Sharing Economy: regolare, non vietare

Negli ultimi la c.d. “Sharing Economy” è un fenomeno che sta prendendo sempre più piede. Da AirBnb a Blablacar, per arrivare a Gnammo, stanno sempre più proliferando imprese di questo tipo. Spesso però si scontrano con la legislazione nazionale dei Paesi; UberPop è notoriamente stata dichiarata illegale da una sentenza del tribunale di Milano, e nelle scorse settimane in Francia è andata anche peggio, con i tassisti che son passati alle vie di fatto, ottenendo che fosse la stessa Uber a sospendere il servizio per tutelare l’incolumità degli autisti.

Ora, io credo che qualunque forza politica dovrebbe cominciare a ragionare di questi temi e provare a capire come regolamentarli (ammesso che ritenga necessario farlo), perché, che ci piaccia o meno, si tratta di fenomeni di fatto non arrestabili, e che anzi verosimilmente dilagheranno sempre di più nei prossimi lustri. Il che, di per sé, non è male; abbassano i costi per gli utenti, aumentano le possibilità di lavoro indipendente e -cosa che stranamente passa di solito in secondo o terzo piano- sono buone anche in ottica ambientale (il car pooling senz’altro contribuisce a ridurre la C02 nell’aria). D’altra parte lo Stato non può nemmeno lasciarli lavorare facendo finta di nulla: uno che ha pagato centinaia di migliaia d’euro di licenza per guidare un taxi come dovrebbe reagire sapendo che da oggi chiunque può fargli concorrenza senza pagare nulla?

Le possibilità si riducono secondo me a 3:

-Si continua a vietare e impedire a queste piattaforme di lavorare, scatenando le ire dei cittadini e tentando (in maniera molto miope) di evitare l’inevitabile -Si liberalizza tutto in modo “selvaggio”, dicendo cioè “sì, potete continuare a fare quello che fate ora così come lo fate” -Si liberalizza in maniera equa, ad esempio rimborsando tutti quelli che hanno pagato la licenza (o concedendo esenzioni fiscali fino a compensare credito e debito verso il fisco) e cercando di regolamentare il tutto con apposita legge.

Credo si sia capito che personalmente propendo per quest’ultima opzione. Un primo punto di un’eventuale legge potrebbe essere la distinzione tra quelle piattaforme (come BlaBlaCar) il cui scopo è quello di condividere le spese e quelle che invece (come UberPop) di fatto trasformano i singoli cittadini in lavoratori, senza licenza. Perché un conto è se mi devo spostare per ragioni personali da una città ad un’altra, e nel farlo mi unisco ad altri per dividere le spese di benzina e casello; un altro è se mi metto in azione appositamente per farmi pagare un servizio. Per questa seconda categoria si potrebbe prevedere l’obbligo, per le piattaforme, di assicurarsi che chi si registra e offre servizi possa garantire alcune cose (es. per Uber e BlaBlaCar di avere patente, assicurazione e libretto in regola; di non avere precedenti penali [in India un autista ha stuprato una cliente, e si è scoperto che era recidivo]).

Poi ovviamente c’è il capitolo tasse. Visto che si tratta di lavori a tutti gli effetti, chi li fa dovrebbe emettere fattura. Insomma, i punti sono tanti. Se come PP arrivassimo a una proposta di legge decente non sarebbe male. Come non sarebbe male, secondo me, coinvolgere eventualmente nella discussione (anche semplicemente segnalando questo topic per email) alle associazioni specifiche, es. “collaboriamo!”.

Aperta iniziativa su LQFB https://agora.partito-pirata.it/initiative/show/6114.html

P.S. Scopro ora che un’iniziativa analoga è stata lanciata da Altroconsumo due giorni fa http://www.chefuturo.it/2015/07/altroconsumo-sharing-economy-regole/

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