Rapporto tra reddito base e decrescita felice

Al termine della guerra mondiale l’Italia era piena di macerie ed in miseria.il luogo ideale per gli investimenti da parte dei vincitori, eravamo ai tempi i cinesi di oggi. Abbiamo così accumulato un po’ di soldi nelle banche ed industrializzato l’Italia. Poi però mentre il tenore di vita e gli stipendi in Italia lievitavano sono entrati in competizione i paesi più poveri, prima le tigri asiatiche e poi laa Cina che non solo offriva salari bassi, ma anche un gigantesco mercato. (lasciamo per il momento perdere gli altri). Per un po’ l’Italia ha tenuto botta con inflazione e svalutazione (ma anche allora alcune industrie, vedi la seta e poi parte dell’acciaio) ma era ormai arrivata sull’orlo della bancarotta con un’inflazione a due cifre sempre più alta, svalutazione che significava non solo calo del potere d’acquisto, ma anche perdita dei capitali accumulati nelle banche. Oggi inj Italia non è l’automazione a ridurre il lavoro, è la deidustrializzazione che porta le industrie dove il costo del lavoro è più basso. E qui cade il discorso del RdE a livello Italia, in quanto non è più la stessa quantità di prodotto che viene prodotta con meno operai per cui il suo valore può essere più equamente distribuito, è proprio la quantità di prodotto che diminuisce e di conseguenza il suo valore. Su questo fenomeno, irreversibile, il RdE ha un effetto di accelerazione. Ed allora èè davvero indispensabile “cambiare tutto”, secondo me verso la “decrescita felice”.

Se diminuisce la “quantità di prodotto” - penso che tecnicamente intendi l’offerta - allora i prodotti diventano più rari e questo fa aumentare il prezzo (il costo di accesso, quello che chiami valore, anche se in realtà il valore è soggettivo, nel mercato è meglio parlare di prezzi).

Globalmente e questo significa che quasi tutti i Paesi - Italia compresa - hanno visto un grande aumento dell’offerta e costi sempre più accessibili, questa tendenza è il risultato del mercato globale, di Internet che ha mitigato l’asimmetria informazionale tra venditori e clienti (recensioni, confronto dei prezzi, passaparola…) e dell’automazione (informatica e robotica) che hanno aumentato la produttività (facendo guadagnare di più i grandi proprietari di industrie) e diminuendo i dipendenti necessari (contributo alla disoccupazione ed essendoci tanti lavoratori per meno posti di lavoro, anche diminuzione delle prospettive di reddito).

La tua prima parte la trovo completamente dissonante rispetto alla realtà attuale ed anche alle cognizioni più basilari delle dinamiche del mercato.

RdE è sicuramente una misura per ridistribuire la ricchezza che è molto squilibrata in ogni Paese e complessivamente in tutto il mondo.

Dare soldi alla gente non significa necessariamente contribuire alla crescita della produzione materiale. Serve intervenire anche con una politica economica che limiti, per esempio, la produzione di saponi non biodegradabili, le aziende devono creare prodotti disassemblabili e riciclabili (economia circolare del Club di Roma), si deve limitare il mercato delle automobili, ecc. In questo modo i prodotti si possono ridurre e contenere in funzione del loro impatto complessivo sull’ambiente.

RdE non significa dare i soldi alla gente per incentivare la produzione ed il consumo (che si può spostare in prodotti più culturali o servizi alla persona o comunque cose con basso o nullo impatto ambientale). RdE serve per ridistribuire quel tanto di ricchezza per non lasciare che la gente muoia di stenti in caso non trovi un lavoro.

Infine, “decrescita felice” posso garantirti (perché ho conosciuto qualche persona così) che non tutti la trovano “felice” quella prospettiva di riduzione dei consumi e considerano “infelice” la scelta di quel termine. Insomma, è soggettivo come percepiamo la “decrescita”.

Oltre questo, l’obiettivo principale non è né la crescita, né la decrescita, ma avere un modello finanziario (prima ancora che economico) compatibile con una stabilità commerciale. Il nostro modello oggi non è compatibile con la stabilità finanziaria e commerciale, ma ha necessariamente bisogno di far crescere i guadagni per ripagare i debiti, i quali si contraggono quasi sempre per finanziare la maggior parte delle cose in questa società (Stato e imprese).

Però, bisogna appunto avere un modello chiaro e preciso su come vogliamo gestire il sistema finanziario senza collassare, tra un libro e diversi articoli che ho letto sulla “decrescita felice” ho sempre trovato discorsi etici e mai modelli precisi da adottare. Per questo sono insoddisfatto da quel filone culturale: ha dato buoni input, ha fatto riflettere, ma è molto parziale e non lo si può proporre come “soluzione” o “teoria”, come alcuni tendono a fare, è solo un insieme di indirizzi e consigli etici… Talvolta anche consigli ingenui e controproducenti, come un diffuso invito a preferire l’autoproduzione… l’industrializzazione ha esagerato a produrre - ok - però è il mezzo più efficiente di produrre per tutti, respingerla è sciocco (a meno che non vogliamo morire a miliardi sulla Terra e sai che felicità).

Pensi male, se le industrie vanno maltrove è “quanto viene prodotto”, cioè, come detto, il valore della produzione. Se prima producevi tessuti, li vendevi all’estero e con il loro valore compravi il gas ora non produci più tessuti perché li produce la Cina, così non solo non hai più i soldi per comprare il gas ma devi comprare pure i tessuti.

Posso garantirti che ho una buona esperienza in fatto di macroeconomia, sono però curioso di conoscere le quali siano le cognizioni più basilari delle dinamiche di mercato che contrarierei. L’importante è tenere presente che l’Italia non è un sistema isolato.

Non significa per niente aumentare la produzione [locale] significa semmai aumentare i consumi. Per lo più quelli che soddisfano i bisogni primari aal prezzo più basso [i prodotti cinesi]

Cioè produrre a prezzi più alti, e per questo avere a disposizione un mercato più consapevole e ricco, il contrario di quello creato con il RdE.

[quote=“Silvan, post:14, topic:1620”] Infine, “decrescita felice” posso garantirti (perché ho conosciuto qualche persona così) che non tutti la trovano “felice” quella prospettiva di riduzione dei consumi [/quote Innanzitutto non è una riduzione dei consumi ma dell’uso delle risorse, spostando i consumi verso quelli [ad es. culturali] che richiedono meno risorse. La DF è una teoria piuttosto complessa, molti si fermano al nome.

Allora quel che volevi dire si traduce così: non esportiamo abbastanza prodotti e non riusciamo ad importare quel che ci serve (almeno non come vorremmo), dinamica che di norma porta alla svalutazione della valuta, ma siccome siamo nell’euro e non possiamo “svalutare la lira”, allora occorre abbassare i prezzi per sostenere l’esportazione tagliando il costo del lavoro (stipendi, assunzioni, scelte più economiche rispetto a quelle di qualità). Questo quadro lo espone anche Alberto Bagnai, con l’unione monetaria la Germania ha esportato tanto ai Paesi europei periferici (tra cui l’Italia) e per lui (ed ha ragione) è una dinamica malata perché lo squilibrio che si è creato si sarebbe riequilibrato solo avendo monete nazionali libere di fluttuare come valore e ripristinare equilibrio nel rapporto import-export con l’esterno.

Questo problema c’è e così è espresso in termini migliori (prima non avevo capito bene cosa stavi cercando di dire). Bisogna anche aggiungere che il “made in Italy” è molto apprezzato all’estero, solo che il paradosso è che la nostra produzione di maggior qualità viene venduta fuori e noi compriamo i prodotti economici di scarsa qualità dalla Germania in primo luogo e poi tutti quei prodotti del mercato globale (vestiti, elettrodomestici, computer, ecc.) che vengono da Cina, India, ecc.

Se usavi i termini import-export sarebbe stato più chiaro, ora ho capito meglio quale dinamica volevi evidenziare.

Come detto prima e altrove, un RdE all’interno di un libero mercato estremo è eticamente dannoso: il commercio e la produzione non migliorerebbero eticamente ed ecologicamente. Però, avevo specificato che serve lavorare anche con la politica economica che può permettersi di applicare imposte ai tessuti che vengono da zone dove non ci sono diritti per i minori o sono spesso violati; si possono mettere imposte in funzione dell’impronta ecologica, quindi non è vero che RdE significa incentivare l’acquisto di prodotti cinesi (o in generale dove il lavoro è pressante sugli umani ed i diritti scarsi); bisogna accompagnarlo con una corretta politica economica. Inoltre, avere tutti i cittadini con un minimo di soldi, sicuramente va a beneficio anche delle aziende locali, forse non molto, ma certamente aiuta. Specie se, sempre con la politica economica, si interviene per rendere i prodotti locali più vantaggiosi (sgravi fiscali per la produzione locale e imposte per prodotti non etici dall’estero).

Fai citazioni più complete, guarda quanto ti sei perso che ho dovuto ripetere qui sopra, questa volta con più dettagli e spero siano convincenti e chiari.

Il libro di Pallante (considerato il padre di questo filone, di certo tra i maggiori esponenti) è etica al 99%, utile per offrire indirizzi alla politica economica, però né lì, né altrove, ho mai letto come si può aggiustare il sistema fiscale (il modo in cui finanziamo lo Stato e facciamo circolare i soldi nella società) affinché sia compatibile in un quadro di decrescita o almeno un quadro stabile di consumi (alla fine occorre arrivare a questo obiettivo: non decresceremo per sempre). Conosci qualche libro che illustri come il sistema finanziario possa funzionare senza danno nella decrescita felice? Io non ho mai trovato nemmeno posto il problema… ma magari tu che non ti sei fermato al nome sai indicarmi qualcosa.

Il problema finanziario non viene posto perché la finanza perde valore e potere automaticamente man mano che avanza la DF. Se tutta l’economia europea diventasse circolare [= decrescita dell’uso di risorse] [la UE ha appena legiferato a sostegno] il valore del dollaro (e quindi della finanza esterna all’Europa) non avrebbe più senso [chiara esagerazione] perché non verrebbe più utilizzato e l’euro potrebbe essere utilizzato come “valore etico” [sottolineo le virgolette] nel senso di tassare ad esempio più o meno i prodotti in base alla loro ecologia.

Se il sistema finanziario è un problema che viene meno (con tutte le sue annesse questioni) significa che si va verso l’abolizione del denaro. Non credo proprio che sarà il passo più vicino per il genere umano, anche se mi sono “divertito” a concepire un sistema economico senza denaro, ma non l’ho mai presentato qui perché lo ritengo qualcosa di assai lontano nel futuro e politicamente improponibile (la maggior parte delle persone griderebbe “follia!”).

L’economia circolare non può togliere valore al denaro. Non c’è niente di chiaro in quello che hai detto. L’economia circolare è stata concepita in modo dettagliato dal Club di Roma che ha stimato imposte da applicare sui prodotti e nuovi posti di lavoro da finanziare con quelle imposte per lavori statali legati ad interventi ecologici di vario genere (un miglioramento che non risolve tutto, ma è una strada percorribile), in combinazione alla richiesta alle aziende di produrre prodotti facilmente disassemblabili e dunque massimizzare il riciclo. Quindi hanno considerato il sistema finanziario in modo classico, dove si sottointende che continua ad esistere un mercato simile a quello che conosciamo.

Purtroppo, storno non puoi usare parole come ‘valore’ senza un senso molto preciso o semplicemente non si capisce nulla o si dicono cose sbagliate. Il valore (senza altre specifiche, cioè in generale) è soggettivo; il prezzo è il risultato dell’incontro tra domanda ed offerta; il valore della valuta è stabilito dal tasso di cambio ed è sempre in rapporto ad un’altra valuta; l’etica riguarda come comportarsi a livello legislativo (politica economica) o come comportarsi a livello di scelte aziendali per produrre beni e servizi, in ogni caso, è un comportamento.

Ma noi siamo già proiettati al futuro, e quello che si intravede in questo futuro è roba così:

http://www.elfinanciero.com.mx/economia/robots-suplirian-25-millones-de-plazas-en-mexico.html

ma potrei allegartene a iosa e su ogni paese del mondo

A sostegno del fatto che la crisi italiana oggi deriva soprattutto da ddelocalizzazione anziché robotizzazione e per porre una domanda: la dislocazione non è una modalità di distribuzione delle risorse etica? Come sarebbe il mondo se rimanessero i camionisti italiani ed agli altri fosse dato un Rd-E? Migliore o peggiore?

Prima di tutto l’RdE è una misura per risolvere il problema della disoccupazione. Infatti, un’altra strada è trovare una strategia di piena occupazione (in genere si parla di Programmi di Lavoro Garantiti, in sigla PLG) per cui tutti riescono ad ottenere un lavoro e vivere dignitosamente. Quindi la disoccupazione è il problema che porta all’RdE o al PLG.

Chiarito ciò riporto questo grafico:

La crisi del lavoro è un tema di vecchia data e purtroppo si mescolano cause diverse con il crescere o decrescere dell’occupazione. Abbiamo riforme dei contratti di lavoro, a loro volta avanzati per assecondare le non etiche dinamiche del mercato globale, abbiamo Internet che in Italia avrà creato penso molti posti di lavoro, ma che con gli anni software sempre più automatizzati hanno fatto anche perdere tanti di questi nuovi posti di lavoro (senza contare chi ha speculato e gonfiato un mercato su queste novità poco conosciute, ormai parlo già della preistoria di Internet), è pur vero che ora il Web Marketing (un po’ indietro in Italia) sta ricreando posti di lavoro.

Comunque, per fare affermazioni precise servirebbero dati che ora non so dove reperire. Si possono sicuramente fare tante interpretazioni sulle dinamiche nel grafico.

Sicuramente c’è anche il fenomeno che dici tu @storno, però riportare qui i lavoratori significa applicare un forte protezionismo e forse - tra pro e contro - può essere una via percorribile. Grossi problemi saranno certamente le aziende che spostandosi e trasformandosi andrebbero ripristinate e poi comunque non è detto che tornino, a meno che, nella nostra “economia protetta” (dalle dinamiche del mercato globale) creiamo condizioni favorevoli per il mercato globale… ma in tal caso è un protezionismo che “cala le braghe” ai soliti problemi. Inoltre ancora dovremmo certamente trovare un compromesso con le dinamiche import-export, sia prettamente commerciali che politiche (succede che Paesi che applicano protezionismo o indipendenza della valuta siano commercialmente dipendenti da altri Paesi e vengano ricattati per fare certe scelte, altrimenti non gli consegnano più certi prodotti indispensabili; è pur vero che questi altri Paesi “ricattatori” hanno a loro volta dipendenze e quindi dei limiti in questi “cattivi giochi”).

Ora, ammesso che riportiamo qui parte dei lavoratori, non sapremmo comunque quanti. La disoccupazione potrebbe assestarsi su un 6% per questo serve comunque una misura per non lasciare svariati milioni di italiani “senza un posto” e/o senza un reddito.

In tal caso, avremmo un RdE europeo (visto che coinvolgi due Stati) e quindi anche i camionisti italiani lo riceverebbero e potrebbe esserci la possibilità di lavorare meno (il tempo parziale si può scomporre in molti modi: anche “un mese lavoro” ed un mese no), l’RdE facilita molto la creazione e la possibilità di vivere con un part time.

Non necessariamente, è un’ottimizzazione talvolta delle risorse e spesso si accompagna con motivi finanziari non etici (tipo avere lavoratori in un Paese che si possono pagare meno). Dislocare è troppo generico, dipende da come lo fai e perché ed anche da cosa dislochi.

@storno Tu sei preoccupato che l’RdE aumenti i consumi, ma se anziché un RdE pensi di poter riportare il lavoro qui in Italia (sicuramente possibile in una certa misura e sono riforme molto forti dagli esiti imprevisti), un reddito proveniente dal lavoro è decisamente più alto dell’RdE (che è davvero basso, serve solo a sopravvivere ed è ritagliato sulle tue effettive condizioni per risparmiare soldi).

Quindi dare un lavoro è un incentivo verso i consumi decisamente maggiore (sotto tutti i punti di vista) rispetto ad un RdE. Se poi vuoi una soluzione radicale resta solo quella di far morire chi un posto nel “nuovo mondo” non l’ha trovato. Delle tre possibilità la decrescita felice dovrebbe accogliere l’RdE: è il più logico. Il terzo modo è il più efficiente però non credo sia compatibile con l’aggettivo “felice”. Il primo modo è il desiderio più classico per l’economia, ma temo che possa sfociare in una sottovalutazione delle problematiche ambientali e dell’effettiva capacità e necessità di dare un lavoro a tempo pieno (o quasi) a tutti quanti (io sono molto scettico verso la piena occupazione / PLG).

Non sono preoccupato del fatto che il RdE aumenti i consumi. Non voglio riportare il lavoro in Italia, ritengo il fenomeno irreversibile come per i vasi comunicanti. Mi domando anzi se non sia un fenomeno etico di distribuzione delle risorse.

Quello che mi domando è se in un sistema chiuso [tanto per semplificare il problema] debbo ricercare una soluzione monetaria [distribuire danaro] od una soluzione economica [aumentare il prodotto]. La mia risposta l’ho già data: non RdE ma LdE (Lavoro di Esistenza) già sperimentato in Argentina nei tempi peggiori. E comunque il tutto inquadrato nella Decrescita Felice. Qual è la differenza fra il lavoro part-time e la DF? Che la DF si occupa anche della cultura con cui devi affrontare il tempo che rimane da quello speso per il lavoro-salariato. Briganzia, che supporta gratuitamente il comune dal punto di vista informatico con l’attuale cultura è uno che butta via il suo tempo toglie soldi a chi lo potrebbe fare a pagamento e riduce il PIL e gli attira antipatie. Con la cultura della DF sta felicemente decrescendo ed è simpatico a tutti.