Sulla vocazione maggioritaria del Partito Pirata: l'importante NON è partecipare

C’è un bell’articolo questa settimana sull’inserto letterario del Corriere a firma di Sergio Romano intitolato, evocativamente, «Utilità della sconfitta Illusioni della vittoria». Parla di come i vincitori non siano quasi mai nelle condizioni di superare i propri limiti e di come i perdenti imparano a reinterpretare la realtà spesso superando ampiamente in valore i vincitori. L’occhiello recita: «A ottanta anni dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, Berlino domina l’Europa nonostante il tracollo del 1945, mentre l’Urss, all’epoca trionfante, si è dissolta e perfino l’egemonia americana sembra vacillare. Quanto all’Italia, nonostante la disfatta e la perdita delle colonie africane, ha vissuto il boom economico e tuttora è una potenza industriale di rilievo».

In politica la vittoria ha molti livelli di lettura. Qual è il tuo obiettivo? Conquistare il potere per sostituire il regime che tu ritieni sbagliato con un nuovo regime (eventualmente altrettanto sbagliato perché il potere, invece di farsi cambiare da te, ti ha cambiato) ma che veda in te il proprio riferimento, o cambiare le cose a vantaggio delle persone? Quale delle due cose consideri “vittoria”? Io la seconda.

Per cambiare le cose non è necessario che sia tu a vincere (forse la lettura di un bel libro di Jacques Attali, «Il risveglio degli umiliati» potrebbe tornare utile).

Si può avere una “vocazione maggioritaria” pur essendo una infima minoranza, quando si riesce a rovesciare, a favore delle persone che sono maggioranza, quello che il potere non vorrebbe fosse cambiato (sono gli esempi a cui si rifaceva @storno). Mentre si può continuare ad essere minoritari e gruppettari pur avendo la maggioranza della rappresentanza (si veda il caso emblematico del M5S - che poi non è così tanto differente dal PD), proprio perché si continua a rappresentare esclusivamente il proprio gruppo o idea. D’altro canto che il concetto stesso di rappresentanza sia avariato credo sia ampiamente condiviso. Chi è ammesso al potere è necessariamente cooptato dal regime, sostituirlo non significa spiazzare il regime, ma venirci piazzati.

L’obiettivo quindi non può essere quello di sostituirsi al potere, e quindi diventare potere uguale e opposto, quanto indurre il potere a “fare la cosa giusta”, ovvero a rispettare non le nostre idee e i nostri “voti”, quanto le proprie stesse idee e le proprie maggioranze. Agire da scossa in una soluzione sovrassatura quando non congela come dovrebbe.

In Italia in campo sociale, nel diritto di famiglia, sui diritti umani e sugli aspetti relativi alla dignità umana, sono state anni e anni di battaglie “perse”, a permettere comunque il lentissimo avanzamento della civiltà, stante la cappa anti-popolare della rappresentanza catto-comunista che aveva semplicemente orrore che le masse “conquistassero” la propria autonomia individuale. Talvolta sono state intuizioni geniali e controcorrente (come quella di sostenere il referendum abolizionista del divorzio dei cattolici, mentre tutti i partiti laici tentavano di brigare per evitarlo) a stabilizzare una vittoria sociale nel paese, che era comunque una scelta interna del “regime” (come la legge Fortuna-Baslini, che senza il referendum popolare, e quindi senza il “dare le armi” dei radicali ai cattolici, sarebbe miseramente crollata - ricordiamo che furono i cattolici, maggioranza (loro) del paese, a votare contro le proprie stesse rappresentanze politiche e a favore del divorzio, non furono certo i radicali ad essere maggioranza nel paese).

C’è un famoso libro di Gaetano Dentamaro (noto per essere il papà in Italia delle “Interviste per Strada” di Radio Radicale) che nel rendere conto della candidatura fallita di Marco Pannella come commissario CEE spiega come quell’atto, che era destinato chiaramente a perdere, si sia tramutato in una incredibile vittoria non per Pannella o per il Partito Radicale, ma per l’intero insieme delle forze laiche italiane e anche oltre. Il libro si chiama “Perdo & Stravinco” e ha una bella fotografia di Pannella in copertina.

Insomma le categorie di «vincere» e «perdere» hanno molte più chiavi di lettura che la semplice (e banale) idea di: ci si presenta alle elezioni, siamo più del 50%, governiamo, cambiamo le cose. Questa è la distorsione che il regime pretende di imporre agli oppositori per renderli inefficaci e per poterli aggredire quando via via progrediscono nel consenso, per farli diventare cosa propria. È l’illusione del centralismo democratico applicato su scala globale.

Se vuoi cambiare le cose devi essere in grado di abbandonare la tua volontà di primeggiare. Il che non significa candidarsi a perdere, ma l’esatto opposto: candidarsi a vincere nella società e non nel fasullo teatro del potere per il potere. Poi, se vuoi veramente cambiarle, allora la strada è ancora diversa, e riguarda la politica solo in quanto riguarda la modifica del sé (cfr. Attali cit.).

Governare, in ultima analisi, non serve a cambiare le cose. Governare serve a gestire una situazione che vedrebbe un cambiamento se questo venisse dal di dentro. Ma pensare di governare per cambiare è l’illusione definitiva degli statalisti, se non degli autoritari.

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Sono completamente d’accordo con questa visione delle cose anche perché il concetto di vittoria, che presuppone sempre il concetto di sconfitta, è proprio quello che la logica Democratica vuole evitare.

In democrazia si collabora. Le contrapposizioni (che in alcuni casi sono inevitabili a causa della chiusura ideologica e folle di Alcuni partiti che portano avanti istanze anti umane e immorali) devono essere superati attraverso la dialettica tra forze politiche facendo leva su quello che ciascuna forza politica considera come valori (non dico non negoziabili ma almeno) portatori di vantaggi per tutta la comunità.

In quest’ottica Si può cambiare la direzione di un parlamento anche avendone un 2% di peso parlamentare.

Non accetto Invece l’ultima affermazione che fai perché la trovo totalmente antipolitica e venata di quella autolesionismo trionfante che ha caratterizzato la tristissima parabola del Partito Radicale in Italia:

Governare vuol dire sempre cambiare le cose.

Tutto è mutevole e tutto è impersistente e questo non significa affatto che possa cambiare solo in un certo modo. Il dovere di una forza politica e cambiare le cose Secondo la direzione voluta.

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Ci sono i dati di fatto: il M5S ha stravinto, ma non è riuscito a realizzare quasi nulla di quello che voleva fare.
A questo punto i casi sono due: si può dire che le persone non erano all’altezza, ed in parte è vero, ma è una giustificazione che vale per qualsiasi cosa, il che fa sì che qualunque affermazione tu faccia sulle organizzazioni avrai sempre ragione, oppure analizzare le ragioni per cui ciò è accaduto.

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Nulla?

  • RdC: fatto
  • fare la legge costituzionale per la riduzione dei parlamentari: fatto
  • Portare la rete di Casaleggio a disegnare da dentro il MISE le geometrie della politica industriale pubblica e privata: fatto
  • Far crescere un sottobosco di consulenti ed esperti di partito: fatto
  • TAV: usarla come contropartita per insediarsi nel salotto buono del nord ovest: fatto
  • finire la disintegrazione del pd: fatto
  • mantenere uno zoccolo duro di elettori: fatto
  • accreditarsi come NCC delle istanze Trumpiane Cinesi o Putiniane a seconda di chi paga meglio: fattissimo

Consolante ma mi duole ricordarvi il Nostro, rispetto al ripresentarsi della storia prima come tragedia e poi come farsa.

Ecco, al Partito Pirata oggi potremmo associare la appropiata identità de

Il Risveglio della Farsa

Ahahahah

aspetta aspetta

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Sì, aspetto. Sono curiosissimo di vedere cosa succederà ma comunque vada sarà uno spettacolo :sweat_smile:

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Mentre le altre possono essere opinioni questo sicuramente ad oggi è non-fatto.

Forse bisognerebbe rileggere la favola della volpe con l’uva…

Avendo una visione cristiana della vita capisco bene il senso del sacrificio e della sconfitta rispetto alla visione della vittoria del potere, ma il punto è che sia politica come la religione sono diventati un potere nelle mani dell’economia globale, quindi solo entrando nel sistema da vincitore puoi sconfiggere il sistema economico basato sul potere di acquisto di una moneta rispetto ad un’altra. Perché un architetto, dottore o ingegnere a Cuba o in Africa deve guadagnare 10 euro al mese ed un architetto, dottore o ingegnere in Italia guadagna 10000 Euro al mese? Solo dovuto al fatto che è nato su un territorio diverso! Ti sembra giusto ed equo? Come si possono cambiare le cose abbattendo i confini spazio-temporali? Solo cambiando il sistema. Come si può cambiare il sistema? Solo ed esclusivamente entrandoci dentro…o sollevando le masse come fece Gandhi, ma al giorno d’oggi un Gandhi verrebbe soppresso facilmente…sono stati assassinati presidenti per molto meno.

Nella concezione radicale (e forse in generale, sarei felice di confrontarmi in merito) non esistono “valori libertari”. Quello libertario è un metodo non una espressione valoriale che si esplica nell’essere in qualche modo piuttosto che in un altro. È un modo di fare, un metodo a la Descartes.

All’interno di quel metodo possono essere calati valori di pressoché ogni tipo (come racconta la storia, alquanto nota, dei comunisti libertari, i cattolici libertari (ex Leonka) ma anche quella molto meno nota dei fascisti libertari di Romualdi, si veda “Il fascista libertario” (Sperling & Kupfer, pp. 255, € 17,00) di Luciano Lanna, una lettura che troveremmo gradevole tu facessi tanto per non lasciar covare sotto la brace da solo il Mein Kampf, che evidentemente sta facendo il suo sporco lavoro).

Facemmo già (inutilmente si vede) questa discussione tempo fa. Essere una organizzazione libertaria significa essenzialmente rispettare l’aderente in quanto persona, non come agente di parte, senza pretendere che lui sia o faccia altro da quello che è o fa, cioè non imporgli di fare nulla (senza pretendere che diventi hacker, o si acculturi, o si spogli dal suo essere elite e impari il libretto rosso di Mao, o il Mein Kampf come iniziazione esoterica alla vera conoscenza). Egli è l’unico depositario del motivo intimo per cui aderisce e rende l’organizzazione quella che è, e che sarà tale perché mediazione di adesioni libere e non imbrigliabili dall’essere aderenti all’organizzazione stessa. La curiosità nei suoi riguardi è una forma, anche, di invadenza inadeguata e irrispettosa.

Il contratto sociale di un’organizzazione libertaria non pome in capo all’aderente altri obblighi che non quelli chiaramente posti all’adesione (spesso il solo versamento della quota e il rispetto di uno statuto che non obbliga l’individuo a nulla, essendo costruito per ilmitare il “potere” degli organi di partito verso l’aderente stesso), in particolare non gli pone obblighi di assumere su di sé decisioni, per quanto maggioritarie, di altri. Se obblighi in questo senso vengono posti (e il minimo possibile e solo quando molto condivisi) saranno posti su chi si propone per essere di servizio agli altri (gli organi esecutivi, per esempio). Per questo, anche, l’attuale (statuto del) PP non può in alcun modo paragonarsi con una organizzazione libertaria.

Anche hacker per me è una connotazione metodologica e non valoriale, che per me rientra ampiamente nel campo libertario (ma a differenza tua io considero riferimenti Stallman, Raymond e alcuni altri che tu rifiuti a prescindere come… mah… non mi ricordo con precisione le cose bizzarre che dicesti in merito e non mi va di andarla a cercare). Il fatto che tu la faccia diventare invece una connotazione ideologica la svilisce in modo incomprensibile. IMHO. Ognuno è hacker a modo suo.

È interessante notare però che le connotazioni del Pr che suscitano il tuo interesse sono proprio quelle che ne fecero un’innovativa organizzazione libertaria nel panorama dei partiti politici (eliminazione della dirigenza intermedia, rapporto fiduciario con la dirigenza nazionale, struttura federale, abolizione della delega, cicli di rinascita periodica, ecc. ecc.), eppure ne rigetti la denominazione in quanto tale, che è prettamente metodologica, di libertario, per sostituirlo con una definizione ideologica al cui nome associ caratteristiche solo tue appropriandoti di un nome, hacker, che definisci poi a tuo uso e consumo.

Fare questa analisi è interessante, proprio per dedurne la vocazione intimamente autoritaria, addirittura orwelliana, del tuo pensiero, laddove è “giusto” solo quello che tu hai deciso che sia, non accettando, neppure nominalisticamente, ciò che è indipendente da te.

Se pensi che io abbia fatto un parallelo improprio tra la tua interpretazione del tuo concetto di, come giustamente dice @macfranc, partito di massa (e non “a vocazione maggioritaria”, ma devo tirare le orecchie a @macfranc perché quella fu una etichetta politica usata da Angelo Panebianco già qualche annetto prima, nel 1985, in un convegno del Manifesto proprio per indicare i radicali e la loro “estraneità culturale” al panorama politico della sinistra italiana - l’articolo si chiamava, guardacaso, «Stranieri in Patria» e fu pubblicato su Il Manifesto il 2 agosto 1985, l’ho cercato online ma non lo trovo, ne ho una copia nei miei archivi, ma entra nel discorso politico radicale addirittura un decennio prima grazie a Massimo Teodori, vedi sotto), se pensi che io abbia fatto, dicevo, un parallelo improprio tra la tua interpretazione di partito di massa pensandolo come un modello autoritario, in cui al centro v’è una identità, unico valore accettabile, da imporre a tutti che senza tale non solo adeguati; io invece credo di aver proprio colto nel segno.

Anche nel segno di quel tipo di transizioni dialettiche neolinguistiche a cui ci ha recentemente abituato il M5S (ma che sono pane della propaganda goebblesiana, questo sì veramente portato del concetto di partito di massa nella società dell’informazione di stampo novecentesco che stai tentando di propinarci), per cui all’appropriazione dei concetti determinati corrispondevano innovazioni terminologiche o viceversa, per fare in modo che nella composizione dei concetti in opposizione il significato sparisse. Io proprio non vedo differenze.

Sotto le vuote formule di “buonismo verbale”, un po’ pretesco anche, che ogni tanto ci rifili, io non vedo altro che affiorare gli iceberg del totalitarismo democratico di cui parlava Anna Arendt, come mi capitò di vederli affiorare in una fase molto anticipata all’arrivo del M5S (anche qui avere una storia giova a verificare effettivamente come si è letto un certo fenomeno, rispetto a chi non ha storia e quindi fa “nascere” le proprie opinioni dal nulla).

Infine, oltre a continuare le tue continue polemiche qui dentro, avevi sostenuto di essere in grado di fondare un “partito degli hacker”, come dici tu a vocazione maggioritaria, anche in competizione con questo tanto indegno Partito Pirata. Siamo ancora tutti in attesa che tu faccia il primo passo di fondazione perché è chiaro, credo, che non esista qui una breccia per far diventare questo partito un sistema di propaganda alt-ariana sotto altra forma. Abbiamo tanti difetti, ma non proprio tutti eh. E questo non per dispetto o qualche contrarietà contro gli hacker (quelli veri e non quelli se-dicenti), ma proprio per rispetto loro, e anche un po’ per rispetto di noi stessi. Sarò felice, credo ahimé di averlo già detto, di fare la figura del Fassino di turno quando incitò Grillo a farsi un partito.

Al di là della battuta acidella questo è il vero problema di un eventuale tentativo di rifare il partito come allora. Su questo l’analisi del tentativo “di regime” dei Radicali Italiani/+Europa sarebbe interessante da esplorare. Cioè l’analisi del «dai facciamolo alla radicale» (solo chi ha vissuto il pietoso tentativo di referendum locale a roma sul trasporto pubblico può comprendere pienamente questa cosa), senza aver interiorizzato (anzi aver esplicitamente rifiutato) le connotazioni teoriche della nonviolenza gandhiana per accettare lo scontro muscolare, quello sì novecentesco da società della propaganda, del social-mondo. In questo campo posso tranquillizzare @mic, alla farsa hanno già pensato loro. Noi al massimo possiamo ritagliarci il ruolo dell’avanspettacolo adesso.

PS - Quanto alla “vocazione maggioritaria” fu comunque Massimo Teodori in un intervento del '75 addirittura a discuterne (credo che @storno apprezzerebbe): «Da quanto siamo andati dicendo è evidente la identificazione della questione del partito con la sua essenza politica, sicché il Partito Radicale risulta connotato nel sistema politico e nella società da due elementi, presentandosi in qualche modo come “partito bifronte”. Un volto è quello che riguarda il “partito delle riforme” nel campo dei diritti civili, quindi di partito ``ultracostituzionale’’ in grado di agire nelle contraddizioni dei meccanismi istituzionali e di essere in questo senso minoranza a vocazione maggioritaria che governa anche dall’opposizione. L’altro volto è quello di un “partito che rappresenta in se stesso il segno di una forma di società diversa”, essendo portatore di valori e di metodi, in definitiva con il suo stesso modo di essere e di vivere, alternativi in senso profondo a quelli incarnati ed espressi dalla cultura politica maggioritaria nel nostro paese.» Veltroni riprese sì la formula dialettica, ma come @shamar, non l’aveva capita :smile:

Se siete interessati al dibattito di allora sulla forma partito gli atti di quel convegno (L’antagonista radicale) sono effettivamente molto interessanti e forse risponderebbero a molte domande sul tema.

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Alberto, sinceramente, non credo che oggi sarebbe soppresso più facilmente di quanto sarebbe potuto essere soppresso, ed è stato soppresso, in quella situazione. La (sua non so se la nostra) risposta sta nella nostra capacità di cambiare noi stessi prima di pretendere di cambiare il mondo. Di accettare, appunto, il diverso da noi, fosse anche Salvini, ammettere che per il bene degli umiliati ed oppressi possa essere Salvini a vincere, realizzando ciò che è buono per far avanzare, anche di un solo passo, le condizioni che vogliamo cambiare. Se il nostro interesse è cambiare. Se il nostro interesse è mantenere alta una bella bandiera (cfr. Pasolini) allora possiamo spararla grossa quanto ci pare e poi non far nulla (come quello che vuole scongiurare l’aumento dell’IVA imponendo il prezzo politico agli spritz), il nostro ruolo sarà quello di semplice testimonianza.

A me non sembra giusto che esista una ineguale ripartizione della ricchezza, ma è il portato di una evoluzione che non possiamo cancellare solo con la volontà. Ci vuole impegno e ci vuole “durata”. Soprattutto ci vuole un po’ di freddezza, agire —come vuole il regime— in preda all’indignazione e all’irrazionalità ci fa essere invece che antagonisti, funzionali al regime. Reagiamo diventando parte della loro stessa agenda, trascurando la nostra. Noi stiamo cercando appunto persone che vogliano reagire e non solo “indignarsi”, perché il potere dell’indignazione è nulla senza l’azione.

Attenzione, Gandhi non sollevò mai le “masse” e quando lo fece inavvertitamente finì sempre in un bagno di sangue, perciò spese gran parte della vita ad impedire che le masse si sollevassero e per progettare atti simbolici di grande portata e con minimo impatto popolare perché non riteneva che le persone comuni avessero quella fermezza necessaria per compiere fino in fondo azioni veramente nonviolente. Gandhi preferì perdere praticamente tutte le sue battaglie per impedire di ribaltare l’umiliazione del suo popolo sui suoi avversari politici. Ti assicuro, ti piacerebbe molto il libro di Attali che parla proprio di questo. Gandhi finanche morì per sostenere il punto di vista dei suoi avversari. Dal punto di vista economico e sociale praticamente nulla di ciò che avrebbe voluto Gandhi è rimasto nell’India moderna, tutto cancellato quando la ruota ha sostituito l’arcolaio sulla bandiera indiana, cioè subito. Le condizioni attuali sono molto diverse, e non si può contare su un contro-potere tutto sommato “umano” come era quello dell’invasione britannica. Ma nonostante questo la lezione per me è sempre quella che «i mezzi prefigurano i fini». La scelta dei mezzi cambia noi prima di tutto. E scegliere mezzi per vincere ci crea prevaricatori. D’altro canto non possiamo replicare un libro di ricette solo perché Gandhi faceva così, o una organizzazione di partito solo perché negli anni '70 il Partito radicale ha funzionato. Dobbiamo conoscere innanzitutto, e poi sperimentare (Gandhi era un grande sperimentatore), senza farci ingabbiare dal dogmatismo o farci trascinare dalla rabbia e dall’indignazione. Se questo ci permetterà di vincere non ci tireremo certo indietro, ma io credo che il nostro ruolo è quello di cambiare la società (se mai saremo in grado di interpretarla).

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Guarda @erdexe, lunghezza ed insulti a parte, questa è la prima risposta interessante che mi proponi.
Grazie. :smile:

Cercherò di sfruttare i riferimenti che mi hai proposto per comprendere la tua prospettiva.

Vi sono diverse contraddizioni nel tuo testo.
Ad esempio a distanza di poche parole passi dal dire che quello libertario è un metodo, e poi dal negare che si esplichi nel essere (ovvero nell’agire) in un dato modo per poi di nuovo affermare che è un modo di fare.

Stiamo parlando di valori di riferimento che guidano l’agire normativo delle persone.
Preferisci chiamarlo metodo? Va bene.
Semplicemente osserviamo lo stesso comportamento diffuso: tu osservi un pattern (il metodo), io mi spingo a spiegarlo sociologicamente sulla base di valori esprimibili. Le previsioni si discostano solo su alcuni edge case.

Se ho capito cosa intendi, direi che lo stesso discorso è altrettanto applicabile al cattolico, al comunista, al capitalista, al libertario, al camorrista etc…
Si tratta di metodi diversi.

Non ti spingi a spiegare il perché un camorrista adotti un metodo differente da un cattolico o da un radicale, né ti interessa comprendere le sovrapposizioni nei rispettivi comportamenti.

A me invece interessa, per cui oltre ad osservare il pattern comportamentale, il metodo, cerco di comprendere il sistema di valori che producono quel pattern e non un altro.

La libertà è un valore fondamentale degli hacker perché l’assenza di libertà limita la possibilità di sperimentare e conoscere. Non è però IL valore fondamentale per cui classificare gli hacker come libertari non permette di spiegare alcuni dei loro comportamenti. Primo fra questi l’invenzione copyleft, che limita la libertà di tutti per proteggere un bene comune: la conoscenza espressa nel software.

Stallman è certamente un hacker. Raymond no.
Quanto agli altri che mi rifiuterei di riconoscere come hacker, boh… quando mi dirai chi sono, ti spiegherò se e perché non li considero tali.

Il mio criterio comunque è semplice: se il loro comportamento è spiegabile in termini di curiosità, di amore e ricerca della conoscenza (come fine, non come strumento) allora sono hacker, altrimenti non lo sono.

Francamente non capisco perché essere scientemente e intenzionalmente curiosi ti appaia avvilente.

E’ ciò che caratterizza gli hacker.

Tuttavia ti faccio nuovamente notare che la tua critica nei miei confronti diametralmente opposta rispetto a quella che mi oppongono @solibo e @briganzia: per te io voglio imporre a tutti di diventare Pirati, per loro io sono troppo aperto a persone diverse. Non ti fa riflettere questa differenza?

Mi sembra evidente che non riuscite a collocare un hacker entro le vostre categorie mentali.
Bada bene, è una cosa piuttosto comune. Anzi direi che vi accomuna alla maggioranza delle persone.
Noi hacker chiamiamo queste prospettive “mainstream”, termine che ricorda l’uso che voi radicali fate del termine “regime”: nel flusso principale ci possono essere diversi rivoli, ma una sola corrente.

Noi hacker invece siamo tutti diversi e ci accomuna solo la grande distanza dalla norma sotto una o più dimensioni. Qualcuno appare subito strambo. Qualcuno sembra abbastanza normale. Ma siamo tutti diversi perché la curiosità ci spinge lontano da quel flusso principale che vi accomuna.

La distanza delle vostre critiche esprime bene la difficoltà che avete nel ricondurmi ai vostri schemi.
Ti propongo anche io una lettura: Flatland: A Romance of Many Dimensions di Edwin Abbott Abbott.

Tu puoi comprendere gli hacker come gli abitanti di Flatland possono comprendere un’ipersfera.

Questo è vero.

Ed è un ipotesi tutt’altro che remota.
Ma come ho spiegato a @briganzia mesi fa, ci sono diverse persone in gamba qui. Per il momento, nonostante il parere di molti che mi circondano, grazie a queste persone mantengo la speranza che questo embrione possa diventare veramente un partito politico. “Di massa”, secondo la definizione di @macfranc: un partito capace di cambiare la società e di permettere alle persone di emanciparsi dal potere di chi li vuole ignoranti e manipolabili.

Per ora osservo una forte resistenza da parte di una minoranza variegata ma ben organizzata.

Se questa minoranza diventerà maggioranza in questo partito (o addirittura “classe dirigente” di un partito elitario) saprò di aver perso tanto tempo.

Per ora però rimanete una minoranza.

Che vuole sottomettere l’AP al PP-EU.
Che vuole diventare una gerarchia.
Che vuole chiudersi alla diversità.
Che predica bene ma razzola male.


Di nuovo mi dai del nazista. :unamused:

Va bene, provo ad assumere che tu non stia cercando di insultarmi o denigrarmi agli occhi dei pochi che leggeranno il tuo lungo intervento ma che tu mi ritenga veramente tale.

Mi piacerebbe linkassi degli esempi, in modo che io possa osservare con i tuoi occhi il mio comportamento… o che tutti possano osservare la pochezza delle tue affermazioni.

Copyleft non limita la libertà di nessun altro che del programmatore che sceglie di adottarlo. È una tua scelta di programmatore quella di utilizzare il software di qualcun altro, nessuno te lo impone, se decidi di essere pigro e non sviluppare qualcosa da zero qualcosa, ma di accogliere quanto fatto da altri, devi rispettare quello che trovi (capisco che il concetto di rispetto a te sia un po’ ostico e lo vivi come una limitazione, ma tant’è). Per i “tutti” che citi, il copyleft, limitante le possibilità del programmatore, è solo una utilità conquistata senza altra limitazione (libertà 0), e potenzialmente, ma non necessariamente, anche gratis.

Già in varie occasioni ti è stato fatto notare (pure in altre comunità a quanto posso vedere) che la tua rappresentazione del mondo del software libero è alquanto impropria e molto superficiale, così come quella dell’hackerdom, sembra. L’esperienza è una severa maestra ma purtroppo alcuni non imparano neppure a essa.

Francamente o non capisci quello che scrivo o ti diverti a travisarlo, perché io ho detto altro, ma forse a te fa gioco, come al solito, rigirare le frasi pur di averne ragione. Sono trucchi retorici fastidiosi se vuoi che qualcuno ti prenda seriamente. Io ho detto, cosa abbastanza pacifica, che hacker è una modalità di affrontare le cose, metodo, non un sistema di valori. TU associ a questo nome un certo numero di “valori”, tra cui quello della curiosità (che poi per me potrebbero essere pure dis-valori a ben vedere) per costituirne una “ideologia” su quello che, per sé, ideologia non sarebbe.

Questa è la tua ideologia hacker, che come la tua licenza di software non-libero (e che tu pure spacci per software libero, tranne che è Stallman e il progetto Debian a non capire cosa è veramente software libero e quindi a non accertartela). Una licenza scritta in spregio a quello che sono ormai 30 anni di riflessioni sull’argomento, saltate da te a pié pari per imporre una data ideologia anche in quel campo. La tua ideologia hacker, come la tua licenza software, lasciano il tempo che trovano (ma ti auguro di trovare degli adepti su cui fondare la tua chiesa, s’intende).

Esistono parimenti altre ideologie hacker, a me per esempio piacciono tanto quelle non espresse che intendono l’hackeritudine come il Tao, conseguibile non per riflessione ma per illuminazione. Robe che sapresti se avessi mai frequentato l’hackerdom. (qui l’amico Babele, autore del grande libro dei bug, avrebbe molto da dirci).

Quanto alla curiosità come (dis-)valore. C’è chi crede, e io sono uno tra quelli, che non sempre e non tutte le domande vadano fatte. Talvolta la curiosità può essere volgare, altre volte può essere invadente, altre volte semplicemente irrispettosa. Esistono linguaggi più sottili della dialettica attraverso i quali si veicola il significato. Talvolta questo “non verbale” è il significato migliore della vita e non si ottiene certo chiedendolo. Chiunque sia abituato alla meditazione, ad esempio, della curiosità non sa che farsene. D’altronde se vuoi veramente rimanere immerso, intriso, nel pensiero occidentale, e accorgerti che l’etimologia latina di curiosità è la stessa di cura, e quindi di reazione ad una malattia, dovresti dare un’occhiata a Michel Focault e i suoi studi sulla malattia mentale, su reclusione e follia (e poi verificare come quelle riflessioni, perfettamente organiche al potere, si parla del partito comunista francese, furono criticate come giustificazione metafisica del potere stesso. Se vuoi iniziare da qualcosa prova con “Discipline, Poteri, Verità” Marietti, 2008, o dal compendio di Sorrentino su Foucalt).

Dire la prima cosa che ci viene per la testa e poi appiccicarla alla prima etichetta che ci piace non è un modo particolarmente maturo di affrontare il confronto (direi che fa il paio con il metodo razional-collettivista di lynxiana memoria). Un minimo di ricerca va fatta prima di blaterare in giro di aver trovato lo Spirito dell’universo. Se poi il risultato della ricerca è la cancellazione, lo sbianchettamento della realtà, come quando si arriva a dire ad esempio «Eric S. Raymond non è un hacker», solo perché non rientra in una preconcetta visione ideologica, allora è difficile pretendere di essere preso sul serio. Per me così non si è diversi da un qualsiasi terrapiattista (con l’aggravante di non essere neppure bizzarramente divertente).

Puoi continuare a polemizzare con quelli che non ti danno credito, gridando al complotto pluto-giudo-pirato-massonico, ma forse riguardare un attimo le tue tesi, che da mesi stai tentando di propinare inaltere in questo forum, confrontandole con la realtà, potrebbe tornarti utile.

Non sto dando a te del nazista, me ne guarderei bene, ma sto dicendo che quello che dici è inerentemente un pensiero che prefigura una organizzazione basata su un’azione necessariamente totalitaria. Credo di aver anche citato la Arendt in merito. Leggere il Mein Kampf non fa di nessuno un nazista per sé, ma adottare la visione di un superuomo (Übermensch), che non è lontana dalla visione dell’hacker che ci propini, ti candida ad essere un propagandista di totalitarismo, probabilmente neppure comprendendolo.

D’altro canto io sono sensibile a questi possibili tentativi perché è ben noto negli ambienti politici che la faccia moderna del post-fascismo ha rigettato i simboli e le liturgie fasciste (svastiche, saluti romani, esaltazioni simboliche ecc. ecc.) per recuperare le essenze ideologiche del totalitarismo sotto altra forma (da questo punto di vista interessante il reportage di Claudio Gatti sull’entrismo post-fascista nella lega, il libro si chiama «I demoni di Salvini»). Che quindi si stia parlando di Übermensch ariano, o Übermensch hacker, per me cambia poco. Credo che ci si debba star lontani (ma questo è ovviamente la mia personale opinione). Proprio un attimo fa parlavamo di tentare di recuperare un partito del “diverso” (Untermensch si direbbe forse), continuare a fare questa esaltazione del superuomo hacker mi sembra quantomeno impropria qui.

Diciamo che non sono esattamente il primo che contesta le tue frequenti manipolazioni linguistiche nel riportare i discorsi altrui (già a cominciare dalla risposta più su in questo stesso messaggio). Mi espongo volentieri all’ordalia che mi hai comminato, e credo di poter nominare mio campione almeno una dozzina di persone qui dentro che hanno avuto a che fare con le tue “transizioni dialettiche neo-linguistiche”. Dormo sonni tranquilli.

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Possiamo chiedere a @marco o se preferisci a Carlo Piana, che il Copyleft lo conoscono bene a livello legale. Ne esistono di diversi tipi, a seconda del grado di reciprocità prevista (dal LGPL alla AGPL, solo per citare le più note licenze GNU). Ma l’unica persona che una licenza Copyleft NON vincola è il programmatore che sceglie di adottarla. Tant’è che un modello di business piuttosto noto è il dual licencing.

La libertà 0 è quella di usare il software per qualsiasi scopo.
E’ una libertà estremamente limitata.

Per esempio, non comporta la libertà di condividerlo (che è la libertà 2).
E non comporta la libertà di studiarlo, di ispezionarlo e comprenderlo (libertà 1) o quella di modificarlo e ridistribuirne versioni modificate (libertà 3).

Se non sai modificare il software che usi, o non ne sai leggere e comprendere il sorgente, è comprensibile che la libertà zero ti appaia come una libertà priva di alcuna limitazione.
Ma non è così. La libertà 0 è la punta dell’iceberg.

Per la verità, no.
Fuori di qui nessuno ha mai definito impropria e superficiale la mia prospettiva, che io ricordi.
E’ stata definita “estrema”, “estremista” e persino “radicale” e “fondamentalista”, ma superficiale o impropria proprio non mi pare. Hai dei riferimenti precisi in cui posso leggere qualcuno definire la mia visione con questi termini?

Quanto al Partito Pirata ho discusso a lungo con @ale sul tema, ma non ricordo che mi abbia definito superficiale. E se fosse, credo francamente che si sia ricreduto in merito.

No, @erdexe non io.

Tutti gli hacker. Da sempre.
Ma che io sappia il primo ad aver focalizzato il valore della curiosità come il valore fondamentale della nostra etica è stato The Mentor. Ed evidentemente tu non sai chi sia.

Guarda, il giorno che conoscerai di persona un hacker diverso da me, un Assange, un Ola Bini, o boh… te ne potrei citare a bizzeffe, ma non ne conosceresti uno, chiedigli se ESR è un hacker o un buffone.

Ciò che tu conosci degli hacker è la propaganda di O’Reilly.
Cioè conosci la versione gentrificata della cultura hacker, che è quella mainstream.

Comunque ti posso assicurare che fra gli hacker nessuno prende sul serio ESR.
A seconda del temperamento, si va da sfotterlo a compatirlo. Bada bene, non per ciò che non sa, o perché si è autonominato storico di un fenomeno in piena evoluzione, o perché è un alt-right americano… no! Perché non sa di cosa parla e ne parla con assoluta certezza.
L’esatto contrario di ciò che facciamo noi.

Con Stallman devo ancora parlarne in effetti! :smile:

Dovevo scrivergli tempo fa, ma poi sono stato preso… dal Partito Pirata.

La Hacking License è una licenza libera.
Rispetta tutte le libertà del software libero e tutte le DFSG di Debian.

Se ti vai a leggere con calma il thread di debian-legal cui fai riferimento scoprirai che ho preso in seria considerazione tutte le obiezioni che mi sono state fatte e che ho integrato i suggerimenti che ho ricevuto nella licenza. Ma questo messaggio di Giovanni Mascellani spiega bene il problema politico di accettare software sotto la Hacking License in Debian nonostante la sua aderenza alle linee guida.

Il punto qui è, come al solito, l’onestà intellettuale.
Per me, o una licenza è libera o non lo è, indipendentemente da chi l’ha scritta.
Per Debian non è così. E capisco le ragioni che ha menzionato Giovanni.
Ma nel caso della licenza che ho scritto per il mio software, sono secondarie.
E’ più importante per Jehanne essere protetta da una licenza come la Hacking License che essere compatibile con Debian GNU/Linux. Questo nonostante il fatto che io usi Debian dai tempi di Potato e che mi piacerebbe poter restituire qualcosa di quanto ho ricevuto dal progetto.

Tuttavia… come siamo finiti a discutere della Hacking License qui? :smile:

Ohibò! Fuffa new age in salsa hacker? :smile:

@BabeleDunnit ti ascolto volentieri.

Ah… non so da dove partire…

Non ne abbiamo già parlato? No era con @ale, ma ti menzionai a suo tempo…

La Curiosità hacker è un’alternativa alla Volontà di Potenza del Superuomo, non la sua espressione.

La Volontà di Potenza deve sempre alimentare sé stessa, ma non ha uno scopo intrinseco e dunque è instabile e soggetta a degradare nella brama di potere fine a sé stesso.
La Curiosità invece ha uno scopo intrinseco: conseguire nuova conoscenza.

Noi viviamo in un mondo in cui il denaro sublima il potere.
Il Capitalismo è una espressione del Superomismo.

La cultura hacker, no.

Bah guarda… non escludo di non aver capito cosa intendessi:

Gli hacker sono persone caratterizzate dalla propria curiosità.
Se per te, considerare la curiosità un valore, un ideale, svilisce la cultura hacker, deduco che per te “essere scientemente e intenzionalmente curiosi, appaia avvilente”.

Se non è ciò che intendevi, mi scuso, ma dovresti cercare di usare meno parole e più chiare.

Dormi sonni tranquilli ma non linki alcuna prova del comportamento che mi attribuisci.

Beh… buona notte! :wink:

Entrare nella macchina politica implica avere un minimo di voti, ha senso candidarsi, partecipare, ma candidarsi e poi non avere nemmeno voce puo’ essere uno spreco di energie…

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Voce ce l’hai dal momento che ti candidi, in quanto sono obbligati a darci uno spazio nella macchina mediatica. E non è mai uno spreco di energia se ci guadagna il partito in visibilità.

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Per sperimentare e cambiare qualcosa servono le azioni, to act ‘agire’ dicono all’actor studio…ho sempre agito in vita mia con l’utilizzo dell’arte come scelta di vita, per me l’arte è vita e la vita è arte come la politica è vita ed anche arte al tempo stesso…Picasso, Guttuso, Marinetti, Balla, Boccioni ne sono stati gli ultimi esempi…purtroppo negli ultimi decenni gli americani da Warhol in poi hanno svaccato scusa il termine l’arte contemporanea rendendola un mero oggetto commerciale…lui affermava che gli americani preferiscono spendere invece di pensare, ebbene lui ha contribuito affinché spendessero di più invece di usare l’intelletto. Anni fa lanciai questo mio progetto che ancora sto portando avanti con una galleria in cui sto inserendo artisti indiani, guatemaltechi, francesi, olandesi, turchi…etc perché l’arte come lo sport sono il miglior esempio del fatto che non esistono confini se non mentali…questi esempi andrebbero portati in politica, che risulta ancora notevolmente arretrata anche rispetto alla ricerca scientifica mondiale. Esiste uno scollegamento tra lo scibile umano che va riunito per creare quell’armonia internazionale ed interraziale di cui ha bisogno l’umanità per poter crescere ed evolversi. L’unione tra i saperi è l’unica ricetta che potrebbe creare quel corto circuito di cui la società ha bisogno. L’ignoranza della politica non dovrebbe rappresentare il popolo, solo l’apice della cultura potrebbe pensare al bene sociale ed alla sua evoluzione. La nobiltà dell’animo umano dovrebbe migliorare ed esaltare i valori sociali. Politici professionisti e ignoranti che non conoscono nulla dell’evoluzione scientifica o artistica degradano i valori sociali affossando le nazioni nella barbarie creando guerre tra stati invece di seminare armonia. Gandhi come il seminatore di Van Gogh fu un seminatore di armonia e pace. Il nostro compito è di creare ponti non di distruggerli. Quel che il diavolo divide Dio unisce…l’arte e la scienza devono aiutare la politica ad uscire dal proprio battibecco sugli interessi individuali pensando agli interessi collettivi per il bene dei nostri figli e per il futuro delle generazioni che verranno. Da troppo tempo la politica, l’economia, la scienza, la religione sono distaccate le une dalle altre. Lo scopo è uno, ‘sopravvivere’. In questo modo ci stiamo auto distruggendo. Un’evoluzione disarmonica legata al mero potere ed all’economia ci porta diritti verso l’estinzione. Le azioni da interpretare sono verso un radicale cambiamento sociale, un’inversione di rotta inevitabile se vogliamo sopravvivere in questo ecosistema.

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oncordo ci guadagnano anche le idee del partito, ad alcuni punti quasi nessun altro ha pensato.

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A chi attribuisci queste espressioni razziste?

Che senso ha utilizzare terminologia tedesca per qualcosa che è facilmente traducibile, la “società bloccata” ? Non è mica come Zeitgeist, un concetto che in italiano non ha traduzione.