Conoscenza, semplicità, complessità, consumo (Semaforo nutrizionale)

Mi fa piacere che alcuni apprezzino questa novità di Nestlé: l’azienda in passato si è comportata molto male (famoso l’affare del latte Nestlé in Africa), tanto che ha subito molti boicottaggi. Ma se è giusto dare anche a chi esce di prigione una nuova opportunità a maggior ragione è corretto riconoscere ad un’industria i meriti quando mostra pentimento per i danni alla salute perpetrati in passato e cerca di rimediare introducendo soluzioni innovative che grandemente contribuiscono alla cosa più importante che abbiamo: stare in buona salute. Sono certo che Nestlé, nella sua onestà, avrà organizzato i parametri correttamente, a costo di dare semaforo rosso a molti dei suoi prodotti. Da notare che se la speranza di vita nel mondo cresce diminuisce invece la speranza di vita sana ed una delle cause è proprio il cibo spazzatura che ingurgitiamo tutti i giorni.

Se pensate di intervenire all’AO di Torino vi conviene portare un po’ di soldi, perché una mia pozione,ricavata da erbe autoctone del biellese, trovata in un diario della mia bisnonna fa miracoli, non solo per la salute (depura ogni organo) ma anche per l’estetica (ferma la caduta dei capelli e brucia i grassi

Era già stato introdotto nella perfida Albione. Qui il primo articolo che mi è capitato sotto mano:

ATTENZIONE Ogni semplificazione è una perdita di conoscenza Populismi ed altre aberrazioni culturali prosperano sulla semplificazione. Semplificando semplificando si arriva a due contendenti ed a quel punto è guerra

Il maggior contributo alla cultura italiana da parte della politica è stato dato dal partito radicale degli inizi con l’introduzione del concetto di “diverso” che tagliava la gola al dualismo “Giusto / ingiusto” “Vero / falso”, …

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basta guardare cosa dice di mangiare Salvini sul suo profilo con l’intento di fare indentificare l’italiano medio… :sob:

hai ragione non avevo pensato al fatto che un bollino indurrà le persone a fidarsi senza controllare sul serio…

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Volevi dire di Milano, vero?

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A me in ogni caso questa mentalità anti-anglosassone mi fa girare sempre i coglioni, come a rimarcare poi una supremazia altra (quale, italica? mediterranea? greca?).

Let’s move on please (notasi come l’inglese sia la lingua del pianeta Terra, no way out, così, tanto per dire…)

Non è mica una novità che il cibo italiano sia pieno di sale e grassi, oh. Ma è tutta una questione di quantità, sul medio periodo: se un giorno mangi mezzo chilo di pasta non succede niente; se ne mangi 200g al giorno per un mese, prendi 4 chili senza neanche accorgertene.

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Ho spostato 4 messaggi in un nuovo argomento: La perfida Albione

Non c’è nessunissimo dubbio! La conoscenza è un po’ come i pani e i pesci della parabola: è l’unica risorsa che puoi dividere e moltiplicare insieme e che puoi condividere senza ridurre proporzionalmente in base al numero di fruitori…

La conoscenza è sempre un vantaggio, anche quando è parziale

altrimenti, se dovessimo respingere le semplificazioni, dovremmo abolire anche la scuola elementare.

Comunque l’OMS ha stilato un documento importantissimo ( https://italiarappginevra.esteri.it/rappginevra/resource/doc/2019/05/draft_document.pdf) in cui lega l’adozione di una corretta e immediata comunicazione all’adozione di una dieta sana. Eppure “l’ambasciatore” italiano all’OMS ha lanciato una critica di fuoco in cui sostiene che non vi sia nulla di scientifico nella classificazione “a semaforo” e che il miglioramento in termini di salute pubblica o di lotta all’obesità non sia dimostrato da alcun dato.

La realtà è che di dati scientifici a favore delle etichette chiare ne stanno emergendo molti ma il problema è che, secondo la lobby dell’agroalimentare, il made in Italy ne sarebbe penalizzato. Da una parte infatti la coldiretti è focalizzata sull’esaltazione della “qualità topografica” (p.es: le cose che si fanno tra Reggio e Parma sono sempre migliori, che siano grassi, o documenti di certificazione…); dall’altra, le grandi industrie alimentari italiane sono da anni focalizzate su prodotti iperenergetici…

A questo si aggiunge la grettezza localistica e la presunzione di eccezionalità dell’imprenditore medio italiano che si caga sotto di fronte ad ogni novità che non gli consenta di farsi bellamente i cacchi suoi! Ma l’imprenditore italiano conosce benissimo anche la cultura media del consumatore italiano… Un consumatore che è ormai abituato da circa sessant’anni a comprare riso vialone, senza sapere che in quel pacchetto potrebbe non esserci neanche un chicco di vialone!

Pensate che Danone, multinazionale che produce oltre a prodotti mediamente sani, anche un fracasso di monnezza, prevede di introdurre l’etichetta a semaforo su tutto l’assortimento entro la fine del 2020. Ma non lo farà… Indovinate dove? … ma in Italia, naturalmente! Una scelta che discrimina i consumatori italiani per una ragione chiara: “gli Italiani sono stupidi e se vedessero un semaforo rosso o arancione potrebbero esserne terrorizzati” (per non parlare dei Romani, che di fronte a un semaforo arancione, inizierebbero ad accelerare vertiginosamente, andando a sbattere con il carrello contro gli scaffali)…

Pertanto, siccome, noi lo facciamo diverso (e meglio, ovviamente), l’Italia ha presentato alla Commissione Ue una proposta alternativa al “semaforo”: l’etichetta “a batteria”. Praticamente la stessa cosa ma con l’icona della batteria del cellulare… Perché? Beh… perché no! Io sarei stato curioso di vedere le facce dei colleghi europei quando hanno sentito la traduzione della proposta italiana (quelli che si tolgono le cuffie perché pensa a un’interferenza, quelli che ridono sotto i baffi, quelli che fanno le faccine buffe…)! Già mi immagino i “gegni” del nostro marketing alimentare che usano il simboletto della batteria stracarica (=cibo monnezza) per connotare positivamente la “ricarica di energia” apportata da quel cibo…

L’unico problema è che in questo modo rimane ancora troppo riconoscibile il cibo monnezza: io avrei inserito più prudentemente una rappresentazione su piano cartesiano della funzione che descrive l’assimilazione energetica del prodotto alimentare (Y) sul tempo successivo all’assunzione (X). Naturalmente, in bianco e nero, per non traumatizzare i bambini…

Per concludere, non scandalizziamoci se la Nestlé introduce una misura positiva per i consumatori. Se lo fa è perché le conviene, perché il suo marketing ha già trovato il modo di gestire il rischio, perché probabilmente già conosce bene il fatto che la prossima ventura dirompente novità legislativa sarà quella della riconsiderazione dei danni causati dal consumo di zucchero.

Per chi comunque non volesse arrendersi a questo tentativo di lasciare gli Italiani nella loro grassa (non crassa) ignoranza, è possibile firmare la petizione per richiedere l’obbligatorietà del “Nutriscore”. Pensate che la raccolta firme è stata promossa da SETTE associazioni dei consumatori: una francese (la promotrice UFC-Que Choisir), una spagnola, una olandese, una belga, una tedesca, una polacca e una greca. Non ce ne è invece nessuna italiana! La stessa Altroconsumo che è sempre stata favorevole all’iniziativa, non ha potuto dare l’adesione… per motivi organizzativi!!! Il ché mi sembra dimostri che aver destinato fondi pubblici alle sue iniziative, sia stato effettivamente un lungimirante investimento…

Beh… riscattarci dalla vergogna di sembrare l’unico popolo che si beve (e si mangia) qualsiasi cosa, mi pare un motivo valido per sperare che siano tantissimi gli italiani che vorranno firmare quella petizione: https://eci.ec.europa.eu/009/public/#/initiative

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Alla scuola elementare insegnano concetti semplici, non semplificati.

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Sì, insegnano anche concetti semplicemente semplici… Ma alle elementari la maggior parte dei concetti vengono semplificati: l’evoluzione, la struttura della terra, l’atomo, praticamente tutta la storia antica, la geometria, la fluidodinamica (no, quella no :wink: ). E non lo si fa solo alle elementari, ma è un metodo didattico che si pratica in tutti i corsi compresa l’università, fino ad arrivare ad un elevato livello di conoscenza settoriale della materia…

Non sono molto d’accordo: premesso che si potrebbe senza ombra di dubbio affermare che ogni conoscenza è sempre parziale (o almeno most of them), a volte è peggio la parziale conoscenza che nessuna conoscenza.

Se non conosci per niente qualcosa, magari la temi, magari non ti esponi pubblicamente con un pensiero a riguardo o peggio come esperto. Se invece conosci parzialmente (ma non sufficientemente) qualcosa, i danni potrebbero essere superiori ai vantaggi.

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E devo dire che è un metodo che ho sempre trovato discutibile: infatti coi miei figlioli non lo uso. Cerco se un concetto è difficile di dargli più strumenti (semplici) che permettano loro la comprensione piuttosto che dargli in pasto una semplificazione che da un lato non fa capire molto e dall’altro potrebbe risultare persino ingannevole.

Per non parlare delle semplificazioni a livelli più alti d’istruzione: chi semplifica all’università è un criminale.

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Dipende dal punto di vista. Di solito disprezziamo la conoscenza parziale solo perché siamo convinti di avere una conoscenza completa

Mi spiace ma questa mi era sfuggita! Non vorrei essermi espresso male ma quello che intendevo è che al corso di tecnica delle costruzioni puoi spiegare benissimo le proprietà dell’acciaio per lo scopo in questione ma a un fisico specialista nel campo delle leghe metalliche, quella spiegazione sembrerà comunque una volgare semplificazione. Dipende sempre tutto dal punto di vista e dalla messa a fuoco desiderata

Guarda, ciò che dici è probabile e frequente (anche nei libri di scuola di mia figlia alle elementari io e mia moglie abbiamo trovato strafalcioni da picchiare la testa contro un muro!), ma non necessario.

Nelle lezioni che ho tenuto ai bambini di 5a elementare, ho spiegato il protocollo ed il routing IP. Ho omesso alcuni dettagli (e ho spiegato perché li omettevo) ma non ho detto nulla di falso o impreciso. Stessa cosa per il One Time Pad: tutto ciò che ho spiegato era corretto e preciso, ma ho usato somma/sottrazione in modulo invece dello XOR bit a bit (cioè ho reso l’algoritmo leggermente più complesso, ma più comprensibile) ma ho spiegato che era una versione “per 5a elementare ma sicura esattamente come quella originiale” dell’algoritmo di cifratura OTP.

In altri termini, secondo me, se conosci veramente una materia, la sai spiegare omettendo alcune parti che potranno essere aggiunte dopo, ma senza banalizzare concetti per renderli più digeribili.

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epperò…ragionando su questo contesto specifico: un segnale che mi porta a ragionare che il cibo è composto di tanti elementi che possono essere potenzialmente nocivi, è qualcosa che spinge ad informarsi comunque, magari non subito, magari non sempre, ma comunque spinge ad approfondire rispetto a nessuna informazione. Mi vengono in mente l’acquisto delle uova: in molti le prendono per l’aspetto, il costo o la marca. Oppure perché sono “biologiche”, senza nemmeno sapere cosa significa. Però basta mettere in chiaro sull’etichetta alcuni elementi, come quello di aver allevato i polli in gabbia o all’aperto, che scatta il ragionamento. Per esempio nelle giovani donne in età riproduttiva queste etichette acquistano improvvisamente molto valore ed in genere trasmettono questo modo di valutare il cibo nei loro figli. Molte sono le patologie legate all’alimentazione e quando ci s’imbattono le persone tendono a chiedere maggiori informazioni. Metterle sull’etichetta aiuta a fornire degli elementi per approfondire che, altrimenti, sarebbero più difficile da raggiungere…

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Non ci sono dubbi sulla utilità di una etichetta chiara.

Ma non può banalizzare ed appiattire la complessità, o finisce per disinformare invece di incuriosire.

Se tutti i prodotti si ritrovano con un semaforo rosso o giallo, cosa vuoi che faccia il consumatore disinformato? Penserà “paraculi” e ignorerà l’etichetta come rumore di fondo.

La dicotomia fa bene/fa male (anche se divisa in un arcobaleno di 25 gradazioni) ha solo una utilità manipolativa.

Vogliamo dargli un significato utile? Bene: usiamo le informazioni raccolte dai supermercati sugli acquirenti per tracciare le abitudini, per permettere al Ministero della Salute di correlare prodotti e malattie. E a quel punto facciamo partecipare le aziende produttrici alla spesa sanitaria che causano come esternalità del proprio business.

A quel punto le 25 gradazioni sono utili.

Tutti i dati riportati su un’etichetta sono utili. Ma il semaforo, cioè un giudizio, dato per di più da un produttore e non da un ente terzo è un invito alla manipolazione. Se il semaforo è riferito a 50 g. di pane avrà un colore, se riferito a 50 kg di pane un altro e questo è solo il parametro più semplice che puoi definire a tua scelta. Abbiamo tutti sentito la campagna contro l’olio di palma perché “faceva male”, era cancerogeno, … In realtà nulla di tutto questo (a dosi normali) ma fa malissimo all’ambiente. Come rientra questo nel semaforo? Il pericolo maggiore, oltre alla possibilità di manipolazione (semaforo per un cioccolatino, mentre tutti se ne hanno di più ne mangiano di più) è l’abitudine al semaforo, per cui tutte le altre considerazioni svaniscono. (il semaforo delle uova di galline allevate all’aperto è uguale per quelle allevate in gabbia con antibiotici)

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Forse la battaglia di Coldiretti sarebbe piú condivisibile se invece di metterla in termini di difesa dalla nazione la mettevano in termini di difesa della trasparenza nei confronti dei consumatori…

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