«Falkvinge elogia il libero mercato» | il manifesto - Stefano Bocconetti

Il «corsaro» si toglie la benda

Copyright. Rick Falkvinge, «ideologo» del movimento pirata, elogia il liberissimo mercato

Stefano Bocconetti @guevaraetotti il manifesto 03.01.2016

Qui l’articolo incriminato

WHEN AUTHORS DEMAND PAYMENT FOR EVERY COPY, THEY ADVOCATE COMMUNISM

BY RICK FALKVINGE ON DECEMBER 21, 2015

Mi piacerebbe sentire l’opinione di altri pirati, in particolare di chi ho incontrato di persona un po’ di volte e la cui conoscenza mi ha fatto decidere di entrare nell’associazione… @FelynX @lynX @Long_John_Simon @Ronin @athos @Vins

E già che ci sono taggo anche @guevaraetotti!

Fortunatamente non abbiamo leader.

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Credo di avere un’opinione pessima del soggetto. A mio avviso ha avuto la fortuna d’indovinare una mossa senza nemmeno esattamente sapere quello che faceva, da allora si è battuto alla morte per conquistarsi un posto al sole, personale, vedasi la polemica per partecipare alle europee, ed ora continua nella sua strategia, visto che i pirati sostanzialmente lo ignorano tanto vale cambiare nave e col massimo del tornaconto mediatico. Sicuramente non l’ho mai percepito come pirata. my2c

Mi pare che l’articolo di Falkvinge sia focalizzato sul tema del copyright, di come rappresenti un vincolo alla libertà delle persone, il che è fuori di dubbio. In questo senso io non ho nulla contro un mercato libero. Che merci vengano scambiate liberamente in un contesto di totale autonomia tra persone mi sembra persino auspicabile. Che poi il copyright sia un modo per andare verso il comunismo, bah, non commento, nelle parole di Falkvinge sono evidenti fattori culturali tipici del nord europa. Io continuo a vedere il comunismo come un modo per socializzare i mezzi di produzione il che mi pare un tentativo encomiabile ma bisogna anche ammettere che abbia finora funzionato male. Per ridurla ai minimi termini, non credo che il libero mercato sia così sbagliato. Lo è dentro il sistema capitalista attuale, dentro le disuguaglianze e nel suo violento imporsi sulla maggioranza degli esseri umani. Ma anche qui non mi pare che Falkvinge abbia tessuto le lodi del capitalismo. Si è limitato a ribadire che nel comunismo questi vincoli imposti alle persone non hanno funzionato. Questo al di là del parere per il soggetto in questione, soggetto che conosco poco.

Che palle le paywall anti-privacy… perciò non leggo quanto scrive @guevaraetotti visto che per ragioni capital-sorvegliantistiche non mette i suoi materiali a disposizione pubblica. Così già mi viene il dubbio sulla legittimità del critico a lanciare la prima pietra… allora passiamo al documento originale… in linea di massima sappiamo da Swarmwise che Rick ha alcuni punti di vista molto pirata ed altri molto poco, perciò mi domando quale spettacolare novità ci possa essere in un nuovo blog post… ah… vedo… Rick interpreta il copyright come una distorsione del principio di mercato (che di per se non è l’origine dei mali del mondo bensì il modo come è malregolato… un mondo senza mercati non funziona per niente) allo stesso modo l’economia pianificata in stile comunista. Se ben ricordo @guevaraetotti era sempre ben d’accordo con l’abolizione integrale del copyright proposta da Rick, ma forse è un affronto accomunare il comunismo al copyright. Indeed mi pare molto semplificante il confronto… in teoria il copyright potrebbe essere altrettanto decentralizzato come il mercato e in questo senso una legittima regolamentazione del mercato… e personalmente ho i miei dubbi sull’abolizione radicale del copyright… sono favorevole alla riforma… ma nella pratica vediamo come l’enforcement del copyright si va sempre più centralizzando ed invita a metodi che infrangono diritti costituzionali di rango superiore quali la segretezza delle comunicazioni. Problematico nel testo di Rick è di non discutere anche le criticità del modello del mercato libero, ma ciò non significa immediatamente che non ne sia cosciente.

Allora…cominciamo dall’articolo di Falkvinge. Quello che lui dice è molto semplice: i sostenitori del copyright sono tutti a parole dei grandi sostenitori del libero mercato, ma non c’è nulla di più contrario al libero mercato di intromettersi in una transazione tra privati. Cioè: se io decido di comprare un file (sia esso una canzone, un libro, un film), e di farne una copia (digitale) e di darla a gratis al mio vicino di casa, questa è una transazione tra due privati cittadini (“And as we’ve seen before, making a copy of something – in violation of the copyright monopoly or not, that doesn’t matter – is merely exercising your own property rights”). Le lobby del copyright pretenderebbero (paradossalmente in nome del libero mercato) di impedire questa transazione. L’unico “errore” che secondo me si può rimproverare a Falkvinge è quella di parlare di “autori”: infatti è noto (?) che il copyright di per sé, più che tutelare gli autori, fa ingrassare i soggetti intermedi (case discografiche, case editrici etc.). Non a caso c’è differenza tra “diritto d’autore” e “copyright”, benché spesso siano usati come sinonimi (per approfondire consiglio “Capire il copyright”, p. 26 e seguenti). Ad ogni modo, va detto che Falkvinge spesso usa la provocazione come arma discorsiva; quando disse agli imprenditori “c’è gente che vorrebbe lavorare gratis per voi, ma voi non glielo permettete” non è che lo ha detto perché crede sia giusto non pagare i lavoratori, era solo un modo per incitarli a non brevettare. Qui fa la stessa cosa: ben sapendo che le difese del copyright provengono da ambienti che idolatrano il Libero Mercato, lui li provoca dicendo “vi comportate da comunisti”.

Quanto all’articolo sul Manifesto beh…mi sembra che lo scopo di fondo sia quello di fare una critica generale alla persona Rick Falkvinge, più che di entrare nel merito dell’articolo. Si insiste molto sul suo passato (lo si presenta come “l’ex moderato, l’ex manager, l’ex dipendente della MIcrosoft”, evidentemente intendendo questi come assoluti disvalori), e in questo contesto l’articolo sul copyright viene presentato solo come una sorta di “prova definitiva” che è un malvagio. Il che ci può stare, da un quotidiano che si definisce comunista, e che logicamente non apprezzerà le posizioni anti-comuniste. Però per completezza andrebbe detto che il PP, per come lo intende lui, all’inizio si poneva la riforma del copyright come pressoché unico obiettivo; è stato nel corso degli anni che i vari Partiti Pirata nel mondo hanno allargato i propri orizzonti, fino ad essere arrivati (giustamente!) oggi a parlare di diritti, democrazia, ambiente etc.

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Exe, facevo prima ad aspettare il riassunto tuo. Mi pare che ci hai preso in pieno.

Come sapete, il partito pirata non mi è estraneo: ero con Athos quando nacque, quasi in concomitanza con quello svedese. E come molto di voi sanno - perché mi conoscono personalmente - non ne faccio più parte. Resto “amico” dei pirati. Non di tutti, beninteso, resto amico dell’idea pirata (oltre che di alcune persone). Ma veniamo a quel che ho scritto (che ho solo scritto e di cui, ovviamente, non ho la disponibilità di pubblicazione; quella, lynX, come è facile immaginare, la decide il Manifesto, al cui sito si accede dietro una semplice registrazione. Esattamente come in questa pagina; sito, anche questo va detto, dove tutti gli articoli sono in copy left. Ma anche questo lo sanno - quasi - tutti…) E sgombriamo il campo da alcuni equivoci. Falkvinge non è uno qualsiasi per il movimento pirata. E’ di fatto l’inventore, il fondatore del movimento. Quello che gli ha garantito il primo successo, senza il quale non ci sarebbero stati gli altri. Tant’è che il partito pirata italiano ha voluto tradurre il suo libretto (che francamente lascia il tempo che trova). E io insisto molto, Exeklas, sui suoi trascorsi: contano, eccome se contano. E’ stato in un’organizzazione di destra. E per me questo vale più di qualsiasi cosa. Non che non si possa cambiare idea - l’ho fatto anche io tante volte nel corso della mia vita - ma lui non ha mai rinnegato il suo passato. E’ stato di destra. Certo, non in una destra squadristica, di quelle che siamo abituati a conoscere da noi, che mascherano il razzismo dietro avulsi slogan da destra sociale. No, lui è stato di destra “classica”, tradizionale: quella che sta con le imprese contro il lavoro, quella che sta coi privilegi contro i diritti. E a lui il suo trascorso piace così com’è. Ma tutto ciò potrebbe essere secondario. Per me conta il contenuto. Anche qui, però, per favore: non prendiamoci in giro. Basta digitare su un qualsiasi motore di ricerca il nome di Falkcvinge e torrentfreak per avere l’elenco completo dei suoi “saggi”. E ancora per favore non diciamo che usa l’evocazione del “mercato” per provocare. No, il mercato è il suo valore, è l’architrave attorno a cui costruisce la sua idea di società. Legittima, beninteso. Così come è legittimo il pensiero di “briganzia” secondo il quale “il libero mercato non è così sbagliato”. L’unica cosa che non si può dire - mi dispiace - è che il mercato è sbagliato dentro il sistema capitalistico. Basta avere letto un-libro-uno (non dico Thomas Piketty ma basta un Federico Caffè nostrano) per sapere che le due cose non sono scindibili: il mercato - inteso come creazione di valore e plusvalore - è insito strettamente al capitalismo. Non esisterebbe l’uno, senza l’altro. E anche le forme attuali di degenerazioni non sono “casuali”, non sono recuperabili attraverso aggiustamenti. Le spaventose disuguaglianze sociali sono necessarie al capitalismo, per ristrutturarsi, per continuare il suo dominio. Pensa che se ne sono accorti addirittura economisti moderati americani… Sì, il mercato - cioè la ricerca del profitto -, meglio la battaglia contro il mercato è la ragione per cui ho cominciato a fare politica decenni fa. Oggi non la faccio più ma quelle ragioni mi sembrano sempre più attuali. Visto che le logiche del mercato sono “entrate” in tutti gli aspetti della vita, non solo in quella produttiva. Addirittura determinano la sfera dei rapporti personali (anche qui basta aver letto un-libro-uno…). E invece la grande speranza dei pirati è finita proprio lì, nella difesa del mercato. Falkvinge è un caso? Ed è un caso anche l’“economia sociale di mercato” di cui parlano i pirati tedeschi (espressione presa pari pari da Konrad Adenauer, leader della storica e orrenda destra democristiana tedesca)? E’ un caso anche questo? E Julia Reda nella sua drammaticamente moderata proposta di riformina del copyright che parla della tutela dei “legittimi diritti delle imprese”, cos’è, un altro caso? Potrei continuare all’infinito. Potrei ricordarvi che i pirati greci - nel paese assalito dalla Troika - hanno scelto di presentarsi alle elezioni in una mini coalizione con un partito di estrema destra (cosa che ovviamente ha provocato una spaccatura al loro interno ma la maggioranza s’è dichiarata d’accordo). No, non è questo il movimento pirata che intendevo anni fa. So benissimo che i pirati italiani - anche se posso parlare solo per quelli romani - sono un’altra cosa. Sono - erano? - legati ai movimenti sociali, quelli veri, reali, non quelli inventati a tavolino. Ma forse non è un caso che le uniche esperienze che contano - “No Ttip” e altro - non le hanno realizzate come partito pirata ma in rassemblament assieme ad altre forze sociali. Forse reali, movimenti sociali concreti; i quali, se tessete le lodi sperticate del mercato, vi prendono a pizzettoni in faccia. So bene che esistono anche altre espressioni dei pirati. Quelli islandesi - che ho citato nel pezzo -: non a caso governano Reykjavík assieme alla sinistra radicale. Su un programma che prevede l’“esproprio” del 10 per cento del patrimonio immobiliare per assegnarlo agli indigenti e ai migranti. Esproprio, sì esproprio pubblico. L’esatto contrario delle logiche di mercato. Ma sono casi isolati. La verità è che invece di assomigliare a Podemos, il movimento pirata internazionale assomiglia sempre più a Ciudadanos. Il rinnovamento della politica è solo nelle forme. Si parla esclusivamente di partecipazione ma non ci si interroga sugli obbiettivi di quella partecipazione. Mi spiego meglio: come sa chi mi conosce - come detto di alcuni sono amico - sono stato a Kobane, in Kurdistan. Ho visto, sperimentato, “toccato” cosa sia la vera partecipazione. Anche in un campo profughi, dove non mangiavano da tre giorni, anche in città - Cizre - senza connessione da mesi. Partecipazione vera, popolare, espressa con voti. Su tutto. Addirittura su questioni “militari”. Ma si tratta di una partecipazione non dettata solo dalla battaglia ai corrotti (quella la faceva anche La Malfa, la destra pulita della Prima Repubblica) ma da un progetto: di redistribuzione di risorse, di radicale redistribuzione delle ricchezze, di primato del bene comune. E invece al posto di quel progetto politico qui c’è il mercato, c’è l’apologia delle start up. Invece di un’idea solidale (e quindi antimercantilistica) della società, invece di una “filosofia” per far vincere il basso contro l’alto, qui c’è la solita retorica sui soldi dei politici. E poco più. Vabbè, l’ho fatta lunga. Me ne scuso. Davvero. Magari ci rincontreremo. Nelle battaglie contro il copyright. Non perché sia contro il mercato (come se i monopoli fossero estranei al mercato) ma perché la fine del copyright sarà un passo in avanti nella battaglia per un sapere condiviso. Sottratto, appunto, alle logiche di mercato.

Stefano

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Premesso che Falkvinge può dire quello che gli pare dato che rappresenta solo sè stesso, le sue esternazioni diventano problematiche in quanto vengono abbinate ai partiti pirata. Il primo punto da sottolineare è proprio il fatto che non abbiamo leader, né guru di riferimento, quindi quel che ha scritto ci rappresenta nella misura in cui abbiamo deciso collettivamente di condividere quanto ha scritto… ovvero fino a questo momento ZERO.

L’unica cosa che mi sento di dire che è condivisibile è la messa a nudo della contraddizione “se siete davvero per il libero mercato non potete chiedere allo stato di attuare forme di protezione dei vostri copyright” (e, aggiungo io, dei vostri brevetti).

Detto questo, abbiamo visto all’opera il socialismo reale e stiamo ora vivendo sulla nostra pelle quello che potremmo definire liberismo reale. Ovvero i difetti e le diseguaglianze che qualcuno ipotizza (imperterrito) siano dovuti ad una imperfetta applicazione del liberismo, sono in realtà problemi intrinseci di un sistema economico che ci porta a velocità crescente verso il disastro ambientale, prima ancora che verso il collasso dell’attuale “pensiero occidentale”. Sunde auspica che arrivi in fretta quest’ultimo, in modo da poter sperare di scongiurare il primo. La differenza è che io spero che questo collasso arrivi per scelta e non per crisi/necessità, ma mi rendo conto di essere probabilmente un idealista in questo.

Mi disturba inoltre la visione manichea “o sei liberista o sei statalista/comunista” che sembra implicita nell’intervento di Falkvinge. Come abbondantemente discusso in corso di stesura del nuovo manifesto, quella che stiamo cercando di mettere a fuoco come pirati è proprio un’alternativa a questi due poli ideologici. Quindi sì, sono d’accordo sulle critiche al copyright e no, non sono affatto d’accordo con l’apologia del libero mercato, pur non essendo statalista/comunista.

Una piccola nota relativamente al manuale sullo sciame che abbiamo tradotto.

Non si tratta di niente più che un manuale per l’organizzazione di uno sciame. Contenuti politici zero, anche se il metodo proposto è già di per sè un messaggio politico. E’ sostanzialmente un manualetto in cui si applicano all’attivismo dei concetti derivati dal project management.

Falkvinge viene da un partito del centrodestra svedese, 'ste cose le dovete scoprire una alla volta a intervalli regolari?

È un fan del libero mercato. C’ha definito l’ideologia pirata sopra. Ritiene che il “monopolio del copyright” vada contro i principi del liberalismo.

Ha scritto un articolo provocatorio, l’ha scritto in inglese su un sito americano, approfittando della notevole simpatia degli americani per i comunisti.

È mai possibile che si faccia tutto questo macello per una simile banalità?

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Lascia perdere… come sai io di storie ne attraverso parecchie, cerco una verifica di prima mano su ciò che si muove sul campo e ne avrei da dire a iosa su quei settori di movimenti che, sì, ti prenderebbero a pizzettoni se ti sentono lodare il libero mercato, ma questo non è un punto a favore… la delusione che sto provando con molti di questi ambiti, con quelli che sentivo più puri, più giusti, più solidali, è grande e per questo credo ancora nel Partito Pirata. Certo il metodo è solo una parte del tutto, ma quando ho provato a parlare di questo in ambiti sociali più radicali (Roma Comune/Diritto alla città) ho ricevuto come risposta un silenzio di tomba (e non ne parlo nemmeno di quando abbiamo provato a farlo con i vari frazionati partiti post-PCI perché già fatto in altre occasioni). Questo non per difendere Falkvinge, figurati, era solo per precisare, per non lasciare che altri risultino aurei per via del loro sbrilluccicamento. Una cosa ti chiedo Stefano, perché tanto odio?

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Bentornato, SB :wink:

Ma non se per schivare la sorveglianza totalitaria delle attività in rete (perchè dovrei volere che le autorità sanno quanto e cosa leggo ne Il Manifesto?) si utilizza Tor. ilManifesto blocca Tor. Questo non va bene.

È stato utile per individuare le scelte politiche condivisibili e quelle non. Utile per comprendere i metodi del M5S clonati da quelli di Rick. Utile per comprendere meglio alcuni meccanismi dell’organizzazione politica, sempre lasciandoci la scelta politica di fare come suggerisce lui, o appositamente no. Rick è leaderista, noi no – ma anche in ciò bisognava imparare che l’approccio naif alla orizzontalità non produce un partito capace di agire.

Per il movimento pirata senza dubbio lo è. E anche nel caso suo avere una provenienza “reazionaria” non implica che non abbia imparato alcuna cosa. Proprio lui ha formulato per esempio la frase dell’Internet come “the greatest equalizer”, la tecnologia che mette tutti gli esseri umani allo stesso livello. Non è un concetto tipicamente di destra questo.

E qui superficializzare sul concetto di mercato non è d’aiuto. Se a te il mercato non piace devi esaminare e concretizzare cosa del mercato non va bene, perchè il problema non è il concetto astratto di permettere alle persone di scambiarsi valori in modo decentralizzato e parzialmente anonimizzato – il problema del mercato “libero” che vediamo in questo pianeta sono le regole delle istituzioni, la WTO, la BCE. Ascoltati Varoufakis nel video che ho linkato cosa dice del “eurogroup”. È da arrampicarsi sui muri! Il mercato in senso liberista ha i suoi difetti a livello concettuale, ma anche una economia sostenibile con reddito di esistenza e tutto può solamente funzionare con un mercato decentralizzato, cioè in un certo senso, “libero”. L’economia pianificata dall’alto non può funzionare e ha sempre comportato il crearsi di mercati sovversivi. Perciò cosa esattamente ti disturba nel fatto che Rick critica il modello economico socialista centralizzato?

Non sono d’accordo in entrambi i punti. Nonostante solamente 85 persone possiedono più della metà dell’umanità non ho l’impressione che ne siano pienamente consce e che siano in pieno controllo della situazione. La degenerazione dell’economia mondiale fu iniziata molti secoli prima e il passo più grave probabilmente risale a Reagan e Thatcher. Da allora i straricchi godono e credono di essere legittimi, ma ho i miei dubbi che sono pienamente consci dell’avvenuto. Vai a vederti il documentario “The Super-Rich And Us”.

E sul secondo punto… si, sono recuperabili con legislazioni potenzialmente anche semplici… ma ci vuole volontà politica a farlo. Quello che propongono i pirati islandesi in una forma o l’altra ormai ce l’hanno tutti i pirati nel programma. Con programmi di ricerca come HANDY ormai è un dato scientifico che urge ridistribuzione dall’alto. “L’esproprio” non è più un concetto da sinistra radicale, è una necessità per fare funzionare qualsiasi economia.

No, vedi Hanauer e Piketty in “The Super-Rich And Us”. Il capitalismo necessita di un pochino di disuguaglianza per funzionare, ma basterebbe una disuguaglianza del 1:10, 1:100 o 1:1000… non l’attuale cento contro quattro miliardi. E il “dominio” del capitalismo è un errore politico. Il capitalismo va regolato e domato, non deve domare lui stesso. È questo il problema – l’ideologia del capitalismo sfrenato, non la semplice idea di un mercato del commercio. Infatti gli economisti americani non mettono in discussione il mercato libero bensì l’assenza di regolamentazione! E qui bisogna capire bene il significato della parola “libero” coniugata a “mercato”. La definizione radicale di mercato libero è di vietare interventi regolativi – ma questo si è dimostrato sbagliato. L’interpretazione giusta è quella di dare la libertà alle persone di scambiarsi liberamente entro i regolamenti sfornati dalla società. Tu stai presumendo che i pirati abbiano disimparato questa distinzione, e credo che ti sbagli.

Profitto individuale o stai accomunando il concetto di mercato alla implementazione orrenda odierna che crea diseguaglianze di ricchezza assurde? No perchè l’uno non implica l’altro. Basterebbe una legislazione di ridistribuzione, per esempio realizzando un semplice principio come questo: “nessun essere umano deve possedere più di cento o mille volte quanto possiede il più povero”. Il problema non è il mercato ma la mancata volontà politica a limitare l’ingiustizia.

Ma non importa perchè quello che intendono e definiscono come tale è piuttosto ragionevole. Basta non giudicare superficialmente i vocaboli. Stai parlando dell’unico partito tedesco che propone il reddito di esistenza… ma hai capito che il RdE spazzerebbe via gli effetti che non ti piacciono del mercato senza per questo dovere rimuovere la libertà tra libere persone di fare un libero interscambio?

A cosa alludi di preciso? In quale modo si può generalizzare che tutte le imprese non debbano avere diritti? Sicuramente vediamo i casi estremi di imprese che NON hanno diritti legittimi, ma appunto per questo ci sta la parola “legittimi” lì.

Secondo me non ti fa bene che non partecipi più ai nostri dibattiti di economia, che ti permetti di citare Piketty se in realtà gli dai una interpretazione radicale, superficiale, fallacia, con la quale lui mai sarebbe d’accordo.

Provaci. Quanto hai presentato qui dimostra solo che non hai la pazienza di comprendere i pensieri altrui e preferisci impallarti sui vocaboli che interpreti come vuoi tu. Un po’ come il superuomo di D’Annunzio.

Questa indisposizione a sviluppare una politica razionale, basata su fatti ed evidence, è molto problematica. Impedisce all’opposizione italiana di sfornare modelli di economia e politica alternativi veramente implementabili. Porta ad effetti Tsipras: Anche se un giorno la sinistra radicale si trovasse al governo sarebbe incapace di attuare un progetto politico migliore di quello esistente perchè ideologicamente ne ha rigettato le fondamenta piuttosto di analizzare ben benino quali aspetti della situazione attuale sono sbagliati. La superficialità, il populismo e le ideologie impossibili del passato sono altrettanto dannose per il futuro quanto il governo sbagliato che difende lo status quo. Quello che ci vuole è un progetto politico che comprende la realtà e sforna alternative valide. Se la sinistra italiana non vuole prendere ispirazione da noi pirati, lo faccia almeno da “Die Linke” – una formazione di sinistra che sforna analisi terrificantemente azzeccate riguardo all’economia. Lo so che tu ne sei un amico e fan, ma non vedo che tu abbia veramente ascoltato cosa dicono. Loro la ridistribuzione ce l’hanno nel programma da tanto, e non l’abolizione dei mercati.

No, non è il contrario. Per ottenere un mercato funzionale è necessario il periodico esproprio o ridistribuzione della ricchezza. Sono concetti che devono essere abbinati, non messi artificialmente ed ideologicamente in contrapposizione. Lo dice Piketty, lo dice Hanauer, lo dice Varoufakis… Stefano, con questa frase mi dai l’impressione che di economia non ci hai capito più di tanto dopotutto. Se hai letto Piketty mi spiace constatare che non lo hai capito.

No, qui stai vaneggiando. Anche a Kobane ci sta una forma di mercato, giusto? Anche a Kobane ci sono persone che formano piccole imprese, giusto? Noi non facciamo apologia delle start-up e non difendiamo ideologia sbagliata di un mercato liberista, Thatcherista.

Ti sei distaccato dal movimento pirata e lo accantoni nei modi più superficiali, dicendo cavolate scorrette.

Esatto, perchè il mercato va regolato per decidere con saggezza dove è applicabile e dove non.

E questo è un punto che mi piacerebbe di regolamentare in un futuro PP international: non solo vorrei un PPI partecipato, vorrei che ci sia una responsabilizzazione delle persone che esternano le loro opinioni direttamente ai media invece che all’interno del dibattito pirata. Il movimento pirata ha eccellenti strumenti di intelligenza collettiva. Ai media e all’elettorato non è necessario comunicare opinioni individualistiche orientate a maggiorare la propria popolarità dentro e fuori dal movimento.

Così come è legittimo il pensiero di “briganzia” secondo il quale “il libero mercato non è così sbagliato”. L’unica cosa che non si può dire - mi dispiace - è che il mercato è sbagliato dentro il sistema capitalistico. Basta avere letto un-libro-uno (non dico Thomas Piketty ma basta un Federico Caffè nostrano) per sapere che le due cose non sono scindibili: il mercato - inteso come creazione di valore e plusvalore - è insito strettamente al capitalismo. Non esisterebbe l’uno, senza l’altro.

grazie per il contributo e permetti una puntualizzazione. Non ho letto Piketty ma Polanyi che, peraltro, arriva alla tua stessa conclusione anche se personalmente non mi trova d’accordo. Il mio riferimento al mercato era rivolto alla libertà delle persone di scambiare tra loro merci, risorse, idee, conoscenze. Sicuramente un’ idea un po’ naif di mercato anche se in linea con la cultura pirata, una concezione forse più antropologica che storica, ma quello è l’ambito al quale mi riferisco. Infine non concordo con la tua affermazione riferita al rapporto tra capitale e mercato

Non esisterebbe l’uno, senza l’altro.

E’ vero che il capitalismo ha bisogno di un mercato ma non è vero che un mercato necessita del capitalismo, come testimoniano secoli di storia.

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FelynX, mi colpisce davvero la tua domanda finale. Odio? Neanche un po’. E sicuramente ho sbagliato anch’io quando nel mio post ho scritto che ci “rincontreremo”. In realtà, non ci siamo mai persi di vista: alle manifestazioni, ai dibattiti, allo Iuf. E così continuerà ad essere, almeno per quel che mi riguarda. Nessun odio, dunque. Per quanto mi riguarda solo l’amarezza per l’ennesima occasione sprecata. Ci avevo creduto, anche se - ne abbiamo parlato spesso - la scelta di dotarsi della forma-partito non mi ha mai convinto. E a giudicare dai fatti resto ancora più delle mie convinzioni, secondo le quali il movimento pirata avrebbe dovuto “contaminare” il resto, inquinarlo, destrutturare quel che incontrava sulla sua strada. Non organizzarsi in un partitino (la mancanza di un leader cambia poco la sostanza: è un partito, con tessere e regole). Ma questo appartiene al passato. Ora la situazione è cambiata. E non credo che proprio tu, FelinX - con la tua storia e la tua sensibilità politica - possa non esserti accorto dello scivolamento a destra del movimento internazionale. Puoi far finta di nulla, puoi minimizzarlo ma alla fine non potrai ignorarlo. Nè - perdonami - ha molto senso sostenere che fuori ci sono cosa ancora più brutte. Te lo dico per esperienza personale: anch’io, per lunghi anni, ho fatto quel ragionamento. “Fuori dal mio partito sono orrendi”. E mi sono ritrovato in un partito che, alla fine, sosteneva che il dissenso sociale era fomentato dalla Cia. La mia adesione a quel partito, finì lì. Detto questo, spero che la nostra discussione prosegua. Magari de visu. Discussione pacata, come la stiamo facendo. Affrontando temi sui quali non siamo d’accordo. Ma non tanto in disaccordo, come si potrebbe immaginare. Per capire: io concordo con diverse cose che sostiene Carlo. Non su tutte ma su diverse sì. E comunque (a parte spiegargli che non ho nulla, nè voglio avere nulla, a che spartire con Piketty, la cui superficialità considero solo il frutto dei tempi) io non sono folle. E non avendo alcuna responsabilità politica, posso permettermi di pensare cose che magari in alcune occasioni non esternerei. Mi spiego meglio per non essere accusato d’essere ipocrita. Sono interessato alla costruzione di una nuova sinistra, libertaria, dal basso, che superi i dogmi del ‘900 ma che sia ancora più radicale di quella che abbiamo conosciuto. Che non sia identitaria. Però non mi sognerei mai di prendere la parola in assemblea per chiedere che sia inserito - come obbiettivo prioritario - il superamento della proprietà privata e la fine del “mercato”. Non chiederei mai che l’obbiettivo di un programma sia la fine del capitalismo. E’ inutile che ti spieghi che non è, nè può essere all’ordine del giorno. Ma quello è il mio progetto, il mio orizzonte. Che, se vuoi, si traduce in alcune priorità, in accenti, in toni. In obbiettivi che vanno in quella direzione. Io per questo insisterei nell’idea di “liberare pezzi di economia” dalla logica mercantilistica (penso ad esempio alla discussione fra i sostenitori di Corbyn sulla ripresa del controllo pubblico nel settore delle telecomunicazioni, che non dovrebbe lasciarvi indifferenti). Altri, voi (voi movimento pirata, non te, o Aram, o Paolo, eccetera, eccetera) mettono l’accento sulle intrinseche proprietà liberatrici del mercato. Io sto da un’altra parte. E poi la Linke. Ne parli polemicamente verso di me ma io conosco assai bene il programma di quel partito (che comunque è fra quelli che mi appassionano sempre meno, così strutturato e intollerante col dissenso). Ma visto che ci siamo ti voglio ricordare una cosa: all’epoca del boom dei pirati tedeschi, i sondaggi erano espliciti, senza possibilità di fraintendimento. La Linke veniva data al 2 per cento, i pirati all8/9. Semplicemente i pirati avevano “mangiato”, inglobato la sinistra. Erano la nuova sinistra (se ti ricordi scrissi esattamente questo nella rivista teorica di Bertinotti). Cosa che mi entusiasmava. Sono però bastati pochissimi anni - anni spesi a difendere il mercato - perché i pirati - all’ultimo sondaggio che ho visto, tre giorni fa - siano allo 0,9/1 per cento, la Linke schizzata di nuovo all’8/9. E non è colpa dei manifesti, come mi hai spiegato una volta. Forse ci sono ragioni più profonde - ragioni politiche, non organizzative - sulle quali magari dovreste interrogarvi. Ma ovviamente non entro nel merito di cose di un partito a cui non appartengo. E ancora. A parte ricordarvi che a Kobane non è che non c’è il mercato, non c’è proprio nulla se non macerie, una battuta sul Kurdistan. Il “mercato” - anche nell’accezione che ne dai te, Carlo - c’è nel Kurdistan. Nelle zone occupate dai turchi. Il progetto di “confederalismo democratico” del Rojava - è riportato integralmente, 60 pagine, sul libro “Kobane dentro” - prevede un’altra cosa che non può essere definita “mercato”. Prevede la proprietà pubblica (non statale, perché si riferisce alla comunità) dei beni essenziali. Che potrà disporne per le sue necessità. Le eccedenze verranno affidate al “livello successivo” - così lo chiamano -, cioè l’insieme delle comunità di un territorio più vasto. Che a loro volta delegheranno le eccedenza all’istanza superiore. Bene pubblico, gestito da una comunità autorganizzata. Di “mercato”, di mercato oligarchico o concorrenziale, non ce n’è traccia. Si, davvero credo che la resistenza curda sia il punto più avanzato di elaborazione di un nuovo assetto mondiale. Una nuova utopia per la quale vale la pena spendersi. L’ultima cosa. Perché ho scritto quel pezzo. Da un po’ di tempo alcuni amici mi chiedevano - per interesse puramente “accademico” - cosa ne pensassi del movimento pirata. E ho scritto, sull’onda dello sdegno per il “saggio” di Falkvinge, cercando di mettere in guardia i lettori del Manifesto sul fatto che non è tutto oro quel che luccica. Anzi, di oro - nel linguaggio neoliberista di Falkvinge o nel voto per Junker della Reda - ce n’è davvero poco. Pochissimo. Ce n’è - di “oro” parlo - ma quasi esclusivamente nei pirati italiani. E poi, davvero l’ultimissima. Sì, sono più interessato a Iglesias (e anche un po’ a Varoufakis) che non a Birgitta Jónsdóttir (persona che comunque stimo). Ma non credo che questa sia una colpa. Un abbraccione da chi - fin dalle elementari - ha sempre odiato D’Annunzio

stefano Ps: mi è arrivato un tweet. Secco: “Solo i deficienti (come te, ndr) potevano pensare che i pirati dovessero essere di sinistra”. Firmato: Partito Pirata Ticino. Vi dice nulla quel tizio? :-)))))

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Beh, a parte deficienti (non mi è mai piaciuto insultare gratuitamente le persone, specialmente gli anziani), non capisco perché ti irriti tanto di cotal banalità: l’associazione Pirati = ultrasinistra ce la siamo inventata noi. E così siamo (rimasti) con le so famous “pezze ar culo”.

No, è una corrente presente in quasi tutti i PP. Ma chi crede che ci sia bisogno di fare una guerra delle correnti nei PP piuttosto di coltivare la molteplicità dei punti di vista per arrivare a proposte politiche più avanzate e ragionate ha sbagliato canone. Quello che ai PP serviva erano strutture comportamentali che assicurino il rispetto reciproco – una volta instaurate quelle c’è spazio per tutte le idee da lavorare, studiare, rifiutare o promuovere. Un partito che ha la capacità di posizionarsi attraverso il dibattito democratico e la partecipazione vera non ha bisogno di premesse ideologiche a priori. Chi sceglie le ideologie sceglie di fare un partito di vecchia fattura. Di fare vecchia politica.

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Dunque quello di cui ti lamenti è che Falkvinge ha scritto in favore della fazione borghese che vuole il libero mercato mentre tu sei a favore della fazione borghese che, visto il fallimento del capitalismo di stato, vuole un capitalismo a livelli successivi?

Perché in definitiva questo è la sinistra… una fazione borghese, da quando, fatta propria la Scuola di Francoforte, ha ormai totalmente abbandonato il marxismo.

Certo, il Partito Pirata è un partito borghese, come lo è SEL, il PD, il vecchio PCI… Come lo sono i movimenti socialimperialisti come Casa Pound e i Centri Sociali (che - al di là delle tifoserie - hanno parecchio in comune, a partire dai metodi con cui affrontano il dissenso)

A me sta ancora bene definirmi Pirata. Vedremo che piega prendono gli eventi.

Di sicuro, e chi mi ha ascoltato di ritorno dagli incontri internazionali lo sa, non è che io consideri le parole di Falkvinge il Vangelo dei Pirati, indipendentemente dal fatto che quel pezzo mi sembra abbia parecchio di sarcastico, rimandando a un vecchio motto della BSA che sosteneva che il filesharing era “comunismo” e quindi “male”.

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Il Manifesto, giornale portatore di sani principî morali. Mi sembra giusto ricordarlo nel thread dove tale quotidiano mette in dubbio i nostri.