Forse non in ogni caso, ma nei casi che mettono in pericolo diritti civili fondamentali e lo fanno in un modo nel quale è difficile comprovare alcun danno. Quante persone hanno partecipato alla scrittura degli script python di Cambridge Analytica che hanno manipolato l’esito del BREXIT? Era una ditta di cinque persone? Forse non esattamente, dato che ci stava di mezzo anche Steve Bannon, ma comunque è impressionante quanto danno un singolo sviluppatore può arrecare se ha la possibilità di applicare il suo codice alle banche dati più potenti del mondo.
Si deve vietare alle persone di usare questi social, i social centralizzati dove ogni pensiero passa per la loro cloud. I social giusti sono quelli distribuiti, funzioni di messaggistica integrate nella Rete stessa, dove non solo il dato che trasmetti ma anche il fatto con chi parli è un’informazione che solo il tuo proprio telefonino conosce. Di questo tratta la PdL #ObCrypto.
Da come hai scritto, interpreto che dovremmo solo avere sistemi omogenei come le Lisp machines, Oberon o TempleOS. Come puoi immaginare sono abbastanza d’accordo.
In un ecosistema del genere, la disponibilità dei sorgenti sarebbe condizione necessaria al loro funzionamento.
O più semplicemente insegnare a programmare dalla prima elementare.
Perché scorretto?
Si tratta di cambiare business model alla variazione della legislazione vigente.
Una cosa che succede continuamente.
O incentivarli fortemente a (e fornirgli gli strumenti per) usare social distribuiti sotto il proprio controllo.
Come era all’inizio.
Credo comunque che potremmo fare di meglio.
Ed è estremamente improbabile che ciò accada, perché il software risolve problemi e le persone continuerebbero a volere le soluzioni. Ma in un mondo in cui tutto il software è liberamente modificabile e tutti sono in grado di modificarlo, ci sarebbero più soluzioni che problemi da risolvere.
Non ho mai detto che il mondo verrà salvato dagli hacker.
Ho detto che se insegniamo a tutti la programmazione, l’informatica smette di essere uno strumento di potere.
E non ho mai detto che gli hacker siano migliori degli altri.
Siamo tutti diversi e non c’è modo di stabilire un ordine: l’insieme Umanità non ha una relazione di ordinamento (e il denaro/profitto sono un pessimo modo di simularla).
Gli hacker non sono in alcun modo migliori o superiori a nessun altro.
Dispongono di strumenti culturali potenti che ad altri mancano.
E’ letteralmente come se gli hacker sapessero leggere e scrivere e tutti gli altri no.
Io vorrei che alfabetizzassimo tutti e credo che questa alfabetizzazione, questa democratizzazione dell’informatica, potrebbe essere una grande campagna del Partito Pirata. Sei liberissimo di opporti, come fanno molti altri, e accettare di lasciare le persone nell’analfabetismo informatico, lasciarle succubi inconsapevoli delle persone come noi.
E se questo è quello che vuole il Partito Radicale Pirata, io non ho problemi.
Continuerò a lavorare in questa direzione comunque come ho fatto negli anni scorsi.
Ma se altri come me vogliono un Partito Pirata che sia veramente un partito della conoscenza, non solo come vuoto spot elettorale, io sono qui per aiutare con la mia esperienza e le mie capacità.
Leggo nel programma europeo: “I brevetti non dovrebbero mai essere concessi per “invenzioni” che sono programmi per computer”.
Ma se il PP italiano fosse favorevole ai brevetti sul software, ci troveremmo su fronti opposti e lo combatterei con tutti i mezzi leciti. E con me, la maggior parte delle piccole software house e degli sviluppatori indipendenti che vogliono poter creare opere originali senza dover litigare con i detentori di brevetti.
Certo. Anch’io c’ero quando abbiamo combattuto contro i software patents. È naturale che i pirati, figli delle prime generazioni di attivisti di Rete, abbiano inserito ciò nel loro programma. Ora però mi si apre questa nuova prospettiva di quanto profondo è il pericolo del software chiuso, e mi domando se abbiamo sbagliato… ~15 anni fa.
Prospettive diverse aiutano a raffinare il pensiero. Qui per ora stai a parlare con me, non con il PP italiano. Vediamo come tutelare la tua prospettiva senza che il codice eseguibile continui ad essere lo strumento di controllo della popolazione umana.
Richiediamo per legge la trasparenza di tutti i codici eseguiti direttamente sugli oggetti in possesso alla popolazione, ma non i codici delle “app” che operano in sandbox e hanno permessi d’accesso a dati e protocolli di rete ben regolamentati.
-> In tal caso presumo che la tua piccola software house non ha problemi a sviluppare app che corrono nella sandbox, per questo non c’è alcun obbligo di rilasciare codice e non c’è alcuna necessità di permettere l’applicazione di brevetti software al vostro mercato.
I brevetti software in questo caso servirebbero solo alle ditte che sviluppano software di sistema e/o messaggistica, che sono perciò obbligati a pubblicare il sorgente e non vogliono che ditte concorrenti facciano il copia+incolla. E anche in questa costellazione sarebbe oggetto di molto studio definire i paletti precisi affinché tali brevetti svolgano una funzione costruttiva e non svantaggiosa per la società.
Inserisco una parentesi storica:
Certo non sono a favore di brevettare il mouse o il bottone sulla finestra per elargirla. Mi ricorda quando nel 1994 scrissi il primo servizio di URL shortening della Rete. Wikipedia lo attribuisce a tinyurl nel 2002, ma home.pages.de andò in onda in Febbraio 1994. Nel 1995 qualcuno mi suggerì di brevettare la mia idea. Ora Wikipedia mi spiega che nel 2000 qualcuno quel brevetto lo fece registrare per davvero. Io scelsi di non farlo perché grazie al concetto di previous art nessuno dopo di me avrebbe avuto il diritto di esigere pagamenti per un’idea che non gli appartiene. In retrospettiva forse ho sbagliato, perché se avessi esercitato i miei diritti ad un brevetto del genere avrei potuto forse impedire che i servizi tinyurl, bit.ly e ultimativamente t.co fossero diventati travi portanti del capitalismo della sorveglianza. Purtroppo, quando si ha qualcosa attorno ai vent’anni è facile disperdersi in un immotivato ottimismo verso il progresso tecnologico. Non diedi ascolto ad un vecchio che la sapeva più lunga di me, un certo Howard Rheingold.
Potrebbe anche essere un’opzione definire che i software fondamentali per l’impiego di apparecchi (driver, sistema operativo, network protocol stack) devono comunque essere software liberi ed aderire ad un processo di sviluppo sorvegliato e democratico come avevo linkato nell’altro thread.
Lapsus. Intendevo dire s/tecnica/legale/. Riguardo alla privacy chiedo che l’infrazione sia tecnicamente impossibile, ma per i codici eseguibili non saprei come arrivare a quel punto. Tu hai dato degli spunti. Io penso che sarebbe sufficiente se gli eseguibili siano per legge riproducibili (termine spiegato in vari thread precedenti), così qualsiasi eseguibile non riproducibile è subito sotto accusa. Beh, in effetti si potrebbe impedire tecnicamente e automaticamente la distribuzione di codici non riproducibili. Vai, bella.
O più semplicemente insegnare a programmare dalla prima elementare.
Anche se tutta l’umanità sapesse programmare, non risolverebbe il problema che protende a comprare i PC con Windoze, gli smartphone con una variante Android non libera e si sente attratta da social network che li sorveglia.
Dal 2003, dalla popolarità virale di Friendster in poi, i programmatori liberi della rete discutono come rimpiazzare i social. Nel 2019 abbiamo un Mastodon che funziona solo se dai fiducia a Javascript, non riesce a proteggere in modo ragionevole la privacy dei suoi utenti e probabilmente non riuscirebbe a sopportare il peso del 1% dell’umanità, perché non ha scalabilità pianificata nei suoi protocolli di scambio. E secondo te il problema sono il numero di persone che sanno programmare?
usare social distribuiti sotto il proprio controllo.
Che attualmente non esistono. Ci sono solo i federati che significa che ti fidi di dozzine di altri server perché ci stanno i tuoi amici li. Cioè in pratica per la privacy può essere ancora più deleterio di Facebook. Mentre i social distribuiti sono talmente difficili da realizzare che un approccio da tempo libero non-commerciale non funziona.
Non ho mai detto che il mondo verrà salvato dagli hacker.
A me importa solo che il mondo venga salvato, o piuttosto il genere umano residente qui.
Temo che manchino alcuni fondamenti su cosa significhi produrre un software o brevettare un’invenzione.
Per esempio, bisognerebbe sapere che la registrazione di un brevetto sul software non c’entra niente con il codice. Tanto che negli USA si può brevettare un software senza scrivere una sola riga di codice. E pretendere le royalties senza aver mai prodotto alcunché.
Brevettare implica che prima ancora di iniziare a lavorare ci si deve rivolgere a uno studio legale specializzato (altrimenti ci si incasina). E avendo un paio di studi del genere come clienti, posso dire con cognizione di causa che non costa poco.
Mentre il copyright appartiene all’autore dall’istante in cui crea l’opera, il brevetto non ha nulla a che fare con la paternità dell’opera, ma dell’idea. E di idee dietro un software possono essercene diverse.
Vuol dire dover controllare minuziosamente, prima di iniziare a lavorare, che non ci siano possibili violazioni di brevetto, e fare subito richiesta di brevetto. Il che carica già un costo notevole sul lavoro, senza aver scritto ancora una sola riga.
Non solo, ma se non registri un brevetto e lo fa qualcun altro, anche se la tua opera è precedente, l’invenzione appartiene comunque a quell’altro. Quindi sei costretto a brevettare. E gestire pacchi di brevetti costa molto tempo e molto denaro. Così come le cause per violazione di brevetto.
Ma soprattutto, il software, come i libri o altre opere immateriali, si crea, non si inventa come un oggetto qualsiasi. Ci sono logiche che implementi in fase di produzione. Idee che traduci subito in realtà. Quindi è l’idea stessa di brevettabilità del software che non ha senso, e infatti crea tantissimi problemi, e inibisce la condivisione delle idee.
Non si brevetta il lavoro creativo.
Capisco, lynX, che le tue siano idee personali. Ma io che non faccio parte di questo partito sto dicendo a te che invece ne sei parte, che la tua idea di brevettabilità del software, nel mio settore, è decisamente infelice e impopolare.
Sono d’accordo nel merito: i brevetti non sono una soluzione ai problemi di cui stiamo discutendo.
Si tratta sempre di barriere legali alla condivisione e all’uso della conoscenza e dobbiamo puntare ad abbatterle, non ad estenderle. Anche perché l’aumento della complessità legale inibirebbe qualsiasi attività di sviluppo indipendente, come ad esempio il software libero.
Tuttavia, per quanto io non sia d’accordo, apprezzo che @lynX stia cercando soluzioni a problemi reali.
Non biasimiamo un’idea solo perché contro intuitiva o minoritaria, ma critichiamola costruttivamente sulla base di considerazioni logiche e osservazioni oggettive (come quelle che hai fatto prima di questa frase).
Lasciamo che chi porta in buona fede le proprie competenze e le proprie idee possa esprimerle serenamente senza paura di essere biasimato. Se ci ascoltiamo l’un l’altro con attenzione, se discutiamo con apertura, rispondendo alle domande nel merito e cercando di capire cosa c’è di buono nell’apporto dell’interlocutore, magari pessime idee ne ispireranno di buone, e le buone di ottime.
Certamente. Ma la mia ultima nota era solo un riferimento al dualismo che era emerso in precedenza tra posizione personale/partitica.
Per un osservatore esterno può essere difficile capire quando un’opinione è personale, minoritaria o maggioritaria. Per cui se fai notare un’inconguenza rispetto al programma europeo e ricevi una risposta del tipo “sì ma ora stai parlando con me”, può venirti da dire: sì, ma io stavo ponendo la questione a un membro del partito.
Era solo un mettere i famigerati puntini sulle i.