«Falkvinge elogia il libero mercato» | il manifesto - Stefano Bocconetti

Exe, facevo prima ad aspettare il riassunto tuo. Mi pare che ci hai preso in pieno.

Come sapete, il partito pirata non mi è estraneo: ero con Athos quando nacque, quasi in concomitanza con quello svedese. E come molto di voi sanno - perché mi conoscono personalmente - non ne faccio più parte. Resto “amico” dei pirati. Non di tutti, beninteso, resto amico dell’idea pirata (oltre che di alcune persone). Ma veniamo a quel che ho scritto (che ho solo scritto e di cui, ovviamente, non ho la disponibilità di pubblicazione; quella, lynX, come è facile immaginare, la decide il Manifesto, al cui sito si accede dietro una semplice registrazione. Esattamente come in questa pagina; sito, anche questo va detto, dove tutti gli articoli sono in copy left. Ma anche questo lo sanno - quasi - tutti…) E sgombriamo il campo da alcuni equivoci. Falkvinge non è uno qualsiasi per il movimento pirata. E’ di fatto l’inventore, il fondatore del movimento. Quello che gli ha garantito il primo successo, senza il quale non ci sarebbero stati gli altri. Tant’è che il partito pirata italiano ha voluto tradurre il suo libretto (che francamente lascia il tempo che trova). E io insisto molto, Exeklas, sui suoi trascorsi: contano, eccome se contano. E’ stato in un’organizzazione di destra. E per me questo vale più di qualsiasi cosa. Non che non si possa cambiare idea - l’ho fatto anche io tante volte nel corso della mia vita - ma lui non ha mai rinnegato il suo passato. E’ stato di destra. Certo, non in una destra squadristica, di quelle che siamo abituati a conoscere da noi, che mascherano il razzismo dietro avulsi slogan da destra sociale. No, lui è stato di destra “classica”, tradizionale: quella che sta con le imprese contro il lavoro, quella che sta coi privilegi contro i diritti. E a lui il suo trascorso piace così com’è. Ma tutto ciò potrebbe essere secondario. Per me conta il contenuto. Anche qui, però, per favore: non prendiamoci in giro. Basta digitare su un qualsiasi motore di ricerca il nome di Falkcvinge e torrentfreak per avere l’elenco completo dei suoi “saggi”. E ancora per favore non diciamo che usa l’evocazione del “mercato” per provocare. No, il mercato è il suo valore, è l’architrave attorno a cui costruisce la sua idea di società. Legittima, beninteso. Così come è legittimo il pensiero di “briganzia” secondo il quale “il libero mercato non è così sbagliato”. L’unica cosa che non si può dire - mi dispiace - è che il mercato è sbagliato dentro il sistema capitalistico. Basta avere letto un-libro-uno (non dico Thomas Piketty ma basta un Federico Caffè nostrano) per sapere che le due cose non sono scindibili: il mercato - inteso come creazione di valore e plusvalore - è insito strettamente al capitalismo. Non esisterebbe l’uno, senza l’altro. E anche le forme attuali di degenerazioni non sono “casuali”, non sono recuperabili attraverso aggiustamenti. Le spaventose disuguaglianze sociali sono necessarie al capitalismo, per ristrutturarsi, per continuare il suo dominio. Pensa che se ne sono accorti addirittura economisti moderati americani… Sì, il mercato - cioè la ricerca del profitto -, meglio la battaglia contro il mercato è la ragione per cui ho cominciato a fare politica decenni fa. Oggi non la faccio più ma quelle ragioni mi sembrano sempre più attuali. Visto che le logiche del mercato sono “entrate” in tutti gli aspetti della vita, non solo in quella produttiva. Addirittura determinano la sfera dei rapporti personali (anche qui basta aver letto un-libro-uno…). E invece la grande speranza dei pirati è finita proprio lì, nella difesa del mercato. Falkvinge è un caso? Ed è un caso anche l’“economia sociale di mercato” di cui parlano i pirati tedeschi (espressione presa pari pari da Konrad Adenauer, leader della storica e orrenda destra democristiana tedesca)? E’ un caso anche questo? E Julia Reda nella sua drammaticamente moderata proposta di riformina del copyright che parla della tutela dei “legittimi diritti delle imprese”, cos’è, un altro caso? Potrei continuare all’infinito. Potrei ricordarvi che i pirati greci - nel paese assalito dalla Troika - hanno scelto di presentarsi alle elezioni in una mini coalizione con un partito di estrema destra (cosa che ovviamente ha provocato una spaccatura al loro interno ma la maggioranza s’è dichiarata d’accordo). No, non è questo il movimento pirata che intendevo anni fa. So benissimo che i pirati italiani - anche se posso parlare solo per quelli romani - sono un’altra cosa. Sono - erano? - legati ai movimenti sociali, quelli veri, reali, non quelli inventati a tavolino. Ma forse non è un caso che le uniche esperienze che contano - “No Ttip” e altro - non le hanno realizzate come partito pirata ma in rassemblament assieme ad altre forze sociali. Forse reali, movimenti sociali concreti; i quali, se tessete le lodi sperticate del mercato, vi prendono a pizzettoni in faccia. So bene che esistono anche altre espressioni dei pirati. Quelli islandesi - che ho citato nel pezzo -: non a caso governano Reykjavík assieme alla sinistra radicale. Su un programma che prevede l’“esproprio” del 10 per cento del patrimonio immobiliare per assegnarlo agli indigenti e ai migranti. Esproprio, sì esproprio pubblico. L’esatto contrario delle logiche di mercato. Ma sono casi isolati. La verità è che invece di assomigliare a Podemos, il movimento pirata internazionale assomiglia sempre più a Ciudadanos. Il rinnovamento della politica è solo nelle forme. Si parla esclusivamente di partecipazione ma non ci si interroga sugli obbiettivi di quella partecipazione. Mi spiego meglio: come sa chi mi conosce - come detto di alcuni sono amico - sono stato a Kobane, in Kurdistan. Ho visto, sperimentato, “toccato” cosa sia la vera partecipazione. Anche in un campo profughi, dove non mangiavano da tre giorni, anche in città - Cizre - senza connessione da mesi. Partecipazione vera, popolare, espressa con voti. Su tutto. Addirittura su questioni “militari”. Ma si tratta di una partecipazione non dettata solo dalla battaglia ai corrotti (quella la faceva anche La Malfa, la destra pulita della Prima Repubblica) ma da un progetto: di redistribuzione di risorse, di radicale redistribuzione delle ricchezze, di primato del bene comune. E invece al posto di quel progetto politico qui c’è il mercato, c’è l’apologia delle start up. Invece di un’idea solidale (e quindi antimercantilistica) della società, invece di una “filosofia” per far vincere il basso contro l’alto, qui c’è la solita retorica sui soldi dei politici. E poco più. Vabbè, l’ho fatta lunga. Me ne scuso. Davvero. Magari ci rincontreremo. Nelle battaglie contro il copyright. Non perché sia contro il mercato (come se i monopoli fossero estranei al mercato) ma perché la fine del copyright sarà un passo in avanti nella battaglia per un sapere condiviso. Sottratto, appunto, alle logiche di mercato.

Stefano

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Premesso che Falkvinge può dire quello che gli pare dato che rappresenta solo sè stesso, le sue esternazioni diventano problematiche in quanto vengono abbinate ai partiti pirata. Il primo punto da sottolineare è proprio il fatto che non abbiamo leader, né guru di riferimento, quindi quel che ha scritto ci rappresenta nella misura in cui abbiamo deciso collettivamente di condividere quanto ha scritto… ovvero fino a questo momento ZERO.

L’unica cosa che mi sento di dire che è condivisibile è la messa a nudo della contraddizione “se siete davvero per il libero mercato non potete chiedere allo stato di attuare forme di protezione dei vostri copyright” (e, aggiungo io, dei vostri brevetti).

Detto questo, abbiamo visto all’opera il socialismo reale e stiamo ora vivendo sulla nostra pelle quello che potremmo definire liberismo reale. Ovvero i difetti e le diseguaglianze che qualcuno ipotizza (imperterrito) siano dovuti ad una imperfetta applicazione del liberismo, sono in realtà problemi intrinseci di un sistema economico che ci porta a velocità crescente verso il disastro ambientale, prima ancora che verso il collasso dell’attuale “pensiero occidentale”. Sunde auspica che arrivi in fretta quest’ultimo, in modo da poter sperare di scongiurare il primo. La differenza è che io spero che questo collasso arrivi per scelta e non per crisi/necessità, ma mi rendo conto di essere probabilmente un idealista in questo.

Mi disturba inoltre la visione manichea “o sei liberista o sei statalista/comunista” che sembra implicita nell’intervento di Falkvinge. Come abbondantemente discusso in corso di stesura del nuovo manifesto, quella che stiamo cercando di mettere a fuoco come pirati è proprio un’alternativa a questi due poli ideologici. Quindi sì, sono d’accordo sulle critiche al copyright e no, non sono affatto d’accordo con l’apologia del libero mercato, pur non essendo statalista/comunista.

Una piccola nota relativamente al manuale sullo sciame che abbiamo tradotto.

Non si tratta di niente più che un manuale per l’organizzazione di uno sciame. Contenuti politici zero, anche se il metodo proposto è già di per sè un messaggio politico. E’ sostanzialmente un manualetto in cui si applicano all’attivismo dei concetti derivati dal project management.

Falkvinge viene da un partito del centrodestra svedese, 'ste cose le dovete scoprire una alla volta a intervalli regolari?

È un fan del libero mercato. C’ha definito l’ideologia pirata sopra. Ritiene che il “monopolio del copyright” vada contro i principi del liberalismo.

Ha scritto un articolo provocatorio, l’ha scritto in inglese su un sito americano, approfittando della notevole simpatia degli americani per i comunisti.

È mai possibile che si faccia tutto questo macello per una simile banalità?

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Lascia perdere… come sai io di storie ne attraverso parecchie, cerco una verifica di prima mano su ciò che si muove sul campo e ne avrei da dire a iosa su quei settori di movimenti che, sì, ti prenderebbero a pizzettoni se ti sentono lodare il libero mercato, ma questo non è un punto a favore… la delusione che sto provando con molti di questi ambiti, con quelli che sentivo più puri, più giusti, più solidali, è grande e per questo credo ancora nel Partito Pirata. Certo il metodo è solo una parte del tutto, ma quando ho provato a parlare di questo in ambiti sociali più radicali (Roma Comune/Diritto alla città) ho ricevuto come risposta un silenzio di tomba (e non ne parlo nemmeno di quando abbiamo provato a farlo con i vari frazionati partiti post-PCI perché già fatto in altre occasioni). Questo non per difendere Falkvinge, figurati, era solo per precisare, per non lasciare che altri risultino aurei per via del loro sbrilluccicamento. Una cosa ti chiedo Stefano, perché tanto odio?

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Bentornato, SB :wink:

Ma non se per schivare la sorveglianza totalitaria delle attività in rete (perchè dovrei volere che le autorità sanno quanto e cosa leggo ne Il Manifesto?) si utilizza Tor. ilManifesto blocca Tor. Questo non va bene.

È stato utile per individuare le scelte politiche condivisibili e quelle non. Utile per comprendere i metodi del M5S clonati da quelli di Rick. Utile per comprendere meglio alcuni meccanismi dell’organizzazione politica, sempre lasciandoci la scelta politica di fare come suggerisce lui, o appositamente no. Rick è leaderista, noi no – ma anche in ciò bisognava imparare che l’approccio naif alla orizzontalità non produce un partito capace di agire.

Per il movimento pirata senza dubbio lo è. E anche nel caso suo avere una provenienza “reazionaria” non implica che non abbia imparato alcuna cosa. Proprio lui ha formulato per esempio la frase dell’Internet come “the greatest equalizer”, la tecnologia che mette tutti gli esseri umani allo stesso livello. Non è un concetto tipicamente di destra questo.

E qui superficializzare sul concetto di mercato non è d’aiuto. Se a te il mercato non piace devi esaminare e concretizzare cosa del mercato non va bene, perchè il problema non è il concetto astratto di permettere alle persone di scambiarsi valori in modo decentralizzato e parzialmente anonimizzato – il problema del mercato “libero” che vediamo in questo pianeta sono le regole delle istituzioni, la WTO, la BCE. Ascoltati Varoufakis nel video che ho linkato cosa dice del “eurogroup”. È da arrampicarsi sui muri! Il mercato in senso liberista ha i suoi difetti a livello concettuale, ma anche una economia sostenibile con reddito di esistenza e tutto può solamente funzionare con un mercato decentralizzato, cioè in un certo senso, “libero”. L’economia pianificata dall’alto non può funzionare e ha sempre comportato il crearsi di mercati sovversivi. Perciò cosa esattamente ti disturba nel fatto che Rick critica il modello economico socialista centralizzato?

Non sono d’accordo in entrambi i punti. Nonostante solamente 85 persone possiedono più della metà dell’umanità non ho l’impressione che ne siano pienamente consce e che siano in pieno controllo della situazione. La degenerazione dell’economia mondiale fu iniziata molti secoli prima e il passo più grave probabilmente risale a Reagan e Thatcher. Da allora i straricchi godono e credono di essere legittimi, ma ho i miei dubbi che sono pienamente consci dell’avvenuto. Vai a vederti il documentario “The Super-Rich And Us”.

E sul secondo punto… si, sono recuperabili con legislazioni potenzialmente anche semplici… ma ci vuole volontà politica a farlo. Quello che propongono i pirati islandesi in una forma o l’altra ormai ce l’hanno tutti i pirati nel programma. Con programmi di ricerca come HANDY ormai è un dato scientifico che urge ridistribuzione dall’alto. “L’esproprio” non è più un concetto da sinistra radicale, è una necessità per fare funzionare qualsiasi economia.

No, vedi Hanauer e Piketty in “The Super-Rich And Us”. Il capitalismo necessita di un pochino di disuguaglianza per funzionare, ma basterebbe una disuguaglianza del 1:10, 1:100 o 1:1000… non l’attuale cento contro quattro miliardi. E il “dominio” del capitalismo è un errore politico. Il capitalismo va regolato e domato, non deve domare lui stesso. È questo il problema – l’ideologia del capitalismo sfrenato, non la semplice idea di un mercato del commercio. Infatti gli economisti americani non mettono in discussione il mercato libero bensì l’assenza di regolamentazione! E qui bisogna capire bene il significato della parola “libero” coniugata a “mercato”. La definizione radicale di mercato libero è di vietare interventi regolativi – ma questo si è dimostrato sbagliato. L’interpretazione giusta è quella di dare la libertà alle persone di scambiarsi liberamente entro i regolamenti sfornati dalla società. Tu stai presumendo che i pirati abbiano disimparato questa distinzione, e credo che ti sbagli.

Profitto individuale o stai accomunando il concetto di mercato alla implementazione orrenda odierna che crea diseguaglianze di ricchezza assurde? No perchè l’uno non implica l’altro. Basterebbe una legislazione di ridistribuzione, per esempio realizzando un semplice principio come questo: “nessun essere umano deve possedere più di cento o mille volte quanto possiede il più povero”. Il problema non è il mercato ma la mancata volontà politica a limitare l’ingiustizia.

Ma non importa perchè quello che intendono e definiscono come tale è piuttosto ragionevole. Basta non giudicare superficialmente i vocaboli. Stai parlando dell’unico partito tedesco che propone il reddito di esistenza… ma hai capito che il RdE spazzerebbe via gli effetti che non ti piacciono del mercato senza per questo dovere rimuovere la libertà tra libere persone di fare un libero interscambio?

A cosa alludi di preciso? In quale modo si può generalizzare che tutte le imprese non debbano avere diritti? Sicuramente vediamo i casi estremi di imprese che NON hanno diritti legittimi, ma appunto per questo ci sta la parola “legittimi” lì.

Secondo me non ti fa bene che non partecipi più ai nostri dibattiti di economia, che ti permetti di citare Piketty se in realtà gli dai una interpretazione radicale, superficiale, fallacia, con la quale lui mai sarebbe d’accordo.

Provaci. Quanto hai presentato qui dimostra solo che non hai la pazienza di comprendere i pensieri altrui e preferisci impallarti sui vocaboli che interpreti come vuoi tu. Un po’ come il superuomo di D’Annunzio.

Questa indisposizione a sviluppare una politica razionale, basata su fatti ed evidence, è molto problematica. Impedisce all’opposizione italiana di sfornare modelli di economia e politica alternativi veramente implementabili. Porta ad effetti Tsipras: Anche se un giorno la sinistra radicale si trovasse al governo sarebbe incapace di attuare un progetto politico migliore di quello esistente perchè ideologicamente ne ha rigettato le fondamenta piuttosto di analizzare ben benino quali aspetti della situazione attuale sono sbagliati. La superficialità, il populismo e le ideologie impossibili del passato sono altrettanto dannose per il futuro quanto il governo sbagliato che difende lo status quo. Quello che ci vuole è un progetto politico che comprende la realtà e sforna alternative valide. Se la sinistra italiana non vuole prendere ispirazione da noi pirati, lo faccia almeno da “Die Linke” – una formazione di sinistra che sforna analisi terrificantemente azzeccate riguardo all’economia. Lo so che tu ne sei un amico e fan, ma non vedo che tu abbia veramente ascoltato cosa dicono. Loro la ridistribuzione ce l’hanno nel programma da tanto, e non l’abolizione dei mercati.

No, non è il contrario. Per ottenere un mercato funzionale è necessario il periodico esproprio o ridistribuzione della ricchezza. Sono concetti che devono essere abbinati, non messi artificialmente ed ideologicamente in contrapposizione. Lo dice Piketty, lo dice Hanauer, lo dice Varoufakis… Stefano, con questa frase mi dai l’impressione che di economia non ci hai capito più di tanto dopotutto. Se hai letto Piketty mi spiace constatare che non lo hai capito.

No, qui stai vaneggiando. Anche a Kobane ci sta una forma di mercato, giusto? Anche a Kobane ci sono persone che formano piccole imprese, giusto? Noi non facciamo apologia delle start-up e non difendiamo ideologia sbagliata di un mercato liberista, Thatcherista.

Ti sei distaccato dal movimento pirata e lo accantoni nei modi più superficiali, dicendo cavolate scorrette.

Esatto, perchè il mercato va regolato per decidere con saggezza dove è applicabile e dove non.

E questo è un punto che mi piacerebbe di regolamentare in un futuro PP international: non solo vorrei un PPI partecipato, vorrei che ci sia una responsabilizzazione delle persone che esternano le loro opinioni direttamente ai media invece che all’interno del dibattito pirata. Il movimento pirata ha eccellenti strumenti di intelligenza collettiva. Ai media e all’elettorato non è necessario comunicare opinioni individualistiche orientate a maggiorare la propria popolarità dentro e fuori dal movimento.

Così come è legittimo il pensiero di “briganzia” secondo il quale “il libero mercato non è così sbagliato”. L’unica cosa che non si può dire - mi dispiace - è che il mercato è sbagliato dentro il sistema capitalistico. Basta avere letto un-libro-uno (non dico Thomas Piketty ma basta un Federico Caffè nostrano) per sapere che le due cose non sono scindibili: il mercato - inteso come creazione di valore e plusvalore - è insito strettamente al capitalismo. Non esisterebbe l’uno, senza l’altro.

grazie per il contributo e permetti una puntualizzazione. Non ho letto Piketty ma Polanyi che, peraltro, arriva alla tua stessa conclusione anche se personalmente non mi trova d’accordo. Il mio riferimento al mercato era rivolto alla libertà delle persone di scambiare tra loro merci, risorse, idee, conoscenze. Sicuramente un’ idea un po’ naif di mercato anche se in linea con la cultura pirata, una concezione forse più antropologica che storica, ma quello è l’ambito al quale mi riferisco. Infine non concordo con la tua affermazione riferita al rapporto tra capitale e mercato

Non esisterebbe l’uno, senza l’altro.

E’ vero che il capitalismo ha bisogno di un mercato ma non è vero che un mercato necessita del capitalismo, come testimoniano secoli di storia.

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FelynX, mi colpisce davvero la tua domanda finale. Odio? Neanche un po’. E sicuramente ho sbagliato anch’io quando nel mio post ho scritto che ci “rincontreremo”. In realtà, non ci siamo mai persi di vista: alle manifestazioni, ai dibattiti, allo Iuf. E così continuerà ad essere, almeno per quel che mi riguarda. Nessun odio, dunque. Per quanto mi riguarda solo l’amarezza per l’ennesima occasione sprecata. Ci avevo creduto, anche se - ne abbiamo parlato spesso - la scelta di dotarsi della forma-partito non mi ha mai convinto. E a giudicare dai fatti resto ancora più delle mie convinzioni, secondo le quali il movimento pirata avrebbe dovuto “contaminare” il resto, inquinarlo, destrutturare quel che incontrava sulla sua strada. Non organizzarsi in un partitino (la mancanza di un leader cambia poco la sostanza: è un partito, con tessere e regole). Ma questo appartiene al passato. Ora la situazione è cambiata. E non credo che proprio tu, FelinX - con la tua storia e la tua sensibilità politica - possa non esserti accorto dello scivolamento a destra del movimento internazionale. Puoi far finta di nulla, puoi minimizzarlo ma alla fine non potrai ignorarlo. Nè - perdonami - ha molto senso sostenere che fuori ci sono cosa ancora più brutte. Te lo dico per esperienza personale: anch’io, per lunghi anni, ho fatto quel ragionamento. “Fuori dal mio partito sono orrendi”. E mi sono ritrovato in un partito che, alla fine, sosteneva che il dissenso sociale era fomentato dalla Cia. La mia adesione a quel partito, finì lì. Detto questo, spero che la nostra discussione prosegua. Magari de visu. Discussione pacata, come la stiamo facendo. Affrontando temi sui quali non siamo d’accordo. Ma non tanto in disaccordo, come si potrebbe immaginare. Per capire: io concordo con diverse cose che sostiene Carlo. Non su tutte ma su diverse sì. E comunque (a parte spiegargli che non ho nulla, nè voglio avere nulla, a che spartire con Piketty, la cui superficialità considero solo il frutto dei tempi) io non sono folle. E non avendo alcuna responsabilità politica, posso permettermi di pensare cose che magari in alcune occasioni non esternerei. Mi spiego meglio per non essere accusato d’essere ipocrita. Sono interessato alla costruzione di una nuova sinistra, libertaria, dal basso, che superi i dogmi del ‘900 ma che sia ancora più radicale di quella che abbiamo conosciuto. Che non sia identitaria. Però non mi sognerei mai di prendere la parola in assemblea per chiedere che sia inserito - come obbiettivo prioritario - il superamento della proprietà privata e la fine del “mercato”. Non chiederei mai che l’obbiettivo di un programma sia la fine del capitalismo. E’ inutile che ti spieghi che non è, nè può essere all’ordine del giorno. Ma quello è il mio progetto, il mio orizzonte. Che, se vuoi, si traduce in alcune priorità, in accenti, in toni. In obbiettivi che vanno in quella direzione. Io per questo insisterei nell’idea di “liberare pezzi di economia” dalla logica mercantilistica (penso ad esempio alla discussione fra i sostenitori di Corbyn sulla ripresa del controllo pubblico nel settore delle telecomunicazioni, che non dovrebbe lasciarvi indifferenti). Altri, voi (voi movimento pirata, non te, o Aram, o Paolo, eccetera, eccetera) mettono l’accento sulle intrinseche proprietà liberatrici del mercato. Io sto da un’altra parte. E poi la Linke. Ne parli polemicamente verso di me ma io conosco assai bene il programma di quel partito (che comunque è fra quelli che mi appassionano sempre meno, così strutturato e intollerante col dissenso). Ma visto che ci siamo ti voglio ricordare una cosa: all’epoca del boom dei pirati tedeschi, i sondaggi erano espliciti, senza possibilità di fraintendimento. La Linke veniva data al 2 per cento, i pirati all8/9. Semplicemente i pirati avevano “mangiato”, inglobato la sinistra. Erano la nuova sinistra (se ti ricordi scrissi esattamente questo nella rivista teorica di Bertinotti). Cosa che mi entusiasmava. Sono però bastati pochissimi anni - anni spesi a difendere il mercato - perché i pirati - all’ultimo sondaggio che ho visto, tre giorni fa - siano allo 0,9/1 per cento, la Linke schizzata di nuovo all’8/9. E non è colpa dei manifesti, come mi hai spiegato una volta. Forse ci sono ragioni più profonde - ragioni politiche, non organizzative - sulle quali magari dovreste interrogarvi. Ma ovviamente non entro nel merito di cose di un partito a cui non appartengo. E ancora. A parte ricordarvi che a Kobane non è che non c’è il mercato, non c’è proprio nulla se non macerie, una battuta sul Kurdistan. Il “mercato” - anche nell’accezione che ne dai te, Carlo - c’è nel Kurdistan. Nelle zone occupate dai turchi. Il progetto di “confederalismo democratico” del Rojava - è riportato integralmente, 60 pagine, sul libro “Kobane dentro” - prevede un’altra cosa che non può essere definita “mercato”. Prevede la proprietà pubblica (non statale, perché si riferisce alla comunità) dei beni essenziali. Che potrà disporne per le sue necessità. Le eccedenze verranno affidate al “livello successivo” - così lo chiamano -, cioè l’insieme delle comunità di un territorio più vasto. Che a loro volta delegheranno le eccedenza all’istanza superiore. Bene pubblico, gestito da una comunità autorganizzata. Di “mercato”, di mercato oligarchico o concorrenziale, non ce n’è traccia. Si, davvero credo che la resistenza curda sia il punto più avanzato di elaborazione di un nuovo assetto mondiale. Una nuova utopia per la quale vale la pena spendersi. L’ultima cosa. Perché ho scritto quel pezzo. Da un po’ di tempo alcuni amici mi chiedevano - per interesse puramente “accademico” - cosa ne pensassi del movimento pirata. E ho scritto, sull’onda dello sdegno per il “saggio” di Falkvinge, cercando di mettere in guardia i lettori del Manifesto sul fatto che non è tutto oro quel che luccica. Anzi, di oro - nel linguaggio neoliberista di Falkvinge o nel voto per Junker della Reda - ce n’è davvero poco. Pochissimo. Ce n’è - di “oro” parlo - ma quasi esclusivamente nei pirati italiani. E poi, davvero l’ultimissima. Sì, sono più interessato a Iglesias (e anche un po’ a Varoufakis) che non a Birgitta Jónsdóttir (persona che comunque stimo). Ma non credo che questa sia una colpa. Un abbraccione da chi - fin dalle elementari - ha sempre odiato D’Annunzio

stefano Ps: mi è arrivato un tweet. Secco: “Solo i deficienti (come te, ndr) potevano pensare che i pirati dovessero essere di sinistra”. Firmato: Partito Pirata Ticino. Vi dice nulla quel tizio? :-)))))

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Beh, a parte deficienti (non mi è mai piaciuto insultare gratuitamente le persone, specialmente gli anziani), non capisco perché ti irriti tanto di cotal banalità: l’associazione Pirati = ultrasinistra ce la siamo inventata noi. E così siamo (rimasti) con le so famous “pezze ar culo”.

No, è una corrente presente in quasi tutti i PP. Ma chi crede che ci sia bisogno di fare una guerra delle correnti nei PP piuttosto di coltivare la molteplicità dei punti di vista per arrivare a proposte politiche più avanzate e ragionate ha sbagliato canone. Quello che ai PP serviva erano strutture comportamentali che assicurino il rispetto reciproco – una volta instaurate quelle c’è spazio per tutte le idee da lavorare, studiare, rifiutare o promuovere. Un partito che ha la capacità di posizionarsi attraverso il dibattito democratico e la partecipazione vera non ha bisogno di premesse ideologiche a priori. Chi sceglie le ideologie sceglie di fare un partito di vecchia fattura. Di fare vecchia politica.

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Dunque quello di cui ti lamenti è che Falkvinge ha scritto in favore della fazione borghese che vuole il libero mercato mentre tu sei a favore della fazione borghese che, visto il fallimento del capitalismo di stato, vuole un capitalismo a livelli successivi?

Perché in definitiva questo è la sinistra… una fazione borghese, da quando, fatta propria la Scuola di Francoforte, ha ormai totalmente abbandonato il marxismo.

Certo, il Partito Pirata è un partito borghese, come lo è SEL, il PD, il vecchio PCI… Come lo sono i movimenti socialimperialisti come Casa Pound e i Centri Sociali (che - al di là delle tifoserie - hanno parecchio in comune, a partire dai metodi con cui affrontano il dissenso)

A me sta ancora bene definirmi Pirata. Vedremo che piega prendono gli eventi.

Di sicuro, e chi mi ha ascoltato di ritorno dagli incontri internazionali lo sa, non è che io consideri le parole di Falkvinge il Vangelo dei Pirati, indipendentemente dal fatto che quel pezzo mi sembra abbia parecchio di sarcastico, rimandando a un vecchio motto della BSA che sosteneva che il filesharing era “comunismo” e quindi “male”.

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Il Manifesto, giornale portatore di sani principî morali. Mi sembra giusto ricordarlo nel thread dove tale quotidiano mette in dubbio i nostri.

Il problema di come difendere il diritti dei lavoratori precari, come i freelance, ovviamente è reale e fondamentale.

Tuttavia sul caso Regeni-Manifesto non si sta affatto inquadrando la realtà, e questo temo anche per problemi ideologici (anti-comunisti, molto diffusi). Si attacca il pesce piccolo, che non ha reali alternative, e si ignora il quadro macroscopico.

Il Manifesto è una cooperativa, i “padroni” sono i soci della cooperativa, lavoratori essi stessi del manifesto. Se il “padrone” si prendesse una barca di soldi e pagasse poco i lavoratori (di ogni tipo, compresi i freelance) avrei ben ragione d’arrabbiarmi. Così d’altronde succede in gradi giornali come Repubblica (eppure non si sollevano critiche tanto intense quanto contro il manifesto: sarà che coi più deboli è facile, e forse c’è appunto un pregiudizio ideologico).

Si da il caso invece che la cooperativa del manifesto, e i suoi soci-lavoratori, siano poverissimi. Da decenni il direttore, il redattore, il poligrafico, il segretario prendono tutti lo STESSO stipendio: 1200€ circa (almeno questa è la cifra fino a qualche anno fa). Spesso i lavoratori non hanno preso stipendi per mesi. Non ci sono i soldi: niente pubblicità sul sito, pochissima sul giornale (anche qui, forse un po’ di boicottaggio per motivi ideologici). Un anno fa alla fine i lavoratori si sono costituiti come nuova società acquistando i debiti del vecchio manifesto, assumendosi un enorme rischio economico. E ogni giorno rischiano di crollare rimanendo disoccupati e indebitati. I finanziamenti pubblici ai giornali sono insufficienti, ed è uno dei motivi per cui il manifesto è in queste condizioni.

Ora, se una persona x qualsiasi (che sia noto giornalista o ignoto cittadino), senza chiedere nessun contratto, chiede di pubblicare un proprio pezzo a titolo gratuito (perché vuole farsi sentire, perché vuole sostenere un giornale povero), che colpa ha il manifesto? Si chiama sfruttamento pure questo? Piuttosto è solidarietà da parte degli autori.

Sul caso di Regeni chi sta facendo sciacallaggio sono i detrattori del manifesto, piuttosto. Perché non si muovono le stesse critiche anche a Nena News allora? Dubito che abbiano pagato Regeni! Né d’altronde ci hanno fatto dei soldi…

Insomma, si attacca la redazione del manifesto, che non ha una lira per nessuno, nemmeno per se stessa, e magari si dice pure che lo Stato non dovrebbe finanziare i giornali (!): e certo, così a fare “informazione” saranno solo chi ha padroni miliardari (e ben agganciati con il potere politico), oppure tanta tanta pubblicità immondizia (da cui si diventa dipendenti).

La vera autonomia dei giornali, la libertà d’espressione e il reddito dei precari si difende con i finanziamenti pubblici.

In generale, ogni bene comune, che di per sé non può fare profitto e deve rimanere indipendente (ed è il caso anche del servizio di informazione giornalistico), deve essere finanziato da investimenti pubblici.

Il problema è impostare un nuovo modello di gestione dei beni comuni (come si propose per l’acqua, gestione mista utenti-lavoratori-proprietà pubblica), più democratica e attenta ad un funzionamento equo ed efficiente.

E l’altro problema ancora più a monte è assicurare che i soldi per gli investimenti pubblici siano raccolti in modo equo: tasse proporzionali e fortemente progressive, cioè ridistributivo per livellare le disuguaglianze. Mentre adesso si va verso un modello in cui chi è più ricco ha più espedienti per eludere le tasse.

Tutte le altre critiche al manifesto (non ha rispettato l’anonimato, la famiglia li ha diffidati…) sono così pietose che non meritano ulteriori commenti.

Vorrei mettere qualche puntino sulle i…

  1. sostenere che la critica al Manifesto sia anticomunista presuppone che la gente che scrive al Manifesto lo sia. Avendo militato per anni in un partito comunista vero, cioè Lotta Comunista, mi sento di dissentire fortemente. Si possono definire post-stalinisti, si possono definire socialdemocratici, ma comunisti proprio. Quindi il pregiudizio ideologico anticomunista ho i miei dubbi che c’entri qualcosa. Al massimo puoi accusarmi di pregiudizio ideologico anti-anti-comunista…

  2. Ammesso e non concesso, a scopo di discussione, che nella definizione di “comunismo” ci rientri la roba predicata dal Manifesto, questo presuppone che a me, o alla persona da cui ho tratto il comunicato - la pagina Facebook della giornalista Paola Bacchiddu, ex portavoce de L’Altra Europa - siano sfuggiti questi echi anticomunisti, il che non mi pare proprio.

  3. L’idea che con i fondi pubblici all’editoria si possa avere una stampa indipendente secondo me è utopia, ma, tornando al punto 1, io diffondevo un giornale comunista totalmente autofinanziato, non un papello socialdemocratico, quindi potrei non capire il punto.

Quindi potremmo parlare di quanto siano “pietose” queste critiche senza tirare in ballo il complottismo?

Ah, per la cronaca, la risposta del Manifesto al comunicato è ben più “risibile” delle critiche…

In proposito la sopra citata Paola Bacchiddu, nota anticomunista al servizio della CIA, ha scritto:

Posso esprimere il mio più sentito fanculo al Manifesto per questo pseudo ridicolo pezzo di chiarimento sul povero Giulio e aggiungere che sono degli squallidi sciacalli da maledire e querelare?

Pubblicato da Paola Bacchiddu su Martedì 16 febbraio 2016
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Dimenticavo: gli unici ad odiare i comunisti più dei reazionari sono gli altri comunisti stessi: ognuno fa a gara a chi è più puro e spala merda sui “compagni”. Ma poi un dubbio: come hai fatto a passare da Lotta Comunista, setta fondamentalista più martellante dei testimoni di Geova, sprezzante verso ogni forma di democrazia (farsa borghese!)… ai pirati? Gruppo politico che si vuole liberare della retorica surreale di certa politica e che si impegna a cercare il miglior modello democratico possibile?

Per il resto riporto solo come risposta l’articolo di Luigi Manconi (che non è manco comunista) http://ilmanifesto.info/apparati-del-rancore/

Hai cominciato tu a parlare di “anticomunismo”…

Sono tuttora convinto che l’evoluzione della società sia il socialismo. E non credo ai modelli e agli esperimenti nati dalla Scuola di Francoforte di cui la sinistra italiana si fa portatrice. Credo però che i tempi per una rivoluzione non siano ancora maturi, e penso che valga la pena sperimentare.

Ti devo però dire che il Partito Pirata non è impegnato a cercare il miglior mezzo democratico possibile nella mia visione. LQFB è il mezzo per prendere le decisioni. Che sia democratico è un effetto secondario rispetto alla sua efficienza nell’essere espressione del Partito; ciò che può renderlo entità superiore alla somma dei suoi membri.

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Ecco, ora si è davvero tolto la benda. :pensive:https://falkvinge.net/2017/02/28/the-wealth-of-a-nation-why-capitalism-works/https://falkvinge.net/2017/03/01/a-simplified-taxless-state-a-proposal-part-1/

E dato che le cose stanno così, è bene precisare che la stragrande maggioranza dei membri dei PP a livello globale NON la pensano allo stesso modo.

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In reply to https://falkvinge.net/2017/02/28/the-wealth-of-a-nation-why-capitalism-works/

This is despite the quite trivial observation that we have built quite a lot of wealth from the Ice Age up until present day, and almost nobody is as bad off today as everybody was during the Ice Age.

True, but it’s not enough. It’s not okay that 8 guys possess as much as half the planet.

In this, it is baffling why politicians and pundits focus on redistribution, when the focus should be building of wealth.

Since Reaganomics the focus has been on building wealth. Now we have this tall and extremely unfair building while the planet’s ecology is collapsing. Wealth is NOT our problem. It is lack of regulations, ethics and equality. Given equality we would all be drowned in wealth and easily afford a healthy environment! Even the World Economic forum agrees that global economic growth has created a problem of inequality.

The free market brings 179,000 people out of extreme poverty every day.

The Economist has been making suchlike claims since Ronald Reagan took office, but whenever real facts are considered, it is never that simple. It’s the right regulations that may possibly enable one nation to advance against others, or– the lack of regulations, which is bad news for civil rights and ecology. And sometimes it’s just the side effects of an ongoing race to the bottom of regulations which leads to planetary dismantlement and poverty being somebody else’s problem…

If poorer parts of the world are doing better than before, it’s because of technological progress… DESPITE capitalism. The Economist is a terrible piece of paper because it opinates based on a predefined world view of “economic sciences” which for decades has never really proven anything they call scientific as actually being fact-based. It’s all false axiomatic assumptions! We really really need to get the economy out of the hands of the economists!

In order to maximize overall wealth, you want to maximize the quantity of voluntary trades. That’s it.

That is probably true, but it goes all the wrong way if the appropriate regulatory framework is inexistant– and given humanity’s inability to regulate itself on a global level, regulation is perceived as a form of self-harm– a roadblock in the way of the race to the bottom of ethics.

The distributed free market is better even at determining and valuing the precise definitions of “value” than any bureaucrat has ever been.

Quite likely true, but it doesn’t solve our main problems. And the idea that we don’t have enough free market is completely outworldish.

To top this off, all of the burden is usually directed toward subsidizing obsolete industries because they’re a vested interest and/or contributed a lot to somebody’s election campaign.

That’s a different problem: that a hundred years ago having jobs was synonymous to having wealth. In a world in need of a cumulative unconditional universal basic income, wealth can increase by shutting down jobs.

There is still a need for a social safety net of some kind, not for compassion reasons, but for straightforward competitiveness reasons. You could solve this with a universal basic income

Yup. But that doesn’t solve the problem of globalized capitalism, yet.

Society as a whole benefits from a risk-positive environment, and if you can provide a mechanism where anybody can try any stupid commercial idea without risking becoming homeless and indebted, more people will innovate and take risks – and the society using this mechanism will get a competitive edge.

Very well, so a regulated form of capitalism with proper safety net is a way to foster technological innovation. The problem is, we are living in a world where the countries with the least safety nets and regulations are ahead… and whoever does not exploit the ocean, the atmosphere, the resources, the atoms… is disadvantaged!

All other registers can be scrapped. Every one. Car plates, driver’s licenses

Man, you really need some liquid democracy to give you feedback on your wild assertions. Yeah, it certainly is a great idea that anyone who can’t drive gets to drive and that somebody who causes an accident cannot easily get caught… Rick, you are doing demagogy here, to promote the idea that life on Earth can be simplified in such radical ways.

It’s just that politicians think that Regulating More is the answer to creating wealth.

It’s just that other politicians have been thinking longer about the implications of their beliefs than you? Sorry, some of your basic assumptions are just totally wrong… your tendency to simplify and boil down to a few things just doesn’t give reality real credit.

In reply to https://falkvinge.net/2017/03/01/a-simplified-taxless-state-a-proposal-part-1/ (original posting on steemit is 6 months old… btw):

In this three-part series, I’m going to show how a state can be a pure market actor and not require taxation. The state will still have an income – cynics would call it taxes under any other name – but the key difference is that the income is obtained through market means, based on a state’s USP, and not through coercion by force. This leads to a society where the state does not need to know anybody’s income, wealth, or transactions, leading to the obsolescence of most registers and reporting requirements (including the elimination of a corporate register), and where a “black market” is a contradiction in terms, as the state does not interfere with the market it is a natural part of. It also means an end to victimless crimes by its very nature.

Oh no, Falkvinge has fallen for the ideology of anarcho-capitalists… too bad that inequality is a real problem and the constitution of a state that doesn’t tackle it doesn’t lead anywhere. So all the elegance and simplicity of this model is just ideological– and a natural tendency of the human mind… wanting to simplify things that aren’t simple even at abnormal costs…

And if the state is the only actor capable of owning land, then that land can be leased at market rates, thus giving the state an income with which to defend such territory and fulfill its three obligations on it

That’s how it already works, only that we opened up to an unregulated global market and a situation of extreme inequality which makes it logical for the 8 guys at the top of the food chain to put lots of their money into land ownership, thus driving the prices on land up, thus causing gentrification and homelessness…

I’m sorry that Rick is disregarding his own swarm logic by allowing himself to think of the world all by himself, blind to the bogus axioms in his logic… :frowning:

And here’s part two of the series: – https://steemit.com/liberty/@falkvinge/a-simplified-taxless-state-a-proposal-part-two-of-three

Imagine the amount of trade that can happen if you just allow it to happen, if you don’t burden it down with recording and reporting requirements for every single transaction - if you don’t have to care about any one single transaction and can have the state work just fine anyway!

Maybe with Taler that is even feasible up to a point… but still, capitalism has a natural tendency to produce inequality and that has to be dampened.

Victimless crimes cease to exist

The idea that hiding money in tax havens is “victimless” is very cynical. Go tell it your cousin who can’t afford their apartment anymore…

we have introduced a requirement onto the definition of a crime: There must be a victim pressing charges.

First of all, this is the despiteful reality we are living in already, so you don’t need to theorize it, and, secondly, do you mean running away with the money needed to fuel the functioning of society is okay to be legal now that billions of victims don’t know it is happening, so they can’t file charges?

Oh, and what about pollution, which is the most common objection to this? How would this scheme handle pollution? That’s actually one of the easiest things in this entire picture. Remember how, when you lease a residence, you’re liable for any damages caused to the residence by you during your lease? The exact same standard boilerplate could just as well apply to a land lease, and it’s as simple as that.

Oh you mean what governments have already been doing all the time suddenly starts working? Suddenly government is able to detect all forms of pollution and to punish polluters appropriately? To me this sounds like in a dream world, painting a perfect picture, entirely disconnected from reality’s limitations.

Part three is not out yet. Don’t expect the fallacious axiomatic assumptions to disappear.

Sarebbe interessante se queste risposte tu le scrivessi direttamente nei commenti sul suo sito. Qui ha poco senso.