Raggi: Roma capitale della democrazia diretta

Continua la discussione da BREXIT: limitare l’irrazionalità della democrazia diretta?

Petizioni online, referendum senza quorum, bilancio partecipativo queste le proposte del Movimento 5 stelle che si pone l’obiettivo di garantire partecipazione e trasparenza. Con le consultazioni online “vogliamo avviare il modello della piattaforma Rousseau anche sul sito di Roma Capitale - spiegano i 5 stelle - questo consentirà all’amministrazione di comprendere le esigenze della città e dei cittadini”. Il primo atto è l’introduzione di strumenti di democrazia diretta nello statuto di Roma Capitale: in primis le Petizioni popolari elettroniche: “Un diritto già previsto nell’ordinamento italiano e garantito anche dalla Costituzione - spiegano i pentastellati - ma non è stato mai applicato. Ci siamo ispirati al modello della Camera dei Comuni inglese, i cittadini potranno presentare le petizioni popolari direttamente in assemblea capitolina”.

Sul blog di Grillo scrive la sindaca Virginia Raggi, ‘Passeremo dalla città di “Mafia Capitale” a “Roma Capitale della democrazia diretta e della trasparenza”’. In pratica si esclude Rousseau con la parola “trasparenza”. Varie voci confermano che la piattaforma senza trasparenza ovvero Rousseau non potrà effettivamente finire sul sito del comune. “L’hanno tirata in ballo i giornalisti. La Marzano ha fatto anche una Delibera sul software libero.” “L’assessore Marzano ha specificato che non si integrerà Rousseau. Però non ha detto cosa si farà. Si sta parlando di Liquid Feedback ma anche di Parelon.” “Per Parelon avevano già acquistato i token.” Per l’uso in Lazio però, che poi gli venne interdetto dal gran comandante– ma credo che stavolta non potrà permettersi di impedire una vera democrazia diretta a Roma…

“Questi strumenti - ha sottolineato il deputato Fraccaro - hanno effetti immediati: il primo è che la democrazia diretta non garantisce decisioni giuste come non le garantisce quella rappresentativa, ma la cosa più importante è che garantisce la responsabilizzazione dei cittadini, che è l’unico modo che una società ha per crescere; il secondo effetto è che verranno prese decisioni consapevoli e non più frutto del mal di pancia del momento”.

Più informato Simone Cosimi in Wired:

La mossa di Virginia Raggi e della sua assessora Flavia Marzano non è tanto da intendersi come l’estensione dei meccanismi già applicati a livello nazionale dal Movimento 5 stelle (piattaforma Rousseau, blog e compagnia): se così fosse, ci sarebbe da preoccuparsi e non poco vista la dimensione farsesca degli esperimenti, leggi alla voce comunarie. Semmai come messaggio forte ai romani, che da tempo hanno smesso di occuparsi del destino della propria città. Proporre strumenti seri, con la rassicurazione che le loro posizioni verranno discusse e applicate dall’Assemblea capitolina, è senz’altro un modo per riportare i cittadini a contatto con i posti in cui vivono e con l’amministrazione. […] In questo, come in ogni altro caso, è necessario che i sistemi dedicati siano ospitati da server certificati, garantiti e controllati da organismi statali e istituzionali, non dalla maggioranza di turno o dai suoi consulenti. Non è possibile tenere le petizioni sul destino di Roma, e conservare i dati dei sottoscrittori, sul sito di Beppe Grillo o su qualche server pagato dalla Casaleggio Associati. […] Al momento affinché referendum consultivi e abrogativi a Roma siano validi, deve votare un terzo degli aventi diritto nel primo caso e la maggioranza nel secondo. La delibera propone di abolire il quorum. Una scelta che si allontana dal dettato costituzionale – che con l’art. 75 mantiene il quorum nel caso dell’abrogativo e invece non lo prevede in quello confermativo costituzionale, art. 138.

In questa occasione Wired non fa riferimento a Liquid Feedback come nel 2015 quando volle rimangiarsi le balle che aveva sparato in anni precedenti.

La domanda che mi pongo, visto il BREXIT, vogliamo veramente una democrazia diretta a Roma, o abbiamo urgentemente bisogno di meglio (minimo un Parelon se non una vera democrazia liquida acculturata?)…

Arriva subito l’opinione nel Corriere:

Consiglierei agli autori di queste strampalate proposte di rileggere un saggio di Norberto Bobbio del 1978, poi ripubblicato nel volume dello stesso autore su Il futuro della democrazia, del 1984. Lì Bobbio definiva impossibile che tutti decidano su tutto in società complesse, e insensato proporlo. E aggiungeva che il cittadino totale, chiamato a partecipare dalla mattina alla sera alle decisioni della comunità è non meno minaccioso dello Stato totale. Notava, infine, che il referendum è «espediente straordinario per circostanze straordinarie» e che «nulla rischia di uccidere la democrazia più che un eccesso di democrazia». Le esperienze referendarie compiute in molte parti della California lo dimostrano, perché hanno messo decisioni collettive nelle mani di lobbies, producendo un impoverimento delle strutture pubbliche, in particolare delle scuole.

L’ultimo è un punto interessante da approfondire. Presumo che Parelon ha una architettura decisamente più avanzata, dove le lobbies non avrebbero occasione di fare il loro gioco facilmente. In Liquid Feedback dipende tantissimo dall’assetto regolamentare e le policies. Se l’appalto finisce in mano a qualcuno che non ci capisce nulla, può avere conseguenze disastrose.

In pratica ritengo l’uso corretto di democrazia liquida troppo difficile da realizzare per la Giunta Raggi, perciò immagino che Parelon possa essere una scelta più saggia, dato che è studiato per alleviare i problemi della democrazia diretta mentre la democrazia liquida necessita un minimo di cultura della delega… e nel caso dei referendum ci sono troppe persone e un numero insufficiente di deleghe.

In pratica la democrazia liquida in larga scala la possiamo solo realizzare se introduciamo anche il concetto e la cultura della delega, in questo modo eliminando il pericolo di lobbismo osservato da Cosimi. Perciò se si decidesse di fare democrazia liquida, bisognerebbe tenerne conto già nella formulazione nello statuto del comune – perchè Liquid Feedback non è uno strumento di democrazia diretta.

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Ci ho pensato su, e non mi va giù. Il problema del Cammellaggio (o lobbismo) persiste… gli approcci che consideriamo per il partito (90 giorni, ingresso progressivo o partecipazione fisica obbligatoria) non sono realizzabili in ambito di referendum popolare.

Perciò resta realistico lo scenario del tipo che ti convince di farti fare un login al comune e ti paga l’accesso con una banconota da 50€. Il vantaggio della democrazia liquida in tal caso sarebbe solo che tali strutture corrotte si palesano in forma di deleghe mantenute in vita attraverso automazioni. Ma se sono furbi nemmeno utilizzerebbero le deleghe, così si capisce ancora di meno.

E così, in tutte le occasioni di bassa partecipazione, chi ha un’armata di bot può decidere l’esito della votazione. Una democrazia acquistata, altro che diretta. Non a caso le leggi referendarie richiedono sempre quorum sufficientemente alti da escludere che una minoranza corrotta possa dominarne l’esito…

Non mi ricordo cosa avevano previsto gli amici di Parelon riguardo a questo tipo di scenario… il fatto che ci sia un token non garantisce mica che sia la persona giusta ad utilizzarlo…

Salvo che Parelon non abbia qualche idea geniale, ho l’impressione che preferisco il governo di un partito che pratica la cultura della democrazia liquida, al quale chiunque può aderire e partecipare, piuttosto che di tentare di creare una piattaforma referendaria senza alcuna coesione interna, e senza un obbligo alla partecipazione di persona…

In pratica il vantaggio della democrazia diretta nei confronti di quella rappresentativa è che la mazzetta la riceve il semplice cittadino corrotto piuttosto che il parlamentare corrotto. E la democrazia menopeggio? Quella necessita di ulteriori paletti per funzionare…

Anch’io ci ho pensato su, e ho concluso che non c’è soluzione, tranne questa: fregarsene. Mettiamoci l’animo in pace: nessuna tecnologia e nessun meccanismo sarà mai abbastanza perfetto da risolvere il problema della disonestà umana. L’uomo in generale -e quello italiano in particolare- è riuscito sempre a escogitare sistemi più o meno ingegnosi per truccare, imbrogliare, rubare e turlupinare.

Finora gli Stati si sono sempre illusi di poter risolvere il problema della corruzione e degli imbrogli mettendo più controlli, più controllori, più regole. Il risultato? Ancora più occasioni di corruzione (chi controlla ha il potere, e il potere si vende), ergo ancora più controlli e così via, in un loop infinito. In cui l’unico risultato tangibile è nei confronti degli onesti, che quell’infinità di regole le rispettano tutte, dalla prima all’ultima. In estrema sintesi, la burocrazia intralcia gli onesti ed è poco efficace contro i disonesti.

Venendo al caso specifico: qualcuno venderà il proprio login al camorrista di turno in un referendum cittadino? Amen. Se a farlo sarà la maggioranza, vorrà dire che l’esito del referendum sarà quello gradito alla Camorra, il che porterà a conseguenze nefaste alla cittadinanza tutta. E questo, a sua volta, può avere solo 2 esiti: o la città si ribella, o muore (nel senso che gli onesti e i virtuosi se ne vanno a vivere in città -o Paesi- un po’ più progredite, lasciando solo i disonesti a marcire). Tutto ciò, però, può funzionare solo in un regime di autonomia finanziaria (leggi: federalismo), perché i parassiti non possono sopravvivere senza un corpo che li ospita.

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Durante la presentazione di Parelon al Senato non ricordo argomentazioni contro il cammellaggio (anzi ricordo che non ce ne erano), però ricordo che erano richieste commissioni formate da persone con i giusti titoli, ed estratte a caso ogni volta, per verificare la costituzionalità della proposta, la fattibilità finanziaria e la fattibilità tecnica (se ben ricordo).

C’è anche da dire che le proposte precise e dettagliate o gli emendamenti al programma, alle leggi che provengono da Parelon, ecc., non sono vincolanti per i parlamentari, dato che non è ammesso il vincolo di mandato per Costituzione, quindi se venissero fuori cose palesemente nell’interesse di grandi aziende o altre cose assurde o pericolose, nel M5S potrebbero essere (si spera) rifiutate, magari commentando pubblicamente e spiegando la situazione.

Qualcosa di simile, per come è la Costituzione, anche il PP dovrebbe fare, per ora.

A tal proposito ho scritto un post sulla discussione del cammellaggio. Propongo di rivedere e rivalorizzare molto la fase di discussione, deve essere necessaria per votare la relativa proposta discussa e chi non partecipa potrà delegare a chi ha partecipato: così diffondendo quella che chiami “cultura della delega”, offrendo una soluzione al “voto superficiale” e/o al backseat driving, potenziando la partecipazione e dunque minimizzando e scoraggiando i cammelli a favore di chi realmente si impegna per la collettività.

Tutti questi vantaggi io ci vedo.

Perciò le lobby devono dominare sia la piattaforma che mettersi in saccoccia i parlamentari… e per i parlamentari la scusa è più semplice, se apparentemente è la volontà del popolo di fare un piacere alla lobby…

Leggo ora su Leggo che gli abitanti del rione Monti starebbero protestanto contro la pedonalizzazione del loro quartiere. Mi chiedo se nella decisione di ignorare la loro proposta si siano applicati i principi della DD … sebza aspettare Parelon o altro, magari fare un piccolo sondaggio?

Interessante e un pochino buffo. La pedonalizzazione può essere seccante per alcuni che necessitano trasporti ma normalmente i vantaggi economici del boom sociale che si presenta in tali luoghi (vedi Pigneto) compensano molto… cmq OT da parte mia. Indaga, indaga! :slight_smile: