Sussidiarietà e Federalismo in rapporto al libero mercato

Colgo questo pensiero per l’ennesimo dubbio riguardo al federalismo e la sussidiarietà: se ogni comune si fa le regole da se e tutti i comuni sono in concorrenza tra di loro per attrarre industrie e posti di lavoro vincono coloro che abbassano le tasse molto al di sotto del socialmente ragionevole. Consequenza: i comuni s’impoveriscono, le corporations risparmiano.

Riferimenti a dibattiti precedenti sulla sussidiarietà (interna nel partito però): – No al principio di sussidiarietàAbbiamo sufficiente sussidiarietà

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Diciamo che è uno dei rischi che si può correre ma i Comuni possono anche “vincere” in modo virtuoso, ovvero diminunendo la burocrazia, investendo su infrastrutture, mobilità intelligente, servizi, tutte cose etsremamente attrattive per le imprese. Non sono così convinto che ci sia una corsa ad abbassare le tasse perché singificherebbe tagliare i servizi. E i cittadini poi si incazzano.

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Nel tuo post iniziale @lynX c’è “nel piccolo” il dilemma che (credo) stanno vivendo coloro che sono nella posizione di poter indirizzare gli Stati verso un “mondo” piuttosto che un altro.

Il dilemma si pone a seguito del fatto che il mercato globale ha agito al di fuori dei confini nazionali e si è permesso molte operazioni “fuori legge” (nel senso che la legge manco esisteva per prevenire certe dinamiche malate). Tale dilemma è se una soluzione la debba realizzare un governo mondiale (o almeno molti accordi internazionali vincolanti su tematiche spinose) oppure occorre fare un “dietro front” rispetto alla globalizzazione e chiudere i confini nazionali (protezionismo, no migranti, ecc.). Dati i recenti eventi politici e l’aria che tira, sembra che la seconda strada sarà quella percorsa sempre di più.

Per me non è affatto ovvio che cosa può accadere in uno o l’altro scenario. Nella seconda strada ci sono molte azioni che si possono fare a livello di politica economica per non farsi dominare dal mercato globale e dai rapporti commerciali, mentre si rafforza il ruolo dei confini nazionali (l’essenza del protezionismo: geograficamente con barriere, finanziariamente con imposte sui capitali uscenti, imposte sui prodotti non etici, ecc.). Nulla è ovvio e scontato si tratta di agire volta per volta con intelligenza (vengono in mente tante battute amare…). Possiamo controllare quali cittadini possono andare all’estero (scelta pesante, come fa la Cina, se non erro), lasciar morire le persone fuori dalle barriere costruite oppure pianificare aiuti per prevenire almeno il peggio. Tanti comportamenti sono possibili, non sappiamo come si comporterà ciascun Paese. Quindi, non possiamo dire con certezza cosa accadrà.

Riguardo un governo mondiale è più facile immaginare di prendere una decisione e tutti la rispettano, liberandosi di tanti problemi difficili. Però, un problema immenso è come potrà nascere un tale governo? Come si può metter d’accordo USA, Russia, Cina, Europa, India, Corea, Medio Oriente, ecc., e arrivare a metodi e rispettati personaggi che portino avanti ciò che ci dobbiamo imporre: per non uccidere il nostro ecosistema; per garantire agli umani una vita dignitosa; per allineare pressione fiscale e varie forme di tutela del reddito; per decidere quali diritti umani debbano essere ovunque riconosciuti; come regolare il commercio con tutti gli interessi che porta con sé; come condividere risorse critiche di cui tutto il mondo ha bisogno e specularci è un rischio concretissimo (le due guerre mondiali sono connesse in buona parte a questo aspetto: desiderio di appropriarsi delle risorse di altri Paesi). Insomma è difficile immaginare come si possa approdare ad un governo mondiale legittimo. Non è da escludere il rischio di una terza guerra mondiale dove chi vince - e se esiste ancora un pianeta - infine potrà imporre la sua concezione di governo mondiale.

Comunque, al momento sembra si stia percorrendo la seconda strada e forse è meglio… Però, il modo di comportarsi delle singole Nazioni sarà fondamentale affinché non si riveli una strada disastrosa ed auto-lesiva.

Accidenti @briganzia… un punto di vista quasi liberista oggi! Ma necessita analisi… non è detto che tu abbia per questo torto… :wink:

@silvan, il dietro front è più probabile, ma per non finire in “guerra del commercio” (Handelskrieg) ci vogliono anche accordi– forse un protezionismo coordinato e pacifico è un passo avanti – se tutti introducono tasse d’importo uguali, i danni sociali ed ecologici della globalizzazione si lasciano magari mitigare.

Ritengo più adeguato ragionare in confini continentali o “marini.” Ovunque lo scambio economico è realizzabile a distanza di un viaggio di treno od un TIR mi pare conviene fare l’unione come appunto l’UE piuttosto che la separazione nazionalista. Il BREXIT in questo scenario ci sta, dato che ci sta il mare di mezzo.

In tal caso anche l’Africa dovrebbe continuare sul percorso dell’unificazione economica, attuando il giusto grado di protezionismo… l’attuale situazione per la quale è esposta agli effetti predatori dell’economia europea e mondiale è correggibile, oppure no? La miseria si manifesta dal momento che una nazione d’Africa è disposta a tradire il resto del continente, o sbaglio?

Vedo due vettori tecnologici per migliorare la situazione:

  1. Uso di metodi tipo democrazia liquida all’interno delle nazioni unite per ridurre la farriginosità dei processi. Si va ai summit avendosi già fatto una idea comune in via digitale.
  2. Uso di democrazia liquida nelle nazioni. Una volta si è dimostrata metodo migliore di governance, si può formare una volontà generale di estendere il metodo ai continenti e al mondo.

C’è da studiare i libri di storia… prima della seconda guerra mondiale ci fu una escalation mondiale di protezionismo. Forse la soluzione è un protezionismo reciproco ed amichevole per evitare l’escalation di allora.

P.S. Mi manca che non esiste un Discourse pirata mondiale per parlarne con gli altri pirati nel mondo (in lingua inglese, presumo)… vogliamo aprirne uno?

Mi sa che forse non mi son spiegato bene. Non sto dicendo di creare comunità isolate dal mondo e autosufficienti: dico solo che secondo me Stati più piccoli si possono gestire meglio di Stati più grossi, e che concedere maggiori margini di autonomia locale sia una strada da percorrere, al giorno d’oggi. 300.000 persone possono costituire uno Stato indipendente? A quanto pare sì, visto che la popolazione dell’Islanda ammonta più o meno a quella cifra. Hanno attività commerciai e scambi “normali”, come tutti gli altri Paesi occidentali.

Facciamo un esempio concreto. L’Italia riconosce all’ipotetico Comune di Montelercio (50,000 abitanti) uno statuto speciale, dandogli completa autonomia fiscale e giuridica purché rispetti i princìpi della Cosituzione italiana. Gli abitanti fanno una DAO grande quanto il loro numero, e stabiliscono che chiunque nasca a Montelercio o vi trasferisca la propria residenza debba obbligatoriamente essere parte della DAO, e la usano per votare e praticare la democrazia liquida. Poi coniano una loro valuta complementare (il lercio), continuando nel contempo ad accettare anche gli euro. Stabiliscono poi che il lercio è spendibile solo entro i confini giuridici di Montelercio (come Sardex per la Sardegna). Stabiliscono un loro modo per gestire le tasse, da Roma non ricevono un euro e non inviano un euro a Roma. Tutte le tasse restano sul territorio. Non è che tutto ciò li isoli dal mondo: continueranno ad esserci fornai, parrucchieri, maestri elementari etc. Col sistema descritto nel primo post del topic potrebbero appunto creare una tassa su ogni transazione, e con quella garantire il welfare o un Basic Income. Oppure stabilire una tassazione progressiva vecchio stile. Se uno diventa “troppo ricco” se ne va da Montelercio? Beh, se la sua ricchezza l’ha accumulata in lerci, e questi sono spendibili solo a Montelercio e non convertibili in euro, gli conviene restare. Le aziende potrebbero essere invogliate a trasferire la propria sede a Montelercio, potendo -almeno dopo una fase iniziale- retribuire i dipendenti in lerci anziché in euro (e ai dipendenti andrebbe bene, visto che possono farci la spesa).

D’accordo, nessuno ha detto che un piccolo Stato non può esistere, ho solo detto che serve sempre uno Stato (o un insieme di Stati) con un’economia esistente per dare senso ad una moneta e aver qualcosa da tassare (al limite anche un villaggio semi-autonomo).

Curioso questo… Eri un po’ sconvolto all’idea che avevo lanciato (a mo’ di brain storming) sulle pensioni. Se i pensionati andavano a risiedere all’estero (tralasciando i dettagli), l’erogazione della pensione veniva messa in rapporto al costo della vita del Paese ospitante. Però, con questa storiella del lercio stai creando confini ancora più stringenti. Se in “altra sede” non li volevi, perché ora spendere riflessioni su una tale direzione? Inoltre, non ti piaceva nemmeno l’idea di impedire che valute adottate dallo Stato fossero convertite in valute senza uno Stato (o eventualmente con Stati malintenzionati), per esempio, evitare conversioni in/da bitcoin.

Eppure in questo piccolo esempio ti vengono fuori tali necessità, per non “sfaldare” i confini ed il campo d’azione di un eventuale piccolo Stato. La mia perplessità principale è che una regione troppo piccola potrebbe non produrre abbastanza beni e servizi da mantenere un equilibrio di import/export con l’esterno. Tanto più si è grandi e si è disposti a ridistribuire la ricchezza (come l’Europa NON sta facendo) tanto più è facile trovare un equilibrio con l’esterno. Se si è esageratamente grandi, il problema è che aumentano troppo i conflitti di interesse (nuovamente si pensi all’Europa). Quindi è probabile che una via di mezzo sia la giusta soluzione (che potrebbe significare Europa del Nord ed Europa del Mediterraneo oppure il ritorno agli Stati nazionali…).

Perché un comune dovrebbe preferire essere povero con una corporation invece che ricco senza corporation?

Il motivo è che più un Comune diventa autonomo (anche se il caso è piuttosto forzato, perché una realtà molto piccola non può avere chissà quanta autonomia…) e più è libero di impostare certe condizioni per i lavoratori, per le imposte, per gli stipendi, ecc.

Però, questa libertà non è totale, dato che esiste un mercato che crea aziende, sposta aziende, genera ingressi di denaro, ecc.

Se ci sono Comuni che mettono imposte più alte, per esempio, sulle attività turistiche e altri Comuni vicini che non lo fanno… con buona probabilità le attività turistiche si spostano e nascono nei Comuni vicini dove le imposte sono basse (e magari vanno anche in Comuni lontani pur di avere imposte vantaggiose).

Quindi questa libertà è fittizia, anzi peggiore di un grande territorio che pone le stesse condizioni dappertutto. Infatti, più è facile spostarsi per trovare diverse condizioni e più le realtà locali devono accontentare le richieste del mercato per non “morire” di stasi e abbandono commerciale. Quindi devono abbassare le tasse, magari a scapito del servizio pubblico, devono limitare i diritti per i lavoratori, ecc.

Insomma, la libertà delle piccole realtà è in realtà una perdita di potere nei confronti di una grande dinamica che è quella del mercato. Così, con la pseudo libertà che uno si ritrova può solo decidere come meglio assecondare il mercato perché da esso, di fatto, si dipende. Si perde il potere di “dettare legge”, più la legge copre un vasto territorio ed ha un effetto “uguale per tutti” e più ha valore.

Gli Stati, già oggi, sono troppo piccoli per le dinamiche del mercato globale, non riescono più a dettare legge, ma sono succubi delle multinazionali, delle grandi banche, ecc., che decidendo dove spostare i capitali, le sedi, le industrie, la mano d’opera, ecc. Da una parte subiamo un danno sulle tutele e politico, dall’altro c’è comunque la dipendenza dai finanziamenti, la necessità di avere un mercato vivo, ecc., questo ci rende dipendenti ed occorre accettare.

Tutto questo si può cambiare con forti decisioni politiche, però più si è piccoli nel prenderle e peggio è, più si è grandi, più c’è speranza che le nuove condizioni siano rispettate.

L’ulteriore alternativa è che una realtà piccola diventi autonoma, come certi villaggi in alcuni altipiani del mondo… ma è una scelta che richiede molte rinunce ed in base al numero di abitanti è spesso anche impraticabile.

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Che è quello che hanno fatto per anni i Paesi europei un po’ più evoluti di noi, mentre noi si continuava a svalutare la moneta e basta. In Germania lo stipendio di un operaio è parecchio superiore a quello di un collega italiano, eppure non mi pare che le aziende stiano tutte scappando dalla Germania per riaprire in Polonia.

Se ci provi senza che il 100% degli abitanti siano d’accordo finisci presto ad essere considerato despota totalitario antidemocratico… solo perché non sei capital-liberista…

La Germania ha preso delle misure molto particolari… con i minijobs ha abbassato il costo di lavoro per potere concorrere con gli altri paesi d’Europa, allo stesso tempo ha mantenuto le persone malpagate con Hartz-IV, il reddito minimo garantito che richiede una burocrazia prussiana per funzionare e comunque funziona male… ed intanto è riuscita a posizionarsi come paese esportatore numero uno nel mondo, abbinando educazione elevata alla capacità di mantenere bassi gli stipendi… però la gente semplice fa fatica a sopravvivere… in famiglia lavorano entrambi padre e mamma e continua a non bastare per crescere i figli… uno su sette bambini cresce in povertà… mentre lo stato finanzia la corruzione delle banche e delle grandi opere…

È impressionante che la cosa continua a funzionare, ma alle spese dei poveri e degli altri paesi nel mondo… l’effetto economico si potrebbe avere anche con il reddito d’esistenza. Anche col RdE si possono abbassare i costi del lavoro per l’industria – ma senza tenere i poveri in schiavitù.

I minijobs in pratica ci sono anche qui, io parlavo degli operai “vecchia maniera” (quelli della Volswagen per capirsi). Da quello che raccontano i giornali italiani, guadagnano sui 37.000€ lordi l’anno.

Le ditte che riescono a pagare alla “vecchia maniera” sono come gli affitti che sono rimasti ai vecchi livelli… aumentano la disparità per coloro che non hanno tale privilegio… meglio 2000€ mensili per tutti che 3000€ per quelli che sono riusciti a trovare lavoro nella Volkswagen…

Non c’è solo lo stipendio come fattore determinante per le scelte degli imprenditori. Per esempio, se la pressione fiscale è relativamente bassa, le aziende riescono a pagare un po’ meglio i lavoratori, bisogna considerare tutti i fattori. Si può anche pagare meglio un lavoratore ma togliere diritti come malattia e maternità (che magari restano solo a certe categorie ristrette di lavoratori) e le aziende sono sollevate dall’obbligo di offrire quelle tutele.

Complessivamente mi sembra evidente che il mercato globale (che ha vissuto a lungo con una pessima etica) ha portato ad abbassare le prospettive di guadagno, a diminuire i diritti dei lavoratori ed aumentare la mal distribuzione della ricchezza.

Se ci fossero accordi internazionali, verosimilmente europei (ed è già molto difficile), su istruzione e formazione riconosciuta ovunque, tutele legate al lavoro, gestione dell’immigrazione, allineamento della pressione fiscale, ecc. Allora - un po’ paradossale considerando che tutti questi impegni sarebbero in qualche modo vincoli - ci sarebbe più libertà di decidere in quale Paese europeo avviare un’impresa perché le condizioni sarebbero molto simili dappertutto. Però, questo richiede tali radicali riforme che temo non verranno mai fatte…

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Sì, ma un Comune sceglierà facendo i suoi conti, non quelli di un’azienda. Perché dovrebbe impoverirsi volontariamente?

Perché in questa economia distorta dall’assenza di RdE sono santi e più importanti i “posti di lavoro” … perciò i comuni non solo dovrebbero… lo fanno di continuo… anche in Germania dove ci sono battaglie feroci tra i comuni ad abbassare la Gewerbesteuer, l’imposta sull’industria e sul commercio, per attrarre le fabbriche ecc…

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Credevo di aver chiarito che non c’è la libertà di fare “i propri conti”. Ancora più semplice e solo concettuale: se dal mercato dipendi ed il mercato segue l’obiettivo del profitto attraverso il metodo della competizione, allora dipendi da tali obiettivi: devi fare profitti e devi competere. Questo è abbastanza da togliere molta libertà.

Omogeneizzare le tutele su territori molto grandi è l’unica strategia che mi viene in mente per contrastare queste tendenze degenerative (es. spopolamento dei paesi, disoccupazione, nuovi poveri…).

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Ma sei un comune. I tuoi profitti vengono alle tasse. Puoi attirare abitanti con posti di lavoro o con standard di vita elevati.

Non è una cosa negativa consentire ai comuni di competere, in un framework di regole che eviti la cannibalizazione reciproca.

Ma l’ideologia liberista ha promosso l’idea che tali framework non servono… perciò ora in molti ambiti ci mancano. Specialmente riguardo alla digitalizzazione che la politica continua a inquadrare male…

Purtroppo questa considerazione non include la reale complessità del quadro. I Comuni hanno le imposte, ma queste pesano sui cittadini e sulle attività commerciali: devono trovare un equilibrio. Inoltre imposte specifiche, come quelle legate al turismo, hanno precisi effetti sul mercato e non si può certo esagerare.

La “cornice di regole comuni” di cui parli è possibile nella misura in cui non si è totalmente autonomi, ma esistono quanto meno degli accordi nazionali in questo caso. Ad ogni modo, i Comuni sono dentro uno Stato (quindi una cornice di regole ce l’avremmo…) e non ricordo bene come si è finiti sui Comuni, ma ripeto che questo livello è fuorviante: è di Stati che si ragionava all’inizio.

Gli Stati possono essere fortemente autonomi e questo fa mancare l’insieme di regole comuni all’interno di cui muoversi. Tanto più solo “slacciati”, tanto più la loro libertà la devono usare per assecondare il mercato (che non è una gran libertà…), tanto più si crea un’unione in cui tutti gli Stati rispettano certe regole o devono allinearsi a certe condizioni (con un governo europeo o accordi internazionali, ecc.) e tanto più le attività commerciali sono libere di nascere o spostarsi dove ha più senso, piuttosto che inseguire la bassa tassazione, i lavoratori che costano meno, l’assenza di tutele etiche ambientali, ecc. Purtroppo, di fronte al profitto, il mercato è quasi obbligato a compiere scelte non etiche se esse rappresentano un vantaggio. Se la politica non sa porre le giuste condizioni al mercato è il mercato che pone le condizioni alla politica e così finiamo alla deriva, con fenomeni che accelerano il degrado quali la corruzione e le pressioni politiche da parte di chi ha potere finanziario.

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Secondo me, le regole (moneta, leggi, regime fiscale, standard, etc … ) devono essere uguali per tutti sul territorio di uno stato … altrimenti non si parla piu di stato, ma di federazione di stati ( e.g. Germania, Svizzera, USA ). Magari alla fine anche l’Italia diventerà una federazione di staterelli, ma dato tutto lo sforzo fatto per unirla, facciamo un tentativo per rimanere uniti.

Il federalismo io lo ho sempre inteso su due fronti : amministrativo e “finanziario” ( termine non corretto ma non me ne viene uno migliore, di qui le virgolette ).

Federalismo amministrativo : ogni territorio dovrebbe poter decidere autonomamente come e dove creare e gestire infrastrutture come ospedali, scuole, strade (locali), eccetera … rimanendo nei vincoli del proprio bilancio. Al contempo, le amministrazioni dei territori devono essere vincolati a seguire procedure (e.g. gare di appalto, procedure di forniture) e standard (qualità dei servizi) fissati dallo Stato. I territori dovrebbero anche avere l’ultima parola per la costruzioni di opere pubbliche di interesse nazionale che li attraversino: in altre parole lo Stato non dovrebbe poter imporre tali opere in nome di un - secondo me discutibile - “interesse superiore”, ma convincere i territori che tale opere sono anche nel loro interesse (possibilmente non a colpi di tangenti ai suoi amministratori).

Federalismo “finanziario” : i proventi fiscali di un territorio dovrebbero essere usati principalmente per migliorare i servizi del territorio. Ci deve essere un fondo di ridistribuzione che sposta risorse dai territori più ricchi ( non necessariamente quelli del Nord) ai territori più poveri ( non necessario quelli del Sud ), ma non si dovrebbe arrivare ad un appiattimento: secondo me è giusto che i territori che producano più ricchezza possano godere delle ricchezze prodotte, una volta che a tutti i territori siano stata assicurate risorse necessarie per i servizi di base.

Lo stato, oltre a occuparsi dei compiti propri dello stato ( legislazione, difesa, ordine pubblico, grandi infrastrutture, giustizia, politica internazionale…) dovrebbe vigilare sui bilanci delle amministrazione dei territori e sulla qualità dei servizi da questi offerti) intervenendo con meccanismi che vanno dai richiami formali al commissariamento nei casi in cui si sfori il bilancio o la qualità dei servizi scena troppo .

Ultima cosa: ho scritto territori e non regioni perchè secondo me la dimensione giusta di un territorio con le caratteristiche di cui sopra sarebbe quella della tanto vituperata provincia (o distretto metropolitano nel caso delle grandi città) : abbastanza grande da poter essere gestito efficientemente ed abbastanza piccolo da poter essere culturalmente omogeneo e monitorabile dai cittadini.