Sulla vocazione maggioritaria del Partito Pirata: l'importante NON è partecipare

Vorrei comprendere quanto condivise siano le affermazioni sopra riportate.

Per me un partito privo di vocazione maggioritaria prende in giro gli elettori.
Ancora di più se presenta programmi o manifesti di cui tanto non intende rispondere.

Un partito votato all’essere opposizione, votato ad una lotta che non può permettersi di vincere è un partito ipocrita che punta solo ad ottenere una poltrona per i propri dirigenti (che naturalmente devono essere pochi… ed andare d’accordo. :wink: )

Avere una vocazione maggioritaria non significa voler accontentare tutti, ma voler convincere.
Convincere: vincere insieme. Insieme a tutti gli altri.

Io voglio un Partito Pirata che cambi il mondo, non uno che dica di volerlo cambiare.
Un partito politico, non fuffa mediatica.

2 Mi Piace

Aspetta, secondo te l’unico modo per realizzare qualcosa in parlamento è ottenere la maggioranza assoluta?

2 Mi Piace

No.

Ma non meritiamo di candidarci per sedere in Parlamento se non puntiamo a governare il Paese.

Ah, ok, va bene, l’ennesimo ragionamento da elettore massimalista.

1 Mi Piace

No.

E’ un ragionamento da Pirata.

Ma capisco che nella tua prospettiva, le persone come me non debbano fare Politica ma limitarsi a votare chi possiede l’elasticità morale che a me manca.

1 Mi Piace

Credo che, fin quando non disporremo di numeri significativi il nostro modello debba essere il “Partito Radicale degli inizi” che ha ottenuto straordinari risultati socioculturali senza nemmeno essere rappresentato in parlamento od altrove grazie all’attivismo.
Fra l’altro l’ha ottenuto grazie ad una ben fatta campagna mediatica.
Per me l’introduzione del concetto di “diverso” è stata una una conquista culturale epocale, che oggi, quasi completamente distrutta, ci sta riportando alla barbarie.

1 Mi Piace

Fino ad 12 ore fa, dicevi che siamo un partito senza identità, adesso dici che dovremmo candidarci per governare altrimenti non meritiamo neanche di candidarci, bah.

Comunque un partito si candida alle elezioni per fare politica, per avere una visibilità in più e magari grazie a quella accendere dei riflettori su alcune tematiche ingnorante dai più, e per fare battaglie anche di rappresentanza, non perché deve per forza andare a governare, ma solo perché magari vuole essere la spina nel fianco di un branco di politici incapaci e corrotti

4 Mi Piace

spe, accusi noi di volere un partito novecentesco e poi ritiieni che gli unici partiti con dignità di esistere siano i partiti di massa?

4 Mi Piace

Per partito a vocazione maggioritaria intendi quei contenitori di tutto e il contrario di tutto come il PD, i democratici e i repubblicani americani, la vecchia DC? In cui se ti andava bene trovavi un Aldo Moro e se ti andava male uno Scelba?

Come concilî questo con l’identità forte?

3 Mi Piace

Confermo: sembra che abbiamo dimenticato completamente cosa siano i pirati, quali siano i nostri valori fondamentali e rinnegato la nostra identità (aspetto però il thread in merito di @briganzia, non escludo che questa identità mi sfugga, escludo che esista solo fintanto che nessuno è capace di descriverla).

L’assenza di un’identità però spiega la vocazione minoritaria che contesto: chi non sa descrivere la società cui aspira non può proporre di (e dunque aspirare a) realizzarla.

A sinistra come a destra è pieno di partiti a vocazione minoritaria: chi vince le elezioni, in un piccolo comune ed ancor più in Parlamento, deve rispondere dei propri fallimenti. Chi perde invece deve solo trovare la scusa giusta per giustificare la propria inutilità.

@storno ha ragione, all’inizio i Radicali sono stato un partito mediatico basato sull’attivismo e ha ottenuto risultati (quelli sperati forse no, ma risultati sì). Ma quella era (ed è) la loro vocazione e sono coerenti con essa tanto da rinunciare a candidarsi alle elezioni. Noi abbiamo la stessa vocazione? Se sì, abbiamo la stessa coerenza?

Io non vi accuso di nulla, rilevo semplicemente che non riuscite ad immaginare altro che un partito novecentesco: centralizzato e monolitico, mediatico, gerarchico e basato su una netta distinzione fra elettore e politico.

Quanto a ciò che propongo io, quanti partiti politici novecenteschi conosci che puntavano a vincere le elezioni con i soli voti degli iscritti?

È molto semplice: come ho scritto, non punto ad accontentare tutti, ma a diffondere una cultura che è intrinsecamente pluralista e dialettica.

I valori dell’etica hacker non sono neutrali, orientano ed incanalano l’elaborazione condivisa e attraggono persone curiose senza respingere nessuno.

In altri termini: non si tratta di adattare il partito alla domanda politica, ma di cambiare la società diffondendo i suoi valori e rendendolo così maggioritario.

1 Mi Piace

Aspe’, ma non sarai uno di quelli che si mette a parlare di etica e di hacking?

2 Mi Piace

questa è una tua opinione. In realtà noi stiamo proponendo un modello mai sperimentato prima in questo paese, gestito da una assemblea orizzontale e una piattaforma di dem liquida. Ma non possiamo farlo a causa dei dogmi ideologici di chi pensa che un partito “democratico” debba essere così plurale da offrire un posto da dirigente a chiunque. Scusa, mi fermo qui perché ho la ridarella.

1 Mi Piace

??? Non si candidano alle elezioni?
A parte il fatto che è difficile capire a chi si riferisce la parola “radicali” (Emma Bonino, Radicali italiani, Radicali senza fissa dimora, …) a me sembra che i radicali si presentino alle elezioni ed anche se le perdono (parlo di Milano) riescno comunque a dare il loro supporto (vedi Lipparini, sempre a Milano).

Pensare di governare l’Italia partendo dallo 0,2% mi sembra leggiermente velleitario.
Ed i Pirati (miei) erano piuttosto concreti.

Che bella obiezione!

Hai ragione!

Infatti io non penso di governare l’Italia con lo 0.2% dei voti. Io penso di governarla con oltre il 50% dei voti.

Ma la vera sfida per me non è passare dallo 0.2% dei voti al 50%.
Io voglio passare da 49 Pirati a 20-30 milioni.

E non è una sfida impossibile. Se duplicassimo gli iscritti ogni anno, ci vorrebbero circa 30 anni.

@briganzia qualche mese fa mi chiedeva di pensare ad un proof of work per passare da iscritto a dirigente (era nel contesto della doppia camera proposta da @solibo se ricordo bene).

Ecco @briganzia che ne dici di questa PoW?
Dopo i primi 12 mesi di iscrizione, ad ogni successivo tesseramento precondizione per essere tesserati è aver convinto almeno una nuova persona ad iscriversi e partecipare attivamente ad Agorà (con un minimo di voti/emendamenti e/o proposte).

:smiley:

Naturalmente è una gamification eccessiva, ma ha tanto senso quanto qualsiasi altra PoW. Non è il partito cui aspiro, ma vorrei che rifletteste sulla sua fattibilità: ciascuno di noi conosce 30 persone in gamba che potrebbero contribuire al nostro progetto? E loro? Ebbene, in 30 anni non ci verrebbe richiesto di creare migliaia di Pirati a testa, ma solo 30.

Partito a “vocazione maggioritaria” è un’idea perdente (non a caso si tratta di una espressione partorita da Veltroni al suo Massimo Picco distruttivo). Nel caso migliore un’espressione ingenua, quando irrealizzabile è disonesta (verso gli elettori) in quanto, alle attuali condizioni della legge elettorale, non è sostenibile. Chi come Veltroni lo affermava per ingenuità politica non è comunque meno responsabile della valenza eversiva di tale proposta In quanto instilla nella mente dell’elettorato che questa possibilità sia assolutamente ordinaria nella dialettica democratica. In tal modo apre le porte a chi, molto meno ingenuo, saprà avvantaggiarsi di questo nuovo comune sentire. Un partito non deve essere a vocazione maggioritaria, ma deve portare avanti le idee che ritiene più giuste per il bene comune. Noi non siamo migliori degli altri ma per una serie di coincidenze e contingenze le nostre idee sono migliori di quelle degli altri. Oggi i temi della sorveglianza, della trasparenza, della scolarizzazione, dell’internazionalismo, della digitalizzazione governata perché sia un bene per i cittadini e non un ulteriore sistema di vessazione, sono quelli più importanti per la nostra epoca. Se riusciremo a farci capire, ci basterà anche un 15% per imporre la nostra agenda.

Quel modello è stato strumentalizzato benissimo da tutte quelle forze che hanno voluto spaccare il potere del sindacato (cosa non necessariamente sbagliata, in certi momenti) Per avvantaggiare un’idea di internazionalismo dei più forti ( che virgola a vedere quello che è successo con il governo Berlusconi del 94, puzzava molto anche di localismo); naturalmente a noi sembra tanto moderno solo perché avevamo una maggioranza democristiana e un’opposizione comunista che erano portatrici di un pensiero arcaico dal punto di vista dei diritti civili.

No, direi che il modello del Partito Radicale è assolutamente da evitare…

Così, ad occhio, ti stai riferendo al “secondo” Partito Radicale, quello della prima rifondazione dopo il caso Piccardi, ovvero il partito preso in mano da Pannella e la c.d. Sinistra Radicale e che animò le battaglie culturali, prima che politiche, negli anni '70 principalmente.

Il “primo” Partito Radicale (il c.d. Partito dei Radicali e dei Liberali, nato dalla scissione a sinistra del Partito Liberale) era un partito abbastanza tradizionale, elitario, legato all’esperienza del Mondo di Pannunzio e alle figure di Valiani e Piccardi appunto e realizzò abbastanza poco, pur essendo anche molto influente culturalmente (anche tuttora) in campo liberale e soprattutto europeista.

Il “secondo” Partito Radicale, che conservava il rispetto per i propri padri storici (specialmente Rossi, Pannunzio appunto e Carandini) potè sviluppare gran parte delle sue battaglie, e in particolare permettere l’irruzione, come dici giustamente, del “diverso” nella scena politica, grazie alle innovazioni strutturali uniche nel panorama politico italiano come l’eliminazione della classe dirigente intermedia (cioè la cancellazione del meccanismo di delega) e quindi la forte centralizzazione dell’organizzazione in una struttura fiduciaria, il ciclo di rinascita annuale a seguito dei congressi politici, l’abolizione dei vincoli associativi per gli altri partiti (che furono così importanti nelle lotte su aborto e divorzio, per il rapporto con i socialisti e liberali) e soprattutto la struttura federale, che permetteva alle organizzazioni, talvolta anche molto lontane dal Pr, di essere rappresentate e rappresentarsi direttamente all’interno del partito, attraverso il consiglio federale e i patti federativi.

Soprattutto l’annullamento progressivo di ogni sovrastruttura ideologica, che permetteva al partito di abbracciare ogni battaglia “radicale” (cioè alla radice dei problemi, non radicale in quanto di “un certo tipo” o di una data area) senza farne una valutazione ideologica, lasciandosi permeare da qualsiasi istanza, pur riuscendo a rimanere focalizzato su un “metodo di lavoro” rigido e abbandonando ben presto la velleità di presentarsi come competitore globale nel panorama politico (e poi alla fine come competitore tout-court, dopo la svolta anti-elettorale dell’89), usando l’idea del partito-taxi. E di tante battaglie solo alcune hanno poi trovato un esito di ampio riconoscimento.

Io credo che il Partito Pirata non potrà essere come QUEL Partito radicale perché è ancora molto lontano da alcune fondamentali riflessioni, principalmente da quella «teoria della prassi» che invece nel mondo radicale è sempre stato fondamentale. (e soprattutto non so se vorrà mai svilupparle in questi termini, perché mi sembra molto legato ad un modello di partito “rappresentativo”, piuttosto che di partito come “strumento di lotta politica”).

Inoltre il Pr è sempre stato (veramente) un partito a vocazione maggioritaria, a dispetto dei suoi numeri, con la sua capacità di scegliere poche battaglie, spesso solo una, con cui aggredire la «blockierte Gesellschaft» (cfr. Marcuse) del regime, con la capacità di far perdurare le sue battaglie talvolta per decenni. Di teoria della prassi e vocazione maggioritaria, sì, ci sarebbe bisogno in questo partito e allora saremmo simili a quel Pr. Ma c’è anche da considerare che allora il quadro della situazione politica, con un PCI egemone all’opposizione, eppure funzionale al “regime”, dette al Pr capacità di manovra che oggi semplicemente non ci sarebbero.

Invece questo è un partito ancora per lo più, manco minoritario, proprio gruppettaro, che ha la necessità di imporre a se stesso una propria identità perché in fondo non ci crede (e i pochi che ci credono non sono ancora essi stessi credibili nel crederci, né riescono ancora a trascinare). Non ci crede perché i legami interpersonali non sono tali da aver costituito una forte trama ideale (probabilmente lascito delle poche occasioni di contatto fisico).

Mi sembra velleitario (ma quantomeno romantico) cercare di paragonare “metodologicamente” quel Pr anche solo a quello che questo PP potrebbe diventare. Forse tra uno o due anni, se si smettessero queste sterili battaglie regolamentari, se si decidesse di far pace con il cervello ed allineare quello che si dice e si scrive con ciò che si fa veramente (e non con ciò che “sarebbe bello” fare, facendolo passare come se fosse già stato fatto). E se soprattutto si imparasse a “stare insieme”, prima ancora che a lavorare insieme.

Un altro punto, forse l’unico su cui si può trovare qualche similitudine è il privilegio dei diritti umani individuali sui diritti sociali di gruppo, cioè la scelta di mettere la persona al centro dell’iniziativa politica (anche questa un’invenzione, in Italia, essenzialmente radicale, laddove ha recuperato le istanze libertarie e dei movimenti anarchici) laddove TUTTI gli altri partiti privilegiavano le istanze sociali e collettive. In questo forse anche oggi già il PP potrebbe essere coerente con quest’approccio (ed è poi il motivo per cui a me piace).

E poi c’è il punto ‘elettorale’ che non va preso sottogamba.

In quel “secondo” Pr, cioè quando ancora il Pr era un partito elettorale, era un partito elettorale molto atipico, spesso non si presentava alle elezioni, quando si presentava usava gli spazi per non sostenere le liste elettorali ma le battaglie politiche, chiedeva direttamente di non votare nemmeno le proprie liste, di bruciare le schede elettorali, presentava liste e poi chiedeva di votare esponenti in altre liste, perché intendeva il momento elettorale come momento incluso nella produzione politica e né come punto di partenza dell’impegno né come punto di arrivo, ma semplicemente come fase della lotta politica in cui si poteva ottenere un certo tipo di visibilità (un po’ quello che abbiamo fatto in questa campagna elettorale). Però anche questo è ben lontano dalla mentalità comune qui dentro dove c’è chi sostiene di non DOVER fare nulla in pratica finché qualcuno non lo eleggerà a qualche “posto” in virtù non delle proprie azioni ma della propria interpretazione della mentalità pirata. Lontani mille miglia da tutto un modello culturale.

La terza fase del Pr, quella del partito non-elettorale, a cui fa riferimento @shamar, è di molto successiva e non credo abbia senso evocarla (anche perché molto diverso è il quadro, oggi, rispetto a quello bloccato del tempo).

Per ultimo, mi sembra che questo partito non voglia affatto lasciarsi permeare dal diverso per rappresentarlo (è parte del discorso che pure abbiamo imbastito durante le elezioni sull’art. 67 della costituzione). Piuttosto mi sembra voglia richiudersi nell’essere in sé e per sé il partito di un “certo tipo”, un tipo definito, con certe determinate caratteristiche “di classe”, rispondente a certe determinate categorie del pensiero (addirittura qualcuno teorizzando che “tutti diventino di quel tipo”, mostrando la massima intolleranza per ciò che è altro da sé, praticamente una esaltazione “ariana” in altra forma - cioè l’esatto opposto dell’accoglienza del diverso).

In Italia forse ci sarebbe bisogno di quel tipo di partito perché è auto-evidente che, appunto come dici, il diverso, l’umiliato e l’offeso, è sempre più ricacciato in una zona d’ombra. Ma quel partito adottava caratteristiche metodologiche peculiari che sinceramente sono lontane mille miglia da quelle del PP (e in verità di tutti gli altri partiti o gruppi attualmente presenti, sedicenti radicali di +DcInEuropa o di Radicali Italiani inclusi). Primo tra tutti la riflessione, che non era epifenomenica, sull’adozione molto interiorizzata degli strumenti della nonviolenza gandhiana nelle sue forme estreme (che non è un aspetto puramente esteriore di quella forma politica).

Insomma se quella fosse la strada (che potrebbe essere effettivamente efficace per un partito dello 0,23%) c’è tanto da costruire teoricamente e praticamente nessun luogo per farlo (perché questo forum è un non-luogo). Ottimisti si può essere. Velleitari però no. Le potenzialità ci sarebbero, ma se la gran parte dei “compagni” qui non ci credono non si andrà molto avanti.

Tu da cosa inizieresti?

2 Mi Piace

Dai gruppi di lavoro.
Per me sono fondamentali: quando si lavora insieme ci si conosce, quando non si lavora si chiacchiera alla macchinetta del caffé epiù a lungo si chiacchiera più i discorsi divengono strampalati, si formano le fazioni, si litiga.
Dove lavorare significa anche leggere e raccogliere dati per verificare le proprie convinzioni.

1 Mi Piace

la vittoria è l’unica cosa che conta…in ogni caso solo partecipare è inutile perché non si ottengono i risultati voluti e l’evoluzione del genere umano desiderata, ma bisogna anche saper perdere per continuare nella lotta per rialzarsi e riprendere a combattere per le proprie idee

1 Mi Piace

Bisogna vedere cosa intendi per vittoria, accendere i riflettori su di una tematica ignorata dai più, è già una vittoria.

Non è vero che solo partecipare è inutile, è evidente che qui si pensi di fare politica per partecipare alle elezioni, io penso che si possa fare poltica sfruttando le elezioni come cassa di risonanza mediatica.

2 Mi Piace

@erdexe credo tu abbia profondamente frainteso la mia proposta politica.

In particolare io propongo una “teoria della prassi”: l’educazione informatica.
Magari sono teoria o prassi che non ti appartengono, ma come puoi osservare dalle critiche che mi pongono @solibo e @briganzia, si tratta di un metodo che, essendo espressione di valori non totalizzanti, accoglie la diversità più estrema, incanalandola in un dialogo volto ad una sintesi.

Nella tua descrizione del secondo partito radicale, rivedevo molto di come vedo il PP, eccetto per i valori di riferimento, quelli della cultura hacker invece di quelli libertari, da cui derivano a cascata tutte le altre differenze.

Aver paragonato la mia proposta al nazismo mostra una certa scarsità di argomenti: mai ho proposto di restringere la politica agli hacker o di privilegiarli: ho sostenuto e sostengo l’urgenza di diffondere i nostri strumenti intellettuali e tecnici a tutti.

Sostanzialmente stai accusando qualcuno che vuole rendere sostanziale l’uguaglianza dei cittadini cedendo il proprio vantaggio di essere un nazista.

Bah… la DC non era poi così perdente.

Nella sua epoca, è stata una forza politica a vocazione maggioritaria e… maggioritaria.

Questo non significa che noi dobbiamo seguirne l’esempio o imitarne la struttura novecentesca (come invece propongono alcuni qui). Ma falsifica evidentemente la tua affermazione.

Un partito che non vuole vincere è un partito che non vuole rispondere dei propri fallimenti ma solo celebrare (ed essere ricordato) per i propri successi (come il secondo Partito Radicale di cui parlava @erdexe): una vocazione comoda.

Essere un partito a vocazione maggioritaria significa invece lavorare per rimuovere qualsiasi scusa che possa giustificare agli occhi dell’opinione pubblica i nostri fallimenti.

Significa accettare di essere responsabili.
Significa voler diventare credibili.
Significa voler meritare la fiducia che si chiede.

Un programma come il CEEP, in un partito che nemmeno vuole vincere, è carta straccia. È fare promesse sapendo di non doverle mantenere.

È prendere in giro gli elettori.
Ti sembra un approccio Pirata?