Programma (vecchio?) del Partito Pirata sull'Istruzione

A questo indirizzo è raggiungibile il programma del partito pirata italiano nel campo dell’istruzione. https://www.partito-pirata.it/programma/istruzione/

Non ho capito bene se questo programma è stato sostituito dal CEEP che è raggiungibile dalla home page del sito, in ogni caso se si digita su google “programma partito pirata” appare quello.

Ora, mi rendo conto che ancora non ho diritto ad accedere al liquid feedback e ad essere parte del processo decisionale con il quale si redigono programmi e linee del partito, ma vorrei comunque esprimere la mia opinione e capire che ne pensate in proposito.

Vorrei puntare il dito sulla sezione 8.2

8.2 Eliminazione degli esami scolastici di fine anno, riforma completa della scuola

  1. eliminare tutti gli esami di fine anno
  2. non sostituirli con nulla: sono stupidi e non servono 2.a. si può anche decidere di lasciare la “tesina”, se e solo se influirà sul voto finale in percentuale minima ma ragionevole, tipo 5%
  3. come voto di uscita, fare una media pesata (secondo criteri da definire) delle medie voto degli anni precedenti 3.a. per esempio gli ultimi anni possono pesare un po’ più dei primi, le materie ovviamente devono pesare in base alla quantità di ore che hanno, etc. 3.b. per tale media si considerino solo gli anni in cui lo studente è stato promosso
  4. istituire una commissione di riforma della scuola, che a livello superiore preveda l’eliminazione del concetto di “promozione e bocciatura”, in favore di un sistema a esami stile universitario

scusate, ma a me questo testo sembra di una enorme superficialità e, oltre che essere incostituzionale (l’articolo 33 prevede gli esami alla fine dei cicli scolastici), è infantile nel momento in cui dice “sono stupidi e non servono”.

Poi:

Gli insegnanti devono avere competenze specifiche (es: laurea in scienze religiose, antropologia, filosofia) ed essere laici.

Questa è una palese violazione dell’articolo 3 della costituzione che sancisce la non discriminazione in base alla religione. Non si può pretendere che i singoli insegnanti siano laici. È la scuola come istituzione pubblica che dovrebbe essere laica.

Poi se penso a “scuola e partito pirata”, una delle prime cose che mi viene in mente è l’obbligo, da parte degli istituti di educazione, di usare software libero e di educare i cittadini a questo valore. Non ve n’è traccia.

Se ne può discutere?

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Certo che sì. Speriamo! E questo è anche uno dei motivi per cui è in assemblea permanente una iniziativa per cancellare definitivamente quel programma, che appunto è di una grande superficialità (e non solo in quei temi) e rappresenta un modello ideologico quantomeno poco compatibile con il CEEP. che rappresenta un momento del PP-IT, differente da quello attuale.

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Toh, non avevo mai notato questa bella pagina organizzata del programma sul sito. Pensavo ci fosse solo l’incasinatissima categoria blog.

Favorevole all’abrogazione di questo testo, quello sugli esami scolastici. Non che non si possa pianificare una modifica costituzionale, ma ci deve essere una solida motivazione scientifica per chiedere ciò.

Dato che il resto del testo pare ragionevole sarei a favore di un emendamento. D’accordo, @secco?

Ci fu una votazione che mise in vigore solo una frase:

Il Partito Pirata ritiene che tutte le amministrazioni pubbliche debbano migrare progressivamente verso l’uso di freesoftware ed opensource.

che è dopo stata abrogata per essere troppo poco approfondita ed argomentata. In pratica in tutti questi anni nessuno si è fatto il lavoro di scrivere un buon testo a riguardo. Il CEEP ne parla, ma se ne potrebbe parlare meglio ancora.

L’idea di abrogare il programma a favore del CEEP è assai contestata e l’idea di deciderne in AP quando 90% del partito non è ancora attivato è democraticamente suicida.

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No, questa informazione è falsa: l’idea di abrogare interamente il programma vecchio e lasciare adesso il solo CEEP ha un larghissimo supporto in Assemblea Permamente. Il fatto che non incontri i tuoi favori non significa affatto che sia assai contestata.

Ricordo anche che il Partito Pirata è sempre al 100% attivato: gli iscrivendi NON fanno parte del processo decisionale e NON sapremo se ne faranno mai parte, quindi NON sono di fatto calcolabili nel novero delle maggioranze o delle minoranze.

E, come ho spiegato più volte, un Partito ha il dovere di agire quando e come ne senta la necessità. Pertanto stiamo abrogando in Assemblea Permamente tutto il vecchio programma, per evitare figuracce come quella che hai trovato te @boulayo

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C’è una votazione in corso su questo su LQFB. Le opzioni attualmente proposte sono tre:

  1. Abrogare tutto il programma precedente in favore del CEEP, in quanto programma meglio conosciuto dagli elettori e più coerente rispetto all’attuale.
  2. Mantenere il programma corrente per evitare “vuoti politici”, ma procedere a sfoltirlo e riformarlo, mantenedo il programma attuale come “vademecum” se qualcuno chiedesse su argomenti specifici
  3. Mantenere il programma attuale in quanto frutto dell’intelligenza collettiva del Partito Pirata dal 2011 ad oggi.

Visto che io sono l’autore materiale della proposta 2, invito @lynX e @solibo, autori rispettivamente della 3 e della 2, a correggere la mia breve sintesi se errata.

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Vedremo che cosa succederà nel momento della votazione.

Questo è un uomo di paglia.

A te l’onere di spiegare il significato di questo modo di dire (introdotto da @lynX che ha un significato diverso in italiano.

Appunto, parlo il suo linguaggio. Un uomo di paglia è un argomento che attacca un manichino costruito appositamente per l’occasione perché la critica non avrebbe effetto sull’argomento effettivo. In questo caso @lynx parla di “90% del partito” non attivato, ma in realtà parla di persone non iscritte e che non hanno confermato definitivamente la volontà di voler essere iscritte, pertanto parla di persone che non sono attive in quanto non solo non sono formalmente nel partito, ma non è neppure certo al 100% che finiranno per entrare.

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Io eviterei… preferisco di gran lunga il tuo. La forma è sostanza, come tu ben sai.

[quote=“f00l, post:8, topic:2733”] Appunto, parlo il suo linguaggio. Un uomo di paglia è un argomento che attacca un manichino costruito appositamente per l’occasione perché la critica non avrebbe effetto sull’argomento effettivo. [/quote]Vediamo…

In realtà parla di me, e di altri come me, con questa affermazione forse l’uomo di paglia non è lynx…

[quote=“f00l, post:8, topic:2733”] pertanto parla di persone che non sono attive in quanto non solo non sono formalmente nel partito, ma non è neppure certo al 100% che finiranno per entrare. [/quote]Sento parlare un uomo di paglia? Tu che certezze hai in questa affermazione…?

Capisco le vostre faide, io sono un nuovo iscritto e sto vedendo che si vogliono portare cambiamenti legislativi in un partito che io sostengo, sono intervenuto perchè parlando dei nuovi iscritti parlate di me e quelli come me.

Buon proseguimento

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Ho linkato il dibattito dove avviene il contesto, perciò chiunque legge può farsene un’opinione. In quel thread molti nuovi iscritti hanno espresso di volere partecipare a questo tipo di decisioni. Votare in modalità accelerata prima che loro possano partecipare è democraticamente insano. Immagino che si ricorderanno di questo tuo gesto.

No, come ho spiegato non è un bel gesto nei confronti dei nuovi iscritti e penso si ritorcerà sugli attuali “vecchi”.

Un uomo di paglia è un argomento che attacca un manichino costruito appositamente

Infatti non ci sta alcun manichino. Ho solamente riassunto l’output del thread che ho linkato.

Moderatore che di nuovo si prende le libertà di inserire ad-hominem nel flusso della conversazione…

Rispondo solo per mettere in luce un’altra falsità: la mozione attualmente in discussione in Agorà è delle uniche due possibili quella in modalità lunga (30 giorni di discussione poi voto), rispetto a quella accelerata (urgente) di soli tre giorni di discussione.

Per modalità accellerata intendo dire a conclusione prima che i nuovi iscritti riescano a metterci parola. Certamente non hai utilizzato la policy urgente perché richiede una maggioranza qualificata piuttosto di quella semplice e per questo non avrebbe molta speranza di avere un risultato a te soddisfacente. Io in questa costellazione ritengo democraticamente sbagliata qualsiasi decisione a maggioranza semplice.

Io sarei per l’obbligo di usare software libero per tutta la PA, non solo la scuola. Comunque, se si arriverà a una riscrittura più o meno completa del programma (cosa che a questo punto mi auguro, effettivamente a rileggerlo ora quel programma in molti punti fa tenerezza), spero che si arrivi a chiedere la non brevettabilità dei software in generale, cosa che risolverebbe il problema alla radice.

Ad ogni modo, visto che hai aperto questo topic e visto che il Forum servirebbe proprio a ciò (almeno finché rimarrà attivo), tanto varrebbe cominciare a ragionare fin d’ora sui “pilastri” della scuola secondo il PP. Come ho già detto altrove, a me piace molto il modello di Boldrin, per cui i 3 pilastri secondo me dovrebbero essere i seguenti:

  1. Sul piano organizzativo, riorganizzazione del ciclo scolastico: 5 anni di elementari + 5 anni di medie, poi un biennio di formazione pre-universitaria o avviamento al lavoro (potenziamento degli ITS)
  2. Sul piano dei contenuti, cambiamento drastico delle materie che vengono insegnate soprattutto nei primi 10 anni. Meno umanesimo, più scienze: oltre agli irrinunciabili italiano, matematica, storia, geografia e scienze, andrebbero insegnate fin dalle elementari due lingue straniere (queste fin dalla prima elementare), la programmazione informatica, l’elettronica di base, le scienze, l’economia.
  3. Sul piano dei metodi didattici, un progressivo abbandono (o quantomeno una riduzione) della didattica tradizionale (lezione frontale, verifiche scritte e/o orali valutate con numeri) a favore di approcci più orientati al learning by doing.

E questo è uno dei cardini del pensiero pirata, che condivido in pieno.

E io, come ho anche argomentato qui, (ma forse bisognerebbe parlarne di più e con più calma, e sopratutto dovrei riuscire a infervorarmi di meno quando lo faccio), lo ritengo un modello delirante sopratutto nei punti 2 e 3. In particolare, riguardo al punto 3, cosa ti hanno fatto di male le cosiddette “didattica tradizionale” e “lezioni frontali”? Nella scuola pedagogica egemone (ma non per questo giusta) di oggi è un postulato che siano dei dinosauri da rottamare per lasciare spazio alle “avanguardie didattiche”. Ma quanto è provato che questa didattica innovativa sia efficace a lungo termine? Te lo dico io: non c’è uno straccio di prova. ANZI, io che, per lavoro, posso vedere dei risultati non pubblici e non pubblicabili qui lo dico e qui lo nego: in alcuni casi (ci sono anche casi virtuosi) ci sono prove che portino risultati nettamente inferiori al normale. Ma “l’innovazione” per i politici non può che essere buona di per sé, e quindi va pubblicizzata a prescindere. E poi crea tanti posti di lavoro per i formatori!

I metodi didattici che Boldrin propone, in alternativa allo spauracchio della lezione “frontale” (che io chiamo semplicemente “lezione”; tu quando comunichi con qualcuno gli dai forse le spalle o gli parli “di fronte”? L’aggettivo “frontale” è stato pensato ad hoc per demonizzare quello che è la normalità e creare una casta di sedicenti “esperti innovatori” che formano i docenti sulla necessità di abbandonare le lezioni frontali, attraverso lezioni frontali -ben pagate!-) devono poter essere adottati secondo una libera scelta del docente nel rispetto della libertà di insegnamento prevista dall’articolo 33 della costituzione, e non imposti dall’alto “gradualmente” come vorrebbe Boldrin. La volontà di smantellare/indebolire l’articolo 33 è portata avanti, consciamente o inconsciamente, da tutti quei tecnici e intellettuali “esperti della scuola” che probabilmente nella scuola ci hanno messo piede ben poco.

L’innovazione è buona se virtuosa. L’innovazione non è buona di per sè. Per stabilire se un’innovazione è virtuosa, dannosa o indifferente occorre fare SPERIMENTAZIONI serie e scientifiche. Non va pubblicizzata “l’innovazione”, ma “l’innovazione che è stata dimostrata virtuosa”, altrimenti si creano delle bolle speculative di formatori che diffondono tecniche potenzialmente dannose. Questo nella didattica, così come in qualsiasi altro campo. Quelle che nella didattica chiamano “Sperimentazioni” non sperimentano un bel niente, dato che non raccolgono dati e non li confrontano con altri. La dicitura “sperimentazione”, nel campo didattico, al momento serve solo a vedere se la cosa può essere portata avanti burocraticamente.

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Premesso che questa roba m’è toccato studiarla per un esame specifico, e premesso che anche a me, all’inizio, sembrava fuffa, ad oggi sostenere che non ci sono prove che funzioni lo trovo sbagliato.

L’esempio più lampante è la glottodidattica. Per tutta la prima parte del XX secolo la tendenza era quella di insegnare le lingue straniere con lo stesso metodo con cui s’insegnavano il latino e il greco: spiegone dell’insegnante su cos’è il past simple, esercizini per verificare la comprensione etc. Non solo: capitava spesso che l’unico confronto con la lingua originale fosse su testi scritti, oltretutto letterari; mai con la lingua parlata. Non ti sto a fare tutta la cronistoria, ma il riassunto è che i governi occidentali si resero conto che servivano metodi più rapidi ed efficaci (in parte ciò era dovuto ad esigenze tutt’altro che nobili: durante le guerre mondiali i soldati si ritrovavano in Paesi stranieri ed avevano la necessità di imparare alla svelta almeno la lingua del posto per la sopravvivenza. E siccome il tempo che passava da quando ti arruolavi a quando ti ritrovavi al fronte era poco, non c’era tempo per la letteratura).

Al giorno d’oggi i libri di inglese di ogni livello sono suddivisi in unità didattiche. Non, come un tempo, “capitolo1: i verbi”, “capitolo 2: gli aggettivi” etc. L’unità didattica 1 si intitola “Presentarsi”, e si immagina una situazione tipo il trovarsi all’aeroporto e rispondere alle domande di un agente; sapersi presentare è l’obiettivo di quella UD, e per farlo occorrerà impadronirsi degli appositi strumenti (linguistici): il verbo essere, i pronomi personali, alcuni nomi di professioni etc.

Tutto ciò può piacere o meno, ma non è fuffa. Se queste “sperimentazionI” non fossero mai state fatte oggi i ragazzi studierebbero ancora su manuali così:

Anziché su questi

Tra l’altro, a me questa metodologia è sempre sembrata ciò che Pekka Himanen chiamava “Modello hacker di apprendimento”, da lui spiegato in questi termini:

Il “tipico” processo di apprendimento hacker ha inizio con l’individuazione di un problema interessante, quindi lavora per risolverlo usando fonti diverse, e poi sottomettendo la soluzione a test prolungati. (…) Gli esempi sulla capacità dei ragazzini di 10 anni di padroneggiare questioni di programmazione molto complesse ci insegnano parecchie cose sull’importanza della passione nel processo di apprendimento (…). Un punto di forza fondamentale nel modello di apprendimento hacker sta nel fatto che ciò che uno di essi impara poi lo insegna agli altri. Quando un hacker studia il codice sorgente di un programma, spesso lo sviluppa ulteriormente, di modo che altre persone possano imparare da questo lavoro. (…) Intorno ai vari problemi si sviluppa una discussione continua, critica, evolutiva. La ricompensa per la partecipazione a questa discussione è il riconoscimento dei pari. Il modello di apprendimento aperto degli hacker può essere definito come “Accademia della Rete”. E’ un ambiente di apprendimento in continua evoluzione creato dagli stessi hacker, un modello che presenta molti vantaggi. In questo mondo, gli insegnanti o assemblatori di fonti di informazione sono spesso quelli che hanno appena imparato qualcosa. E ciò è utile, perché sovente qualcuno da poco impegnato nello studio di un argomento ha maggiori possibilità di insegnarlo ad altri, rispetto all’esperto che non ne ha più familiarità quotidiana e ha, in certo senso, perso la padronanza dei meccanismi di pensiero dei neofiti. Per un esperto, immedesimarsi con chi sta imparando qualcosa richiede livelli di semplificazione ai quali spesso resiste per motivi intellettuali. E non necessariamente l’esperto può trovare soddisfacente insegnare i concetti di base. Al contrario, uno studente potrebbe ritenerla un’attività estremamente gratificante, dal momento che, di regola, non gode della posizione di istruttore e di solito non gli vengono offerte sufficienti opportunità di usare il proprio talento. Il processo di insegnamento implica anche, proprio per sua natura, un’analisi esauriente dell’argomento. Se si è veramente in grado di insegnare qualcosa ad altri, l’argomento deve già essere chiaro a sé stessi.

Questo metodo è ampiamente utilizzato da associazioni come Coderdojo e in molte realtà di hacker o maker.

P.S. Boldrin non ha parlato di metodi didattici. Almeno, non in quell’articolo.

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Vale anche per il CEEP e mi domando con quale magia vorresti che al prossimo giro ci sia una maggiore intelligenza collettiva…

Ma sulla didattica delle lingue in questo caso specifico non faccio alcuna fatica a darti ragione. Certamente queste acquisizioni nella didattica delle lingue possono essere presentate come esempi di didattica innovativa virtuosa. Quando parlo di “didattica innovativa” mi riferisco a roba tipo “flipped classroom”, “learning by debate”, “metodo analogico”, “didattica laboratoriale”, “didattica per competenze”, “metodologia CLIL” etc etc. E nella maggior parte dei casi questi metodi/paradigmi “all’avanguardia” usano come fondamento epistemologico il costruttivismo di Piaget e altri, portandolo all’estremo e finendo per rifiutare l’idea stessa di “trasmissione della conoscenza”, ritenendo che la trasmissione non può che conservare gli errori delle generazioni passate e le tradizioni (brutte e cattive) e quindi la conoscenza non debba essere “trasmessa”, ma piuttosto debba essere “facilitata” in modo che ognuno possa costruirsela da sé. Tutto bellissimo, ma poi che qualità di istruzione finale comporta questo cambio di paradigma? La mia risposta è DIPENDE. È sbagliato demonizzarle, ma è sbagliato anche proporle come esempi da seguire e imporle dall’alto quando non ci sono prove che funzionino in sé. Penso che la loro adozione o meno deve essere lasciata come libera scelta all’insegnante con lo scopo di raggiungere un obiettivo.

La realtà sotto gli occhi di tutti è un desolante livellamento verso il basso della qualità dell’istruzione con il passare del tempo. Che poi sia anche merito della crescente egemonia di queste teorie pedagogiche o meno se ne può discutere. Io penso che esse abbiano le loro forti responsabilità, anche se sicuramente non ne sono l’unica causa.

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Hai ragione. Rileggendo il suo articolo vedo che in effetti non ne parla. L’ho inferito falsamente dal momento che tu hai scritto:

E quel “per cui” mi ha fatto associare il modello di boldrin al “terzo pilastro”, che invece era frutto di una tua rielaborazione personale.

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