Sul sempre ottimo sito BIN-ITALIA (BIN= Basic Income Network) segnalo 2 letture interessanti (entrambe gratuitamente scaricabili in pdf):
- L’annuale Quaderno per il Reddito, pubblicazione che l’associazione fa uscire annualmente con spunti di vari autori sul tema Basic Income. Quest’anno molti interventi sono a commento del REI introdotto dal Governo Gentiloni.
- Generazioni precarie, resoconto di alcuni Focus Group fatti a Milano con ragazzi/e in tema di vita al tempo della precarietà.
Qualche considerazione personale.
I “nativi precari” e il lavoro
Una cosa che emerge chiaramente dai Focus group è che le nuove generazioni non agognano affatto al mitico “posto fisso” di zaloniana memoria. Un po’ perché molti di loro (quelli definiti “della seconda generazione precaria”, o -più significativamente- “nativi precari” -nati dagli anni ‘80 in poi) il posto fisso non l’hanno proprio mai visto, e ne hanno un’immagine quasi mitologica. Ma soprattutto perché, in franchezza, a molti di loro l’idea di passare il resto della vita nello stesso posto a fare la stessa cosa semplicemente non piace. [Chiamatelo, se volete, riflesso dei tempi; l’epoca del posto fisso era anche quella del matrimonio imprescindibile, della relazione stabile (scappatelle coniugali a parte) della casa di proprietà etc.]. E questo andrebbe spiegato a varie liste della sinistra “classica”, maxime Potere al Popolo o LeU. Quello che ovviamente li (ci) devasta è la carenza di reddito, che un tempo era naturale conseguenza del lavoro, ed oggi non più. Interessante anche il fatto che molti degli intervistati abbiano manifestato il desiderio di provare a realizzare i propri “progetti” (parola che ormai a me dà la nausea, ma in che in questo caso è significativa): “progetto” qui è un qualcosa che sta a metà tra il “sogno nel cassetto” e il “mi metto in proprio”. E’ un’attività che dà loro gratificazione personale, e che il più delle volte ha un impatto sociale; qualcosa che magari già fanno come volontariato e che vorrebbero continuare a fare senza doversi preoccupare di sopravvivere. Cosa che però spesso non può accadere, perché si tratta di cose che magari non hanno mercato. (a titolo personale potrei citare l’esempio del FabLab). Il punto è che il loro lavoro “ideale” il più delle volte non è il classico lavoro dipendente salariato, come poteva essere per la generazione dei loro padri/nonni.
Un Reddito Minimo Garantito in Italia
Nel Quaderno del Reddito il contributo più interessante è quello di Fumagalli (pagg.54 ss). Riprende una proposta che ha sempre avanzato in questi anni, cioè quella di introdurre in Italia non un Basic Income in senso stretto, ma un Reddito Minimo Garantito: almeno in una fase iniziale, l’idea è di assicurarsi che nessuno scenda sotto una certa soglia. Ne aveva parlato più in dettaglio nel 2011, per l’esattezza qui Breve relazione costo e finanziamento RBI- dic 2011 (3).pdf (798.8 KB) Si stabilisce qual è la soglia di povertà relativa, si vede quanto manca all’individuo (o al nucelo familiare) per arrivarci e si integra la parte mancante.
Coperture di ciò: l’unificazione delle forme di sostegno al reddito attualmente esistenti. A pagina 4 del pdf che ho uppato le spiegava in dettaglio, ma volendo riassumere:
- Ammortizzatori sociali (CIG, indennità di disoccupazioni varie)…12mld
- Sostegni alle famiglie…10mld
I dati sono vecchi di 7 anni ormai, ma il concetto rimane quello. Ad oggi, torno a ripetere, questa proposta mi sembra quella più realistica (laddove con “realistica” intendo dire che non sfascerebbe i conti pubblici).