Globalizzazione: perchè funziona ?

Ciao a tutti. Una cosa che cerco sovente, per cercare di capire un tantinello di più il mondo di oggi, sono dati su come funziona l’economia globale. Cioè : perchè far costruire una cosa nei paesi in via di sviluppo e poi trasportarla in Europa costa di meno che fabbricarla in Europa?

Qualitativamente, la risposta che mi do è che evidentemente costo del lavoro e tassazione incidono più del trasporto sul costo finale del prodotto … ma non sono riuscito a trovare in rete da nessuna parte delle analisi quantitative ( non troppo complicate dato che sono ignorante di economia ) che mi facessero capire il peso quantitativo dei vari fattori: lavoro, materiali, tasse, impianti di produzione, trasporto. Ed ogni cosa che sgancio decine di euro per riempire il serbatoio della mia auto mi ri-chiedo : possibile che il trasporto incida cosi’ poco ?

Ti do’ qualche numero: Gli stipendi in Cina sono circa un quinto rispetto a noi ed aggiungi che i diritti dei lavoratori sono molto meno che da noi. Anche il costo dei materiali sono inferiori rispetto a noi dato i quantitativi enormemente superiori. Il costo del trsporto per nave di 1 mc è qualche dollaro. Ad esempio per 1 mc di riso (800 kg) se anche fosse 8€ inciderebbe 1 centesimo/kg.

Il grosso dei costi sono lo sdoganamento e le pratiche doganali.

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La globalizzazione, a lungo andare, non funziona. Non funziona, perché se produci nei paesi poveri, i lavoratori dei paesi ricchi rimarranno disoccupati. Quando questo succede, i lavoratori dei paesi ricchi non avranno più i soldi necessari per comprare le merci prodotte nei paesi poveri. Una soluzione temporanea è quella di ricorrere al debito pubblico o al debito privato. Ma alla lunga non funziona nemmeno questo.

Indubbiamente, anche perche sfrutta le attuali diseguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri, che non dureranno per sempre, alla fine in qualche modo si arrivera ad un livellamento.

A me comunque interessa capire di piu perchè oggi delocalizzare é appetibile per I capitalisti nostrani. Come ho scritto qualitativamente credo di conoscerne le ragioni, ma mi piacerebbe qual he dato quantitativo, ad esempio quanto incide sul costo totale il dover trasportare una automobile dal luogo di produzione in asia o europa dell’est fino in italia?

Ne abbiamo parlato in Trattati mondiali, di come il trasporto globale è sovvenzionato dalla predisposizione mondiale ad ignorare l’ambiente. Esiste anche un articolo nel programma pirata che chiede la messa al bando dell’heavy fuel oil (HFO). La globalizzazione è un effetto artificialmente creatosi attraverso la competizione fino al sangue delle nazioni nel mondo.

A prte il fatto che il senso di “funziona” impostato da bockman era diverso neil nuovo significato a mio avviso la globalizzazione funziona eccome. Quando andai in Cina anni fa nei campi si usava ancora l’aratro tirato con gli gnu.la gente camminava sulle autostrade la maggior parte viveva in catapecchie e nelle città le fogne erano a cielo aperto. Leggo che oggi le cose sono molto differenti.Per loro la globalizzazione ha funzionato benissimo sia pure con moltissimi problemi (leggete qualche giallo di Xiaolong) A noi sta succedendo quello che successe anni fa con la scoperta dell’America: il Mediterraneo fino ad allora centro del mondo perse importanza e ne acquisirono le nazioni che erano sull’Oceano Atrantico… Si spostò il centro del mondo. Purtroppo le masse sono conservatrici e non lo comprendono.ò

con la globalizzazione togli 30 dalla società sviluppata e tra costo del lavoro e trasporto paghi 20 che finiscono in parte anche nei paesi meno sviluppati. Quel 10 che avanza te lo metti in tasca. In realtà è un meccanismo che accentra ulteriormente la ricchezza come i dati mondiali attestano al di là di ogni ragionevole dubbio. Ora, può una strategia fondata sull’impoverimento essere sostenibile a lungo?

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A parte il fatto che per i paesi del terzo mondo noi facciamo parte dei privilegiati (e quindi sarà odioso l’1% ma anche noi non scherziamo) i dati dicono che nel mondo la povertà è diminuita. Penso che, ad esempio, non sia difficile crederlo per la Cina dove anni fa si moriva letteralmente di fame. Certamente l’1% fa i propri interessi, ma non mi sembra che i cittadini del mondo privilegiato facciano diversamente: guarda come si lamentano quando le fabbriche si spostano in paesi meno sviluppati! Nonostante l’antipatia per Briatore non ha torto quando dice che le masse non hanno mai prodotto lavoro.

Questa la voglio quotare. Merita.

Semmai le masse non hanno mai prodotto posti di lavoro … ed anche questo è discutibile. panettieri, lavandai, fabbri, carrettieri, venditori di questo e quello , eccetera sono sempre esistiti e sono posti di lavoro creati da necessità diffuse ed alimentati con il microcapitale delle masse, piuttosto che con il capitale di qualche industriale. Certo oggi è diverso: per una industria elettronica o una fabbrica di automobili occorrono grandi capitali … Ma questi capitali sono di solito forniti dalle banche, che sono sopratutto alimentate dai risparmi di milioni di cittadini … una massa, direi…

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Un po’ tirato per i capelli: fabbri, carrettieri, … hanno agito come individui, non come massa.

Embè? Che cambia?

Cosa cambia? Prova a giocare al lotto 5 numeri singoli od una cinquina. Al massimo si può dire che morendo e soprattutto, combattendo, le masse creano molti posti di lavoro.

Metto il link ad un interessante articolo di Bertola [deluso del M5S, ma interpellato a suo tempo disse di non essere interessato al PP perché non in grado di incidere] https://www.facebook.com/notes/vittorio-vb-bertola/un-futuro-alternativo-al-populismo/10154907681216210

Mi fa

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Quello che volevo sottolineare è che questo tipo di posti di lavoro non è creato e finanziato da grandi capitali, ma dalle esigenze e dalla “small money” della “massa” …

Purtroppo non ci sono i grfafici Un futuro alternativo al populismoVittorio Vb Bertola·Sunday, March 26, 2017Ultimamente provo un grande senso di frustrazione e di impotenza per come vanno le cose in Italia e nel mondo. I miei critici personali lo attribuiscono al mio divorzio con il M5S, ma questo c’entra solo in modo molto indiretto.Infatti, ciò che mi arrovella, ciò che mi rende spesso negativo, è che vedo il nostro mondo andare verso il disastro; e se fin che facevo politica attiva mi sembrava di far qualcosa per evitarlo, ora che non posso più fare niente mi sento frustrato. Anzi, visto che il M5S invece di evitare questa fine ha cominciato a lavorare attivamente per arrivarci, mi sento anche un po’ responsabile, pur avendo fatto tutto il possibile per combattere questa deriva dall’interno e dall’esterno, e avendo dunque la coscienza a posto.Voglio dunque farvi un discorso lungo e importante, partendo da alcuni fatti, per dimostrare che il populismo che cresce in tutto l’Occidente ha le radici, come sempre accade nella storia, in un meccanismo di egemonia culturale che modifica la percezione delle cose, e in particolare della globalizzazione.Ciò che è veramente accaduto grazie alla globalizzazione è ben esemplificato da un grafico che ripropongo a ogni occasione: l’aumento reale di ricchezza della popolazione terrestre tra il 1988 e il 2008, in funzione della fascia di ricchezza a cui ognuno di noi appartiene su scala globale.Quando si dice che la globalizzazione ha beneficiato solo “l’1% più ricco” o “una piccola minoranza”, si dice una grande bugia. In realtà, dalla globalizzazione hanno guadagnato quasi tutti: hanno guadagnato le classi medio-alte dei paesi occidentali, che stanno all’estremo destro del grafico, e hanno guadagnato tutti, sia poveri che ricchi, nei paesi in via di sviluppo e persino in quelli più poveri del pianeta. Gli unici che non hanno guadagnato sono quelli tra il 75 e il 90 per cento, ovvero le classi medio-basse dei paesi ricchi.Su scala planetaria, insomma, la globalizzazione ha portato crescita e ricchezza alla grande maggioranza degli esseri umani; negli ultimi trent’anni, miliardi di persone sono uscite dalla povertà.Ma persino se prendiamo soltanto le nostre singole nazioni, questa idea che la disuguaglianza sia cresciuta, che “l’1% si è arricchito alle spalle del 99%”, è vera solo in parte. Questo grafico mostra l’andamento del coefficiente di Gini, la grandezza che misura la disuguaglianza economica all’interno della società, in Italia, Germania e Stati Uniti.E’ vero che il trend generale dagli anni ’80 è in ascesa, e indubbiamente la competizione globale ha premiato di più chi era più in grado di approfittarne, in primis chi aveva i capitali per investire. Eppure, specialmente prendendo le curve più basse, cioè quelle dopo la redistribuzione di ricchezza operata dallo Stato tramite la tassazione, si scopre che il coefficiente di Gini non è salito poi di così tanto; in Italia, anzi, dopo un forte aumento nei primi anni ’90, dal 1998 non ha fatto che calare, e anche dopo il 2010 pare essere rimasto sostanzialmente stabile, nonostante persino Il Sole 24 Ore faccia un titolo che dice l’opposto.Del resto, il “top 5%” su scala globale che stando al primo grafico si è arricchito non corrisponde a soltanto il 5% dell’Occidente, proprio perché esso è concentrato al suo interno; esso corrisponde almeno al 20-40% delle società occidentali. Per questo la disuguaglianza in Occidente è salita, ma non così tanto, perché l’arricchimento materiale dovuto alla globalizzazione, anche da noi, è stato molto più diffuso di quel che comunemente si dice; molti ne hanno beneficiato, ma non se ne rendono conto.Più che aumentare le disuguaglianze, quindi, è l’intera società italiana che è cresciuta meno delle altre. Potremmo dire anzi che nel complesso, dal 2008 in poi, si è abbastanza uniformemente impoverita, in senso assoluto ma soprattutto in senso relativo, rispetto ai nostri vicini europei; perché restiamo comunque tra i più ricchi Paesi del pianeta, l’ottava economia del mondo e circa la trentesima (su duecento) in termini di PIL pro capite.Qual è allora il problema? Il problema è che l’essere umano non è altruista, ma utilitaristico; pensa essenzialmente solo a se stesso. E quindi, alle classi medio-basse dell’Italia e di molti paesi occidentali importa poco se la globalizzazione ha migliorato le condizioni di vita degli asiatici e in buona misura anche degli africani, dei russi, dei brasiliani; importa il fatto di aver dovuto fare rinunce, o addirittura di fare fatica ad arrivare a fine mese.Questo, peraltro, è sacrosanto; non si può dismettere la crescente antipatia occidentale di massa per la globalizzazione come frutto di ignoranza, di ingordigia o di xenofobia, come fanno da troppo tempo le élite dominanti; non si può trascurare la quantità crescente di persone che fanno fatica a tirare avanti, e che la globalizzazione ha oggettivamente danneggiato.Del resto, ognuno ha il diritto di inseguire il proprio benessere materiale, e, da essere umano medio, lo farà anche a discapito degli altri. I discorsi sulla decrescita felice e sull’amorevole terzomondismo, pur avendo il proprio senso, sono gingilli per gente con la pancia piena e tempo da occupare; e mentre le élite si gingillano con questi sogni, le masse dei paesi occidentali si organizzano per provare a riprendersi la ricchezza che si è trasferita verso il resto del mondo.Di qui nasce il populismo dilagante; l’abbondanza di politici che, talvolta credendoci sinceramente, talvolta sfruttando cinicamente la situazione, promettono alle masse ricchezza e benessere, andandolo a prendere a questo mitico 1% di privilegiati che però, come abbiamo visto, esiste, ed è probabilmente alla radice di molte scelte politiche a favore della globalizzazione, ma non è affatto il suo effetto primario o il problema principale dell’attuale momento storico.Già, perché io ho fatto un calcolo molto semplice: sono andato sul sito della Banca Mondiale, ho scaricato la tabella con il PIL dei vari paesi nel 2015 e ho fatto la somma; fa 73 mila miliardi di dollari. Dividetela ora per i sette miliardi di abitanti del pianeta, quanto fa? Fa diecimila dollari a testa.Il PIL italiano è attualmente di circa 36.000 dollari a testa, quindi, cari ragazzi, se anche riuscissimo a prendere tutti i ricchi nelle loro isole felici e ci mettessimo a redistribuire le loro immense ricchezze a tutto il pianeta, introducendo un bel reddito di cittadinanza globale, le frontiere aperte per tutti e la massima e totale uguaglianza tanto agognata dalle sinistre mondiali, tutti noi italiani dovremmo ancora rinunciare in media a tre quarti della nostra ricchezza.Perché, vedete, alla fine i ricchi siamo noi, ma non solo gli Agnelli e i Berlusconi; siamo tutti noi, esclusi al massimo i rom che vivono nelle baracche e gli immigrati che raccolgono pomodori a tre euro l’ora; ma nemmeno loro sono i veri poveri del mondo, e infatti rischiano la vita pur di venire qui a raccogliere pomodori a tre euro l’ora, perché per loro è comunque un miglioramento economico.Ma questo vuol anche dire un’altra cosa: che o siamo in grado di realizzare prodotti che valgano più della media mondiale, posizionandoci all’avanguardia della tecnologia e dell’innovazione di prodotto e di mercato, oppure, se continueremo a competere con tutto il pianeta su produzioni poco qualificate che si possono fare ovunque, siamo destinati a ristagnare fin quando il nostro reddito non sarà più o meno allineato con la media mondiale, cioè tra un paio di generazioni (persino se noi restassimo totalmente fermi e il mondo meno sviluppato crescesse regolarmente del 5% l’anno, ci vorrebbero ancora quasi trent’anni).Allora, dove pensate che i populisti possano prendere la ricchezza per ridare soldi in tasca alle nostre classi medio-basse? Un po’, per carità, si potrà ancora provare ad aumentare la tassazione ai nostri ricchi, ma siamo già a livelli molto alti, e dato che ci stiamo relativamente impoverendo tutti, questo darà qualche soldo in più ad alcuni a scapito di altri, ma non fermerà certo l’impoverimento collettivo dell’Italia; del resto, tutti i tentativi di mettere più soldi in tasca ai poveri sostenendo che questo avrebbe rilanciato i consumi e la crescita sono finora essenzialmente falliti.Per il resto, però, l’unica possibilità per ottenere ricchezza dall’alto e senza faticare, cioè senza riqualificarci, darci da fare e metterci a offrire prodotti e servizi unici che non possano essere imitati a un terzo del prezzo da un lavoratore asiatico o africano, è interrompere la globalizzazione con la forza, economica o militare, tirare su i muri e reimpoverire qualcun altro per riarricchirci noi; dove il qualcun altro, a scelta, può essere un altro paese europeo che è stato più bravo di noi a sfruttare la situazione, oppure può essere il resto del mondo.Solo che, vedete, nel frattempo la Cina ha costruito le portaerei. No, ve lo dico, perché magari pensate ancora che noi europei siamo i padroni del mondo, e non è più così. Forse lo sono gli americani… forse. E del resto, è più facile che sia Trump a impoverire a forza l’Europa, che l’Europa a impoverire a forza gli Stati Uniti, specie se l’Europa si spezza e diventa una miriade di Paesi poco o per nulla rilevanti. Quanto a noi italiani, manco siamo autosufficienti energeticamente: abbiamo fatto progressi, ma basta che Putin si incazzi e stiamo al freddo.Capirete dunque che, in queste condizioni, affidarsi al populismo è facile, ma è probabilmente un suicidio; perché un governo populista potrà inizialmente raschiare il fondo del barile per mantenere le proprie promesse di restituire ricchezza a pioggia, ma poi non ci riuscirà. Non volendo lasciare il potere (nessuno mai vuole lasciare il potere), in Italia e altrove vedremo le classiche fasi dei governi populisti:1) Propaganda: il governo populista andrà avanti a dire che la situazione non cambia per colpa di quelli che c’erano prima, di quelli che stanno fuori dal Paese, dei cattivi europei/finanzieri/multinazionali/riccastri eccetera. Nel frattempo avrà il potere in mano, i nuovi politici si arricchiranno come e peggio di quelli vecchi, piazzeranno gli amici, e continueranno a prendere in giro i loro seguaci per farsi rivotare.2) Paranoia: si comincerà a dire che la situazione non cambia perché ci sono dei traditori della nazione, innanzi tutto gli oppositori politici; poi, in base alle lotte di potere interno, improvvisamente anche qualcuno dei governanti verrà scaricato e additato alla folla come capro espiatorio. Questa è la fase in cui si rischia la violenza, perché se la gente ha fame e gli dici che è colpa di Tizio che abita tre isolati più in là, qualcuno che lo va a cercare salta fuori di sicuro; ed è anche la fase in cui chi sta al potere spesso coglie l’occasione per instaurare un regime autoritario o direttamente una dittatura (abbiamo già esempi ai bordi dell’Europa).3) Guerra: alla fine, se il governo non crolla prima, l’unico modo di ottenere risorse sarà una guerra economica, diplomatica o persino militare con qualche Paese straniero vicino o lontano, cominciando a requisirne le proprietà o a non ripagargli i prestiti che ci ha fatto, senza sapere dove si andrà a finire.Del resto, prima ancora di governare a livello nazionale, il M5S di oggi è già alla seconda fase; possiamo sperare che non arrivi mai alla terza, ma bisogna essere ciechi per non vedere i segnali tipici di questa deriva, già sperimentata da molti Paesi negli ultimi cento anni.Eppure, il populismo vincerà le elezioni tra gli applausi della gente, e sapete perché? Non è soltanto perché la situazione è questa; è perché le misere leadership dell’Italia e dell’Europa di oggi, dopo aver per anni ignorato il problema, non hanno saputo dare una risposta alternativa né sul piano dei comportamenti, continuando a farsi i fatti propri e a ballare sul Titanic, né sul piano culturale.Su questo piano, almeno in Italia, il populismo ha già vinto: perché non c’è alcun leader o progetto politico culturalmente alternativo. Berlusconi? Era populista prima di Grillo. Salvini? Un Grillo più xenofobo. Renzi? Renzi ha inseguito Grillo con slogan ad effetto, battute altrettanto arroganti e sparate altrettanto populiste, e se nel brevissimo periodo questo lo ha portato al 40%, nel medio periodo, non avendo ovviamente mantenuto alcunché, si è bruciato. E’ inutile che il PD candidi Renzi, il suo sorriso vacuo e i suoi slogan; è bruciato, e per quanto la gente possa essere poco convinta di Grillo, tra lui e Grillo a questo giro l’Italia sceglierà il secondo, proprio come l’America ha scelto Trump piuttosto che riavere i Clinton, e l’Inghilterra ha scelto la Brexit; con l’aggravante che mentre all’estero il populismo fa presa soprattutto sui vecchi, da noi la fa soprattutto sui giovani.L’unico modo di battere il populismo è rovesciarne l’egemonia culturale, nel dibattito pubblico e nella mente degli italiani; avere il coraggio di dire chiaramente le verità scomode, di parlare di valori democratici non negoziabili e di progetti a lungo termine, di spiegare che la globalizzazione non ha impoverito “tutti tranne i super-ricchi” e che non c’è alcuna scorciatoia per il benessere collettivo rispetto al darsi da fare, di trattare gli ignoranti per gli ignoranti che sono, di promuovere l’idea che non è la politica che deve scendere al livello della marmaglia da social network, ma la marmaglia che deve educarsi se vuole avere un ruolo nel dibattito pubblico, da cui altrimenti deve essere estromessa non con la forza, ma con gli argomenti, con i fatti (quelli sì, difesi con forza dalle bugie), ed eventualmente con la ridicolizzazione che ben le sta.Per come è ridotta la mentalità degli italiani oggi, temo che sia comunque troppo tardi; le verità scomode potranno essere riconosciute soltanto sulle ceneri di un disastro totale del populismo, spero non grave come quello del populismo di Mussolini, anche se persino la giustamente decantata Italia seria e operosa del dopoguerra è esistita soltanto dopo che la via facile del populismo era stata catastroficamente sperimentata fino in fondo.Eppure, questa è l’urgenza della politica italiana ed europea oggi: produrre una alternativa politica e culturale globalista, moderna, seria, competente e non compromessa col passato, quindi altrettanto credibile del populismo come proposta per il futuro.Questo, si badi, non vuol dire astenersi da qualsiasi critica o richiesta all’Unione Europea e a chi gestisce i fenomeni globali, a partire dal dibattito sulla sovranità monetaria, e nemmeno da qualsiasi limite alla circolazione dei capitali, delle merci e delle persone, limite invece che è auspicabile proprio per rendere gestibile una situazione sociale che altrimenti rischia di esploderci in mano. Questo, però, vuol dire scegliere i valori prima che il consenso immediato, e decidere per principio di essere europei e cittadini del mondo, anche se questo dovesse costarci qualcosa nel breve termine, perché è l’unica via per la pace e la prosperità nel lungo termine.

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Vera in parte sostanziale. Sì, l’abuso massiccio dell’ambiente ha ridotto la povertà più estrema, ma la digitalizzazione ha anche creato la disparità più estrema della storia umana con otto persone che possiedono quanto la metà della popolazione umana. Perciò i successi ottenuti non sono soddisfacenti: ci stanno costando non solo la giustizia, ma la biosfera!

Interessante però il particolare, che i perdenti della procedura di estremizzazione della disparità sia il ceto medio occidentale. Intanto nei ceti medio-alti del Saarland alle elezioni di ieri hanno confermato i democristiani– evidentemente il dolore lì ancora non è arrivato.

È l’intera società italiana che è cresciuta meno delle altre.

Soggettivamente percepisco come il Made in Italy sia crollato… negli anni 80 l’Italia esportava alla pari con la Germania.

Il problema è che l’essere umano non è altruista, ma utilitaristico; pensa essenzialmente solo a se stesso.

E la politica va disegnata non con la testa rincitrullita di ideologie positiv-umaniste-sessantottine ma con un umanesimo sincero: accettando le deficienze del genere umano e tenendone conto. Così come lo fa anche la democrazia.

Dividetela ora per i sette miliardi di abitanti del pianeta, quanto fa? Fa diecimila dollari a testa. Il PIL italiano è attualmente di circa 36.000 dollari a testa, quindi…

Interessante matematica, ma troppo sempliciotta:

  1. Non tiene conto del danno ambientale, perciò se volessimo perseguire un ideale radical-comunista non basta ridistribuire, bisogna anche cancellare varie migliaia di dollari a testa che abbiamo acquisito in modo insostenibile.
  2. Il PIL italiano non è distribuito a testa, la fetta maggiore sta nelle tasche della vedova di Michele Ferrero. Purtroppo non abbiamo fatto la campagna “Michele, molla la Nutella” quando era ancora in vita…
  3. Non siamo radical-comunisti, non vogliamo l’eguaglianza radicale ma una distribuzione più ragionevole, una società etica ed un’economia sostenibile. Parafrasando Hanauer, “Capitalism needs inequality like a flower needs water, but just like a flower, capitalism drowns when given too much inequality.”

Ma a conti fatti presumo che il reddito di esistenza è realizzabile e darebbe maggiore stabilità esistenziale ed economica, ma è anche vero che per l’Europa è ora di calare le aspettative e ridurre i costi…

Un po’, per carità, si potrà ancora provare ad aumentare la tassazione ai nostri ricchi, ma siamo già a livelli molto alti

Di quale pianeta stiamo parlando? O è un dato specifico dell’Italia? Tassare i ricchi senza bloccare la fuga del capitale è poco efficace indeed…

darci da fare e metterci a offrire prodotti e servizi unici che non possano essere imitati a un terzo del prezzo da un lavoratore asiatico o africano

Cioè in pratica perseguire un business model stile Faceboogle, che del resto è illegale in Europa…

  1. Guerra: alla fine, se il governo non crolla prima, l’unico modo di ottenere risorse sarà una guerra economica, diplomatica o persino militare con qualche Paese straniero vicino o lontano, cominciando a requisirne le proprietà o a non ripagargli i prestiti che ci ha fatto, senza sapere dove si andrà a finire.

Analisi sconcertante, ma realistica.

Su questo piano, almeno in Italia, il populismo ha già vinto: perché non c’è alcun leader o progetto politico culturalmente alternativo.

Sigh. Mi conforta solo l’idea che Grillo, invece di Erdogan, magari credeva veramente di fare la democrazia diretta– e solo per errore ha fatto tutte le cose giuste per diventare dittatore.

non è la politica che deve scendere al livello della marmaglia da social network, ma la marmaglia che deve educarsi se vuole avere un ruolo nel dibattito pubblico

E per fare ciò non basta dirlo, ci vuole la regolamentazione per ottenere un Internet libero, libero per i partecipanti di non essere manipolati e marmagliati.

Questo, però, vuol dire scegliere i valori prima che il consenso immediato, e decidere per principio di essere europei e cittadini del mondo, anche se questo dovesse costarci qualcosa nel breve termine, perché è l’unica via per la pace e la prosperità nel lungo termine.

Amen.