Se erogare il reddito avviene anche mentre si cerca lavoro, allora c’è il problema della verifica di qualcosa di non facile definizione; ma usando la misura più restrittiva, ovvero erogandolo solo mentre si lavora… c’è il problema dei liberi professionisti che potrebbero lavorare poco o per finta e prendersi il reddito… però si potrebbe chiedere una certa entità minima di ingressi (vendite) da parte loro per considerarli lavoratori. Comunque, la burocrazia aumenta.
Nella mia proposta il lavoro viene ancora tassato, l’IRPEF ho supposto rimane tale e quale. Non possiamo cambiare troppe cose tutte di colpo, perché davvero diventa un “salto nel vuoto” che probabilmente socialmente non sarebbe appoggiato e quindi predicheremmo inutilmente. Occorre fare un passo alla volta.
Possiamo riservare il termine reddito di esistenza a quel reddito che viene erogato solo per il fatto di esistere, quindi senza condizioni. Se invece vogliamo aggiungere la condizione del lavoro obbligatorio, allora possiamo chiamarlo reddito di sopravvivenza, ovvero quella parte di reddito che ti serve per sopravvivere e che si sommerà al reddito di premio derivante dal lavoro. Così rispettiamo le terminologie e possiamo parlare dell’obbligo o meno di lavorare.
Mi fa piacere, anche io vorrei dare fiducia alla società attraverso un modello incondizionato, però è legittimo ipotizzare una soluzione di fallback in caso il RdE non viene accolto (in Svizzera per esempio hanno fatto un referendum e non è passato), in tal caso, avremmo il reddito di sopravvivenza erogato dallo Stato e separato da quello del lavoro, quanto meno per facilitare l’esistenza dei lavori a tempo parziale e la distribuzione del lavoro stesso.
Comunque se è volontà del PP portare avanti il RdE quella è la via principale che sostengo (indipendentemente dal PP) e la valutazione di un’alternativa direi che è legittima (magari districandola da questa discussione e ponendola in ruminazione).