Partito pirata e visione politica (un timido tentativo)

Come vi accennavo durante uno dei nostri ultimi incontri su Jitsi, vorrei partire proprio dal dibattito sviluppatosi attorno al termine “lavoratore della conoscenza” o “prosumer della conoscenza” o “cognitariato” se preferite un termine marxisticheggiante. Perché è importante questo dibattito? Perché se il nostro obiettivo è quello che ogni forza politica progressista dovrebbe avere, cioè trasformare e riformare la società, dovremmo innanzitutto partire da una semplice considerazione: la società rappresenta né più né meno l’ equilibrio dei poteri e dei rapporti di forza tra le sue componenti sociali, così come si sono storicamente determinati. Per trasformare la società è quindi necessario spezzare questo equilibrio e per farlo occorre individuare al suo interno qual è il soggetto che oggi più di altri pare in grado di indurre questa trasformazione, soggetto che ha in sé abbastanza forza per produrre la trasformazione dell’esistente. Lenin fece una rivoluzione in una Russia prevalentemente contadina, e la fece con una piccola minoranza di operai, non perché snobbasse i contadini ma perché colse nelle difficoltà con cui la società Russa percorreva il suo cammino strategico di industrializzazione, l’anello debole sul quale poter far leva per compiere la grande trasformazione. la domanda quindi è capire se il lavoratore della conoscenza, al di là della sua rappresentazione numerica, rappresenti realmente il soggetto politico che stiamo cercando. Siamo in grado di tracciare una profilazione del lavoratore della conoscenza? Probabilmente è ancora prematuro e spero che il dibattito interno possa procedere in questo senso, però credo si possa concordare su tre questioni di fondo. La prima è che questo soggetto è refrattario alle grandi narrazioni dell’ottocento e del novecento. Non è cioè un soggetto che cattureremo con concetti come quello di patria e di nazione ad esempio; non subisce neppure il fascino delle grandi suggestioni novecentesche come il socialismo o il comunismo. E’ un soggetto che richiede una visione nuova, uno sguardo laico, razionale e disilluso sulla realtà. La seconda è che si manifesta come un soggetto intrinsecamente liberale, non tollera cioè invasioni dello Stato nella sua vita privata e detesta ogni tipo di paternalismo. E’ geloso della propria libertà di movimento, di scelta, di auto-determinazione. Infine, penso che sia un soggetto tipicamente progressista visto che tutte le culture reazionarie hanno in qualche modo cercato di limitare l’accesso alla conoscenza. Cosa andremo a dire a questo soggetto? Non sarà sufficiente parlare di “diritti”, siano essi civili, digitali ecc… Abbiamo già in questo paese un partito che si batte per lo stesso motivo da decenni, non penso che il PP potrebbe da questo punto di vista fare di meglio. Credo anche che le grandi trasformazioni della società passino dalle grandi questioni economiche. Io spero che il PP sappia fornire ai “lavoratori della conoscenza” non soltanto una piattaforma per la difesa dei diritti civili e digitali ma anche una visione radicalmente nuova dell’economia e della società. Uno dei grandi temi in discussione, ad esempio, è proprio quello del reddito di base. Ecco, io spero che su questo tema non faremo l’errore che altri partiti hanno commesso, semplificando e banalizzando il problema e offrendo soluzioni “pronte all’uso” fuori dalla realtà delle cose, ma che avremo piuttosto la capacità di proporlo come un processo tendenziale col quale dobbiamo iniziare a confrontarci. Io penso che questo tema sia destinato ad entrare sempre di più nella centralità del dibattito politico, se non altro perché la rincorsa verso il 4.0, ci dice chiaramente che l’automazione, gli algoritmi, l’IA e i robot sono destinati a soddisfare progressivamente le richieste del mercato del lavoro, provocando una progressiva espulsione di forza lavoro che non verrà più impiegata. E’ anche interessante notare come con la fine delle grandi narrazioni e l’avvento della post modernità siano pochi i soggetti, tra cui io annovero gli imprenditori, in grado di sviluppare una propria visione utopica della realtà e come la determinazione di un capitalismo che non abbia più nello sfruttamento umano il proprio motore di sviluppo primario, abbia in sé i germi di un suo superamento. E’ ovvio che ci troviamo di fronte ad una mutazione “antropologica” della società che necessita di intraprendere un cambiamento culturale a medio e lungo termine, finalizzato a separare sempre più il concetto del “reddito” da quello del “lavoro”. Ed è proprio in questo contesto culturale che dovrà insinuarsi la battaglia politica per una migliore distribuzione della ricchezza prodotta che, a quel punto, non potrà che avvenire con forme di redistribuzione di reddito. Non è certo una novità, è dagli anni novanta che economisti come Gorz teorizzano la fine del lavoro salariato che è pure dal punto di vista storico una invenzione relativamente recente e di per sé superabile. Infine, per dipingere uno scenario nel quale dare vita ai nostri presupposti di cambiamento della società, occorre che si chiarisca una volta per tutte il rapporto che la politica ha con il potere. Prendere consapevolezza del fatto che non ci si può considerare intrinsecamente migliori di altri è rendere evidente che il rapporto con il potere è inevitabilmente corrompente e che la battaglia per “l’onestà” e la trasparenza non deve essere etica ma tecnica. Per questo il potere non va semplicemente conquistato ma prima di tutto destrutturato. Siccome abbiamo un rapporto sano con la tecnologia e non vogliamo diventare gli utili idioti spettatori del processo di cambiamento tecnologico, dobbiamo utilizzare bene la tecnologia per sostituire, secondo algoritmi noti, verificabili e con l’utilizzo di codice aperto, quei processi decisionali che si fondano su libere interpretazioni e giudizi arbitrari. Eliminare le zone grigie del potere attraverso la creazione di processi decisionali sicuri “by design” ma maggiormente rispettosi rispetto agli attuali delle regole di uno Stato di diritto e della privacy delle persone.

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Segnalo questo testo che tratta di “cognitariato” .https://www.carmillaonline.com/2004/07/21/bifo-il-sapiente-il-mercante-il-guerriero/

grazie Anam per la segnalazione. Personalmente seguo da tempo questo tema, Negri, Vercellone, Ciccarelli, sono state alcune delle letture che mi hanno accompagnato in questi anni. Quello che, credo, il PP cerca di fare ore è trovare una lettura da condividere che sia libera da pregiudizi ideologici e che sappia rapportarsi al “lavoratore della conoscenza” dentro uno spazio che io vedo come liberale (libertario) e progressista.

beh il definirsi libertario e progressista ( parola ben più ambigua della prima) ben significa sposare un ideologia, come , tra l’altro, lo è anche la “post-ideologia” … ciò che sia un giudizio o un pregiudizio è difficile da definire Spesso il termine “ideologico” viene usato , in atto retorico, da un ideologia per attaccarne un’altra :smile: Togliamo quindi l’indugio :slight_smile: Bifo scrive di come la progressiva scomparsa della classe operaia ( ESCLUSIVAMENTE NEL MONDO OCCIDENTALE) renderà tutti i lavoratori e lavoratrici ( occidentali) appartenenti alla classe del cognitariato ( coloro che producono, idee , servizio, informazione ). Il cognitariato non è però una classe omogenea, è percorsa da “intersezionalità” e quindi , è anche la somma di tutti gli sfruttati, emarginati , precarizzati, strapiantati del mondo …
Credo quindi non possa che essere questa grande famiglia umana il “target” della politica di oggi! P.s in questo Bifo , come Hardt, non potrebbero essere più “post-ideologici” (ma in realtà , lo dicevo prima , sono anch’essi ideologici in quanto libertari antistatalisti)

Il sistema che abbiamo oggi di redistribuzione della richezza è , almeno in parte, la causa della mancata redistribuzione di essa. Si possono tassare i grandi potentati , e non lo si fa, perchè questi esistono e quando questi esistono , in quanto potentati, hanno potere e lo usano per la loro espansione e difesa.

Bisogna tornare a immaginare le grandi riserve minerarie, acquifere, boschive, le grandi pianure, le grandi infrastrutture come beni comuni e quindi collettivi e quindi democratici ( sono retribuiti bene i lavoratori che estraggono, sono redistribuite le materie prime , rispettando l’ecosistema, alle aziende che intendono trasformarle e queste remunerate dai consumatori /“padroni”) . E nella grande categoria dei commons non può non essere integrata il sapere e la rete. La battaglia dei commons ( digitali e non) non può non essere un faro! Il partito pirata credo , anche con la sua maturata esperienza in e-democracy, non può che svolgere il suo ruolo, non far sentire il suo peso!

Sull’intersezionalità ito il seguente articolo :

a dominazione di classe è allo stesso tempo dipendente, e costituita, da gerarchie di razza e di genere, esattamente come la dominazione razziale dipende da gerarchie di classe, e così via /riconoscere la molteplicità delle strutture di dominazione come co-costitutive le une delle altre è un prisma migliore per comprendere la realtà sociale / La precarietà, scrive Judith Butler, «designa quella condizione politicamente indotta per cui determinate persone soffrono più di altre per la perdita delle reti economiche e sociali di sostegno, diventando differenzialmente esposte all’offesa, alla violenza e alla morte

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se questa battaglia non la fa il lavoratore della conoscenza chi mai potrà farla al suo posto? Il PP non ha la pretesa di rivolgersi a tutta la società, ma sicuramente si rivolge al lavoratore della conoscenza, almeno quello che si riconosce in un principio liberale di società, che non sopporta l’invasiva intromissione dello Stato e che vuole una ridistribuzione della ricchezza. D’altronde la sinistra tradizionale, inclusa anche quella dei “movimenti” rappresentata in parte da PaP è quanto di più lontana dal concetto di bene comune, rifiutando l’idea che il conflitto non possa che misurarsi nello scontro tra pubblico e privato, sovrapponendo il primo ad una idea autoritaria di Stato e mettendo all’angolo tutte le sue componenti più libertarie.

Mah. Personalmente mi convince poco questo approccio. Questi “lavoratori della conoscenza” in concreto chi sarebbero? Gli sviluppatori software? Gli insegnanti di latino? Chiara Ferragni?.

Lo so che sembra attraente lo storytelling “Partito pirata: cognitariato= Partito comunista: proletariato”

ma il problema principale è che il “lavoro cognitivo” è molto più difficilmente inquadrabile e regolamentabile di quello di fabbrica. La giornata lavorativa di 8 ore e un minimo salario orario sono concetti semplici da capire e anche da attuare, ma il lavoro “cognitivo” è determinato principalmente da quelle leggi di mercato che l’autore dell’articolo citato da Anam definisce “presunte” (probabilmente non avendole mai capite).

Per andare nel concreto: quando voi dite che Google si arricchisce ogni volta che fate una ricerca, e che in un certo senso state lavorando per lui senza essere retribuiti, tecnicamente dite una cosa quasi vera (dico quasi perché in realtà l’utilizzo del motore di ricerca Google è gratuito, ergo se anche voi contribuite al suo miglioramento, potrebbe essere considerato uno scambio di favori alla pari [“alla pari” si fa per dire, perché sfido chiunque a dimostrare che il beneficio che Google trae dalle vostre individuali ricerche sia superiore al beneficio che traete voi dall’usarlo quotidianamente]). Il problema è: provate a quantificare in termini economici questo vostro lavoro. Quanto vale la vostra singola ricerca “dentiere” su Google, eseguita alle ore 12.32 del giorno 12 aprile dell’anno X? Un euro? Un centesimo? Un millesimo? Probabilmente meno. Idem per i dati personali. I nostri, presi singolarmente, varrebbero quasi zero. Forse quelli dei Capi di Stato o dei potenti del mondo valgono un po’ di più, ma quelli di noi comuni mortali valgono quasi zero, presi singolarmente. Hanno valore economico solo se aggregati a quelli di milioni di altri individui.

Venendo al sodo: il messaggio che il PP dovrebbe far passare (secondo me) è che le disuguaglianze (almeno quelle eccessive: un minimo di disuguaglianza è fisiologica in ogni società) sono nate e continuano ad esistere perché ad alcuni soggetti è stato concesso di fare profitti enormi con monopolii e rendite di posizione; in un mercato senza privilegi le disuguaglianze sono molto inferiori. Guardate la differenza che esiste tra il mercato della tecnologia e quello delle pizze surgelate: in quest’ultimo esistono sì la Buitoni o la Roncadin, ma la loro posizione non è certo dominante come quella di Apple & Microsoft nel loro ambito. E questo per un motivo banalissimo: la pizza non è brevettata, ergo chiunque può mettersi da domattina a fare pizze surgelate in concorrenza a Buitoni e Roncadin.

La redistribuzione della ricchezza potrebbe avvenire in modo naturale, eliminando privilegi e rendite di posizione. Per tutte queste ragioni continuo a ritenere inconcepibile che i PP (non solo quello italiano) continuino a portare avanti la tesi del Reddito di base/esistenza/come_cazzo_volete_chiamarlo, continuando al tempo stesso a proclamarsi libertari e a dire che non vogliono lo Stato invasivo. In RdE presuppone un mega-Governo planetario (almeno lynx lo dice apertamente), e questo è un problema pratico. Ma c’è anche il problema ideologico, perché dipendere da un sussidio statale (perché di questo si tratta) non rende affatto libero l’individuo. La libertà te la da soltanto l’indipendenza, e più anni resti fuori dal mercato del lavoro più difficile sarà reinserirti; e quando non puoi più reinserirti, o campi col RdE o non campi proprio. Quello che lo Stato deve fare è mettere l’individuo nella condizione di sopravvivere agevolmente nel mondo. E lo può fare con scuole e servizi pubblici che funzionano

Non capisco però come intendi redistribuire la ricchezza quando le macchine lavoreranno al posto tuo, e mio, se non pensi ad una distribuzione di reddito?

Il punto è proprio quello: senza privilegi (tipo proprietà intellettuale) la ricchezza si distribuisce da sola molto meglio. Le macchine sono fatte di hardware e di software. Se questi sono liberi, il prezzo delle macchine sarà alla portata di molti, se non proprio di tutti. Ergo, se le macchine servono alla grande azienda Pippo International s.r.l. (con sede a Seattle) per offrire il servizio X, se la stessa macchina può essere usata anche dall’azienda Pluto s.p.a. (con sede nel piccolo comune di Manate sul Viso in provincia di Como), il problema si sgonfia da solo. Quello delle macchine è un problema solo se a potersele permettere sarà il solito ristrettissimo gruppo di miliardari.

Che poi, francamente, questa storia che le macchine ci ruberanno il lavoro non è considerato un dogma esattamente da tutti.

anche questo è tutto da dimostrare però

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Naa, lo ha già dimostrato la storia, oltre che le leggi elementari dell’economia. Se tu sei l’unico a poter legalmente produrre un bene (perché lo hai brevettato), sei anche l’unico che può stabilire il prezzo. Se invece lo può fare chiunque, molti si metteranno a produrlo, e faranno a gara a chi te lo vende al prezzo più basso. I cinesi ne sanno qualcosa. Vuoi un caso concreto? Prendi il caso della stampa 3D (e cito questo perché lo conosco meglio). Il brevetto detenuto dalla Stratasys è scaduto nel 2009. Guarda caso, è da quell’anno in poi che c’è stato il boom. Oggi le stampanti 3D le trovi a meno di 500€, mentre prima ne servivano migliaia. Don’t trust me? read here.

Secondo me in questo modo stai commettendo un errore di valutazione, perché quel processo che tu descrivi non può essere applicato ad ogni cosa. Ci sono delle tecnologie che saranno sempre inaccessibili per chi non possiede un capitale sufficiente ad impossessarsene, anche in questo la storia è maestra. Quindi potrai gingillarti con una tecnologia che ti permette di fare alcune cose ma molte altre saranno appannaggio di pochi. Se poi questi pochi a livello mondiale non saranno due o tre ma duemila, senza cioè costituire un monopolio, saranno comunque i pochi depositari di quelle tecnologie. Prendi l’industria automobilistica: è un monopolio? Credo che l’utopia del maker, del “chiunque può farsi tutto” sia una utopia ingenua, perché nasconde i rapporti di forza nella società e, soprattutto, l’utilizzo esclusivo delle sue risorse primarie. Invece il discorso sul reddito è immediato e comprensibile, e soprattutto è facilmente scalabile (tanto più cresce la ricchezza tanto più ne puoi distribuire).

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Noi , come umanità , non abbiamo bisogno di soldi, ma di beni (materiali e materiali) … i soldi sono solo , in una società sana, della cambiali del lavoro … e se le macchine fanno il lavoro, producono quindi beni e soldi da redistribuire … il sistema proporzionale di tassazione non sarebbe che , semplicemente un passaggio in più … non tasso il gli utili alla azienda X (automatizzata lungo tutta la filiera) , ma tasso le macchine e consumatori con il reddito minimo (pagato direttamente dalle macchine) acquistano il prodotto X… una moneta , quindi, finalmente realmente legate alla capacità produttiva . Un altro sistema , anche parallelo, potrebbe essere che tutti i consumatori del prodotto X , ma anche quelli che vogliono consumare un fantomatico prodotto Y non ancora prodotto ( ma già inventato), pagano il processo d’automazione (sempre con il reddito d’esistenza o con le proprie economie) , gli stipendi del personale. il “capitano d’impresa” che stà tragicamente scomparendo a favore dei famosi oligopoli , non sarebbe nient’altro che quel gruppo di persone che iniziano un processo. i “grandi macchinari” non potranno non rientrare nei common e , per gli altri, con l’abolizione della proprietà intellettuale , il prezzo sarebbe accessibile! … quindi una prospettiva (democratica e libertaria) per te sarebbe allargare , d’un pochino , gli oligopoli esistenti? … in realtà è proprio ciò che già accade, con risultati che conosciamo.

Segnalo https://valori.it/ridurre-la-diseguaglianza-con-la-tecnologia-15-proposte-concrete/

Uhm… un po’ mi pare come se ripartissimo ogni tot mesi con una discussione fondamentale di questo tipo… forse aggiungo un aspetto nuovo con questa considerazione:

Non siamo il partito in prospettiva del 20% dei consensi, dal quale ci si aspetta una visione politica capace di riformare l’esistenza umana nella nazione e sul pianeta… per quanto noi una tale visione l’abbiamo sviluppata, con il progetto di un’economia sostenibile per il pianeta ed equa alla faccia di una digitalizzazione che sta concentrando i profitti in pochissime mani… si tratta di qualcosa di approfondimento per i veri veri fans.

Ma adesso la stramaggioranza del nostro elettorato potenziale ci darebbe il voto per risolvere problemi imminenti ai quali nessuno sta proponendo soluzione adeguata.

E sapete già a cosa voglio arrivare. Ognuno di noi ha un cellulare che ascolta le nostre conversazioni e ci presenta le pubblicità in tema. C’è chi non resiste alla tentazione di mettersi una Alexa in stanza. Le nuove tecnologie sono comode, ma non è vero che per questo sia una buona idea mandare affanculo la democrazia. La proposta di legge per assicurarci che la tecnologia appartenga agli utenti e non a cinque ditte che si stanno impossessando del pianeta l’abbiamo abbozzata. Una legge che en passant avrebbe anche risolto il problema del copywrong.

Questo è un tema per il quale possiamo attrarre un primo supporto — e se poi ci dimostriamo diventare movimento popolare, ecco che è giusto tirare fuori dal nostro arsenale anche la grande visione economica… sostenibilità e prosperità per il genere umano… come se lo aspetterebbe il movimento Fridays for Future, più reddito d’esistenza per il semplice fatto che sei al mondo.

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Obbiezione! :smile:

Tutti i partiti che hanno conquistato il potere avevano una visione politica che si riproponeva di riformare l’esistenza umana. Poi magari era retorica (DC, Fascismo etc…) o era una visione parziale e limitata (probabilmente il Marxismo).

Ma questo pone solo un problema di struttura e meccanismi.

Per contro, in assenza di una visione politica chiara e nobile, non c’è modo di ispirare fiducia e attrarre nuove persone e nuove idee.

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Questa è una domanda molto interessante. Intuitivamente direi che “lavoratori della conoscenza” (o peggio cognitariato, che trovo parola bruttissima) è una definizione profondamente sbagliata. Assume che la Conoscenza DEBBA essere un prodotto.

Su questo, ti sbagli di brutto.

Tu sai quante informazioni personali diffondi (nella ipotesi più conservativa) con un singolo click su un link? Ne ho parlato qualche tempo fa a Milano (slides).

Quelle informazioni hanno un valore notevolissimo anche se non aggregate: possono permettere facilmente di venderti un cellulare o un diamante per tua moglie. Non serve necessariamente che vengano aggregate, una volta che posso associare al tuo specifico utente una fascia di reddito (cosa piuttosto semplice, può bastare lo user agent :wink:) posso vendere il tuo nome per diverse decine di euro a diverse aziende, alcune delle quali rientreranno facilmente dell’investimento.

Naturalmente, se un click veicola una decina di informazioni personali come minimo (molte di più di default), immagina quanto possano valere profili aggregati specifici su una singola persona.

Analizzando un CMS per uno dei lavori che ho fatto in passato (presso una nota associazione industriale), ho scoperto che un singolo CV di un potenziale lavoratore (compilato dal candidato stesso, dunque strutturalmente biased) veniva valutato in media 250 euro. Per loro il database di oltre ventimila curricula / profili era un asset fondamentale.

Immagina il valore di un singolo profilo di Google o Facebook. Ogni click ha un valore enorme perché aggiorna quel profilo.

E questo indipendentemente dal Potere Politico ed economico che la profilazione globale produce.

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