La società algoritmica
La fine della democrazia parlamentare e la nascita di quella anarchico-libertaria.
Preambolo L’IoT (Internet of things) e l’IoL (Internet of law) stanno cambiando le regole della società. Pensate per fare un esempio alle google’s car che si diffonderanno a breve in tutte le nostre città. Saranno in grado di accompagnarvi al lavoro e tornare autonomamente a casa, dopo magari aver portato i vostri figli a scuola. Pensate ora all’algoritimo che permetterà a tutte queste automobili connesse tra loro di muovere e coordinare milioni di mezzi di trasporto in tutta l’area metropolitana senza generare traffico, imbottgliamenti e problemi di parcheggio (perché mai posteggiare una google’s car?). Nel tragitto verso casa i dispositivi casalinghi si connetteranno per riscaldare l’appartamento, rassettare, preparare la cena, sincronizzandosi con i vostri spostamenti, ottimizzando i tempi e i consumi, minimizzando gli sprechi. L’IoT è all’alba della sua rivoluzione e gli algoritmi saranno la benzina dell’IoT. Ma fino a che punto potremmo affidarci agli algoritmi? La discussione è aperta ma qualche considerazione possiamo iniziare a farla. La società algoritmica avrà pesanti ripercussioni sull’organizzazione della società e potrebbe spazzare via secoli di consolidate istituzioni politiche al punto di mettere in forse la struttura stessa delle nostre democrazie parlamentari. Personalmente ho un’immagine ficcata in testa, così nitida che mi pare di averla già vista in qualche film. In essa ci vedo il clima effervescente di un quartier generale nell’immediato dopo elezioni mentre si festeggia la vittoria. Sotto i riflettori delle televisioni scrosciano gli applausi e i neo eletti si scambiano strette di mano e abbracci. Tra costoro, leggermente defilato, qualcuno si è già appiccicato al telefono. Il fotogramma è per me l’emblema di una classe politica sempre intenta nell’atto di ramificarsi dentro la società, forte di un ulteriore “grado di libertà” garantito dal privilegio ottenuto grazie alla vittoria elettorale. La discrezionalità, cioè il mandato di operare scelte unitamente all’assenza di controlli, rappresentano il perno attorno al quale ruoterà tutto il potere. Il neo eletto ha preso dunque in mano il timone della nave, deciderà le rotte, nominerà i suoi ufficiali e disporrà del mandato di decidere come spendere i soldi che la Compagnia di navigazione gli ha affidato. Dall’altra parte del telefono ci saranno forse imprenditori, lobbisti, funzionari pubblici, amici degli amici in attesa di conferme e rassicurazioni che ora, ad elezioni concluse, potranno finalmente arrivare.
La società algoritmica Ma è veramente necessaria l’intermediazione di questi ruoli di comando per far funzionare e amministrare uno Stato? Per prendere decisioni? Per attuarle? Immaginate che il nostro politico maneggione al telefono stesse promettendo al suo interlocutore la direzione di un’importante azienda sanitaria, una ASL. Incarico ovviamente strategico visto che da quelle parti transita buona parte del denaro pubblico riservato alla sanità che a sua volta assorbe buona parte del bilancio di uno Stato. Dunque incarichi, commesse, denaro, favori, consenso, voti e il circuito si chiude. Il potere della politica funziona in questo modo. Grazie alla discrezionalità e alla mancanza di trasparenza la politica allunga i suoi tentacoli dentro la società e radica ovunque il proprio potere. Immaginate ora che a qualcuno venga in mente di effettuare la nomina del direttore dell’ASL (o della RAI per fare un altro esempio) mediante un software che valuti decine di migliaia di curricula arrivati da ogni parte della UE. Il software è regolato da un algoritmo che è pubblico e pertanto ognuno può verificarne la validità e la regolarità del funzionamento, non c’è elemento umano nella decisione. L’algoritmo lavorerà sui curricula, incrocerà dati, verificherà e peserà i requisiti fino a notificare e sottoscrivere l’accordo con il vincitore. E ora immaginate di nuovo il politico al telefono adesso che il suo potere è stato ridotto a zero. L’algoritmo è stato istruito sulla base di vincoli e condizioni decise dai cittadini ai quali spetta quindi la scelta politica, l’indirizzo strategico. All’algoritmo è delegato il compito dell’attuazione.
Gli algoritmi sono trasparenti Gli algoritmi sono delle procedure composte da un numero finito di azioni che consentono di arrivare con certezza ad un risultato. Tutti noi apprendiamo già dalle scuole elementari i primi algoritmi di calcolo, come quelli delle addizioni e moltiplicazioni. Nella catena che si costruisce tra il livello politico e quello della sua attuazione ci sono certamente delle procedure codificate che però non garantiscono la trasparenza totale da parte dei politici e dei funzionari. Anche le norme per garantire trasparenza nella pubblica amministrazione (vedi FOIA) risentono di questi livelli di discrezionalità. Di fronte a ciò siamo chiamati semplicemente ad esprimere il nostro livello di fiducia. Mi fido - non mi fido della correttezza del risultato. In entrambi i casi siamo in una posizione subalterna con il potere. Eliminare, dove possibile, la discrezionalità delle scelte in funzione di algoritmi trasparenti, è uno degli obiettivi della società algoritmica.
Onorevole non conti più niente Ovviamente abbiamo fatto un solo esempio, ma quello che importa è che abbiamo compreso perché sia possibile destrutturare il potere della politica (intesa come rappresentanza) che come altri livelli di intermediazione è destinato a scomparire sotto i colpi della tecnologia e della rete. Certo non sarà una cosa improvvisa ma sarà graduale e dobbiamo pensare alla società algoritmica come ad un processo tendenziale nel tempo. Anzi, è forse più utile pensare alla società algoritmica come ad un processo già in atto, anche se non ci è ancora del tutto chiaro. D’altronde se nell’800 non vi erano altri modi per consentire al contadino del Galles di essere rappresentato nel parlamento londinese se non eleggendo un rappresentante in loco che potesse rappresentarlo alle assemblee, oggi questa struttura obsoleta non ha più motivo di essere. Quel livello di rappresentanza che svolge il ruolo di intermediazione tra il cittadino e il momento decisionale, non è indispensabile. In realtà possiamo tutti essere parte di un solo grande parlamento dotato di un unico sistema decisionale. Oggi potremmo già iniziare, nel piccolo, una sperimentazione in tal senso. Gli algoritmi potrebbero essere messi in opera a cominciare dai Consigli Comunali. Avete mai provato a ficcare il naso nelle procedure delle gare d’appalto nei Comuni? Fatelo per avere un’idea di quale sia il giro del fumo clientelare a partire proprio dal decantato locale, dal territorio. Gare spezzettate ad hoc per abbassare la soglia massima ed evitare il ricorso a bandi aeuropei, vincoli e requisiti tarati per favorire la partecipazione di precise società ed aziende. Tutto discrezionale, nelle mani di politici e funzionari. Insinuare i software della democrazia e della trasparenza dentro questi ambiti spezzerebbe il primo anello corrotto della catena, restituirebbe trasparenza al pubblico ed aprirebbe il mercato a vera concorrenza. Ma per questo occorre diffondere un nuovo modello di politica culturalmente innovativo, un modello “leggero” e non invasivo, che transiti nella società senza insinuarsi dentro le pieghe delle sue zone grigie ma anzi che abbia il coraggio di denunciarle e combatterle. Una politica non interessata a “governare” come dicono i fratelli pirati Islandesi ma che incentri la propria attività sul processo decisionale (e sulla struttura - cit. Storno), sulla Democrazia. Una politica permeabile ai cambiamenti che non abbia come scopo primario la propria sopravvivenza e che abbia già nel proprio DNA i presupposti per la propria dissoluzione (raggiungimento di uno scopo).
La politica resti dentro la società La società algoritmica riceverà ragionevolmente diverse critiche. Con tutta probabilità si affermerà che perderemo il primato sulla società rischiando di venire sottomessi dai processi dei quali potremmo perdere il controllo. A questa critica rispondiamo senza tentennamenti: non sarà così. Le macchine non prenderanno decisioni al posto nostro ma applicheranno efficientemente gli algoritmi per risovere i problemi, avranno un compito di ottimizzazione, posti i vincoli strategici decisi dai cittadini ai quali spetterà comunque la decisione politica. Ci si dirà poi che la società algoritmica rappresenta la morte della politica. Niente di più falso. Ora come ora la politica è finita, relegata all’interno delle segreterie dei partiti politici dove si misurano, in assoluta segretezza, accordi sotto banco. A ciò si è ridotta la politica nella società attuale, veramente poca cosa. C’è invece bisogno di restituire la politca alla società a cominciare dalle piccole decisioni fino, se possibile, ai massimi sistemi. La politica deve essere presente in ogni ambito, misurarsi nei dibattiti assembleari, nei forum in rete, nei luoghi di produzione e di divertimento, nelle riunioni delle associazioni, sui media, in tutti i luoghi in cui è necessario discutere e perorare o attaccare una causa, una proposta. Il dibattito produrrà scelte che verranno votate o mutuate da un consenso per essere implementate mediante algoritmi trasparenti, inattaccabili, incorruttibili. Una volta attuate queste scelte non ci sarà bisogno del rappresentante politico di turno e nemmeno del colletto bianco che abbia la responsabilità di attuarle.
La minaccia del populismo La società algoritmica favorirà il diffondersi del populismo? Non lo sappiamo, nel senso che la disintermediazione del livello politico parlamentare potrebbe aprire le porte a forme varie di populismo. Ma se esaminiamo la storia degli ultimi anni possiamo affermare che probabilmente non sarà peggio di quanto lo sia stato finora. Il sistema attuale non ci ha messo al riparo ad esempio da Silvio Berlusconi che ha governato in questi anni promettendo di sconfiggere il cancro, di farci vincere i mondiali di calcio, di dare a tutti un lavoro e di avere servizi efficienti senza pagare tasse. Altre nazioni stanno sperimentando il fior fiore del populismo più becero, senza nemmeno l’ombra di forme di democrazia liquida o diretta. D’altra parte sentiamo ripetere (con una certa dose di verità) che la società sia più avanti della sua rappresentanza politica. Dunque perché dovremo temere il populismo della rete più di quello che oggi la poltica già ci propina? Possiamo girarci attorno mille volte, il peggiore nemico del populismo è la cultura. Facciamo crescere il livello culturale di un paese invece di promuovere il paternalismo del buon governo. Non è comprimendo la democrazia che il populismo verrà sconfitto.
La crisi della rappresentanza Il panorama politco degli ultimi decenni è mutato perché è mutata la composizione della società che è diventata molto più sfaccettata. Un tempo potevi dedurre in pochi minuti l’aderenza delle persone a questo o quell’orientamento politico. E oggi? Oggi la soceità è maggiormente liquida. Ognuno di noi ha ben presente nella propria cerchia di conoscenze chi pur riconoscendosi in una precisa visione politica su alcuni temi si discosta fortemente da essa. Le persone agiscono in modo assai meno ideologico di quanto facessero un tempo. La realtà è che non esistono più i partiti rappresentativi della società e delle sue componenti. E infatti la disaffezione per il voto segna principalmente il distacco dai partiti politici, la percezione che oggi non ci sia un partito in grado di rappresentarci in maniera soddisfacente; quando pensiamo di averlo trovato ci rendiamo conto che come ogni organizzazione interessata al potere ha un principale obiettivo, la sua mera riproduzione. Dunque non sarebbe ora di passare a forme di rappresentanza liquide?
Lo Stato è morto. Viva lo Stato Nella società algoritmica lo Stato non sarà più l’apparato burocratico come l’abbiamo conosciuto finora. A fronte di una politica “leggera” e di algoritmi che attueranno le decisioni dell’assemblea permanente (organo decisionale di ogni democrazia liquida) lo Stato si renderà anch’esso leggero, privo (o quasi) di apparati e di poteri in esso insediati per lasciare il posto ai suoi algoritmi attuatori.
Questa non è più democrazia (se mai lo è stata) A proposito di democrazia, ammettiamo di avere un grosso problema. Non solo in Italia ma anche in tutto il resto d’Europa e del mondo dove si decidono le linee strategiche dell’economia e delle politiche sociali al di fuori da ogni controllo democratico. Anche il sociologo Bauman durante un recente ciclo di conferenze in questo paese ha più volte ribadito questo concetto. Dov’è finita la democrazia? Questo problema è oramai ineludibile e, nonostante paure comprensibili, non si può più riniviare una presa di posizione decisa e determinata su questo tema: o stiamo dalla parte della democrazia accollandoci anche i rischi che questo comporta, oppure lasciamo alle oligarchie il potere di decidere delle nostre vite e del nostro futuro.