Sulla vocazione maggioritaria del Partito Pirata: l'importante NON è partecipare

Così, ad occhio, ti stai riferendo al “secondo” Partito Radicale, quello della prima rifondazione dopo il caso Piccardi, ovvero il partito preso in mano da Pannella e la c.d. Sinistra Radicale e che animò le battaglie culturali, prima che politiche, negli anni '70 principalmente.

Il “primo” Partito Radicale (il c.d. Partito dei Radicali e dei Liberali, nato dalla scissione a sinistra del Partito Liberale) era un partito abbastanza tradizionale, elitario, legato all’esperienza del Mondo di Pannunzio e alle figure di Valiani e Piccardi appunto e realizzò abbastanza poco, pur essendo anche molto influente culturalmente (anche tuttora) in campo liberale e soprattutto europeista.

Il “secondo” Partito Radicale, che conservava il rispetto per i propri padri storici (specialmente Rossi, Pannunzio appunto e Carandini) potè sviluppare gran parte delle sue battaglie, e in particolare permettere l’irruzione, come dici giustamente, del “diverso” nella scena politica, grazie alle innovazioni strutturali uniche nel panorama politico italiano come l’eliminazione della classe dirigente intermedia (cioè la cancellazione del meccanismo di delega) e quindi la forte centralizzazione dell’organizzazione in una struttura fiduciaria, il ciclo di rinascita annuale a seguito dei congressi politici, l’abolizione dei vincoli associativi per gli altri partiti (che furono così importanti nelle lotte su aborto e divorzio, per il rapporto con i socialisti e liberali) e soprattutto la struttura federale, che permetteva alle organizzazioni, talvolta anche molto lontane dal Pr, di essere rappresentate e rappresentarsi direttamente all’interno del partito, attraverso il consiglio federale e i patti federativi.

Soprattutto l’annullamento progressivo di ogni sovrastruttura ideologica, che permetteva al partito di abbracciare ogni battaglia “radicale” (cioè alla radice dei problemi, non radicale in quanto di “un certo tipo” o di una data area) senza farne una valutazione ideologica, lasciandosi permeare da qualsiasi istanza, pur riuscendo a rimanere focalizzato su un “metodo di lavoro” rigido e abbandonando ben presto la velleità di presentarsi come competitore globale nel panorama politico (e poi alla fine come competitore tout-court, dopo la svolta anti-elettorale dell’89), usando l’idea del partito-taxi. E di tante battaglie solo alcune hanno poi trovato un esito di ampio riconoscimento.

Io credo che il Partito Pirata non potrà essere come QUEL Partito radicale perché è ancora molto lontano da alcune fondamentali riflessioni, principalmente da quella «teoria della prassi» che invece nel mondo radicale è sempre stato fondamentale. (e soprattutto non so se vorrà mai svilupparle in questi termini, perché mi sembra molto legato ad un modello di partito “rappresentativo”, piuttosto che di partito come “strumento di lotta politica”).

Inoltre il Pr è sempre stato (veramente) un partito a vocazione maggioritaria, a dispetto dei suoi numeri, con la sua capacità di scegliere poche battaglie, spesso solo una, con cui aggredire la «blockierte Gesellschaft» (cfr. Marcuse) del regime, con la capacità di far perdurare le sue battaglie talvolta per decenni. Di teoria della prassi e vocazione maggioritaria, sì, ci sarebbe bisogno in questo partito e allora saremmo simili a quel Pr. Ma c’è anche da considerare che allora il quadro della situazione politica, con un PCI egemone all’opposizione, eppure funzionale al “regime”, dette al Pr capacità di manovra che oggi semplicemente non ci sarebbero.

Invece questo è un partito ancora per lo più, manco minoritario, proprio gruppettaro, che ha la necessità di imporre a se stesso una propria identità perché in fondo non ci crede (e i pochi che ci credono non sono ancora essi stessi credibili nel crederci, né riescono ancora a trascinare). Non ci crede perché i legami interpersonali non sono tali da aver costituito una forte trama ideale (probabilmente lascito delle poche occasioni di contatto fisico).

Mi sembra velleitario (ma quantomeno romantico) cercare di paragonare “metodologicamente” quel Pr anche solo a quello che questo PP potrebbe diventare. Forse tra uno o due anni, se si smettessero queste sterili battaglie regolamentari, se si decidesse di far pace con il cervello ed allineare quello che si dice e si scrive con ciò che si fa veramente (e non con ciò che “sarebbe bello” fare, facendolo passare come se fosse già stato fatto). E se soprattutto si imparasse a “stare insieme”, prima ancora che a lavorare insieme.

Un altro punto, forse l’unico su cui si può trovare qualche similitudine è il privilegio dei diritti umani individuali sui diritti sociali di gruppo, cioè la scelta di mettere la persona al centro dell’iniziativa politica (anche questa un’invenzione, in Italia, essenzialmente radicale, laddove ha recuperato le istanze libertarie e dei movimenti anarchici) laddove TUTTI gli altri partiti privilegiavano le istanze sociali e collettive. In questo forse anche oggi già il PP potrebbe essere coerente con quest’approccio (ed è poi il motivo per cui a me piace).

E poi c’è il punto ‘elettorale’ che non va preso sottogamba.

In quel “secondo” Pr, cioè quando ancora il Pr era un partito elettorale, era un partito elettorale molto atipico, spesso non si presentava alle elezioni, quando si presentava usava gli spazi per non sostenere le liste elettorali ma le battaglie politiche, chiedeva direttamente di non votare nemmeno le proprie liste, di bruciare le schede elettorali, presentava liste e poi chiedeva di votare esponenti in altre liste, perché intendeva il momento elettorale come momento incluso nella produzione politica e né come punto di partenza dell’impegno né come punto di arrivo, ma semplicemente come fase della lotta politica in cui si poteva ottenere un certo tipo di visibilità (un po’ quello che abbiamo fatto in questa campagna elettorale). Però anche questo è ben lontano dalla mentalità comune qui dentro dove c’è chi sostiene di non DOVER fare nulla in pratica finché qualcuno non lo eleggerà a qualche “posto” in virtù non delle proprie azioni ma della propria interpretazione della mentalità pirata. Lontani mille miglia da tutto un modello culturale.

La terza fase del Pr, quella del partito non-elettorale, a cui fa riferimento @shamar, è di molto successiva e non credo abbia senso evocarla (anche perché molto diverso è il quadro, oggi, rispetto a quello bloccato del tempo).

Per ultimo, mi sembra che questo partito non voglia affatto lasciarsi permeare dal diverso per rappresentarlo (è parte del discorso che pure abbiamo imbastito durante le elezioni sull’art. 67 della costituzione). Piuttosto mi sembra voglia richiudersi nell’essere in sé e per sé il partito di un “certo tipo”, un tipo definito, con certe determinate caratteristiche “di classe”, rispondente a certe determinate categorie del pensiero (addirittura qualcuno teorizzando che “tutti diventino di quel tipo”, mostrando la massima intolleranza per ciò che è altro da sé, praticamente una esaltazione “ariana” in altra forma - cioè l’esatto opposto dell’accoglienza del diverso).

In Italia forse ci sarebbe bisogno di quel tipo di partito perché è auto-evidente che, appunto come dici, il diverso, l’umiliato e l’offeso, è sempre più ricacciato in una zona d’ombra. Ma quel partito adottava caratteristiche metodologiche peculiari che sinceramente sono lontane mille miglia da quelle del PP (e in verità di tutti gli altri partiti o gruppi attualmente presenti, sedicenti radicali di +DcInEuropa o di Radicali Italiani inclusi). Primo tra tutti la riflessione, che non era epifenomenica, sull’adozione molto interiorizzata degli strumenti della nonviolenza gandhiana nelle sue forme estreme (che non è un aspetto puramente esteriore di quella forma politica).

Insomma se quella fosse la strada (che potrebbe essere effettivamente efficace per un partito dello 0,23%) c’è tanto da costruire teoricamente e praticamente nessun luogo per farlo (perché questo forum è un non-luogo). Ottimisti si può essere. Velleitari però no. Le potenzialità ci sarebbero, ma se la gran parte dei “compagni” qui non ci credono non si andrà molto avanti.

Tu da cosa inizieresti?

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Dai gruppi di lavoro.
Per me sono fondamentali: quando si lavora insieme ci si conosce, quando non si lavora si chiacchiera alla macchinetta del caffé epiù a lungo si chiacchiera più i discorsi divengono strampalati, si formano le fazioni, si litiga.
Dove lavorare significa anche leggere e raccogliere dati per verificare le proprie convinzioni.

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la vittoria è l’unica cosa che conta…in ogni caso solo partecipare è inutile perché non si ottengono i risultati voluti e l’evoluzione del genere umano desiderata, ma bisogna anche saper perdere per continuare nella lotta per rialzarsi e riprendere a combattere per le proprie idee

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Bisogna vedere cosa intendi per vittoria, accendere i riflettori su di una tematica ignorata dai più, è già una vittoria.

Non è vero che solo partecipare è inutile, è evidente che qui si pensi di fare politica per partecipare alle elezioni, io penso che si possa fare poltica sfruttando le elezioni come cassa di risonanza mediatica.

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@erdexe credo tu abbia profondamente frainteso la mia proposta politica.

In particolare io propongo una “teoria della prassi”: l’educazione informatica.
Magari sono teoria o prassi che non ti appartengono, ma come puoi osservare dalle critiche che mi pongono @solibo e @briganzia, si tratta di un metodo che, essendo espressione di valori non totalizzanti, accoglie la diversità più estrema, incanalandola in un dialogo volto ad una sintesi.

Nella tua descrizione del secondo partito radicale, rivedevo molto di come vedo il PP, eccetto per i valori di riferimento, quelli della cultura hacker invece di quelli libertari, da cui derivano a cascata tutte le altre differenze.

Aver paragonato la mia proposta al nazismo mostra una certa scarsità di argomenti: mai ho proposto di restringere la politica agli hacker o di privilegiarli: ho sostenuto e sostengo l’urgenza di diffondere i nostri strumenti intellettuali e tecnici a tutti.

Sostanzialmente stai accusando qualcuno che vuole rendere sostanziale l’uguaglianza dei cittadini cedendo il proprio vantaggio di essere un nazista.

Bah… la DC non era poi così perdente.

Nella sua epoca, è stata una forza politica a vocazione maggioritaria e… maggioritaria.

Questo non significa che noi dobbiamo seguirne l’esempio o imitarne la struttura novecentesca (come invece propongono alcuni qui). Ma falsifica evidentemente la tua affermazione.

Un partito che non vuole vincere è un partito che non vuole rispondere dei propri fallimenti ma solo celebrare (ed essere ricordato) per i propri successi (come il secondo Partito Radicale di cui parlava @erdexe): una vocazione comoda.

Essere un partito a vocazione maggioritaria significa invece lavorare per rimuovere qualsiasi scusa che possa giustificare agli occhi dell’opinione pubblica i nostri fallimenti.

Significa accettare di essere responsabili.
Significa voler diventare credibili.
Significa voler meritare la fiducia che si chiede.

Un programma come il CEEP, in un partito che nemmeno vuole vincere, è carta straccia. È fare promesse sapendo di non doverle mantenere.

È prendere in giro gli elettori.
Ti sembra un approccio Pirata?

Io accetto ogni critica, ma la manipolazione dei discorsi no! Non ho, e non abbiamo mai proposto una struttura novecentesca, come ti ha spiegato molto chiaramente @Briganzia qui :arrow_down:

proprio perché vogliamo mantenere una struttura nuova, orizzontale e assembleare, proprio per questo vogliamo una selezione.

Io non ho mai proposto di abolire né l’ap né di abbandonare la DL come ho detto chiaramente qui :arrow_down:

Stai manipolando quello che ho ed abbiamo detto e questo oltre che disonesto è inaccettabile, nonché una notevole conferma di come non tutti possano essere dirigenti, i disonesti ed i manipolatori non possono esserlo.

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Hai perfettamente ragione che sia importante accendere i riflettori su una tematica nuova è importante…ma come si accendono si possono anche spegnere se non si concretizzano le cose con leggi e decreti che cambino il sistema…e solo vincendo si possono portare in concreto i cambiamenti necessari…le parole possono rimanere fumo ma per ottenere l’arrosto bisogna arrivare a governare

Ci sono stati movimenti e forze politiche che seppur assenti o minoritarie in parlamento sono riusciti ad imprimere dei cambiamenti in un paese. Con questo non voglio dirti che vincere delle elezioni sia inutile, ma che non deve essere ciò che ci spinge a fare politica.

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Niente affatto. La DC ha goduto di un consenso iniziale eccezionale dovuto all’alleanza con i potentati economici orfani del fascismo, al sostegno delle organizzazioni criminali, all’appoggio della più grande potenza occidentale (che aveva ancora le truppe sul territorio) e all’adiacenza con quello che semplificando potrebbe essere considerato un mix delle prime tre cose: la Chiesa :joy:.

Senza contare che i personaggi che annoverata la DC erano di livello super Sayan: De Gasperi, Piccioni, Rumor e quel pischelletto di Belzebù solo per ricordarne alcuni…

Malgrado questo, la DC ha sempre perso. Ad ogni elezione ha sempre perso voti; per rimanere in piedi, ha dovuto alzare il prezzo dei propri compromessi. E ha perso la maggioranza assoluta in pochi anni.

Ed è finita con Casini, Giovanardi, Buttiglione e Castagnetti…

Maggioritario un corno…

Falsifica un doppio corno…

Quello che non posso accettare della tua visione è il fatto che pensi che vincere sia questione di maggioranze assolute.

Come dire che se vinci i 100 mt in 8 secondi, non è che hai proprio vinto vinto perché gli altri eccoli che stanno a 1 o 2 secondi di distanza. O vinci in 2 secondi netti o sei una pippa!

Allora il leader della SVP o dell’Unione Valdotaîne che dovrebbero fare? Tentare il suicidio di massa con i compagni di partito? :joy::joy:

A me questa fissa della vocazione maggioritaria sembra simile a quella dell’allenatore carismatico che prende la squadra ultima in classifica e non dice “limitiamo i danni e a poco a poco con il massimo impegno proviamo a uscire dalla zona retrocessione” ma si profonde il spin motivazionali come "dobbiamo batterli tutti! Due goal di scarto! Freccia a destra e SORPAAASSO!!!"

Spoiler: di solito quegli allenatori sono delle pippe

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Grepo. Sto morendo veramente dal ridere. Devono fare la funzione “autotreno di cuoricini”.

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Attenzione @macfranc io non dico che dobbiamo essere maggioranza per fare Politica.

Dico che non ambire a diventare maggioranza è prendere in giro gli elettori.

La DC è stata maggioranza.
E successivamente ha continuato ad ambire ad esserlo.
E ha continuato a governare per decenni perché voleva governare. Una vocazione maggioritaria, appunto.

Ora il problema della DC era proprio che la volontà di governare era l’unica cosa a tenerla insieme e dunque il metro su cui si misurava e per cui ottimizzava le proprie strutture e azioni politiche.

E questo le ha gradualmente sottratto credibilità (oltre a promuovere la selezione delle persone più dannose per la società ai vertici della stessa).

Noi non dobbiamo ripercorrerne la strada (e per fortuna non possiamo, con il nostro 0.2%).

Ma ciò non significa che non dobbiamo ambire a creare la società che vogliamo. E per crearla, per renderla maggioritaria nel Paese prima che in Parlamento, dobbiamo diffondere la nostra cultura la nostra curiosità

Questo significa avere una vocazione maggioritaria.

Così ho capito meglio ma allora ti consiglio di non usare la locuzione veltronica. E non perché quando la si usa, anche i gatti neri e i corvi che volano da sinistra si grattano le palle; ma proprio perché quell’espressione intende il 50%+1 dei seggi.

Quello che intendi tu è non un partito a vocazione maggioritaria ma un partito di massa.

Eh già, oggi non comprendiamo più cos’è stata l’introduzione del concetto di partito di massa, quando le masse non avevano voce e quando il partito aiutava le masse a emanciparsi. Non oggi, che i partiti sfruttano gli spasmi intestinali della ggente per ricavarne energia eolica…

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Cioè i peti intendi? Comunque, respingiamo con forza anche la velleità di diventare un partito di massa.

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Questa locuzione mi è stata suggerita da @Cal durante il tavolo di lavoro sul PP dal 2020. Che fosse di origine veltroniana nemmeno mi è venuto in mente.

Per partito di massa ho sempre inteso un partito che guida le masse (e spesso le manipola) non che le coinvolge ed aiuta ad emanciparsi.

Mi sorprende molto la definizione che proponi, ma se è corretta (avresti qualche fonte da propormi per approfondire?), allora hai ragione: è quello che ho in mente per il Partito Pirata.

Ritengo che conoscere l’informatica e la storia siano condizioni necessarie per una piena cittadinanza in questo millennio.

E credo sia nostro dovere e la nostra ragione d’esistere trasformare questi strumenti di potere in strumenti di libertà.

Assolutamente non rispondente alla realtà:

  • Come è apparso dalle inchieste della magistratura ognuno aveva l’appoggio di poteri forti, i potentati economici davano soldi a tutti, anche alle opposizioni…
  • Le organizzazioni criminali infiltrano sempre chi è al potere, chiunque sia: quindi gli accordi con le organizzazioni criminali è una conseguenza, non una causa del consenso.
  • L’appoggio di quella che era non solo la più grande potenza occidentale, ma soprattutto quella che aveva vinto la guerra ed aveva riempito l’Italia di basi è la vera chiave del successo, perché USA significava stampa, magistratura, Vaticano, … dato che come vincitore si era impossessato di tutta la documentazione fascista ed era in grado di ricattare molti.

Comunque bisogna avere molta fantasia per dire che ha sempre perso: è rimasta al governo per mezzo secolo.
Che abbia perso consensi è normale, succede a quasi chiunque sia al potere tranne,le dittature.
Ha perso quando i nstri padroni non si sono più fidati di lei e dei socialisti ed hanno organizzato “Mani pulite”.

Un partito di massa diventa tale quando solleva temi fondamentali per la massa.

Anche se i suoi membri non lo sanno ancora

Non proprio. Fino all’avvento del Craxismo, l’appoggio dei poteri forti oltre che il monopolio della corruzione era un marchio registrato DC

C’è differenza tra sostegno e infiltrazione. La Mafia siciliana anni 40/50 non ha infiltrato un bel niente ma ha costituito proprio una parte delle fondamenta della politica regionale e romana.

Il dscorso che fai tu è invece abbastanza aderente con l’approccio usato dalle altre mafie locali, come quella calabrese.

Sicuramente. Preponderante.

Ma ti ricordo che noi non disponiamo di quella foeza

Ma è così. Ha sempre perso consensi. Era un cadaverone già dagli anni 60 che si muoveva solo grazie alle ben nutrite camole che lo popolavano…

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C’è un bell’articolo questa settimana sull’inserto letterario del Corriere a firma di Sergio Romano intitolato, evocativamente, «Utilità della sconfitta Illusioni della vittoria». Parla di come i vincitori non siano quasi mai nelle condizioni di superare i propri limiti e di come i perdenti imparano a reinterpretare la realtà spesso superando ampiamente in valore i vincitori. L’occhiello recita: «A ottanta anni dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, Berlino domina l’Europa nonostante il tracollo del 1945, mentre l’Urss, all’epoca trionfante, si è dissolta e perfino l’egemonia americana sembra vacillare. Quanto all’Italia, nonostante la disfatta e la perdita delle colonie africane, ha vissuto il boom economico e tuttora è una potenza industriale di rilievo».

In politica la vittoria ha molti livelli di lettura. Qual è il tuo obiettivo? Conquistare il potere per sostituire il regime che tu ritieni sbagliato con un nuovo regime (eventualmente altrettanto sbagliato perché il potere, invece di farsi cambiare da te, ti ha cambiato) ma che veda in te il proprio riferimento, o cambiare le cose a vantaggio delle persone? Quale delle due cose consideri “vittoria”? Io la seconda.

Per cambiare le cose non è necessario che sia tu a vincere (forse la lettura di un bel libro di Jacques Attali, «Il risveglio degli umiliati» potrebbe tornare utile).

Si può avere una “vocazione maggioritaria” pur essendo una infima minoranza, quando si riesce a rovesciare, a favore delle persone che sono maggioranza, quello che il potere non vorrebbe fosse cambiato (sono gli esempi a cui si rifaceva @storno). Mentre si può continuare ad essere minoritari e gruppettari pur avendo la maggioranza della rappresentanza (si veda il caso emblematico del M5S - che poi non è così tanto differente dal PD), proprio perché si continua a rappresentare esclusivamente il proprio gruppo o idea. D’altro canto che il concetto stesso di rappresentanza sia avariato credo sia ampiamente condiviso. Chi è ammesso al potere è necessariamente cooptato dal regime, sostituirlo non significa spiazzare il regime, ma venirci piazzati.

L’obiettivo quindi non può essere quello di sostituirsi al potere, e quindi diventare potere uguale e opposto, quanto indurre il potere a “fare la cosa giusta”, ovvero a rispettare non le nostre idee e i nostri “voti”, quanto le proprie stesse idee e le proprie maggioranze. Agire da scossa in una soluzione sovrassatura quando non congela come dovrebbe.

In Italia in campo sociale, nel diritto di famiglia, sui diritti umani e sugli aspetti relativi alla dignità umana, sono state anni e anni di battaglie “perse”, a permettere comunque il lentissimo avanzamento della civiltà, stante la cappa anti-popolare della rappresentanza catto-comunista che aveva semplicemente orrore che le masse “conquistassero” la propria autonomia individuale. Talvolta sono state intuizioni geniali e controcorrente (come quella di sostenere il referendum abolizionista del divorzio dei cattolici, mentre tutti i partiti laici tentavano di brigare per evitarlo) a stabilizzare una vittoria sociale nel paese, che era comunque una scelta interna del “regime” (come la legge Fortuna-Baslini, che senza il referendum popolare, e quindi senza il “dare le armi” dei radicali ai cattolici, sarebbe miseramente crollata - ricordiamo che furono i cattolici, maggioranza (loro) del paese, a votare contro le proprie stesse rappresentanze politiche e a favore del divorzio, non furono certo i radicali ad essere maggioranza nel paese).

C’è un famoso libro di Gaetano Dentamaro (noto per essere il papà in Italia delle “Interviste per Strada” di Radio Radicale) che nel rendere conto della candidatura fallita di Marco Pannella come commissario CEE spiega come quell’atto, che era destinato chiaramente a perdere, si sia tramutato in una incredibile vittoria non per Pannella o per il Partito Radicale, ma per l’intero insieme delle forze laiche italiane e anche oltre. Il libro si chiama “Perdo & Stravinco” e ha una bella fotografia di Pannella in copertina.

Insomma le categorie di «vincere» e «perdere» hanno molte più chiavi di lettura che la semplice (e banale) idea di: ci si presenta alle elezioni, siamo più del 50%, governiamo, cambiamo le cose. Questa è la distorsione che il regime pretende di imporre agli oppositori per renderli inefficaci e per poterli aggredire quando via via progrediscono nel consenso, per farli diventare cosa propria. È l’illusione del centralismo democratico applicato su scala globale.

Se vuoi cambiare le cose devi essere in grado di abbandonare la tua volontà di primeggiare. Il che non significa candidarsi a perdere, ma l’esatto opposto: candidarsi a vincere nella società e non nel fasullo teatro del potere per il potere. Poi, se vuoi veramente cambiarle, allora la strada è ancora diversa, e riguarda la politica solo in quanto riguarda la modifica del sé (cfr. Attali cit.).

Governare, in ultima analisi, non serve a cambiare le cose. Governare serve a gestire una situazione che vedrebbe un cambiamento se questo venisse dal di dentro. Ma pensare di governare per cambiare è l’illusione definitiva degli statalisti, se non degli autoritari.

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Sono completamente d’accordo con questa visione delle cose anche perché il concetto di vittoria, che presuppone sempre il concetto di sconfitta, è proprio quello che la logica Democratica vuole evitare.

In democrazia si collabora. Le contrapposizioni (che in alcuni casi sono inevitabili a causa della chiusura ideologica e folle di Alcuni partiti che portano avanti istanze anti umane e immorali) devono essere superati attraverso la dialettica tra forze politiche facendo leva su quello che ciascuna forza politica considera come valori (non dico non negoziabili ma almeno) portatori di vantaggi per tutta la comunità.

In quest’ottica Si può cambiare la direzione di un parlamento anche avendone un 2% di peso parlamentare.

Non accetto Invece l’ultima affermazione che fai perché la trovo totalmente antipolitica e venata di quella autolesionismo trionfante che ha caratterizzato la tristissima parabola del Partito Radicale in Italia:

Governare vuol dire sempre cambiare le cose.

Tutto è mutevole e tutto è impersistente e questo non significa affatto che possa cambiare solo in un certo modo. Il dovere di una forza politica e cambiare le cose Secondo la direzione voluta.

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Ci sono i dati di fatto: il M5S ha stravinto, ma non è riuscito a realizzare quasi nulla di quello che voleva fare.
A questo punto i casi sono due: si può dire che le persone non erano all’altezza, ed in parte è vero, ma è una giustificazione che vale per qualsiasi cosa, il che fa sì che qualunque affermazione tu faccia sulle organizzazioni avrai sempre ragione, oppure analizzare le ragioni per cui ciò è accaduto.

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