Dietro il braccio di ferro tra i cosiddetti “inclusivisti democratici” e gli “autoritari selettivi” c’è qualcosa di molto più sottile che merita una riflessione comune.
Innanzitutto il conflitto non è tra autoritari e democratici, come qualcuno cerca maliziosamente di insinuare nel corso del dibattito, ma tra chi ritiene la politica e le sue forme di rappresentanza uno strumento di trasformazione sociale, inserite all’interno di un conflitto aperto, reale, e chi invece ha una concezione della politica come pura mediazione e ripiegamento sullo status quo.
Il pensiero reazionario attuale è poco disposto a sostenere forme esplicite di repressione (bisogna spaventarlo parecchio), punta piuttosto ad una completa addomesticazione del conflitto, preferendo evitare o addirittura elidere il conflitto alla radice piuttosto che affrontarlo.
Sotto questa ipotesi “negazionista” il conflitto viene fatto scomparire e sostituito da nuove narrazioni alternative, spesso mediante una lettura psicologica, moralista o religiosa che si manifesta in una visione prettamente reazionaria della società.
Ecco perché io sostengo e rivendico il fatto che se vogliamo garantire un livello di conflittualità sufficiente, necessaria alla trasformazione della società, non possiamo che essere intelligentemente selettivi verso l’esterno e fortemente democratici al nostro interno e denuncio il fine reazionario e anti-politico di destrutturare identitariamente un partito al solo scopo di renderlo innocuo ed inoffensivo.
La storia ci mostra ad esempio come certi termini, che vengono utilizzati come una clava al solo scopo di dividere nettamente l’opinione dei pirati, facendo leva sull’emotività, non descrivano minimamente la realtà delle cose; se la smettessimo di avere reazioni pavloviane di fronte alle parole ma le analizzassimo per quello che sono nel nostro contesto sarebbe tutto più semplice.
Prendiamo la nostra recente storia, a partire dalla partecipazione alle elezioni europee. E’ innegabile che la cooptazione abbia espresso la forma più grande e tangibile di “apertura” del partito pirata dall’atto della sua creazione. Una apertura così evidente che ha destato anche una certa sorpresa tra gli stessi cooptati.
Ciò è stato possibile grazie al livello di fiducia che si è instaurato tra i pirati al momento della discussione e delle candidature. Questo non sarebbe stato possibile in altri modi e se avessimo dovuto seguire la trafila “democratica” dentro l’assemblea “Inclusivista” del 2012 non saremmo riusciti neppure a presentarci alle elezioni.
Questo è un dato incontrovertibile, negarlo significa remare contro al partito e al suo legittimo tentativo di assumere il ruolo politico che gli spetta.
E ora mi attenderei che si iniziasse seriamente a parlare di cooptazione come strumento di adesione al Partito Pirata, senza sensi di colpa verso quello che c’è la fuori perché la fuori ci sono tante cose da cambiare e noi ci possiamo scegliere le persone con le quali collaborare per mantenere il cosiddetto livello di trust alla soglia che ci è più funzionale.