Per essere precisi (ok… rompipalle) un singolo studio (per altro su una materia complessa come la sociologia) non può essere considerato verità scientifica. Quando avremo una decina di studi simili tutti riportanti analoghi risultati questa obbiezione sarà valida, ma ora è piuttosto fragile (a meno che esistano altri studi e io me li sia persi… nel qual caso, avresti ragione e mi scuso).
Grazie della sintesi. Molto interessante.
Mi riservo di leggere il libro, ma direi che già la tua sintesi mostra seri limiti.
Anche se questo fosse vero (non sono del tutto convinto), si tratterebbe di un problema culturale, risolvibile attraverso l’educazione. Cito un testo che forse conoscerai:
l’involuzione subita dalla scuola negli ultimi 10
anni quale risultante di una giusta politica di ampliamento dell’area di
istruzione pubblica, non accompagnata però dalla predisposizione di
corpi docenti adeguati e preparati nonchè dalla programmazione dei
fabbisogni in tema d’occupazione.
Ne è conseguenza una forte e pericolosa disoccupazione
intellettuale - con gravi deficienze invece nei settori tecnici - nonchè
la tendenza ad individuare nel titolo di studio il diritto al posto di
lavoro. Discende ancora da tale stato di fatto la spinta
all’equalitarismo assolto (contro la Costituzione che vuole tutelare il
diritto allo studio superiore per i più meritevoli) e, con la
delusione del non inserimento, il rifugio nella apatia della droga
oppure nell’ideologia dell’eversione anche armata. Il rimedio consiste:
nel chiudere il rubinetto del preteso automatismo: titolo di studio =
posto di lavoro; nel predisporre strutture docenti valide; nel
programmare, insieme al fenomeno economico, anche il relativo fabbisogno
umano; ed infine nel restaurare il principio meritocratico imposto
dalla Costituzione.
Non dovrebbe dunque stupirci se oggi i “Vulcaniani”, l’élite, la classe dirigente ha perso completamente qualsiasi contatto con la realtà, è diventata manipolabile e manipolatoria, mentre Hooligan e Hobbit costituiscono una larga fetta della popolazione.
Populismo e Elitarismo sono facce della stessa medaglia, si completano e supportano vicendevolmente.
No.
L’Etica hacker si fonda sulla Curiosità e ha come unico obbiettivo l’acquisizione di Conoscenza.
I valori della Libertà, della Comunione/Collaborazione/Condivisione e dell’Onestà Intellettuale, sono funzionali a questa Curiosità.
Ma il Potere che è l’oggetto della Politica, è totalmente ortogonale a tale etica.
Il fatto che l’ignoranza (fondamentale per l’esistenza della Curiosità) costituisca una debolezza tale da rendere la Conoscenza, nei fatti, una forma di potere, per un Hacker è una enorme seccatura, che rallenta la ricerca di Conoscenza e il Progresso della Umanità intera.
Fintanto che il voto di un ignorante vale più di zero, si tratta solo di equazioni.
La Meritocrazia E’ Elitismo.
L’accesso alla informazione non è equo anche quando la sua distribuzione è accessibile e gratuita.
Riconoscere l’affidabilità delle fonti, di per sé richiede formazione, tempo e fatica.
I poveri saranno sempre meno informati o più male informati dei ricchi.
A meno che per mangiare io debba andare a caccia nel deserto, mentre altri raccolgono la frutta dal loro appezzamento di terreno.
Insomma, in sintesi: la fai davvero troppo facile.
Mah, francamente non mi pare. Anzi, mi pare sia stato fatto pressoché l’opposto (forse proprio per istintiva reazione al tentativo golpista di Gelli, chissà). Quel punto che hai citato, pur essendo parte di un progetto delirante e criminale, su alcuni punti potrebbe essere stato scritto da qualunque osservatore economico/politico contemporaneo. Nello specifico:
Sui “corpi docenti non adeguati e preparati” boh, ovviamente non si può fare di tutt’erba un fascio. Ma se uno confronta i risultati dei test Pisa-Invalsi italiani con quelli degli altri Paesi dell’OCSE, beh, parlano chiaro.
Che ci sia una scollatura quasi totale tra sistema di istruzione pubblica e mondo del lavoro non lo diceva certo solo la P2; lo ripetono da anni pressoché tutte le associazioni di categoria (da Confindustria ai sindacati alle agenzie di collocamento), le istituzioni indipendenti, i giornali (specie alcune testate online tipo Linkiesta o Lavoce.info). Son tutti piduisti? ll cosiddetto “mismatch” tra domanda e offerta di lavoro è un dato di fatto: le imprese cercano ingegneri e trovano filosofi (in estrema sintesi).
Diciamo che nel corso degli anni la parola | uguaglianza | ha subito un cambiamento di significato; quella di cui parla la Costituzione è l’uguaglianza “ai nastri di partenza” (art. 3:
(…) è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta` e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Invece quella che molta gente ha in mente è un’uguaglianza “sul traguardo”; tutti bisogna laurearsi, e se ci laureiamo tutti bisogna avere la certezza del posto di lavoro. E se il mercato non è in grado di trovare occupazione a decine di migliaia di filosofi, allora significa che il mercato è cattivo, e dev’essere il pubblico a supplire assumendo tutti.
Sgombriamo il campo da un equivoco: io non penso affatto che l’attuale classe dirigente sia composta da Vulcaniani. Magari fosse così. L’attuale classe dirigente è composta anch’essa da Hobbit & Hooligan: il che è ovvio, dato che Hobbit e Hooligan sono anche gli elettori.
Licio Gelli aveva in mente un’oligarchia, non certo un’epistocrazia.
L’equivoco di fondo su cui mi pare si basi tutto il tuo ragionamento è che l’èlite economica debba per forza coincidere con l’elite intellettuale. E’ vero che tendenzialmente è sempre stato così, nella storia, ed è vero che i ricchi sono tendenzialmente meglio informati dei poveri. Ma appunto a questo servirebbero le istituzioni repubblicane: a colmare questo gap.
Nota a margine: è la stessa Costituzione italiana, all’articolo 48, a precisare che anche i “civilmente incapaci” e i “moralmente indegni” dovrebbero essere esclusi dall’esercizio del voto, e che è la legge a stabilire chi è “civilmente incapace” e “moralmente indegno”. Il che, nel corso degli anni, ha dato vita a situazioni a dir poco irrazionali.
Prima del 1978 esisteva una legge (n. 1058/1947 “Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali”) che recitava chiaro e tondo “non sono elettori gli interdetti e gli inabilitati per infermità di mente”; fu la legge Basaglia ad abrogare queste disposizioni.
Ancor più sconcertante il fatto che, fino al 2006, l’esercizio di voto fosse precluso agli imprenditori falliti, per cinque anni dal fallimento (fonte).
Se così fosse, con tutta la fuffa che gira sulle “AI etiche”, oggi l’Italia si troverebbe in estremo vantaggio competitivo!
La P2 era una loggia massonica eversiva completamente focalizzata alla propaganda.
Per tutta una serie di ragioni, tale propaganda ha funzionato alla grande.
Licio Gelli in un’intervista (che ahimè non riesco a trovare) riconosceva a Berlusconi il merito di aver realizzato il suo progetto e si dichiarava, generosamente, non interessato ad alcun riconoscimento come autore (insieme a tanti altri) di tale progetto.
E per la verità, se mi guardo intorno, non posso veramente dargli torto.
Leggiamo l’articolo 3 nella sua interezza:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese.
Io non vedo un “ai nastri di partenza” da nessuna parte.
Io leggo che la Repubblica vuole/deve rimuovere gli ostacoli che limitano libertà e uguaglianza, perché questi limitano lo sviluppo della persona umana e di conseguenza della società.
La persona umana si sviluppa continuamente, dal concepimento fino alla morte. E partecipa alla vita economica, sociale e politica della società lungo tutto il percorso.
Dunque, ripeto, la retorica agonistica che permea la nostra società è frutto di decenni di propaganda Capitalista.
La vita non è una gara. “Uno su mille ce la fa”, solo se accetta l’egemonia culturale che gli impone di competere con i propri simili. Se invece l’individuo sceglie autonomamente di collaborare, ce la fanno tutti.
E se non l’hanno fatto in 60 anni, cosa ti fa pensare che potrebbe iniziare adesso?
Il tuo ragionamento è estremamente semplicista.
La lezione della Storia è chiara tanto che la riporti tu stesso. Un approccio del genere non può che condurre ad una oligarchia. più precisamente ad una aristocrazia, ad un “governo dei migliori”.
Con una differenza: in vece di un Re a stabilire chi sono i migliori, avremo i potenti a definire quali domande fare in sede elettorale e quali sono le risposte giuste.
A cosa nello specifico fai riferimento parlando di Varoufakis?
Considerando che ciò è una condizione biologica della mortalità e della cognizione dell’essere umano, che porta le persone a specializzarsi in attività differenti, questo è davvero una obiezione a quanto dice?
Non mi è chiaro il legame fra mortalità, meritocrazia ed elitismo: cosa intendi con quel passaggio?
Di certo, delega (e dunque una fiducia commisurata, verificabile e revocabile) e specializzazione costituiscono una risposta evolutiva al consumo energetico del cervello umano: il 4% del nostro peso consuma fino al 25% dell’energia.
Tuttavia la mia obbiezione è relativa ad una specifica attività: la Politica.
La Politica non è un’attività individuale ma intrinsecamente collettiva.
L’idea che possa (o peggio debba) essere una professione, una specialità come la medicina o l’agricoltura, è una aberrazione del nostro tempo.
Una sorta di inganno egemonico finalizzato a giustificare e far interiorizzare il concetto di “classe dirigente”, di una necessaria superiorità intellettuale del eletto rispetto al elettore.
Il Parlamento dovrebbe essere un luogo di dialogo fra persone diverse con specializzazioni diverse che cercano soluzioni ai problemi per il Bene Comune.
Un luogo pieno di contadini, programmatori, medici, infermieri, maestre etc… estremamente competenti nei rispettivi ambiti che cercano sintesi fra i bisogni delle persone.
Invece ci ritroviamo da decenni con un Parlamento di avvocati, notai, “politici di professione” e subrette che cercano compromessi fra interessi di gruppi contrapposti (quando va bene) o marchette elettorali (quando va male).
Supponi pure che ci sia un politico di professione in buona fede: incompetente su qualsiasi materia pratica e circondato da persone del genere, come può non essere succube del lobbista che sembra più preparato in materia?
Dunque la mia obbiezione è che la Politica non deve essere una specialità dell’individuo ma una elaborazione collettiva: il dialogo (che ne è presupposto) deve essere insegnato a scuola sin dalle elementari, come (e attraverso) la lettura, la scrittura e la programmazione.
Stavo sottolineando il fatto che è inevitabile la formazione di sottoculture esclusive relative a competenze specifiche, e mi pare anche coretto giudicare l’autorità della persona in quella sottocultura in base alla sua competenza, sempre nell’ambito di ciò che concerne quella comunità. Perciò non mi era evidente quale è l’obiezione posta, dato che è uno sviluppo necessario in condizioni di scarsità di risorse quali tempo ed energia.
Non sono d’accordo, ritengo che la politica nella scala odierna sia troppo complessa perché si possa invalidare la necessità di una formazione politica, non facile da acquisire, per partecipare al ramo legislativo. Rispetto la disciplina delle scienze politiche e ritengo che sia estremamente difficile avere contemporaneamente competenze sofisticate in domini come quello informatico o medico e nella prassi politica.
Sono quelle le professioni più comuni perché sono le più preparate in campo legislativo, non è impedito
l’accesso a persone di differente formazione se non attraverso meccanismi interni dei partiti più popolari.
Un politico rispettabile cerca nella sua squadra di tecnici diversità di formazione professionale (e politica); in base al consenso che ricava tra tecnici può far leva sulle sue competenze di prassi politica per promuovere disegni di legge o emendamenti coerenti con quanto ricavato. Idealmente.
A mio parere le due sfaccettature coesistono e sono in rapporto simbiotico, senza una o l’altra è difficilmente evitabile un periodo di stagnazione o regressione, quantomeno politicamente.
Dialogo == dibattito? Se sì, sarebbe competenza della filosofia (non storia della), e mi trovi più che d’accordo.
Indipendentemente dalle nostre opinioni, il testo Costituzionale è chiaro.
Vai a rileggerti quegli articoli: non troverai alcun requisito culturale per rappresentare la Nazione.
Altrimenti potremmo risparmiarci le elezione e fare concorsi pubblici per scegliere i Parlamentari migliori.
Io la vedo in modo esattamente antitetico: l’unico prerequisito della politica deve essere la capacità di dialogo volto ad una sintesi.
Le nozioni tecnico legali possono essere fornite da tecnici come avvocati etc…
Mi fa piacere.
Il lavoro come informatico mi ha sottratto al corso di Scienze Politiche nel lontano 2002.
A quel che ho potuto vedere nei miei anni Universitari, non c’è nulla di trascendentale nelle Scienze Politiche: è una materia con millenni di Storia. Anche le novità, non sono poi così sorprendenti: nuovi rami di un albero maestoso.
L’informatica per contro è ancora ai primordi.
Un seme da cui stenta a spuntare un germoglio (per mille ragioni, culturali, sociali, economiche, geopolitiche).
Eppure sono convinto che chiunque può programmare. Non su Excel o Scratch… ma sul serio.
Ed è nostro dovere diffondere la nostra conoscenza e renderla accessibile!
Programmare deve essere come leggere e scrivere.
E programmare è una attività profondamente Politica. E tutti possono altresì fare Politica.
Anzi per la precisione, in Italia non fare Politica è illegale!
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Mi trovi d’accordo, ma credo che fare ciò con metodo e accuratezza è estremamente difficile nel contesto legislativo più generale che ci sia, e proprio per questo ritengo che ci sia bisogno di una formazione ad hoc; non ritengo assolutamente che è necessaria una laurea nelle materie sopracitate, ma sono necessarie delle competenze che non puoi trovare nel pedagoga o nell’informatico qualunque.
Ciò non vale anche per gli altri campi? Cosa rende meno meritevole di comprensione la materiale legale in un organo la cui funzione è proprio legiferare?
Firmerei e incornicerei.
Non ho capito questa parte francamente, come ho detto nel messaggio precedente ritengo che la politica parlamentare non può prescindere dall’attività politica “in basso”", quindi suggerirei che ci troviamo d’accordo su questo!
La giurisprudenza non è “meno meritevole” delle altre materie, semplicemente è una esigenza “strumentale” non “finale”.
Le leggi sono lo strumento per regolare la società, lo strumento operativo del Parlamento, ma non sono lo scopo del Parlamento, il suo fine.
Dunque l’avvocato deve essere uno strumento del Parlamemtare che però non ha bisogno di essere avvocato lui stesso.
Perché è più utile un contadino in Parlamento di un avvocato a parità di buone intenzioni?
Perché è più probabile che si legiferi su quali fertilizzanti utilizzare piuttosto che su come fare le leggi (visto che una Costituzione ce l’abbiamo già).
E mentre se un lobbista suggerisce al contadino di imporre di concimare con una tonnellata al metro quadro di prodotto X, il contadino ha l’esperienza per dire che è una cazzata ed ucciderebbe il terreno, l’avvocato non è in grado di comprendere appieno l’affermazione del lobbista. E anche se l’avvocato è così illuminato da volersi informare, non ha le competenze per selezionare un contadino competente che gli spieghi.
Naturalmente questo è più vero sulle materie dalla storia più breve, come l’informatica. Il politico che non sia informatico di professione non può scegliere un informatico competente a supportarlo.
Io ho già iniziato nella 5 elementare di mia figlia.
Una risorsa interessante se vuoi provare anche tu è Fare.
Vero e -per quanto mi riguarda- anche giusto. Però l’oggetto della discussione erano i requisiti culturali degli elettori, non degli eletti. E sui primi, ribadisco, l’articolo 48 della Costituzione dice chiaro e tondo che sono esclusi dal diritto di voto i “moralmente indegni” e i “civilmente incapaci”.
Un attimo: non confondiamo il concetto di “esercitare la sovranità” con quello di “fare politica”. Il popolo esercita la sovranità attraverso il voto, ma votare non è obbligatorio (tantomeno lo è il militare in un partito o fare alcunché di politico). Questo perché anche uno che diserta le urne si sta esprimendo: sta dicendo che per lui/lei chiunque vinca tra i partiti in corsa non fa differenza, che è come dire “qualunque sia la volontà della maggioranza relativa dei miei concittadini, per me va bene”.
Mmmm. Siamo sicuri che sia “l’esperienza” a poter far dire se il prodotto X “va bene” o meno? Istintivamente direi che piuttosto sarebbe la competenza in chimica e biologia. (Nulla vieta di per sé che il contadino abbia davvero studiato queste materie, ma immagino che qui si stia parlando di un ipotetico contadino con basso titoli di studio). Anch’io ho la patente e guido spesso l’automobile, ma non per questo sarei in grado di dire se un certo nuovo modello di spinterogeno sia migliore o peggiore di un altro (e se dovessi assistere a un dibattito tra 2 ingegneri sul tema, non so come riuscirei a dire chi ha ragione e chi ha torto. Al massimo potrei favorire quello più bravo a parlare, ma non è detto che sia quello più competente o che abbia ragione).
Ora, in base alla celeberrimo effetto Dunning-Kruger, chi sa poco tende a sopravvalutarsi e chi sa molto tende ad essere prudente. Il punto quindi sarebbe assicurarsi che chi sta in Parlamento abbia consapevolezza dei propri limiti, e in un caso del genere abbia l’umiltà di chiedere lumi a tecnici del settore. (Tra l’altro, gli avvocati in particolare sono una categoria professionale che più di ogni altra è abituata alle perizie di parte e a gente che tira l’acqua al proprio mulino a forza di perizie dalla pretesa oggettività).
Quindi la domanda è: siamo davvero sicuri che sia più facile abbindolare un avvocato di un contadino? [E’ interessante osservare storicamente il ruolo che le masse contadine hanno avuto negli ultimi secoli. Sono sempre andate dietro a chi garantiva loro vantaggi materiali -come tutte le altre classi sociali, del resto- e hanno contribuito a moti sovversivi; solo che alcuni di li chiamiamo “rivoluzioni” e li consideriamo pilastri nella storia del progressismo, mentre altri li etichettiamo sotto altri nomi. In termini più semplici: i contadini hanno contribuito alla rivoluzione francese, ma anche alla Vandea, al Sanfedismo, al fascismo, allo stalinismo etc.].
Non ti focalizzare sull’esempio: il punto è che devi avere una profonda esperienza e competenza tecnica su una materia per poter anche solo discriminare il vero dal falso, figurati per cogliere le conseguenze di una variazione legale!
In informatica questo è palesemente evidente data l’incompetenza diffusa non solo fra i politici ma fra gli informatici stessi.
Naturalmente i contadini non starebbero lì da soli, ci sarebbero anche chimici, etc… ma il punto è che “un ipotetico contadino con un basso titolo di studi” porterebbe un apporto culturale utilissimo al Parlamento: ciascuno di noi ha bias e limiti che sono visibili solo da chi ha una prospettiva diversa e distante dalla nostra.
Un Parlamento uniforme (culturalmente e socialmente) è inevitabilmente miope.
L’idea che saper leggere Latino sia più utile di sapere quando trapiantare un ulivo è miope arroganza.
E questa arroganza ha prodotto il Governo attuale.
Gli avvocati in Parlamento sono probabilmente la categoria meno utile in assoluto, visto che la Costituzione è già scritta e gli italiani non la vogliono proprio cambiare.
La tua interpretazione dell’articolo 48 è in netto contrasto con l’articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
I Principi Fondamentali si chiamano così perché stabiliscono come interpretare il resto della Costituzione.
La tua cultura di riferimento non ti rende “civilmente incapace”, esattamente come non ti rende “civilmente capace”.
Il messaggio originale voleva sostenere la tesi contraria: secondo la legge attuale è vero quanto dici tu, ma è vero che non è richiesta educazione civica per l’esercizio della propria sovranità? Il cittadino senza fondamenta di economia, diritto, storia è tanto diverso nel suo esercizio del voto da un ragazzino in piena pubertà?
Prego!
Se ti interessa ho altro materiale utile per insegnare informatica senza nemmeno accendere un computer (che tanto i ragazzi di computer a casa ne hanno a bizzeffe), ma non vorrei annoiare questo forum e andare off-topic. Per esempio, sto scrivendo un Vademecum hacker da cui ho tratto le definizioni che ho spiegato ai bambini (e che è in diretta polemica con il New Hacker Dictionary di ESR).
Per questo esiste il secondo comma dell’articolo 3: è compito della Repubblica garantire a tutti queste fondamenta su cui costruire. La differenza con la proposta “epistocratica” è che fornire tali fondamenta aumenta il potere decisionale di tutti i cittadini senza negarne l’uguaglianza e la pari dignità.
E poi, l’epistocrazia come descritta sopra assegna la sovranità non più al popolo, ma a chi stabilisce i requisiti culturali minimi per “valere di più”, le domande da fare, e le risposte giuste.
In un mondo in cui si può diffondere le risposte sbagliate e misurare quanti risponderebbero giusto profilandone le preferenze politiche, questo significa che chi stabilisce domande e risposte, decide chi vince le elezioni con matematica certezza.
Aldilà dello stato dell’educazione italiana che è insufficiente in termini di formazione civica, cosa sulla quale siamo d’accordo, perché stai dando per scontato che il cittadino decida di usfufruirne?
Basta osservare il modo in cui viene vissuto l’ambiente scolastico dalla maggior parte degli studenti: non è colpa solo degli insegnanti, ma anche degli studenti nel modo in cui vivono l’istituzione. Come si affronta dunque la persona che delibera spontaneamente di essere ignorante parzialmente o totalmente?
Questa è una degenerazione della proposta, non necessariamente conseguenza dell’implementazione della stessa: ci sono basi che accomunano l’impianto teorico di tutte le proposte politiche ben formate.
Solo un’ultima precisazione: l’articolo 3 vieta di discriminare sulla base di “sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. In riferimento a ciò di cui si discute qui, la proposta sarebbe in contrasto con l’art. 3 se chiedesse di escludere dal diritto di voto le donne (o gli uonimi), i Rom, i gay, gli ebrei, quelli di sinistra etc.
Per chi volesse approfondire il tema della costituzionalità di una proposta del genere in riferimento proprio al contesto italiano, ribadisco l’invito a leggere il libro di Brennan nella sua edizione italiana: c’è una prefazione a firma di Sabino Cassese (uno dei massimi costituzionalisti in vita), che in buona sostanza spiega che dal suo punto di vista non si andrebbe a violare la Costituzione.
Nessuno sceglie di essere ignorante, alcuni scelgono che certe materie non gli interessano.
Il che significa che ogni cittadino ha qualcosa da offrire alla Repubblica.
Ma anche se qualcuno scegliesse la totale ignoranza, e decidesse dunque di votare in modo randomico o persino contrario ai suoi interessi, la Repubblica deve rispettarne la volontà.
Un presupposto fondamentale della libertà è la responsabilità. Risponderà a se stesso e agli altri delle conseguenze.
edit aggiungo che se le persone che “scelgono l’ignoranza” è statisticamente rilevante e può condizionare un elezione politica (anche fosse con un sistema totalmente proporzionale), allora si evidenzia una violazione della Costituzione da parte della Repubblica stessa, specificatamente nel articolo 3 secondo comma.
In altri termini, lo stato attuale del Paese è figlio di decenni di governi eversivi di matrice P2-ista.
Scegliere che determinate materie non ci interessano o non sono la priorità è decidere di essere ignorante in quelle determinate materie.
Sono d’accordo, ma non è solo attraverso il diritto di voto che si partecipa allo Stato. Il diritto di voto è la possibilità di essere proattivi (in un certo grado) nei confronti della regolamentazione della vita all’interno dello Stato, ma non è necessario per parteciparvi e aderirvi.
Questo è il principio del suffragio universale, ed è ciò che sta venendo contestato qui. Per quanto mi riguarda, io sono dalla parte dei giuspositivisti.
La maggior parte dei votanti sono palesemente irresponsabili nei confronti della propria scelta politica, come dimostra l’assetto politico attuale del Governo: è come mettere un falegname a fare l’ingegnere edile, sarà pure responsabile di ciò che fa ma ha davvero modo di ottemperare a quella responsabilità?
La disponibilità di mezzi non implica che l’utente li usi, e.g. utente di Windows che usa Word senza avere mai effettuato una sostituzione con regex. La Repubblica offre servizi che permettono al cittadino di svilupparsi (su tutte la estesissima rete bibliotecaria), ma sicuramente non fa abbastanza perché l’educazione civica sia una parte importante del percorso formativo.
P.S.
Inoltra pure in privato, mi segno tra le pagina da leggere il tuo testo.
E io sto contestando la solidità teorica e la fattibilità pratica della alternativa proposta.
Facciamo così: il giorno che verrà istituita l’epistocrazia io fondo un nuovo partito, il “Partito Democratico” (DOH!!! ), con un singolo punto di programma: ripristinare la Democrazia.
Chi voteranno gli elettori razionali il cui voto è ignorato dalla Repubblica?