La morte di Noa

Ormai la storia della morte di Noa è il centro del dibattito pubblico, perciò credo sia giusto parlarne anche qua. Quali sono le vostre opinioni in merito?

Tralasciando ovviamente la tristezza, per non ribadire l’ovvio, io sono da sempre un fervido combattente degli strumenti di tortura che spesso (per non dire sempre) gli stati (con la S volutamente minuscola) impongono ai propri cittadini, con l’onorevolissima scusa del loro bene e della loro protezione, anche - e soprattutto - da loro stessi.

Mi sto riferendo oltre che all’eutanasia anche ai vari TSO. E uso il termine tortura perché ho toccato purtroppo con mano casi di persone a me molto vicine che sono finite dentro a questi ingranaggi maledetti.

Sinceramente, ho provato un dolore indicibile quanto ho letto che Noa per poter morire ha dovuto smettere di mangiare e di bere, atto che non può essere vietato per legge (almeno in Olanda e mi pare per fortuna anche in Italia).

Il concetto che la nostra propria vita non ci appartenga mi è talmente alieno da farmi venire l’orticaria. Da padre, posso solo dire che se non avessi avuto altri figli al di fuori di lei mi sarei anch’io lasciato morire insieme a lei, perché mai e poi mai avrei potuto sopravvivere alla sua morte e alla sconfitta di non essere riuscito a salvarla.

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C’é stato un aggiornamento, pare che l’Olanda non abbia autorizzato l’eutanasia.

Ad ogni modo, io credo che escludendo le patologie dove si profila l’incapacitá di intendere e di volere, ogni essere vivente sia padrone della propria vita come del proprio corpo e che lo Stato non abbia il diritto di interporsi tra una persona e le sue decisioni.

Certo, per questo Noa ha dovuto smettere di mangiare e di bere. Se avessero accettato la sua richiesta di eutanasia sarebbe morta diversamente.

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Credo che anche secondo me il punto focale sia questo. Noi costringiamo una persona che voglia morire a ricorrere a mezzi estremi, o a sapere che un suo parente dovrà affrontare un processo, per un inalienabile diritto alla vita che di fatto lede la persona stessa.

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Io ho un’opinione diversa: in questo caso abbiamo a che fare con una persona che ha subito un trauma gravissimo, che la condotta nella spirale della depressione. Non abbiamo quindi a che fare con una malattia fisicamente debilitante, o un incidente che - pur avendo distrutto il suo corpo -ha lasciato intatta la sua mente, bensì un problema psichico. Il voler morire fa parte proprio di una delle manifestazioni della depressione. Forse quindi qui il problema non è il dibattito sull’eutanasia, ma sulla cultura dello stupro che l’ha portata in quella spirale in primis, e in secundis sui trattamenti attualmente disponibili per i problemi psichici.

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A me questa sembra una vicenda di enorme dolore per tutti i coinvolti e non mi sento per nulla in grado di decidere chi o cosa fosse giusto. La depressione è una malattia vera indipendentemente dalle cause, e alcuni paesi ammettono eutanasia anche in questo caso; io non so se sia giusto, non so proprio niente di questa vicenda, ma mi sembra estremamente barbaro far ricorrere una ragazzina al lasciarsi morire di sete.

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Condivido.

Non credo però di potermi esprimere su cosa si sarebbe dovuto fare in questo caso specifico. Non ho informazioni sufficienti. Forse nessuno le ha.

La morte di un adolescente è sempre un fallimento della società. Ancora di più il suo suicidio. Così come l’anoressia. E la depressione. Non sono colpe, ma malattie di cui la società condivide in parte la responsabilità.

Eutanasia e aborto hanno caratteristiche e rischi in comune, ma non sono uguali. Sulla mia opinione a riguardo dell’aborto come surrogato economico di un welfare serio e di una società più accogliente ho già scritto altrove e non credo sia utile ripetersi.

L’eutanasia è comunque un omicidio, ma il consenso della vittima, qualora questo consenso sia libero e non condizionato, non può essere ignorato in uno Stato laico.

Tuttavia permettere il consenso all’eutanasia in presenza di stati mentali alterati, come depressione e anoressia, è politicamente pericolosissimo. Sarebbe molto facile manipolare persone fragili per risparmiare sulla sanità convincendole ad usufruire di questo “diritto”. Nel caso di Noa a non essere riusciti a salvarla non sono stati solo i genitori, ma la società intera.

Ma in tutta onestà devo dire che se mi si fosse presentata una ragazza 17enne, depressa e anoressica per ottenere l’autorizzazione all’eutanasia per queste ragioni, non credo che l’avrei autorizzata. Questo non per privarla di una morte dignitosa, ma nella speranza che potesse guarire. Diverso sarebbe stato il caso di un malato terminale nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali.

Questo non significa che si sia fatto bene in Olanda. Non posso dirlo. Non lo so.

Ma non credo che si possa basare una regolamentazione generale sull’emozione prodotta da un caso particolare e così drammatico.

Appunto. La depressione maggiore è una malattia (le cause sono irrilevanti, come dire che chi ha il cancro per via del fumo ha diritti diversi di chi l’ha preso lavorando con l’amianto). Non solo, è una malattia terribile (se qualcuno di voi c’ha avuto a che fare, anche indirettamente, sa di cosa sto parlando). Per questo, a prescindere dalla cura eventuale, il tema non è affatto sulle cause (per quanto orribili possano essere, leggi lo stupro) che hanno portato alla malattia ma bensì il diritto o meno di decidere della propria vita, anche togliendosela.

Il suicidio sarà pure un omicidio letteralmente parlando ma deve essere sempre tutelato e soprattutto consentito (non riapro il tema aborto): Noa è stata privata dell’eutanasia per la giovane età (17 anni). Se fosse stata 21enne probabilmente avrebbe potuto evitare lo strazio del lasciarsi morire di fame.

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Se non consideri la depressione (indipendentemente dalla causa) una malatia fisicamente debilitante non credo tu sappia di cosa tu stia parlando.

Secondo me in Italia è questa concezione che manca. Si pensa che la depressione sia un capriccio, e spesso è confusa con l’essere semplicemente tristi.

Il problema però è che il numero di depressi, e di malati di depressione invalidante, è sempre in aumento, quindi prima o poi qualcuno dovrà introdurre il tema. E l’unico che ci ha provato fino ad ora lo ha fatto nella maniera peggiore possibile.

Alla fine il motivo per cui questa storia ha avuto risalto mediatico è proprio questa. Fosse stato un suicidio qualunque sarebbe stato derubricato come tale e noi non avremmo saputo nulla di lei

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Quoto il tuo ultimo post @Barbamento dalla testa ai piedi: un solo cuoricino non mi basta, avrei bisogno di un autotreno di cuoricini.

E mi permetto di aggiungere una cosa sola: la depressione maggiore non è da considerarsi a mio avviso come una sconfitta della società. Società diverse però possono scegliere come trattare questa patologia terribile. In questo campo d’azione rientra la politica.

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Non sono d’accordo.

I bambini a Taranto si ammalano di cancro. A Casale Monferrato centinaia di persone sono morte di cancro. Le cause sono sempre molto rilevanti.

Anzitutto, non si tratta di un diritto, perché non è nella disponibilità dello Stato. Come dimostra ogni suicida, non c’è modo di impedirlo e punirlo e dunque non richiede alcun permesso. L’eutanasia è diversa perché è una azione compiuta su un’altra persona ed è dunque oggetto di Politica.

Inoltre il primo valore fondamentale di cui stiamo discutendo è la Libertà. Se accettiamo che la Libertà si possa esprimere in uno stato di coscienza alterato (come quello causato dalla depressione e dalla anoressia, entrambe patologie ahimè che conosco molto bene a causa di vicissitudini personali occorse a persone a me molto care), allora legittimiamo l’uso di droghe da stupro. O le manipolazioni alla Cambridge Analitica. O la dispersione scolastica.

Non credo sia quello che vogliamo.

La Libertà in sé manca di uno scopo e se non viene sostenuta da uno scopo è facilmente sovvertibile a danno della Libertà stessa. La Libertà di limitare la propria Libertà non può trovare fondamento nella Libertà stessa.

E invece sì. Sotto molti punti di vista e lo dico per aver osservato da vicino diverse situazioni di depressione maggiore, nonché varianti come il baby blues o la depressione post-partum.

Ti dirò di più: ho avuto modo di osservare da vicino anche psicosi e deliri, sindromi bipolari e diverse altre patologie psicologiche, inclusa l’anoressia.

In alcuni casi la fragilità è fisiologica, letteralmente riconducibile ad aspetti fisici, ormonali o genetici.

Ma nella stragrande maggioranza dei casi, la patologia psicologica emerge e si rinforza a causa del contesto sociale in cui vive il malato. Tant’è che in molti casi, la terapia psicologica d’elezione è di gruppo. E tutte le terapie cognitivo-comportamentali si basano sulla modifica della relazione fra individuo e ambiente sociale, sulla modifica dell’interpretazione delle dinamiche percepite e sulla modifica del comportamento sociale.

Psicosi e depressione sono malattie in gran parte riconducibili alla società in cui il malato vive, ai valori che impone ed alle relazioni che la caratterizzano.

Dunque, secondo me, dovremmo iniziare a trattare la sofferenza che comportano come fallimenti collettivi.

E la Politica può affrontare questi fallimenti, quanto meno per minimizzarli. Si tratta di problemi complessi che vanno studiati con serietà ed onestà intellettuale.

Ma senza scorciatoie. I bug vanno risolti laddove si trovano.

Perché una pillola può ridurre i sintomi, ma non curare la malattia se la malattia è sociale. Così come l’eutanasia o il suicidio.

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Mi aggancio a quest’ultima frase, perché emblematica e interessante al contempo: non v’è dubbio alcuno che la pillola possa ridurre (o talvolta persino eliminare) i sintomi, ma se hai avuto a che fare veramente da vicino con pazienti affetti da depressione maggiore saprai bene che a volte la malattia non è sociale. E l’eutanasia o il suicidio non sono sempre il prodotto di un fallimento sociale. Concordo con la complessità della materia ma qui stavamo discutendo se fosse in primis lecito che uno Stato accolga la richiesta di morte proveniente da uno cittadino, assistendolo ed assecondandolo (dal tuo punto di vista, commettendo un omicidio di Stato).

La mia risposta è sì: lo Stato deve dare questa risposta. Le condizioni sono oggetto di dibattito politico. Non v’è alcun dubbio che qualora la richiesta provenga da stati di alterazione temporanea non sia da prendere in considerazione. Ma i casi da te citati non sono a mio avviso contemplati nel novero di quelli da rigettare.

Ciò detto, io sono assolutamente favorevole a cercare in ogni modo (magari tralasciando l’elettroshock) di risolvere i problemi di depressione che affliggono molte persone, anche in Italia, nonostante la mia personale e ormai decennale totale sfiducia in tutti gli psichiatri, psicologi e psicoterapeuti.

Questo mi sembra un discorso alla “se legittimiamo l’omosessualità legittimiamo anche la pedofilia”. Tra l’altro la depressione non è uno stato alterato, è una patologia invalidante.

Dimmi se sbaglio, ma credo che tutto il tuo ragionamento sia basato su due premesse fallaci. Tu non consideri le persone che nascono già depresse, e soprattutto tu sei convinto che la depressione sia curabile. Queste due condizioni rappresentano una piccola parte del problema, ma non l’interezza.

E’ ovvio che se un pirla qualunque andasse a chiedere allo stato di attivare l’eutanasia verrebbe mandato a fare in culo (perdonate il francesismo), ma qua parliamo di persone che hanno subito iter psichiatrici lunghi anni il cui compimento ha portato ad affermare che non ci fosse una cura per il paziente.

Io non sono sfiduciato, e credo fermamente nella psicologia, molto meno negli psicologi. Purtroppo alcuni hanno fatto danni allucinanti.

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No, mi dispiace ma non corrisponde alla mia esperienza (che ahimè è piuttosto variegata in proposito).

In alcuni casi lo stato patologico è facilitato da fragilità di natura fisiologica (annovero ai casi anche cisti celebrali su cui i chirurghi che le hanno ridotte hanno chiesto l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini dell’intervento). Ma le cause sono sempre anche sociali.

La società è un sistema dinamico in cui il malato vive ed interagisce, e dunque il malato è sicuramente parte della società che causa la sua malattia. Non diversamente da un lavoratore che fosse andato a spazzare l’asbesto alla Eternit, per altro.

Ma nella psiche dell’individuo trovano (o non trovano :disappointed:) equilibrio pulsioni interne ed informazioni che provengono dall’esterno, dalla società appunto.

Un esempio tipico è la depressione post partum. E’ facilitata da una situazione ormonale, ma una società che accolga la madre e il bambino con gioia e comprensione la può disinnescare. Per contro una società che colpevolizzi la madre per i sentimenti e le pulsioni contrastanti che prova nei confronti del nuovo nato invece la facilita e la radica. Ancor di più una società che la colpevolizzi per la gravidanza e l’abbandoni economicamente e socialmente, isolandola.

E ti assicuro, ho visto così tanti casi, sia come volontario che come individuo con una storia, da aver studiato la materia sia in termini teorici/medici che in termini pratici.

Che ci piaccia o meno, la psiche umana non è mai un unicum isolato dal resto. E le patologie mentali sono quasi sempre riconducibili a dinamiche sociali patologiche.

E le dinamiche prodotte dal Capitalismo sono, in effetti, molto patologiche.

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@barbamento evidentemente mi sono spiegato male perché purtroppo so che cos’è la depressione. E ho dovuto contare fino a 100 per evitare di risponderti in modi meno consoni, perché la presunzione che l’interlocutore con idee diverse non sappia di che cosa stia parlando è un cancro.

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@f00l hai sicuramente ragione nel merito di questo post e io ti sono molto grato di aver contato fino a 100. Però sta di fatto che anch’io leggendo il tuo intervento ho avuto la stessa reazione di @Barbamento

Beh, non posso che ringraziarti di avermi risposto in maniera gentile allora. Non volevo certamente sminuire le tue esperienze e se ti ho offeso ti chiedo scusa.

Non volevo, e non voglio con questo commento, sembrare saccente, però il mio punto è semplicemente che su certe cose non si può avere un’opinione. La scienza ci dà risposte e quelle sono. Se guardi nel paragrafo della wiki dice chiaramente:

Il disturbo depressivo maggiore è una malattia invalidante che coinvolge spesso sia la sfera affettiva che cognitiva della persona influendo negativamente in modo disadattativo sulla vita familiare, lavorativa, sullo studio, sulle abitudini alimentari e riguardo al sonno, sulla salute fisica con forte impatto dunque sullo stile di vita e la qualità della vita in generale

Inoltre vorrei aggiungere che sono sicuro che tutti noi che stiamo parlando di depressione abbiamo visto almeno un caso di persona a noi cara subire questa malatia, ma è importante renderci conto che questa (o queste molteplici nei casi più sfortunati) esperienza(/e) non sono un campione rappresentativo. Purtroppo la realtà di una malatia può essere anche peggiore dei casi, già sicuramente terribili, a cui siamo stati esposti.

Appunto. Ti suggerisco di leggere quel paragrafo e di rileggere quello che ho scritto.

Rispondo sul discorso Eutanasia, sulla morte di Noa avete già fatto bellissimi commenti, non voglio aggiungere altro che è un argomento che mi tocca fin troppo.

Io aggiungo che per tutti gli argomenti che vengono toccati da questo caso, è uno dei Punti Esclamativi più problematici che caratterizzano questa società.

Per me, trovo pure stupido stanne a parlare, l’eutanasia è una cagata colossale, se vuoi morire non mangiare e bere, ci sono tanti modi, basta che si rispetti la libertà altrui, ma che lo stato ti supporti nell’atto del morire è inaccettabile.

L’unico supporto che deve esserci casomai deve essere psicologico per evitare di farti venire voglia di smettere di vivere.

Lo stato non deve avere il diritto di decidere se il paziente vuole essere curato o no (tranne casi particolari, motivati appunto da caratteri psicologici). L’esempio di DJ Fabo è importante, perchè infine è dovuto andare in svizzera a morire, solamente perchè c’è una legge che vieta la possibilità di poter smettere di ricevere cure. All’apparenza è un cavillo, perchè può sembrare per l’appunto un eutanasia, ma nella realtà dei fatti non lo è. Io non voglio più respirare con l’aiuto delle macchine, datemi la possibilità di spegnerle, e di fare gli ultimi respiri con i miei polmoni.

Questo è il mio pensiero, se uno vuole lasciarsi morire non si può impedire; si può cercare di fargli cambiare idea “lottando” con tutte le forze, ma non si può costringere.

VIVA LA VITA