L’identità liquida del partito pirata pone un problema filosofico. Quando si può parlare di identità? Nel nostro caso le caratteristiche necessarie sono: poter dialogare con un’interfaccia o un rappresentante di quella identità; pianificazioni, intenti e responsabilità si devono poter attribuire chiaramente a questa identità; chi aiuta, consiglia, propone, in generale chi porta avanti i processi decisionali, deve coinvolgere questa identità.
L’Assemblea è paragonabile al cervello di questa identità, LiquidFeedback permette di far emergere di volta in volta una versione finale di processi eventualmente in conflitto tra loro e quanto meno eterogenei.
Però, non va usato solo per le proposte e le votazioni, ma anche per domande da parte di esterni, tra cui eventualmente giornalisti, per sondaggi interni su priorità o altri obiettivi. È vitale stabilire questa dinamica, altrimenti quando si vuol far qualcosa: quasi nessuno risponde o dà feedback; giustamente non è tenuto a farlo, qualora uno volesse porsi come parte attiva dialogante non può e non deve rappresentare il partito e quindi non si sa mai chiaramente cosa ne pensi l’Assemblea. Questa situazione che si crea è paralizzante e mostra che la presunta identità liquida non è ancora propriamente un’identità.
Credo che si possa risolvere con policy su LQFB, magari avendo anche un’interfaccia per esterni che fanno domande (basta qualche giorno di tempo ed uno o due che rispondono con le deleghe degli altri).
Le risposte non avranno valore vincolante come le iniziative, né sono da considerare come comunicati stampa, però saranno sulle stesso piano di quando Grillo o Renzi dicono qualcosa se intervistati o su Twitter (quindi al limite anche rivedibile ma riconducibile ad una identità).
Oltre al valore funzionale, saremmo forse il primo esperimento di identità collettiva con cui poter dialogare. Questo rappresenta un’attrazione che potrebbe portare nuovi interessati o far parlare di noi in qualche università (cosa che già avviene con LiquidFeedback).