Prima che questo thread venisse ricondotto su un binario più accettabile dai moderatori, me ne sono tenuto volontariamente lontano. Tuttavia, ora che le acque sembra si siano un po’ calmate, vorrei cercare di far riflettere prima di tutto chi ha aperto il thread e, poi, se possibile anche tutti gli altri partecipanti e lettori su alcuni aspetti che rendono inopportuna quella che invece potrebbe essere una sana discussione su un tema fondamentale: la pienezza della “cittadinanza del cittadino religioso”.
In primo luogo, esistono alcuni indicatori verbali, i “fossili guida” incastrati negli strati della discussione, che potrebbero evidenziare elementi di intolleranza più o meno consapevole e mi rifaccio a quello che Tullio De Mauro chiamava le “Parole per ferire”, espressione tratta da una bellissima filastrocca di Gianni Rodari.
NOTA: il contributo linguistico del compianto professore ha lasciato una traccia nel documento sull’intolleranza approvato da una apposita commissione alla Camera. Voglio precisare che il documento esclude la “Cristianofobia” dalle problematiche odierne riguardanti la convivenza. Consiglio comunque a tutti di leggerlo. https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/uploadfile_commissione_intolleranza/files/000/000/001/RELAZIONE_FINALE.pdf
Io qui di “parole per ferire” ne ho viste tante…
In secondo luogo mi rifersco alla stereotipizzazione, uno strumento retorico che mira a eliminare le sfumature a favore della semplicizzazione che focalizza solo i particolari meno accettabili dalla comunità dominante. Qui non devo neanche fare la fatica di rileggere tutto il thread perché noto fin dal titolo una stereotipizzazione perfetta: “Perché dovrei fidarmi dei cattolici?” cui, a scanso di equivoci, segue a due righi di distanza una frase che correla l’ipocrisia alla particolare appartenenza religiosa.
Nella “Raccomandazione di politica generale n. 15 della Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (ECRI)” del 2016 il concetto di istigazione all’odio si basa su alcuni aspetti tra cui spicca la stereotipizzazione (“soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce”). Dire “i cattolici” non è una stereotipizzazione ma secondo me è comunque un’approssimazione che nel titolo di qualsiasi testo razionale andrebbe cassata se non facendola seguire da una puntuale precisazione.
Aldilà di questi aspetti negativi dell’intervento di apertura, sono convinto io per primo che il tema sia interessante e ricco di spunti di riflessione politica e sociale. Però…
…però, oggi, sul tema del rapporto tra società e religione, dobbiamo confrontarci con:
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sensibilità diverse: dagli atei e agnostici razionali agli atei incattiviti (effetti collaterali del battesimo… ), dai credenti in tensione tra fede e politica ai credenti ma sticazzi, dai credenti “adulti” ai credenti integralisti
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paure diverse: paura dell’ateismo satanico , paura del cattolicesimo toglitutto (diritti, libertà, etc), paura dell’islam pigliatutto (le nostre città, le “nostre” donne), paura dell’ebraismo plutocratico sorosiano ibridatore di popoli e rettiliano
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interessi diversi: leader e leaderini che puntano al consenso di uno stock di elettori, paesi stranieri interessati a usare le singole comunità come cavallo di troia, OTT interessati ad esacerbare i contrasti per ottenere sempre più dati e aumentare la propria lungimiranza, etc.
Per questo motivo però, anche se il tema è interessante, sconsiglio di trattarlo con troppa disinvoltura e senza un linguaggio adatto, perché altrimenti il rischio (=la certezza) è che tutta la conversazione prenda in fretta una piega ostile e litigiosa!
Vorrei però dare comunque un contributo, uno spunto di riflessione: il problema principale delle comunità religiose in politica non riguarda tanto il carattere religioso (o quello della presunta razionalità) ma quello dell’organizzazione con cui queste comunità si pongono fisiologicamente in concorrenza con l’organizzazione dello stato (o in concorrenza tra loro): una concorrenza reale o percepita, ma comunque una concorrenza. Le organizzazioni sono diverse (il Cattolicesimo verticistico, il Protestantesimo e l’Islam “distribuiti”, l’Ebraismo e il Buddhismo non-Nepalese destrutturati e così via) ma prima o poi ci sarà sempre uno Stato che avrà timore spontaneo o indotto di questa organizzazione parallela e intraprenderà delle azioni scatenando una reazione; o ancora, prima o poi, un qualche attore userà le organizzazioni religiose per il potere o per i propri principi, scatenando (anche in questo caso) una reazione. Secondo me, una politica sana dovrebbe preoccuparsi di questi rischi di convivenza. Invece, usare un linguaggio approssimativo e irrispettoso non può che accelerare il processo di conflitto tratteggiato poco sopra. Con tutte le sue possibili e terribili conseguenze.