Filosofia della Democrazia Razionale Collettiva

Si, stai citando l’Effetto Dunning-Kruger che nel PP-DE ha colpito molti votanti dell’ultimo minuto, ragione per la quale vorrei strutturare le policy di LQFB in modo tale che la votazione finale sia meno influente. Del PP-DE posso dire che le idee politiche sfornate da migliaia di persone erano di qualità a volte veramente impressionante, ma gli esiti del voto finale a volte non azzeccavano, per motivi di bias cognitivo presumo. Purtroppo questo è un mio dato soggettivo in quanto non mi sono ancora incarnato in veste oggettiva.

Come dissi prima, ritengo che l’assemblea stessa sia in grado di farsi da comitato scientifico se la dotiamo di policy adatta… e poi al Gruppo Integrità spetta un compito molto meno arduo: invece di constatare cosa è vero o scientifico devono solamente constatare la coerenza legale delle proposte assembleari.

Volendo si può creare una area apposita chiamata “Comitato Scientifico” nella quale esistono solo le policy di carattere intersoggettivo. Chiunque può decidere di parteciparci. D’altro canto ritengo sbagliato che contro l’ideale degli sviluppatori di LQFB abbiamo abolito le aree tematiche e i dibattiti scientifici sarebbero da svolgersi nelle apposite aree tematiche.

D’accordo, si potrebbe fare una prova di Comitato scientifico (liquido?) basato su LQFB dove si decidono quali fatti considerare fondati e ritenerli veri “fino a prova contraria” (che preciso è un modo di dire, dato che una singola anomalia può non bastare a buttar via un fatto precedentemente affermato, servono valutazioni un po’ più ampie non di rado).

Si voterebbero solo fatti ed eventualmente giudizi su fonti - singolarmente - in modo da rendere tutto più semplice e libero da interpretazioni, dall’ “uso” di questi fatti, ecc. Il risultato sarebbe un database di fatti, con parole chiave dedicate all’argomento specifico (pannelli solari, PIL, Linux…); parole chiave dedicate alla tematica generale (energia, economia, informatica); la data di consenso; la data storica del fatto stesso (facoltativo); e ovviamente un campo testuale per descrivere il fatto accreditato. Le parole chiave servono poi per fare ricerche veloci.

Un’iniziativa deve essere compatibile con i fatti approvati (ma questo vincolo si può aggiungere in seguito, se si riesce a costruire un buon database di fatti condivisi), ed ovviamente su quel che ci interessa, non su tutto lo scibile umano. Il controllo lo dovrebbe fare il Gruppo di Integrità.

Mi chiedo però, se il Comitato scientifico è “liquido”, già le singole iniziative ricevono il controllo dalla base durante l’approvazione. L’unica utilità è scindere il problema dell’approvazione di un singolo fatto da articolate iniziative che quando vengono presentate hanno un carico più alto di aspettative / desideri / interpretazioni preferite, ecc. Vale la pena scindere il consenso fattuale (fatto per fatto) dal consenso di azione (basata su più fatti)? Può darsi di sì, anche se ancora non abbiamo avuto problemi di iniziative approvate e infondate, forse affidare PdL e programma a LQFB è sufficientemente sicuro di per sé? Come mai in Germania c’è stata la spaccatura del PP e molte proposte ingenue? (almeno da una delle due parti).

Anche nel PP-IT abbiamo avuto casi di (contro)proposte “populiste”, che hanno affondato proposte legittime in critica alarmistica falsa… al giorno d’oggi forse il GI o gli RdC avrebbero potuto intervenire, che al tempo appunto non esistevano ancora. Perciò rispondo con un nì. Può darsi che con gli RdC e il GI siamo già consolidati – ma in tal caso l’uso della policy intersoggettiva semplicemente perderebbe d’interesse. Può restare comunque come salvagente in caso di grave deriva demagogica.

Non ti capisco, ma presumo che mi sono spiegato male. Il sistema dei quorum e dei suggerimenti ha prodotto proposte di qualità veramente eccellenti, ma una certa percentuale di pirati passava in liquid solo per partecipare al voto finale– perciò in quella occasione sorvolavano la prima proposta, forse anche la seconda, e da lì esprimevano un giudizio. Secondo me la percentuale di quanti giudicavano affrettatamente era un pochino altuccia, ed in quel momento erano succubi degli stessi problemi cognitivi che conosciamo dei metodi di democrazia diretta. Credo che in linea di massima gli esiti erano buoni lo stesso, ma un obbligo alla partecipazione al dibattito può solo migliorare la competenza del voto finale.

Questo è un problema non da poco, se dovessimo mai essere veramente numerosi (es. 10.000), oltre certi numeri il dialogo diventa impossibile, viene condotto per lo più per “gruppi” o “fazioni” e se c’è precipitosità nel leggere il voto, l’unica cosa che salva è che le proposte da scegliere sono tutte comunque ragionevoli e quindi un Comitato scientifico, degli RdC anche su LQFB, il GdI sono tutte misure necessarie che non possono certo rimanere “pigre”.

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Il documento di ricerca sul voto segreto dimostra come anche una intuizione collettiva può essere sbagliata nei fatti, e perciò non basta essere d’accordo per fare le scelte giuste, bisogna comunque impegnarsi ad educarsi sugli errori già commessi in passato… ovunque non siamo all’avanguardia, c’è scienza!

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Dal dibattito in limitare l’irrazionalità della democrazia diretta mi salvo questo pensierino:

(versione audio originale tedesca)

Con riguardo a Schopenhauer ed Einstein, vorrei sviluppare una tecnologia sociale capace di ricreare il vero libero arbitrio, la capacità dell’umanità di volere quello che vuole, e smettere di volere quello che crede di volere.

A lince, dobbiamo iniziare a preoccuparci?

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Sei così scrupoloso nel valutare le ingerenze delle aziende e dei servizi segreti verso la sfera privata individuale, giustamente per i risvolti sulla facilità di manipolare l’opinione pubblica e prevedere le reazioni delle masse… e non puoi dunque pensare di interferire sul volere dei singoli, soprattutto sulla base dei concetti che hai usato.

Il libero arbitrio logicamente è un paradosso e quindi non si sa mai bene cosa intendere con un concetto tanto problematico. Ci sono diversi modi di concepire il libero arbitrio, uno molto frequente è lasciare che una persona segua i propri desideri senza che minacce od ostacoli lo blocchino. Un altro più lungimirante, dai tempi di Spinoza, è che la conoscenza sugli effetti delle proprie scelte sia ben chiara, altrimenti non si sa cosa si sta scegliendo. Questa versione in mano alla politica, in particolare quella di sinistra, si è ulteriormente arricchita di un ipotetico ‘bene’ che per scarse conoscenze il popolo ignora, ma i politici conoscono e quindi devono guidare lungo quella strada… Posizione molto pericolosa, soprattutto perché c’è un altro concetto: il bene, inteso come il fine di un essere umano.

Se c’è una cosa che veramente vogliamo e non lo sappiamo, è chiaro che è implicito un concetto di bene di fondo, ma su quale esso sia o debba essere, c’è una profonda e soggettiva varietà di visioni. Qui bisogna lasciare libertà.

Il massimo che si può fare è offrire conoscenza, ma meglio dire di fare esattamente questo, piuttosto che impelagarsi in questioni contorte ed anche politicamente pericolose.

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Infatti non è quanto intendo. Io sto sempre e solo parlando di metodi e strumenti utilizzati per fare in modo che gli esseri umani arrivino alle giuste conclusioni… sto solamente dicendo che la nostra ricerca non finisce con la scoperta della democrazia liquida.

Vabbeh… allora me sto zitto.

Abbiamo già molte cose un po’ complesse da dover comunicare. In merito alla conoscenza, diciamo che desideriamo diffonderla e renderla di pubblico dominio, riformando la legge sul copyright (senza togliere uno spazio al mercato per coprire gli investimenti e guadagnare, ma limitandolo) e solo con la conoscenza gli esseri umani possono compiere scelte mature, più adatte alla loro specie, senza essere sviati da falsità, credenze popolari dannose, organizzazioni settarie che vogliono controllare la visione del mondo degli esseri umani per secondi scopi (denaro, controllo sociale, megalomaie). La conoscenza si può offrire, poi è responsabilità degli individui trovare il coraggio di ascoltare e riflettere.

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Giusto, ma a mio avviso insufficiente. Lo studio della natura umana ci ha insegnato che ci vogliono motivazioni per animare l’homo sapiens ad educarsi prima di opinare. La Rete è piena zeppa di conoscenza, nonostante elsevier ed altri banditi, eppure la stramaggioranza di contributi scritti da parte di individui sono opinioni che non sono passate prima per l’educazione. Perciò lo sviluppo dei metodi per una razionalità collettiva migliore è più importante del mero knowledge sharing.

Inoltre, riformare il copyright necessita essere in qualche modo al potere– e per arrivarci dobbiamo essere eleggibili ed organizzati in modo affiatato e civile. Perciò al copyright si prepone la convivenza. Senza questi metodi che abbiamo sviluppato negli ultimi difficili cinque anni ho i miei dubbi che si possa competere con la vecchia politica senza diventare politica vecchia se stessi (PLP, Podemos, Syriza, M5S, od uno dei vari fork verticistici…).

Ecco IMHO il punto debole del pensiero: l’assunzione un po’ assiomatica che il concetto di responsabilità funzioni in questa situazione. Secondo me “responsabilità” funziona in determinate circostanze ed in altre no. In democrazia rappresentativa molto spesso non funziona. In democrazia diretta ancora di meno. L’AfD ha utilizzato DD in estremis, producendo un programma politico che raccoglieva tutti i pregiudizi più popolari– omofobia, razzismo, dubbi sull’antropogeinità del cambiamento climatico– e ne vanno fieri, credendosi i veri democratici alla faccia degli altri. Anche in LQFB, la responsabilità non si manifesta automaticamente, ma dato che devi convincere altri per vincere ci sta una motivazione ad educarsi. Aggiungendo paletti aumentiamo tale motivazione.

In DD, ognuno clicca quel che gli piace e non ci fa una figuraccia a cliccare male– perciò per pigrizia non si educa e clicca male. In DR dipende se il rappresentante si sente veramente sotto controllo del proprio elettorato. Dato che l’elettorato facilmente si scandalizza per qualsiasi opzione che l’eletto scelga (anche quando sceglie quella condivisa dalla maggioranza ci sarà sempre una minoranza incazzata che non si rende conto di essere una minoranza e di sbagliarsi), tanto vale decidere d’opinione propria. Perciò a lungo andare anche in DR non c’è obbligo all’educazione responsabile, sia per ragioni sociali che per ragioni pratiche di tempo materiale. Solo nella democrazia liquida vedo un potenziale che la motivazione ad educarsi si possa rendere parte integrante del processo, e in genere già si manifesta– eccetto quando viene impiegata da strutture verticistiche come FARE o Podemos: in tal caso è inutile investire tempo a sviluppare una proposta competente se tanto alla fine vince quella adottata dal leader. Conviene leccare il sedere al leader direttamente.

Non stavo connettendo il bisogno di conoscenza con i processi decisionali.

Sono d’accordo che su LQFB servono misure che filtrino contributi fondati e di qualità, e questi filtri canalizzino verso una conoscenza ritenuta corretta, rispetto ad un’altra ritenuta fuorviante o proprio falsa.

Ragionavo in termini generali, sulla cultura che un umano riceve dalla società. Esiste la scuola dell’obbligo, che chiaramente ha comunque dei limiti. Condividere la conoscenza e basta non è sufficiente, infatti deve essere veicolata dalle scuole e/o affidata a organizzazioni che selezionano ciò che ritengono sia più adatto agli umani. Tra queste organizzazioni abbiamo quella cattolica, UAAR, i testimoni di Geova (estremamente attivi, anche con un’economia alternativa che vivono tra loro), nel loro piccolo certi partiti, eventuali associazioni che magari si concentrano solo su certi aspetti come animalisti, ambientalisti, ecc.

Purtroppo, ci sono tante organizzazioni che diffondono una cultura a mio avviso malata e dannosa. Però, occorre lasciare libertà di pensiero. Quindi, l’unico modo è (magari a livello di partito) selezionare una cultura fondamentale necessaria all’essere umano e veicolare quella. Poi uno può seguirla o meno… intanto si offre un riferimento, se no, gira gira, sono soprattutto le religioni che ne offrono uno, oppure sei allo sbaraglio in mezzo a tante trovate commerciali e notizie o conoscenze inventate spammate sul Web ed anche in tanti libri che si rimandano l’un con l’altro.

Sbaglio o l’unica cultura necessaria da veicolare affinché si possa partecipare con successo a LQFB è quella di non scrivere proposte fondate sulle bufale. E questa cultura la introduciamo con il GI e il voto intersoggettivo anti-bufala. Premessa questa cosa, chiunque partecipa sarà motivato ad imparare a non cascare alle bufale per non farci una figuraccia… e tutto il resto segue…

“Free your mind, and your ass will follow…”

Non credo che tutti possano partecipare alla selezione dei fatti storicamente e scientificamente fondati o delle fonti alle quali affidarsi, quanto meno ho dubbi che la cosa funzioni con grandi numeri.

Secondo me, occorre fare come con i RdC, alcuni vengono abilitati dall’assemblea al voto nel comitato storico-scientifico (o come vogliamo chiamarlo) e di questo gruppo ogni fatto che viene votato deve raggiungere la maggioranza qualificata (2/3) per essere inserito nei fatti supportati dal partito.

Ci sono alcuni personaggi che l’assemblea potrebbe voler tener fuori da queste valutazioni, perché dimostratosi ingenui o non affidabili o poco ragionevoli. È un’ulteriore forma di garanzia. Inoltre, in linea di principio, resta vero che tutti possono partecipare. Infine, ogni votazione deve essere qui palese e consultabile, perché ci si deve rendere responsabili di fronte all’assemblea.

Grazie per appuntare questa criticità che mi rendo conto di non avere articolato un aspetto del pensiero:

L’architettura feudale di LQFB criticata da Speroni ha l’effetto che un proponente pigro, orgoglioso o malintenzionato ha il potere di ignorare la critica di un individuo o minoranza. Può capitare anche che per ragioni sociali o di incompetenza la critica di tale individuo non riceva il supporto democratico sufficiente per lanciare una proposta alternativa vincente – o che la proposta alternativa perda semplicemente perché necessariamente altrettanto complessa di quella originale, perciò offuscando il fatto che l’una si fonda su una premessa falsa mentre l’altra non lo fa. Alla fine può capitare che vincono criteri quali la popolarità e fiducia nei proponenti piuttosto che la verità fattuale o scientifica.

In questa costellazione il voto intersoggettivo serve per stabilire un dato di fatto specifico, indipendentemente dalla votazione che la implica, liberandosi perciò dal pericolo di offuscamento per complessità. Offre la possibilità al critico di fare asserire la premessa come falsa per poi incaricare il GI ad incassare la falsa proposta se il proponente non la corregge.

In alto indicavo che avviene automaticamente attraverso la delega… se il comitato tecnicamente è un’area del liquid.

D’accordo. La mia proposta originale indicava 80-90%…

Incaricare uno di far parte di una commissione, credo sia più sicuro che aspettarsi che ciascuno - che non si intende abbastanza o non ha tempo per approfondire un determinato fatto - ricorra alla delega.

L’alto consenso aumenta la sicurezza sulla fondatezza di un fatto da supportare, però potrebbe anche lasciare molti fatti nell’indeterminazione perché magari arrivano a 70-79%… Se c’è una commissione abbiamo già un livello di tutela (di filtro) e quindi direi che si può abbassare la percentuale di consenso. Di certo il 50%+1 non basta, perché non è una decisione, ma un fondamento da supportare.

META: Nel 2014 abbiamo mantenuto un dibattito correlato a questo thread.

Ed io invece diffido dalle strutture rappresentative… anche perché nel PP-DE non ne abbiamo avuto necessità: il LQFB con diecimila persone riusciva a tirare fuori la competenza a produrre contenuti sensati… (i problemi seguivano dopo con la mancata attuazione). Ma oggi voglio analizzare un altro problema sociale in AP:

Quando il sostegno si presenta a seconda di come gli gira…

Notasi come proposta B non sta ottenendo lo stesso sostegno di proposta A, nonostante si tratta dello stesso contenuto e ci è solamente stato un “venire incontro” ad un critico che invece di criticare il contenuto (come sarebbe suo diritto), critica la viabilità legale — cioè, invece di rivolgersi al GI come previsto dallo statuto, porta il dibattito ad un meta-livello.

Somiglia ad una classica strategia di distrazione: Quando Snowden pubblicò i reati della NSA, la NSA ha virato il dibattito pubblico sul fatto che Snowden li ha pubblicati invece di scusarsi per i propri reati. In questo modo viene attaccata una iniziativa non nel contenuto ma nella forma. Non è un fenomeno nuovo — nella storia del PP-IT sono state “fatte fuori” dozzine di proposte legittime con un attacco off-topic di questo genere — ma in questo momento non mi ricordo dove ne abbiamo discusso. So che è stato uno dei ragionamenti che ha portato all’introduzione del GI. Ci vuole un divieto esplicito del far-da-sé demagogico della interpretazione legale di statuto e regolamenti e della conseguente giustizia, bypassando GI e/o CA — dobbiamo inserirlo nel Codice di Condotta?

Dalle linee guida si deducono due errori in questo flusso comportamentale:

  1. Un RdC avrebbe dovuto moderare il critico e rimuovere la sua NIL depistante.
  2. Data la gravità speciale, essendo questo comportamento un abuso dell’AP, il CA dovrebbe eseguire sanzioni.
  3. Il proponente non avrebbe dovuto ritirare la proposta per venire incontro ad una critica invalida.
  4. Il critico non avrebbe dovuto potere ripetere il suo errore alla proposta seguente. Anche in questo caso facendo una critica alla forma, non al contenuto. Il fatto che ulteriormente è invalida è secondario.

Ma un dettaglio particolarmente interessante di questa triste procedura è come i sostenitori della prima proposta non hanno sostenuto la seconda. Come se il loro sostegno avesse nulla a che fare con l’intenzione politica di entrambe le proposte, ma fosse orientato ad altri criteri.

Non voglio farne un dramma che queste cose continuano ad avvenire, dopotutto le linee guida le abbiamo appena stilate e l’impiego del nuovo statuto non si è ancora consolidato — specialmente non nella mente del Collegio Arbitrale. Ma voglio fare notare che non stiamo applicando statuto e regolamenti a dovere. Addirittura non abbiamo eletto RdC in AP, cioè stiamo attivamente mancando di rispetto allo statuto.

Ma oltre a questi aspetti sociali già analizzati e semplicemente non attuati secondo le nostre regole, volevo parlare del effetto cognitivo che porta i sostenitori di A ad essere disinteressati, incoerenti, distratti, demotivati a sostenere B. Cosa diavolo gli gira per la testa e cosa possiamo fare nelle strutture e nei metodi per compensare a tale incoerenza politica?

lynX, tu sei sensibile ai problemi sociali, quindi parto proprio da qui. Ho notato innumerevoli volte che quando c’è un errore, un qualsiasi tipo di errore a qualsiasi livello, quando una persona lo nota tende a dire: questo è sbagliato. Quindi è naturale aspettarsi questo tipo di comportamento.

Inoltre, astrarre un tipo di problema rispetto al contenuto è un’operazione mentale non banale e non tutti sono propensi a farla. Considerando la prima tendenza e questa seconda difficoltà, il risultato è che tendenzialmente si continua a dire: “x non va bene” a prescindere dal livello in cui si colloca x. Oppure, suppongo, che qualcuno possa sentirsi intimorito nell’intervento e semplicemente ignora l’iniziativa (pensa: non mi va bene, ma non dico nulla, vedremo poi).

Infine, verso queste tue richieste ci sarà una parte che semplicemente non le condivide (uno te lo ha detto esplicitamente) quindi vuole poter dire “x è sbagliato” a prescindere da tutto e ritiene di aver ragione nel dirlo.

Questi secondo me sono i problemi da cui partire, tenendo ben presente l’obiettivo: compiere scelte e votazioni razionali? mantenere partecipazione in un dibattito e che sia razionale?

Abbiamo un forum per parlare nel concreto delle proposte in corso ed abbiamo un LQFB per proporre emendamenti ed alternative orientati a proporre soluzioni migliori. Ignorare i problemi non è una soluzione, ed essere incoerenti nel farlo ancora di meno. Un giorno sono disposto a provare una potenziale soluzione, il giorno dopo mi rifiuto di credere che esiste il problema — tanto i cerchi magici funzionano…

Ecco una intervista a Deleuze che da qualche spunto. Lui dice che ogni razionalità si costituisce su assiomi irrazionali. Ne è un esempio il capitalismo ma anche banalmente la chiesa cattolica:

It’s like theology: everything about it is rational if you accept sin, immaculate conception, incarnation. Reason is always a region cut out of the irrational – not sheltered from the irrational at all, but a region traversed by the irrational and defined only by a certain type of relation between irrational factors. Underneath all reason lies delirium, drift. Everything is rational in capitalism, except capital or capitalism itself. The stock market is certainly rational; one can understand it, study it, the capitalists know how to use it, and yet it is completely delirious, it’s mad.

Pare di leggere la biografia di Ayn Rand. Se avesse ragione in ciò, piuttosto di farci imporre dei assiomi assurdi da chissà quale matto che passa e ci dice che la globalizzazione è una forza della natura o che la privatizzazione è più efficace — il nostro metodo di utilizzare scelte intersoggettive sulle quali costruire la razionalità collettiva È PROPRIO GANZO! Permette di limitare l’irrazionalità secondo lui inevitabile della nostra esistenza ad un qualcosa di perlomeno collettivamente concordabile…

Utile anche il suo punto di vista sul concetto di ideologia:

We do not say: ideology is a trompe l’oeil (or a concept that refers to certain illusions) We say: there is no ideology, it is an illusion. That’s why it suits orthodox Marxism and the Communist Party so well. Marxism has put so much emphasis on the theme of ideology to better conceal what was happening in the USSR: a new organization of repressive power.

L’ideologia non serve a un cazzo se non per nascondere il fatto che coloro che la declamano in realtà hanno già tradito il progetto comune, l’onestà di fondo. Con l’ideologia blocchi il dibattito libero, impedisci che il demos arrivi alla conclusione che quello che stai facendo è sbagliato. L’ideologia serve per scusare la nuova dominanza oligarchica, che sia in un partito o nell’unione sovietica non fa differenza. Mi sento confermato in quanto avevo già sospettato in passato. Anzi, mi scordo le cose — avevamo proprio spellato l’etimologia di “ideologia”.

Interessante anche quanto aggiunge Felix Guattari:

It’s the same thing in traditional political structures. One finds the old trick being played everywhere again and again: a big ideological debate in the general assembly and questions of organization reserved for special commissions. These questions appear secondary, determined by political options. While on the contrary, the real problems are those of organization, never specified or rationalized, but projected afterwards in ideological terms. There the real divisions show up: a treatment of desire and power, of investments, of group Oedipus, of group ‘superegos’, of perverse phenomena, etc. And then political oppositions are built up: the individual takes such a position against another one, because in the scheme of organization of power, he has already chosen and hates his adversary.

O cavolo, quanto mi ricorda l’evento di fondazione della Lista Ingroia!