Come sapete, il partito pirata non mi è estraneo: ero con Athos quando nacque, quasi in concomitanza con quello svedese. E come molto di voi sanno - perché mi conoscono personalmente - non ne faccio più parte. Resto “amico” dei pirati. Non di tutti, beninteso, resto amico dell’idea pirata (oltre che di alcune persone). Ma veniamo a quel che ho scritto (che ho solo scritto e di cui, ovviamente, non ho la disponibilità di pubblicazione; quella, lynX, come è facile immaginare, la decide il Manifesto, al cui sito si accede dietro una semplice registrazione. Esattamente come in questa pagina; sito, anche questo va detto, dove tutti gli articoli sono in copy left. Ma anche questo lo sanno - quasi - tutti…) E sgombriamo il campo da alcuni equivoci. Falkvinge non è uno qualsiasi per il movimento pirata. E’ di fatto l’inventore, il fondatore del movimento. Quello che gli ha garantito il primo successo, senza il quale non ci sarebbero stati gli altri. Tant’è che il partito pirata italiano ha voluto tradurre il suo libretto (che francamente lascia il tempo che trova). E io insisto molto, Exeklas, sui suoi trascorsi: contano, eccome se contano. E’ stato in un’organizzazione di destra. E per me questo vale più di qualsiasi cosa. Non che non si possa cambiare idea - l’ho fatto anche io tante volte nel corso della mia vita - ma lui non ha mai rinnegato il suo passato. E’ stato di destra. Certo, non in una destra squadristica, di quelle che siamo abituati a conoscere da noi, che mascherano il razzismo dietro avulsi slogan da destra sociale. No, lui è stato di destra “classica”, tradizionale: quella che sta con le imprese contro il lavoro, quella che sta coi privilegi contro i diritti. E a lui il suo trascorso piace così com’è. Ma tutto ciò potrebbe essere secondario. Per me conta il contenuto. Anche qui, però, per favore: non prendiamoci in giro. Basta digitare su un qualsiasi motore di ricerca il nome di Falkcvinge e torrentfreak per avere l’elenco completo dei suoi “saggi”. E ancora per favore non diciamo che usa l’evocazione del “mercato” per provocare. No, il mercato è il suo valore, è l’architrave attorno a cui costruisce la sua idea di società. Legittima, beninteso. Così come è legittimo il pensiero di “briganzia” secondo il quale “il libero mercato non è così sbagliato”. L’unica cosa che non si può dire - mi dispiace - è che il mercato è sbagliato dentro il sistema capitalistico. Basta avere letto un-libro-uno (non dico Thomas Piketty ma basta un Federico Caffè nostrano) per sapere che le due cose non sono scindibili: il mercato - inteso come creazione di valore e plusvalore - è insito strettamente al capitalismo. Non esisterebbe l’uno, senza l’altro. E anche le forme attuali di degenerazioni non sono “casuali”, non sono recuperabili attraverso aggiustamenti. Le spaventose disuguaglianze sociali sono necessarie al capitalismo, per ristrutturarsi, per continuare il suo dominio. Pensa che se ne sono accorti addirittura economisti moderati americani… Sì, il mercato - cioè la ricerca del profitto -, meglio la battaglia contro il mercato è la ragione per cui ho cominciato a fare politica decenni fa. Oggi non la faccio più ma quelle ragioni mi sembrano sempre più attuali. Visto che le logiche del mercato sono “entrate” in tutti gli aspetti della vita, non solo in quella produttiva. Addirittura determinano la sfera dei rapporti personali (anche qui basta aver letto un-libro-uno…). E invece la grande speranza dei pirati è finita proprio lì, nella difesa del mercato. Falkvinge è un caso? Ed è un caso anche l’“economia sociale di mercato” di cui parlano i pirati tedeschi (espressione presa pari pari da Konrad Adenauer, leader della storica e orrenda destra democristiana tedesca)? E’ un caso anche questo? E Julia Reda nella sua drammaticamente moderata proposta di riformina del copyright che parla della tutela dei “legittimi diritti delle imprese”, cos’è, un altro caso? Potrei continuare all’infinito. Potrei ricordarvi che i pirati greci - nel paese assalito dalla Troika - hanno scelto di presentarsi alle elezioni in una mini coalizione con un partito di estrema destra (cosa che ovviamente ha provocato una spaccatura al loro interno ma la maggioranza s’è dichiarata d’accordo). No, non è questo il movimento pirata che intendevo anni fa. So benissimo che i pirati italiani - anche se posso parlare solo per quelli romani - sono un’altra cosa. Sono - erano? - legati ai movimenti sociali, quelli veri, reali, non quelli inventati a tavolino. Ma forse non è un caso che le uniche esperienze che contano - “No Ttip” e altro - non le hanno realizzate come partito pirata ma in rassemblament assieme ad altre forze sociali. Forse reali, movimenti sociali concreti; i quali, se tessete le lodi sperticate del mercato, vi prendono a pizzettoni in faccia. So bene che esistono anche altre espressioni dei pirati. Quelli islandesi - che ho citato nel pezzo -: non a caso governano Reykjavík assieme alla sinistra radicale. Su un programma che prevede l’“esproprio” del 10 per cento del patrimonio immobiliare per assegnarlo agli indigenti e ai migranti. Esproprio, sì esproprio pubblico. L’esatto contrario delle logiche di mercato. Ma sono casi isolati. La verità è che invece di assomigliare a Podemos, il movimento pirata internazionale assomiglia sempre più a Ciudadanos. Il rinnovamento della politica è solo nelle forme. Si parla esclusivamente di partecipazione ma non ci si interroga sugli obbiettivi di quella partecipazione. Mi spiego meglio: come sa chi mi conosce - come detto di alcuni sono amico - sono stato a Kobane, in Kurdistan. Ho visto, sperimentato, “toccato” cosa sia la vera partecipazione. Anche in un campo profughi, dove non mangiavano da tre giorni, anche in città - Cizre - senza connessione da mesi. Partecipazione vera, popolare, espressa con voti. Su tutto. Addirittura su questioni “militari”. Ma si tratta di una partecipazione non dettata solo dalla battaglia ai corrotti (quella la faceva anche La Malfa, la destra pulita della Prima Repubblica) ma da un progetto: di redistribuzione di risorse, di radicale redistribuzione delle ricchezze, di primato del bene comune. E invece al posto di quel progetto politico qui c’è il mercato, c’è l’apologia delle start up. Invece di un’idea solidale (e quindi antimercantilistica) della società, invece di una “filosofia” per far vincere il basso contro l’alto, qui c’è la solita retorica sui soldi dei politici. E poco più. Vabbè, l’ho fatta lunga. Me ne scuso. Davvero. Magari ci rincontreremo. Nelle battaglie contro il copyright. Non perché sia contro il mercato (come se i monopoli fossero estranei al mercato) ma perché la fine del copyright sarà un passo in avanti nella battaglia per un sapere condiviso. Sottratto, appunto, alle logiche di mercato.
Stefano