Grazie per la segnalazione sul CRVD, che è interessante ma sembra essere anch’esso incentrato sul solo voto elettronico senza fare un confronto tra i sistemi.
A mio parere sarebbe più razionale porsi la questione su quale sia la soluzione migliore nei vari contesti, mettendo da parte l’assioma che il metodo tradizionale sia sempre il più sicuro o il più libero per eccellenza.
Le obiezioni e i dubbi sul voto elettronico sono fondate. Il problema è che mancano i dubbi sul resto. Manca cioè un approccio critico e comparativo che permetta di adattarsi a scenari che comprendono nuove tecnologie e nuove problematiche sociali.
Nessuno di noi è tanto ingenuo da pensare che l’esperienza estone oggi sia applicabile in toto alla scelta del parlamento italiano o alle presidenziali americane.
Ci sono situazioni, tuttavia, dove anche il vecchio metodo mostra delle falle che mettono a rischio la segretezza o la libertà di voto. Se siamo disposti a vederle, invece di ignorarle per principio.
Le difficoltà di voto degli italiani all’estero e i problemi di sicurezza del voto postale sono due problemi che, allo stato attuale delle cose, sono ancora da risolvere. Un tempo, forse, il problema era marginale, ma oggi siamo più mobili e il vecchio sistema non sta funzionando tanto bene: o si aggiorna, o ha senso proporre delle alternative.
Quando ho votato al referendum sulle trivelle, nella mia sezione hanno votato tutti allo stesso modo. Non ci voleva un genio del male per capire come avevo votato.
Il solo fatto di recarsi al seggio poteva mettere a rischio due principi fondamentali: la segretezza del voto e la libertà di votare senza subire ritorsioni.
In alcune zone, dove forti interessi economici erano legati all’astensione, le ritorsioni erano probabili.
Annulliamo il quorum, o cerchiamo soluzioni che permettano, magari a una minoranza di persone, di votare senza esporsi sulla pubblica piazza?
I comuni sono responsabili della conservazione delle schede elettorali per 5 anni, dopo il voto. Dopo di che, le schede vanno al macero.
Per chi ha accesso alle schede, basta un po’ di ninidrina spray e un raggio alla giusta lunghezza d’onda, per fotografare le impronte digitali. Che l’elettore in genere lascia appoggiandosi con la mano aperta sulla parte interna della scheda, mentre disegna la croce.
In alcuni contesti locali, non è impossibile organizzarsi per installare microcamere nel soffitto o in altri punti chiave.
L’uso dei cellulari per il voto di scambio è già ampiamente documentato.
La possibile trasformazione di schede bianche in voti validi, o di schede valide in voti nulli, è anch’essa documentata.
Personalmente, potendo scegliere, sceglierei di votare comunque con il metodo tradizionale.
A me piace la carta. Ma altri potrebbero avere dei problemi che io non ho.
Io metto in dubbio un approccio che non fa un confronto tra modelli da analizzare per rischi e benefici, al fine di trovare la soluzione più adatta a ogni contesto, ma parte dalla presunzione che un sistema sia sicuro per tradizione e l’altro insicuro per limiti tecnici.
Le ultime elezioni europee ci dicono che la piccola Estonia, con il suo sistema imperfetto, ha dato a tutti la possibilità di votare, elettronicamente o con la carta. Mentre da noi, con il nostro sistema considerato perfetto, una quota piccola ma non trascurabile non è stata messa in condizione di esercitare con facilità il diritto di voto.
Il problema quindi non è tanto (o quanto meno non solo) capire se il voto elettronico può essere sicuro al 100%. Il problema è rimuovere i preconcetti e capire cosa funziona meglio, caso per caso.