Così, ad occhio, ti stai riferendo al “secondo” Partito Radicale, quello della prima rifondazione dopo il caso Piccardi, ovvero il partito preso in mano da Pannella e la c.d. Sinistra Radicale e che animò le battaglie culturali, prima che politiche, negli anni '70 principalmente.
Il “primo” Partito Radicale (il c.d. Partito dei Radicali e dei Liberali, nato dalla scissione a sinistra del Partito Liberale) era un partito abbastanza tradizionale, elitario, legato all’esperienza del Mondo di Pannunzio e alle figure di Valiani e Piccardi appunto e realizzò abbastanza poco, pur essendo anche molto influente culturalmente (anche tuttora) in campo liberale e soprattutto europeista.
Il “secondo” Partito Radicale, che conservava il rispetto per i propri padri storici (specialmente Rossi, Pannunzio appunto e Carandini) potè sviluppare gran parte delle sue battaglie, e in particolare permettere l’irruzione, come dici giustamente, del “diverso” nella scena politica, grazie alle innovazioni strutturali uniche nel panorama politico italiano come l’eliminazione della classe dirigente intermedia (cioè la cancellazione del meccanismo di delega) e quindi la forte centralizzazione dell’organizzazione in una struttura fiduciaria, il ciclo di rinascita annuale a seguito dei congressi politici, l’abolizione dei vincoli associativi per gli altri partiti (che furono così importanti nelle lotte su aborto e divorzio, per il rapporto con i socialisti e liberali) e soprattutto la struttura federale, che permetteva alle organizzazioni, talvolta anche molto lontane dal Pr, di essere rappresentate e rappresentarsi direttamente all’interno del partito, attraverso il consiglio federale e i patti federativi.
Soprattutto l’annullamento progressivo di ogni sovrastruttura ideologica, che permetteva al partito di abbracciare ogni battaglia “radicale” (cioè alla radice dei problemi, non radicale in quanto di “un certo tipo” o di una data area) senza farne una valutazione ideologica, lasciandosi permeare da qualsiasi istanza, pur riuscendo a rimanere focalizzato su un “metodo di lavoro” rigido e abbandonando ben presto la velleità di presentarsi come competitore globale nel panorama politico (e poi alla fine come competitore tout-court, dopo la svolta anti-elettorale dell’89), usando l’idea del partito-taxi. E di tante battaglie solo alcune hanno poi trovato un esito di ampio riconoscimento.
Io credo che il Partito Pirata non potrà essere come QUEL Partito radicale perché è ancora molto lontano da alcune fondamentali riflessioni, principalmente da quella «teoria della prassi» che invece nel mondo radicale è sempre stato fondamentale. (e soprattutto non so se vorrà mai svilupparle in questi termini, perché mi sembra molto legato ad un modello di partito “rappresentativo”, piuttosto che di partito come “strumento di lotta politica”).
Inoltre il Pr è sempre stato (veramente) un partito a vocazione maggioritaria, a dispetto dei suoi numeri, con la sua capacità di scegliere poche battaglie, spesso solo una, con cui aggredire la «blockierte Gesellschaft» (cfr. Marcuse) del regime, con la capacità di far perdurare le sue battaglie talvolta per decenni. Di teoria della prassi e vocazione maggioritaria, sì, ci sarebbe bisogno in questo partito e allora saremmo simili a quel Pr. Ma c’è anche da considerare che allora il quadro della situazione politica, con un PCI egemone all’opposizione, eppure funzionale al “regime”, dette al Pr capacità di manovra che oggi semplicemente non ci sarebbero.
Invece questo è un partito ancora per lo più, manco minoritario, proprio gruppettaro, che ha la necessità di imporre a se stesso una propria identità perché in fondo non ci crede (e i pochi che ci credono non sono ancora essi stessi credibili nel crederci, né riescono ancora a trascinare). Non ci crede perché i legami interpersonali non sono tali da aver costituito una forte trama ideale (probabilmente lascito delle poche occasioni di contatto fisico).
Mi sembra velleitario (ma quantomeno romantico) cercare di paragonare “metodologicamente” quel Pr anche solo a quello che questo PP potrebbe diventare. Forse tra uno o due anni, se si smettessero queste sterili battaglie regolamentari, se si decidesse di far pace con il cervello ed allineare quello che si dice e si scrive con ciò che si fa veramente (e non con ciò che “sarebbe bello” fare, facendolo passare come se fosse già stato fatto). E se soprattutto si imparasse a “stare insieme”, prima ancora che a lavorare insieme.
Un altro punto, forse l’unico su cui si può trovare qualche similitudine è il privilegio dei diritti umani individuali sui diritti sociali di gruppo, cioè la scelta di mettere la persona al centro dell’iniziativa politica (anche questa un’invenzione, in Italia, essenzialmente radicale, laddove ha recuperato le istanze libertarie e dei movimenti anarchici) laddove TUTTI gli altri partiti privilegiavano le istanze sociali e collettive. In questo forse anche oggi già il PP potrebbe essere coerente con quest’approccio (ed è poi il motivo per cui a me piace).
E poi c’è il punto ‘elettorale’ che non va preso sottogamba.
In quel “secondo” Pr, cioè quando ancora il Pr era un partito elettorale, era un partito elettorale molto atipico, spesso non si presentava alle elezioni, quando si presentava usava gli spazi per non sostenere le liste elettorali ma le battaglie politiche, chiedeva direttamente di non votare nemmeno le proprie liste, di bruciare le schede elettorali, presentava liste e poi chiedeva di votare esponenti in altre liste, perché intendeva il momento elettorale come momento incluso nella produzione politica e né come punto di partenza dell’impegno né come punto di arrivo, ma semplicemente come fase della lotta politica in cui si poteva ottenere un certo tipo di visibilità (un po’ quello che abbiamo fatto in questa campagna elettorale). Però anche questo è ben lontano dalla mentalità comune qui dentro dove c’è chi sostiene di non DOVER fare nulla in pratica finché qualcuno non lo eleggerà a qualche “posto” in virtù non delle proprie azioni ma della propria interpretazione della mentalità pirata. Lontani mille miglia da tutto un modello culturale.
La terza fase del Pr, quella del partito non-elettorale, a cui fa riferimento @shamar, è di molto successiva e non credo abbia senso evocarla (anche perché molto diverso è il quadro, oggi, rispetto a quello bloccato del tempo).
Per ultimo, mi sembra che questo partito non voglia affatto lasciarsi permeare dal diverso per rappresentarlo (è parte del discorso che pure abbiamo imbastito durante le elezioni sull’art. 67 della costituzione). Piuttosto mi sembra voglia richiudersi nell’essere in sé e per sé il partito di un “certo tipo”, un tipo definito, con certe determinate caratteristiche “di classe”, rispondente a certe determinate categorie del pensiero (addirittura qualcuno teorizzando che “tutti diventino di quel tipo”, mostrando la massima intolleranza per ciò che è altro da sé, praticamente una esaltazione “ariana” in altra forma - cioè l’esatto opposto dell’accoglienza del diverso).
In Italia forse ci sarebbe bisogno di quel tipo di partito perché è auto-evidente che, appunto come dici, il diverso, l’umiliato e l’offeso, è sempre più ricacciato in una zona d’ombra. Ma quel partito adottava caratteristiche metodologiche peculiari che sinceramente sono lontane mille miglia da quelle del PP (e in verità di tutti gli altri partiti o gruppi attualmente presenti, sedicenti radicali di +DcInEuropa o di Radicali Italiani inclusi). Primo tra tutti la riflessione, che non era epifenomenica, sull’adozione molto interiorizzata degli strumenti della nonviolenza gandhiana nelle sue forme estreme (che non è un aspetto puramente esteriore di quella forma politica).
Insomma se quella fosse la strada (che potrebbe essere effettivamente efficace per un partito dello 0,23%) c’è tanto da costruire teoricamente e praticamente nessun luogo per farlo (perché questo forum è un non-luogo). Ottimisti si può essere. Velleitari però no. Le potenzialità ci sarebbero, ma se la gran parte dei “compagni” qui non ci credono non si andrà molto avanti.
Tu da cosa inizieresti?