Economia sostenibile per l'ambiente e umanamente solidale

(foto CC0 1.0 - Ilham Rahmansyah)

Testo approvato in Assemblea Permanente attraverso le votazioni 6089 e 6134 (accesso consentito ai soli iscritti), aggiornato con l’uscita dei dati di OXFAM, riducendo la cifra da 85 a 62 miliardari:

Per millenni l’umanità ha apprezzato la crescita economica in quanto c’è sempre stato spazio per sempre più persone e sempre più consumo delle risorse naturali. Per la prima volta nella storia dell’uomo abbiamo oltrepassato il punto della saturazione con conseguenze drammatiche per tutti se non cambiamo profondamente il nostro approccio al capitalismo ed al nostro incrostato ed ingiusto apparato governativo e legislativo.

L’attuale sistema economico si fonda sul concetto di crescita illimitata che, nei fatti, corrisponde allo smantellamento delle risorse naturali, all’avanzamento tecnologico e all’aumento della popolazione, ossia dei consumatori. Tra questi tre fattori, l’unico auspicabile è quello del progresso scientifico e tecnologico, che di per se non è sufficiente per compensare i danni irreparabili all’equilibrio ecologico del pianeta, sofferente da un consumo esponenziale delle risorse naturali.

Solo a livello locale si può percepire anche una forma di crescita dovuta all’interscambio di merci, capace di creare un benessere che in realtà implica l’impoverimento o sfruttamento di altri. La popolazione mondiale sarà felice di doversi spartire sempre meno ricchezze tra sempre più mani?

L’automazione tecnologica sta rendendo sempre piú “posti di lavoro” superflui. Un’economia sostenibile non puó prescindere dal rivedere il concetto stesso di lavoro. Il progresso cambia la societá, ora è essenziale che anche l’economia cambi. Disegnare una societá nuova, non più incentrata sul lavoro, è possibile, una societá in cui tutti gli esseri umani godano di un Reddito di Esistenza sovvenzionato dalla produzione industriale, in modo che chi lavora ottenga di più, ma chi non può trovare lavoro trascorra una vita degna e libera da paure esistenziali.

La dipendenza da crescita economica nuoce all’umanità. L’economia mondiale del nuovo milennio deve essere sostenibile a livello locale e globale. A partire da ció, si configura un progetto a lungo termine che include una profonda riforma del sistema economico, tributario, finanziario e del welfare.

Stando al lavoro di analisi “HANDY” di alcuni ricercatori della università del Maryland, l’umanità molto probabilmente può evitare un collasso economico e umanitario solamente se introduce un sistema di ridistribuzione della ricchezza. Anche gli autori del classico “The Limits To Growth” (I limiti della crescita, 1972, Club of Rome), nell’aggiornamento dopo trenta anni arrivano alla stessa conclusione.

Nel contempo, stando ai dati del documentario BBC “The Super-Rich And Us”, l’umanità è passata in soli quattro decenni dallo stato di maggiore equità economica tra gli individui allo stato di maggiore ingiustizia sociale nella storia dell’uomo. Attualmente sessantadue persone* possiedono ricchezze equivalenti a quelle possedute dalla metà povera della popolazione umana.

Sito web, categoria “Reddito di esistenza”: http://www.partito-pirata.it/2013/06/reddito-di-esistenza/

*) Aggiornamento inufficiale: Stando sempre ad OXFAM, la cifra è scesa a solo 8 persone.

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Stavo pensando che l’Incondizionato reddito di base non sposta la questione “consumismo”. Si fornisce un reddito per consumare. Non so se ci sia mai stata una riflessione sul trasformare il reddito di base in “servizi di base”, cioè nella fornitura di beni per la sopravvivenza e lo sviluppo personale (fondamentalmente, VITTO, ALLOGGIO e FORMAZIONE). Questo perché il reddito di base non da garanzie sul fatto che venga utilizzato per uno sviluppo migliore e visto che si tratta di soldi pubblici, ci si dovrebbe preoccupare di andare in quella direzione.

Il consumo di per sé è fondamentale per una economia funzionante, come dice Hanauer (nuovi video: https://www.youtube.com/watch?v=18-j07WST5w e https://www.youtube.com/watch?v=Rph3HyWETjw) e l’economia UE sta appunto soffrendo dell’impoverimento della middle class, impedendo un consumo adeguato.

Per un modello RdE bisogna però tassare il consumo dannoso alle esigenze della comunità umana. Nel RdE che ho esemplificato in http://my.pages.de/rde-calc.html un fattore di finanziamento è la tassazione della produzione anti-ecologica ed anti-salutaria.

Non credo sia necessario deresponsabilizzare gli esseri umani dal fare le proprie scelte… come appunto hanno dimostrato le prove di RdE citate dal Pistono… ma non nuoce avere un modello alternativo di questo genere da prendere in considerazione, se tu volessi svilupparlo.

Vi sembrerà strano, ma riguardo al RdE penso che il modello anti-autoritario è vincente… almeno lo mostrano i dati raccolti in India.

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Se si potesse limitare l’applicazione del byzantine consensus alle interazioni tra persone povere al mero scopo di bypassare governi illeciti e favorire un mercato locale, si potrebbe concludere di si.

Ma la realtà mi pare più dalla parte del concetto che saranno proprio i più ricchi a sapere fare uso di tali tecnologie nei modi più vantaggiosi ad evadere le tasse, in questo modo arrecando danni molto più maggiori di quanto una blockchain possa fare del buono in paesi poveri.

Come di solito in ambiente tecnologico, il sogno che una tecnologia sia prevalentemente buona (come pensavamo precedentemente riguardo a e-mail, alle chat, al web, ai social network e agli smartphone) poi col tempo, tirando le somme, si scopre che il danno per la società umana supera i vantaggi.

Con legislazione e regolamentazione degli sviluppi tecnologici invece si potrebbe ottenere la voluta crescita economica (quella che rende non necessaria la decrescita “felice”) senza pagare in ingiustizia sociale. Nel caso della blockchain però non riesco ad intravedere altra soluzione che di vietarne l’uso finanziario.

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È un approccio che non scala. Se continuiamo ad essere in tanti sul pianeta, non possiamo permetterci l’inefficienza di un ognuno-fa-per-se – abbiamo assolutamente bisogno della produzione industriale. Possiamo però aumentarne l’efficacia salutare e la qualità etica, per esempio con le tasse sugli zuccheri e le carni.

La “decrescita felice” è una “filosofia” generata da un pensiero anarchico che rifiuta e perciò non comprende il potere e potenziale della legislazione. Un pianeta anarchico andrebbe in stallo e collasso in pochissimo tempo. Non a caso non c’è una singola nazione che funzioni in questo modo.

La Decrescita Felice è un concetto di principio piuttosto banale: a decrescere sono i consumi. Al contrario la realizzazione è piuttosto complessa, soprattutto dal punto di vista sociale. Il bello è che ognuno si inventa il suo significato, senza per lo più preoccupardi di conoscerla. Devo riconoscere a lynX una grande fantasia, per la sua visione dell’argomento, dato che mai da nessuno ho sentito associare la Decrescita Felice all’anarchia. La DF è una “filosofia” generata da un dato di fatto: gli abitanti del pianeta Terra ogni anno consumano più di quanto il pianeta è in grado di produrre. Questo non può durare in eterno e quindi è meglio decrescere questi consumi consapevolmente piuttosto che con altri metodi. (Casaleggio nel suo Gaia prevede una riduzione dei consumi tramite guerra che ridurrebbe gli abitanti e quindi i consumi dell’85%)

In accordo con i termini e le direzioni indicate in merito ai temi del post iniziale, vorrei tentare di stabilire alcuni punti chiari.

1) Siamo d’accordo che il nostro modello di sviluppo non è globalmente sostenibile, ma è anche concepito per prosperare e dare un nuovo spazio ai giovani (tralasciando eventuali problemi di ingiustizia e privilegi per non mettere “troppa carne sul fuoco”): solo espandendosi verso nuovi Paesi (o internamente), facendo crescere i guadagni delle aziende, avvalendosi di sempre nuove risorse (energetiche e materiali).

Data l’impossibilità di una crescita economica in senso classico, è ovvio che abbiamo bisogno di un modello di economia stabile, ovvero che possa funzionare bene anche se i redditi di ciascuna azienda non puntano a crescere, anche se il mercato non si espande, rivedendo completamente il modo in cui si creano posti di lavoro e di conseguenza anche il rapporto tra reddito e lavoro, iniziando infine a rispettare le risorse che abbiamo (limiti energetici e materiali).

2) Il livello di disuguaglianza e la mal distribuzione della ricchezza non ha precedenti storici ed il sistema finanziario, nonché le tecnologie dell’automazione di cui il sistema di produzione si avvale sempre di più, incentivano ulteriormente la disparità tra ricchissimi e poveri.

Questo problema prettamente finanziario si può risolvere logicamente ed esclusivamente intervenendo sul sistema finanziario ed usando le imposte fiscali. Le due grandi categorie di soluzione che ho mai letto sono due:

  • a) Reddito base (con tutte le declinazioni e varianti possibili, ma fondamentalmente lo Stato dà dei soldi ai cittadini finché non hanno un lavoro - è secondario ora se l’obbligo di cercarlo ci sia o meno)

  • b) Programmi di Lavoro Garantiti, ovvero se non trovi lavoro nel mercato, vai nel tuo Comune e deve per forza dartene uno, con uno stipendio più alto della soglia di sopravvivenza (e che include un guadagno apprezzabile), ma meno remunerativo di quanto può offrire il mercato (perché i lavori nel mercato devono comunque essere finanziariamente più attraenti).

Sia la soluzione a) che la b) possono finanziare un reddito o dare un lavoro pagato essenzialmente attraverso le imposte fiscali. L’unica eccezione è che se siamo in fase di crescita (espansione del mercato interna o esterna), avendo la sovranità monetaria, possiamo immettere nuovi soldi, ma non possiamo farlo per sempre, si raggiunge una stabilità - con cui soprattutto oggi ci si DEVE fare i conti - e a quel punto saranno solo le imposte fiscali che finanziano un reddito legato o meno ad un lavoro.

3) “Tornare indietro” è impossibile, ovvero pensare di recuperare lo stile di vita contadino di un paio di secoli fa non può sostenere e sfamare i miliardi di persone che siamo oggi. L’industrializzazione e le nuove tecnologie - che non possono essere auto prodotte, perché sono complesse e richiedono macchinari molto costosi e prodotti a loro volta dal coordinamento di professionalità altamente qualificate e diversissime - ci legano indissolubilmente alle grandi aziende ed alle multinazionali che sono proprietari di questo “impero materiale di fatto”.

Se riusciamo attraverso lo Stato a regolamentare le imprese e i capitali, socialmente facciamo un salto di qualità etico e democratico. Se si verifica l’opposto, allora gli Stati saranno svuotati del loro potere e rischiamo una situazione simile (in buona parte già la viviamo e ne soffriamo genericamente come “crisi”) a quella del latifondismo in cui la maggior parte della popolazione era al servizio (e senza voce in capitolo) dei grandi e pochi proprietari di terre (oggi capitali, industrie, macchine, palazzi di server, ecc.).

Non è da escludere una possibile terza guerra mondiale, a seguito di un eventuale culmine di conflitto di interessi e litigio delle risorse, i cui esiti sarebbero difficilmente meno che apocalittici.

Soluzioni?

Politicamente ci serve un Partito che arrivi alla maggioranza, non sia corrotto e funzioni nell’interesse dei cittadini. Esclusa la via politica restano gli ecovillaggi, con tanti compromessi e tanti limiti di fattibilità. Naturalmente qui siamo per la democrazia liquida, che con i giusti accorgimenti dovrebbe essere la via migliore.

Riguardo il sistema finanziario, ho avviato questa iniziativa.

Riguardo la politica economica, è molto più complessa la faccenda, perché è strettamente legata all’attualità e non si limita ad un modello più o meno equo da concepire (come con il sistema finanziario). Ad ogni modo, ci sono tanti contributi da parte del Club di Roma, esempi da seguire di altri Paesi, ecc. ecc.

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