L’etá delle intuizioni non prova la loro veridicitá.
E se io avessi un “idea, informazione, nozione, costrutto” che non é possibile comunicare, forse che quella che passa attraverso le sinapsi del mio cervello e disegna il costrutto non é informazione?
Quindi la danza delle api, dove un’ape descrive in termini trigonometrici la posizione di un campo di fiori rispetto alla posizione del sole, non é scambio di informazioni?
La traccia lasciata da una formica a terra per farsi seguire dalle altre formiche, non é scambio di informazioni?
Potrei fare la stessa affermazione. Specchio riflesso!
Concordo, é esattamente quello che stai facendo con il concetto di informazione.
No, la scienza non si puó proprio mettere ai voti. Se il motore diesel non si accende non sará una mozione su LQFB a farlo ripartire.
Non voglio tentare di dimostrare l’indimostrabile. Ma per speculare, mi devo chiedere come interpreti le informazioni (interazioni?) che si scambiano un protone e un elettrone all’interno di un atomo di idrogeno, o anche, il principio di indeterminazione di Heisenberg, dove addirittura la raccolta delle informazioni sull’esperimento influenza il risultato. Se é tutto nella mente umana dobbiamo accettare che la sola presenza del concetto di informazione nella mente dell’osservatore influenza il risultato dell’esperimento.
Ed ogni concetto informatico puó essere espresso matematicamente. Ed entrambi possono essere espressi tramite un linguaggio diverso inventato allo scopo. Thanks to Godel e Turing. L’informatica inoltre si fonda sull’aritmetica, che é un modesto (quanto superbamente potente) sottoinsieme della matematica.
Involontariamente ho detto la stessa cosa citando Godel e Turing, lingue diverse per dire le stesse cose. Per esempio, se avessi aggiunto la Fisica alla tua lista, nessuno ci avrebbe fatto caso. Ma poi ci dovremmo chiedere se é la Filosofia che contiene la FIlosofia naturale o viceversa.
Da qui in poi ti occupi di nuovo di altro.
Ma Neo si é preso la pillola direttamente dalle mani di Morpheus? Non sapeva che le mani sono importanti veicoli patogeni?
Giustissimo, ma se un geniale demagoga sta convincendo tutti che la sua mozione farà in modo che per legge tutti i motori diesel funzionano anche senza carburante, una mozione che conferma il consenso scientifico a riguardo, cioè che il motore diesel richiede carburante, permetterà al Gruppo Integrità di invalidare la proposta del geniale demagoga in quanto anti-scientifica.
Se non formalizziamo la scienza a livello legale, non abbiamo la possibilità di eliminare le proposte bugiarde dai referendum con la conseguenza che in un qualche futuro un Trump può far passare le politiche che favoriscono la distruzione del pianeta per generazioni future, semplicemente perché non gli stato impedito di negare il riscaldamento globale.
Cioè l’esempio diesel è talmente banale che anche i bambini sanno che il motore poi non funziona, ma basta che prendi un contesto scientifico più complesso ed una persona convincente può sottomettere la scienza alla politica, come infatti avviene quotidianamente in gran parte degli ambienti governativi.
Formalizzare i consensi scientifici permette di fermare questi abusi che stanno distruggendo l’ambiente.
Non si possono eliminare le proposte bugiarde. Perché non é possibile definirle bugiarde. Al massimo si puó creare una griglia, per esempio in Italia non si possono abrogare le tasse.
Scienza e politica sono mondi diversi che seguono regole diverse. L’unica possibilitá é il dibattito e la speranza che chi é al comando sappia agire con saggezza quando arriva il momento.
Lo scambio chimico-fisico che avviene fra le cellule del tuo cervello è semplicemente un evento fisico.
Non ha, in sé, alcun significato. Il significato viene attribuito dall’osservatore.
Lo scambio però causa e manifesta una trasformazione all’interno della tua mente.
La mente è il fenomeno soggettivo che percepisci quando pensi.
Sebbene causato da una sequenza ordinata di complessi eventi fisici, la mente non è un fenomeno fisico.
All’interno di questa mente si costruiscono diverse idee (costrutti) alcuni dei quali alcuni sono comunicabili ad altri membri della nostra specie ed altri no.
Quelli comunicabili sono Informazioni. Quelli non comunicabili sono qualcosa d’altro.
Le percezioni che ci giungono dall’esterno si propagano nel cervello e si proiettano nella mente umana.
La forma di questa mente è determinata evolutivamente da un punto di vista genetico (la struttura del cervello), e da un punto di vista Culturale.
Lo sbadiglio ed il sorriso mostrano come i due aspetti siano strettamente accoppiati.
L’evoluzione non è solo un fenomeno fisico che influenza il DNA di individui e specie.
E anche un fenomeno Culturale, che influenza le Informazioni e la Cultura di una specie.
Tuttavia questo significa che l’Informazione è un costrutto tipicamente umano.
E’ un’astrazione: non è qualcosa di presente nell’universo ma una delle possibili interpretazioni dei fenomeni che percepiamo. Incidentalmente è una delle interpretazioni specifiche e fondamentali della nostra specie, segno che produce una specializzazione evolutiva molto forte nel nostro ambiente socio-biologico.
I fenomeni accadono fuori della nostra mente ma noi li percepiamo attraverso di essa.
Le conversioni da informazione a dato e da dato ad informazione è così rapida ed inconsapevole che la maggioranza degli esseri umani non le distingue. Tuttavia noi informatici possiamo percepire la differenza ad un livello quasi fisico nel momento in cui una certa quantità di dati che abbiamo analizzato decine di volte e conosciamo quasi a memoria, repentinamente acquista un ordine e un significato.
In quell’istante il dato diventa informazione.
Naturalmente non è del tutto esatto, il dato nella nostra mente non c’è mai stato: sono le percezioni, che sono informazioni “di basso livello” che hanno trovato un ordine ed un significato comunicabile ad altri esseri umani, l’Informazione appunto.
No, davvero. Il bug per esempio non è un concetto matematico.
Se fosse possibile definirlo matematicamente, evitarlo sarebbe possibile. Così non è.
Perché è la manifestazione dell’ignoto, del complesso, del caotico. E’ sempre diverso ed imprevedibile.
Ed è una fortuna!
Perché il bug ci fornisce un appiglio per uscire dall’illusione di dominare la realtà.
Il linguaggio è informazione esso stesso. Informazione condivisa in una popolazione che ne veicola il fenomeno che chiamiamo Cultura (cui esso stesso appartiene).
Il fatto che due diversi linguaggi possano veicolare, in modo diverso e per popolazioni distinte, la stessa informazione significa che tale informazione deriva da un’intuizione che le due popolazioni condividono.
In altri termini: Filosofia, Matematica ed Informatica studiano gli stessi fenomeni.
Per questo le menti molto versate in una, possono spesso spaziare nelle altre.
E per questo, nel corso della Storia queste materie si sono fuse, divise e contaminate continuamente.
Io so pochissimo di Filosofia e Matematica, per esempio (e ho sempre un po’ la speranza che @MCP intervenga per smontare le mie riflessioni con i superpoteri tipici della sua materia).
So qualcosina di Informatica, però. Per esempio, so di non sapere!
L’osservatore osserva un evento e nella necessitá di descriverlo crea una definizione e un termine che la descrive. Nel caso specifico crea una nozione (costrutto, idea) che chiamiamo informazione. Ne consegue che l’informazione come evento fisico esiste a prescindere dalla nostra descrizione. Noi la descriviamo solamente, ma se fai fuori tutta la vita intelligente dall’universo, l’informazione non cessa di esistere, cessa di essere descritta.
Tecnicamente il pusher stava indicando pillole
Non mi risulta, a meno che tu non abbia proposto una sorta di inquisizione in salsa scientology.
Non é possibile. Anche i vulcaniani quando si arriva alle questioni di potere utilizzano gli strumenti della politica. Non oso pensare cosa farebbero i nostri baroni universitari.
Se non c’eri nel thread riguardo alla intersoggettività, allora te lo sei perso. L’ho linkato, non posso mica riempire il forum con sempre le stesse cose.
Non é possibile.
Puoi continuare a digitare il falso. Sarà come il motore senza diesel.
Tutto da dimostrare.
Infatti il q.e.d. si riferisce al tuo “unica possibilitá”. Dato che esiste un’altra possibilità ho dimostrato che ti sbagli.
Rispondo qui anche a @mutek (di cui mi piacerebbe anche conoscere l’opinione sull’articolo, soprattutto se su questi temi riflette da quando ha 16 anni ), perché le vostre affermazioni sono quasi sovrapponibili.
Il punto è che la mente non è il cervello.
Il cervello è fenomeno oggettivo presente nello spazio-tempo.
La mente è una esperienza soggettiva che, anche se inscindibile dallo spazio-tempo, definisce un sistema autonomo dallo stesso. Anche se il nostro cervello è strettamente legato ai meccanismi fisico-chimici che lo caratterizzano, la nostra mente può immaginare sistemi completamente diversi e liberi da tali meccanismi.
Se vogliamo, vi è lo stesso tipo di indipendenza che intercorre fra hardware e software in esecuzione.
Gli scambi sinaptici sono eventi fisici, oggettivi, presenti nello spazio tempo.
E hanno effetti fisici, oggettivi e presenti nello spazio tempo.
Ma le idee sono costrutti mentali, ovvero esistono nello sistema mentale di uno specifico essere vivente dotato di un sistema nervoso sufficientemente evoluto e potente da poterle supportare.
Le informazioni sono anch’essi costrutti mentali ma sono un sottoinsieme delle idee e sono specifici dell’uomo: sono quelle idee che è possibile comunicare precisamente ad un altro essere umano attraverso un linguaggio.
Cioè di tutte le Idee che esistono in una mente, le Informazioni sono quelle che è possibile comunicare.
L’evento fisico, lo scambio di sostanze chimiche e impulsi elettrici fra i neuroni, non è informazione esattamente come 64 bit in un area di memoria non sono un numero. Attraverso il supporto fisico che lo veicola, il dato appartiene alla realtà fisica e oggettiva. Ma fintanto che non viene interpretato non è informazione.
E l’informazione non esiste se non all’interno della esperienza soggettiva che chiamiamo mente.
Il fatto che vediamo uno scambio di informazioni guardando alle formiche in fila è una interpretazione di quell’evento oggettivo ma non è presente nell’evento oggettivo in sé.
Si tratta di un fraintendimento che, per la sua efficacia evolutiva, è difficile (ma non impossibile) da superare.
Quello che manca nel tuo ragionamento é il passaggio dove riesci a dimostrare che senza l’uomo non esiste informazione. Il mio appunto si riferisce al fatto che l’informazione, intesa come “nozione, costrutto, idea”, esiste in un qualunque sistema capache di elaborare dati. La comprensione, il discernimento non fa parte della definizione di informazione. Cioé é un inutile orpello, da quel punto di vista.
L’informazione che tu descrivi é il modello mentale del concetto di informazione che noi ci siamo fatti. La formula che descrive la caduta di un grave, non é la caduta del grave, é la descrizione della caduta del grave. Ma se tu distruggi la nostra comprensione e descrizione di quella formula, i gravi non smettono di cadere e l’informazione non cessa di essere elaborata.
E no! Il sistema capace di elaborare dati, elabora e contiene dati.
I dati sono appunto rappresentazioni di informazioni che noi produciamo o collezioniamo in qualche modo.
Ma l’informazione in sé è solo nella mente umana.
Non saprei dire se l’ha fatto prima Einstein con la relatività o Heisenberg con il principio di indeterminazione.
Senza osservatore l’evento esiste?
Tuttavia questa è una risposta parziale, perché non nega la distinzione fra informazione e evento fisico.
Penso di poter fare di meglio.
Il mondo non è una simulazione.
La simulazione avviene nelle nostre menti*.
L’evento fisico della caduta del grave avviene indipendentemente dal fatto che noi lo sappiamo spiegare o comprendere perché è indipendente dalla informazione che noi abbiamo. Se noi non lo guardiamo mentre cade, lui cade comunque (o forse no? )
L’informazione non è spazio-tempo, materia o energia.
Siamo noi che abbiamo tratto un vantaggio evolutivo dall’interpretazione di materia ed energia come informazione (percezione) ed abbiamo imparato ad utilizzare materia ed energia per veicolare informazione (attraverso una rappresentazione che chiamiamo dati)
*) ho letto che nel canovaccio originale di Matrix, gli uomini non venivano usati come batterie ma come processori. La capacità che alcuni avevano di modificare la realtà nella matrice derivava proprio dal fatto che il loro cervello ne elaborava la simulazione. Per questo il bambino ad un certo punto dice a Neo che non può piegare il cucchiaino, ma deve piegare se stesso. All’epoca si ritenne che l’idea era troppo complessa, e si ripiegò sull’uso degli uomini come batterie (cosa francamente ridicola da un punto di vista economico).
Ci stiamo servendo a due fontane diverse. Tu approcci il concetto di informazione in termini filosofici, io in termini tecnici. Per me l’informazione é una relazione (o funzione) che se applicata a un dato (o insieme) A mi ritorna uno o piú dati b1, b2, … bn.
Ora, é normale e anche legittimo che i concetti primitivi abbiano piú di una definizione, ma il problema della tua definizione é che non contempla ad esempio il “passaggio di informazione” in assenza di umani. Se l’informazione é comunicazione, cosa cambia se a comunicare non sono due umani?
La sento poco formale e troppo elaborata, la trovo poco funzionale all’utilizzo, se non in campo umanistico. La useró quando guardo il sole che al tramonto comunica col mare, ma sicuramente non mentre spedisco una email.
No, l’informazione non è comunicazione.
L’informazione è un’idea comunicabile. Non necessariamente comunicata.
La domanda comunque è molto interessante.
Cosa si scambiano i delfini in mare? E le balene?
Secondo la mia definizione, ciò che si scambiano non è Informazione, perché l’informazione è una esperienza soggettiva specifica dell’uomo, ma un qualcosa di funzionalmente analogo specifico della loro specie.
Io assumo che la mente del delfino, la sua esperienza soggettiva di sé, sia profondamente diversa da quella umana e dunque profondamente diversa siano i costrutti di tale mente. Quelle che noi interpretiamo come comunicazioni sono scambi funzionali alle esigenze evolutive della loro specie, che poco hanno a che fare con la nostra.
Chiamare i costrutti della mente di un delfino (o di un cane o di una mosca) Informazione è un tentativo improprio di renderli antropomorfi per spiegarne con i nostri modelli il loro comportamento.
Temo che tu non l’abbia compresa.
Il sole non ha una mente che possa elaborare un’idea comunicabile e rappresentarla in un linguaggio comprensibile al mare (il quale a sua volta non ha una mente in grado di interpretare il dato ricevuto attraverso un supporto fisico e convertirlo in un’idea comunicabile).
Se invece quando scrivi una mail ti chiedi “cosa comprenderà il destinatario leggendo queste parole?” allora stai esattamente usando la mia definizione di informazione. Stai facendo una analisi informatica: come rappresentare un informazione sotto forma di testo (ovvero dati) in modo tale che il destinatario sia in grado di dedurne l’informazione originale interpretando il testo stesso.
Mi hai frainteso, ho usato la tua definizione. Usando la tua definizione, il sole e il mare diventano “dati” che la mia mente elabora: colore del cielo, orario, posizione del sole rispetto al mare. Informazione acquisita: tramonto.
Il sole tocca il mare: informazione (idea, nozione) il sole comunica col mare.
Ammetto che ho scelto una metafora infelice, avrei dovuto usare un costrutto senza comunicazione per rendere tutto più esplicito.
Rielaboro qui una risposta che Shamar ha già ricevuto in privato. In una prima approssimazione il tuo discorso potrebbe rimaner comprensibile se al posto di informatica mettessimo filosofia, e invece delle dicotomia informazione/ dati si usasse quella logos - grammata (nel senso di
rappresentazioni sensibili ma dotate di intenzionalità) Per intenzionalità si intende che tali rappresentazioni sono state “scritte” allo scopo di rappresentare qualcosa.
Logos in greco significa sia “discorso” sia “ragione” - per dire che il suo oggetto è composto da nozioni comunicabili intersoggettivamente.
La definizione aristotelica dell’uomo era zoon logon echon, cioè essere vivente capace di discorso/ragione: nulla, naturalmente, vieta di pensare a esseri razionali non umani (https://en.wikipedia.org/wiki/The_Devil_in_the_Dark). Per riconoscerli come tali dovremmo però ammettere che abbiano un loro logos e che noi sappiamo riconoscerlo o almeno sospettarlo come tale.
Tutto quello che diciamo - non solo i programmi che scriviamo - modifica il mondo e crea automatismi. Si pensi per esempio all’oratoria di chi è avvocato di mestiere: a me personalmente irrita, perché mi sento manipolata, ma che in sede processuale non scientifica può essere efficace al suo scopo - che è quello di convincerti, cioè di “programmarti”.
Platone, per esprimere ciò, inseriva fra il sapere (pensiero di chi sa perché) e i grammata (rappresentazioni morte che devono essere riconvertite in sapere) la doxa o opinione (pensiero di chi sa che). Un società che funziona secondo opinioni, anche corrette, è una società automatizzata ed esposta al “malfunzionamento” perché i suoi componenti sanno che fare ma non sanno perché lo fanno, e quindi sono esposti all’errore in situazioni non previste dalla cultura che li ha “programmati”.
Il debugging (cercare ciò che rende un discorso disfunzionale rispetto al suo scopo dichiarato, o allo scopo di chi cerca di ritrasformarlo in sapere) non è un’esclusiva dei programmatori: è quanto fa per esempio uno studioso di filosofia con i suoi testi, o uno storico quando vaglia l’attendibilità di una fonte, o Copernico col sistema tolemaico - che funzionava ottimamente, ma riusciva a spiegare le fasi dei pianeti interni e i moti retrogradi dei pianeti esterni solo con l’ipotesi ad hoc degli epicicli.
La mia domanda dunque è: è appropriato definire l’informatica come una scienza universale del logos? Si può rispondere in due modi diversi, a seconda di quanto si voglia legare l’informatica all’arte di scrivere programmi - i quali, rispetto ai discorsi, sono un mero sottoinsieme. Però se si slega l’informatica dalla programmazione (o meglio, dal trattamento automatico dell’informazione) si ottiene qualcosa di molto simile alla filosofia.
La metto in modo diverso: per il filosofo una società che funzionasse esclusivamente tramite l’opinione corretta, cioè con una automazione perfetta ma senza consapevolezza, sarebbe un male perché a medio e lungo termine verrebbe a mancare il sapere e la ricerca del sapere: per un informatico invece un settore del mondo che girasse secondo un programma scritto da lui e perfettamente adeguato al suo scopo che cosa sarebbe? Un successo o un insuccesso professionale?
Storicamente, almeno in occidente, le scienze sono nate come filosofia (vi ricordate di Talete, Anassimandro, Anassimene?) e poi si sono via via separate da essa: Pitagora era capo di una setta mistico-filosofica nella quale i matematici erano gli iniziati, all’epoca della rivoluzione scientifica moderna i fisici chiamavano ancora se stess filosofi naturali, Adam Smith, uno dei padri dell’economia politica moderna, insegnava filosofia morale all’università di Edimburgo, e così via. Con questo il mio scopo non è argomentare a favore del primato della filosofia: voglio piuttosto dire che tutte le discipline che ne sono figlie partecipano dello spirito della filosofia. E se vogliamo possiamo pure cercare di farle tornare “a casa”: ma come riuscirci senza eliminarne la specificità?
Da un altro punto di vista, storico culturale, le tue riflessioni possono essere lette come un sintomo: l’aspirazione a ricostruire un discorso comune in un mondo frammentato dallo specialismo (Lucio Russo, La cultura componibile, 2008) - che significa sapere niente di tutto, e tutto di niente - e dunque anche finire a scrivere programmi senza più chiedersi perché lo facciamo.
Ti ringrazio moltissimo Maria Chiara per la tua risposta.
Parto dalla tua domanda alla mia categoria perché credo di saper rispondere.
In generale, SAREBBE UN INCUBO TERRIBILE ! ! !
La differenza fondamentale fra legge e programma, è che la legge presuppone libertà (persino quella di violarla) mentre il programma no. La legge stabilisce limiti all’azione umana ma la lascia libera all’interno degli stessi. Il programma invece definisce precisamente cosa l’agente programmato farà.
Tuttavia questo succede piuttosto frequentemente nella realtà senza che nessuno si lamenti.
Nonostante i problemi che il software comporta.
Il problema è che, al di là dell’informatica, ogni automatismo che introduciamo sottrae conoscenza alla comunità rendendola dipendente dall’automatismo stesso (e da chi è in grado di manutenerlo).
Questo pone un problema di potere e uno di responsabilità.
Nel momento in cui automatizziamo un processo, acquistiamo potere nei confronti della comunità che adotta il nostro automatismo, ma spesso non ci sentiamo (e non siamo legalmente) responsabili dei nostri errori (vedi l’esclusione di qualsiasi garanzia nelle licenze software).
D’altro canto il software è sempre sbagliato. I bug sono inevitabili (almeno nell’Informatica odierna).
E scrivere l’incantesimo per invocare un demone non è la stessa che eseguirlo per un certo scopo.
Scienza direi di no, in quanto non adotta propriamente il metodo scientifico.
Però credo che la simmetria fra logos ed informazione da un lato, e fra grammata e dato dall’altro sia assolutamente appropriata. Sono termini che fanno riferimento alla stessa idea, alla stessa intuizione, pur in epoche e società diverse.
Questo non solo ci dice quanto lungimiranti fossero i filosofi antichi.
Conferma anche che l’informatica non riguarda i computer, ma uomini che non sono poi cambiati così tanto.
Forse potremmo definire l’Informatica come Filosofia Universale del Logos?
Assolutamente no!
Tuttavia è una attività così preponderante nella nostra vita quotidiana da modificare il nostro modo di ragionare, la nostra forma mentis, molto profondamente.
Anzitutto le varie discipline che citi si distinguono per l’oggetto della propria ricerca.
La fisica studia le leggi fondamentali dell’universo, l’economia studia le relazioni economiche umane, etc…
La Matematica studia… la mente umana.
Non studia qualcosa di esterno, studia la struttura dei costrutti della mente umana che sono comunicabili e coerenti (secondo la percezione umana della coerenza).
L’Informatica invece studia… la mente umana.
Qui i computer, in quanto specchi per le nostre menti, rischiano di confonderci. Ma noi non studiamo solo gli specchi, noi studiamo anzitutto ciò che riflettono. E ciò che riflettono sono le nostre menti. Sia nel loro funzionamento che nei programmi che eseguono.
Dunque non si tratta di far ritornare la Matematica e l’Informatica all’interno della Filosofia.
Si tratta di riconoscere che sono sempre state la stessa cosa.
Se è vero, tutta la riflessione filosofica pregressa diventa interpretabile attraverso strumenti informatici. E tutta l’informatica odierna diventa analizzabile con gli strumenti filosofici del passato. L’Etica non è più qualcosa di estraneo da applicare allo sviluppo informatico, ma è parte dell’informatica stessa. La responsabilità Politica del programmatore non è più negabile. E così via…
L’informatica si differenzia dalla filosofia per il suo modo (apparentemente) diretto di agire nella realtà.
Attraverso il computer che esegue il software, il Logos agisce direttamente nel mondo senza bisogno di un essere umano che lo interpreti (e lo stemperi, e lo adatti). Ma ai miei occhi questo non è che una evoluzione della filosofia stessa, che invece di restare solo nelle menti curiose, diventa attiva nella realtà fisica e sociale (pur con tutti i limiti di un artefatto umano).
Se l’Informatica è Filosofia, allora possiamo insegnare l’una e l’altra insieme.
Possiamo cioè insegnare a chiedersi perché un sistema complesso funzioni in un certo modo.
Trasformiamo così ogni automatismo, computerizzato o meno, in uno stimolo alla curiosità, alla ricerca.
L’automatismo da strumento di potere diventa veicolo di liberazione.
Se l’Informatica è Filosofia, comprendere a fondo l’Informatica significa diventare Filosofi.
Ma filosofi “pericolosi”, capaci di evocare il Logos nel mondo reale e di dominarlo.
In altri termini, la mia proposta per il Partito Pirata dal 2020 è di renderlo una leva per sollevare il mondo.
E sì… la mia è una visione Politica dell’Informatica… e della Filosofia.
@Shamar: L’informatica si differenzia dalla filosofia per il suo modo (apparentemente) diretto di agire nella realtà. Attraverso il computer che esegue il software, il Logos agisce direttamente nel mondo senza bisogno di un essere umano che lo interpreti (e lo stemperi, e lo adatti). Ma ai miei occhi questo non è che una evoluzione della filosofia stessa, che invece di restare solo nelle menti curiose, diventa attiva nella realtà fisica e sociale (pur con tutti i limiti di un artefatto umano).
Ecco, questo è il punto. Esistono teorie filosofiche (Hegel e i suoi successori) per i quali il Logos è la realtà e la realtà è il Logos, “senza bisogno di un [particolare] essere umano”. Gli individui, in quanto esseri pensanti, trovano infatti il loro senso nella partecipazione al Logos oggettivo e sovra personale, e non viceversa.
Hegel, per il quale la storia è il processo in cui il Logos si attualizza diventando realtà, sosteneva però che questo sviluppo ha luogo avvolto in una nuvola di accidentalità (ossia “bugs”). Questa tesi è stata molto criticata perché equivale a dire che ragione e realtà sono la stessa cosa, ma anche no.
Per te, però, un’automazione perfetta sarebbe “un incubo terribile”, perché sottrarrebbe conoscenza e responsabilità alle persone. Perché sai, al modo di Kant, che il logos è una nostra elaborazione, una nostra prospettiva e non Logos sovra-umano alla maniera di Hegel. Questo è l’orizzonte filosofico che ti permette di riflettere sui limiti cognitivi e morali dell’automazione.
E però, come informatico, arrivi a questo orizzonte critico non grazie a programmi che funzionano bene, ma grazie a programmi che funzionano male. Cioè grazie non a un successo, ma a un insuccesso professionale. Perché, informaticamente, la questione filosofica non ha origine dalla discussione, ma dal bug. Come mai?
Si potrebbe rispondere perché l’informatico diventa filosofo quando deve fare i conti con i limiti dell’automazione, cioè con i limiti del suo scopo professionale. E allora si accorge che programmare significa prendere decisioni, sottoporre il modo a un sistema basato su una rappresentazione, selezione e organizzazione dei grammata o data dipendente da una scelta, che i suoi programmi hanno un effetto politico e così via. Detto in altre parole l’informatico diventa filosofo quando scopre che la techne dell’automazione è settoriale e non universale.
Non è mia intenzione argomentare a favore del primato della filosofia, che come disciplina accademica non mi interessa gran che, ma mi preme far notare che, come riconosci tu stesso, l’automazione, nel bene e nel male, è la specificità dell’informatica, e non della filosofia. Se non fosse così io dovrei preferire mille volte i programmatori di Windows in quanto filosofi che, presentandomi spesso il blue screen of death, mi inducono a meditare sui limiti dell’automazione e sulla generale caducità delle cose umane, specialmente se scritte con Word.
Prendiamo una vicenda recente: l’affare vaccini in cui “Nel nome della scienza” si obbligano i neonati a sottoporsi ad un certo numero di vaccinazioni.
Un tempo si sarebbe detto “Dio lo vuole” ma oggi Dio ha perso buona parte del suo appeal ed ecco la scienza, anzi la Scienza.
Il problema è che così come non esiste Dio ma esistono i sacerdoti non esiste la scienza ma esistono gli scienziati che sono, ahimè corruttibili ed hanno spesso atteggiamenti da intervento psichiatrico,per l’incapacità di ascoltare le opinioni altrui e la strenua difesa delle proprie. (e qui gli scienziati sono più d’uno)
Inoltre gli scienziati non sono infallibili.
Infine accanto ai maghi ci sono gli stregoni. (Le fake-news ed altri metodi sono portate avanti dagli scienziati che si occupano di manipolazione dell’opinione pubblica)
Gli scienziati poi rifiutano i principi etici che invece dovrebbero essere propri dei politici
Alla tua domanda si puó rispondere si solo nella misura in cui definiamo che il concetto di logos e informazione sono la stessa cosa. Non ho una comprensione completa del concetto, ma credo che se é un concetto che si é elaborato molto in campo filosofico, probabilmente esisteranno dei punti in cui diverge dal concetto di informazione. Se invece accettiamo l’equivalenza, l’informatica é il complesso di scienze che studia l’informazione e quindi il logos.
Qui devo fare un inciso, il programma é il sistema che va ad elaborare l’informazione attraverso un input e rilascia un output. Cioé se l’informazione é logos e i dati sono grammata, il programma é quella cosa che ottenendo dei grammata in input, li elabora e fornisce una nuova sequenza di grammata in output. Se la prendiamo in questo modo, immagino che il programma possa essere un “discorso”.
Se sia un successo o un insuccesso professionale é ininfluente, il successo inteso in questi termini é un elemento psicologico che non cambia la forza dei risultati.
Il compito dell’informatica non é fare valutazioni etiche, ma é di automatizzare tutto, e di costruire sistemi che ti permettono di non affrontare lo stesso problema due volte.
Non si puó essere consapevoli di tutto ció che avviene, per esempio, per fermarmi ad un semaforo, ho dei dati in input da 3 dei miei sensi: vista, udito, tatto, il cervello riceve l’immagine del semaforo e il rumore del motore, calcola la distanza, modula la forza sul pedale del freno, scala di marcia, queste due azioni necessitano nel primo caso un lavoro sui muscoli e le articolazioni di dita, caviglia, ginocchio e anca e per l’input da orecchio del lavoro del braccio cioé spalla, gomito, polso, dita. C’é anche il realtime. L’elaborazione deve essere eseguita entro un tempo preciso, altrimenti il programma fallisce.
Come puoi vedere ci sono un sacco di subroutine automatiche (molte di piú di quelle che ho scritto) che vengono eseguite per raggiungere uno scopo che riteniamo molto semplice e vengono eseguite senza consapevolezza.
Ma la presenza di queste, non elimina la presenza dei problemi, ci sono nuove sfide e nuova ricerca del sapere che si poggiano immediatamente sui sistemi automatici dei quali ho appena perso la consapevolezza.
Certamente questi sistemi rimarrano oggetto di studio per qualcuno, ma la magia consiste nel farti guidare la macchina senza aver bisogno di sapere che ci sono delle subroutine che lavorano per te, perché se tu le elaborassi ogni volta non saresti in grado di guidare una macchina.
Io non credo che Shamar volesse proprio dire che un programma che funziona bene sia una cosa sbagliata. Forse qui l’elaborazione del ragionamento ha preso una strada balorda.
Peró sui bug qualcosa si puó dire, i “discorsi” informatici, sono “discorsi” matematici, cioé sono costretti in un ambito formale e devono rispettare delle regole, esiste tutta una materia che studia le varie tipologie di bug di fronte alle quali ci si puó trovare ma in generale si puó dire che non é possibile dimostrare che un programma funziona correttamente.
E’ invece possibile dimostrare che non funziona. Cioé la scoperta del bug é una prova sicura di fallimento, ma se io non riesco a trovare bug non ho dimostrato che non ce ne sono.
La correzione di un bug é la prova che quel bug non esiste piú, ma non é la prova che non ce ne siano altri.
Quindi in quest’ottica, il bug é il buco nel ragionamento, il punto dove si puó infilare il piede di porco e che permette al filosofo successivo di evolvere o distruggere quello precedente costruendo una infrastruttura completamente nuova e piú solida.
Ció non toglie, che l’informatico, come il filosofo apprezza la soliditá di un ragionamento e come tale non puó amare windows e il blue screen tanto caro ai filosofi pre-Kant.
Per questo ho sempre proposto un metodo per arrivare ad un concetto di scienza intersoggettiva per ridurre la fallibilità e non restare sul soggettivo… e solo in questa via mi pare che la politica sia subordinabile alla scienza.