione delle nostre scelte assembleari? Manca qualcosa?