Riporto l’editoriale del direttore de La Stampa con una interessante riflessione sull’idea di sovranità digitale dello stato. È uno spunto di lavoro interessante.
<< Gli Stati nazionali dell’Unione europea attraversano una seria crisi di credibilità a causa dell’impatto di diseguaglianze e migranti, ma hanno a disposizione un’opportunità di riscatto figlia del nostro tempo: definire e difendere la propria sovranità digitale per andare incontro ai bisogni delle nuove generazioni di cittadini. L’indebolimento degli Stati europei è frutto delle crisi di questo inizio secolo: il dilagare delle diseguaglianze economiche fomenta lo scontento del ceto medio e l’incapacità di integrare grandi quantità di migranti innesca pericolose tensioni identitarie. Su questi due fronti Stati e governi giocano in difesa, appaiono in evidente affanno, perché le risposte strategiche di cui hanno bisogno - un nuovo Stato sociale per garantire la giustizia economica e un nuovo patto sociale residenti-immigrati - al momento non sono neanche all’orizzonte. Da qui l’opportunità di cercare un riscatto di credibilità su un fronte diverso, ma altrettanto cruciale per i singoli ovvero l’estensione della sovranità alla realtà digitale nella quale oramai vivono ed operano quotidianamente la grande maggioranza dei cittadini europei. Sono tre gli ambiti che evidenziano l’urgenza di tale scelta. Il primo è la protezione della sicurezza nazionale da incursioni cibernetiche contro sistemi elettorali, infrastrutture civili e strategiche capaci di causare danni seri al funzionamento stesso dello Stato. Perché presidiare tali confini digitali dal rischio di cyber infiltrazioni nemiche o, peggio, devastanti atti di cyber terrorismo, equivale oggi alla protezione di quelli fisici dalle armate avversarie nei secoli precedenti. In secondo luogo c’è la tutela della proprietà intellettuale di individui ed aziende ovvero di creatività e brevetti che costituiscono parte strategica della ricchezza nazionale. Perché i furti di conoscenza online minacciano benessere, qualità della vita e soprattutto il lavoro dei cittadini. Infine, ma non per importanza, la garanzia per i cittadini di non essere vittime di fake news, disinformazione e aggressioni di ogni genere da parte di chiunque deve essere tutelata come la forma più urgente di protezione degli individui. Perché tali aggressioni sono oramai all’ordine del giorno - se non dell’ora - sui social network. Non c’è dubbio che governi, aziende ed anche cittadini su ognuno di questi fronti stiano già tentando di proteggersi, ma ciò avviene in ordine sparso, con ogni sorta di invenzioni cibernetiche, e questa prima fase artigianale di tutela spontanea digitale deve lasciare il posto ad un’assunzione di responsabilità da parte degli Stati, chiamati a declinare in maniera efficiente e credibile la propria sovranità nello spazio digitale. Si tratta certamente di una sfida temibile, ma quanto sta avvenendo in seno all’Unione europea suggerisce che qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta: il Parlamento di Strasburgo ha iniziato a proteggere i diritti intellettuali online così come il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, pur con accenti diversi, hanno scelto di porre alla Cina condizioni per l’arrivo delle sue tecnologie più avanzate sui rispettivi mercati. Ma si tratta ancora di piccoli passi, incapaci di fronteggiare la necessità della governance dei dati che investe ognuno di noi. Una governance che ha bisogno della volontà politica dei singoli Stati e che può essere efficace - sul piano delle risorse per realizzarla - solo in un quadro comune europeo. Eppure l’opportunità è grande: in un continente in ebollizione per la protesta dei ceti medi in cerca di protezione, la decisione politica di tutelare sicurezza, creatività e diritti digitali di ognuno potrebbe innescare una nuova stagione. E far trovare all’Unione europea una missione capace di rispondere in maniera innovativa ai bisogni delle nuove generazioni. >>
[Grassetto aggiunto da lynX per aumentare leggibilità]